Compatibilità tra invalidità totale ed inserimento lavorativo

Compatibilità tra invalidità totale (100%) ed inserimento lavorativo
SuperAbile INAIL del 27/01/2021

Il riconoscimento di invalidità totale (100%, con o senza diritto all’indennità di accompagnamento) non preclude la possibilità di un inserimento lavorativo

Il problema
Il riconoscimento di invalidità totale (100%, con o senza diritto all’indennità di accompagnamento) non preclude la possibilità di un inserimento lavorativo.
Ad oggi, molte persone disabili, i loro familiari, ma talvolta anche tecnici ed operatori, pensano che il riconoscimento di invalidità totale sia incompatibile con l’inserimento lavorativo. A questo proposito riteniamo che sia fuorviante la modalità con cui, ancora oggi, viene effettuato il riconoscimento di invalidità civile.
In passato, infatti con il riconoscimento di invalidità civile, purtroppo ancora in attesa di riforma, venivano valutate anche le potenzialità lavorative della persona disabile ed il verbale di invalidità costituiva, di fatto, anche un’attestazione delle limitate capacità lavorative (D.M. 5 febbraio 1992 e successive modificazioni). Infatti, sul verbale di invalidità, di fronte all’attribuzione di una percentuale pari al 100%, corrisponde la voce “totale e permanente inabilità lavorativa”.
Anche il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento che presuppone l’incapacità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore e/o di compiere gli atti quotidiani della vita non preclude la possibilità di un inserimento lavorativo.
Ad oggi il riconoscimento di invalidità civile è indispensabile per usufruire di benefici di tipo economico e non economico mentre l’accesso al lavoro è regolato dalla legge 68/99 e l’accertamento delle condizioni di disabilità ai fini del collocamento è effettuata secondo i criteri e le modalità definite dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 gennaio 2000: “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di collocamento obbligatorio dei disabili a norma dell’articolo 1 comma 4 della legge 12 marzo 199, n. 68”

La storia
Per affrontare questo tema è indispensabile un piccolo excursus storico per evidenziare come, già molti anni fa, e ancor prima della legge 68/99, la normativa aveva affrontato il problema dell’inserimento lavorativo di persone con invalidità totale (100%) e con diritto all’indennità di accompagnamento.
Infatti la Circolare del Ministero Lavoro n. 5/88 richiama l’orientamento, già espresso nella Circolare  n. 6/13966/A del 28.10.1969,  secondo cui “anche i minorati ad altissima percentuale di invalidità (talora anche del 100%), possono se oculatamente utilizzati, svolgere sia pure eccezionalmente determinate attività lavorative e quindi essere dichiarati collocabili”.
Infatti, la  Circolare del Ministero Lavoro, n. 5/88, precisa altresì che:
tale indirizzo è stato successivamente più volte confermato in occasione di singoli quesiti;
che le tabelle in base alle quali viene attribuita lapercentuale di invaliditàsono state predisposte, non solo per accertare la residua capacità ma anche e prevalentemente al fine di stabilire il diritto alla percezione di pensioni, assegni e rendite di natura assistenziale e previdenziale (assegni e pensioni agli invalidi civili, rendite per infortuni sul lavoro ecc.);
che non si può in via assoluta escludere che, anche in presenza di certificazioni sanitarie che riconoscono un’invalidità del 100%, non possono permanere in capo all’invalido effettive residue capacità lavorative, che possono essere anche consistenti relativamente ad attività in cui la minorazione incide in misura modesta;
qualora gli invalidi in possesso di certificazioni di invalidità nella misura del 100%richiedono l’iscrizione negli elenchi del collocamento obbligatorio, gli uffici stessi l’inviteranno a rivolgersi all’organo sanitario competente affinché specifichi se effettivamente sussistano residue capacità lavorative. Solo in presenza di tale dichiarazione gli uffici Provinciali del Lavoro potranno, pertanto procedere all’iscrizione degli interessati negli elenchi di cui sopra.
In seguito la Legge n. 508/88 all’art. 1, comma 3, affronta esplicitamente il problema affermando che l’indennità di accompagnamento non è incompatibile con lo svolgimento di attività lavorativa.

L’attualità
Tornando all’attualità è necessario riferirsi alla Legge 68/99. Infatti, un aspetto di centrale importanza di questa legge è il collocamento mirato che prevede, attraverso l’azione svolta dai servizi per l’inserimento lavorativo, il reale incontro tra capacità lavorative del disabile e le esigenze delle imprese.
Per collocamento mirato dei disabili si intende quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione.
Il D.P.C.M. 13 gennaio 2000 “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di collocamento obbligatorio dei disabili, a norma dell’art. 1, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68” regola l’attività della commissione operante presso l’azienda U.S.L. e competente ad accertare le condizioni di disabilità per l’accesso al collocamento delle persone disabili.
L’accertamento delle condizioni di disabilità rientra tra le misure per agevolare l’inserimento mirato e la ricerca del posto di lavoro più adatto alla singola persona disabile, pertanto, l’attività della commissione di cui all’articolo 4 della Legge 104/92 è finalizzata ad individuare la capacità globale, attuale e potenziale per il collocamento lavorativo della persona disabile.
Dall’entrata in vigore della Legge 68/99 le commissioni per l’accertamento dell’invalidità non possono più procedere alla valutazione delle capacità lavorative definendo la collocabilità o non collocabilità della persona disabile in quanto non più competenti. La valutazione delle capacità lavorative deve essere effettuata secondo le modalità previste dall’art. 1, comma 4 della Legge 68/99 e perciò deve essere effettuata dalle commissioni per l’accertamento dell’invalidità integrate da un operatore sociale e un esperto nei casi da esaminare come previsto dall’articolo 4 della Legge 104/92.

Persone con disabilità psichica
Per completezza di informazione vogliamo fare un ultimo cenno al problema del collocamento al lavoro dei disabili psichici. L’art. 5 della Legge 2 aprile 1968, n. 482 non contemplava fra i destinatari della legge sul collocamento obbligatorio gli invalidi psichici.
La Corte Costituzionale con la Sentenza del 2 febbraio 1990, n. 50 ne aveva dichiarato la illegittimità costituzionale; successivamente l’art. 19 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, estendeva l’applicazione della Legge n. 482/1968 anche a coloro che sono affetti da minorazione psichica, i quali abbiano una capacità lavorativa che ne consente l’impiego in mansioni compatibili.
L’art. 9, comma 4 della Legge 68/99 fa espresso riferimento ai disabili psichici prevedendo che “I disabili psichici vengono avviati su richiesta nominativa mediante le convenzioni di cui all’articolo 11. I datori di lavoro che effettuano le assunzioni ai sensi del presente comma hanno diritto alle agevolazioni di cui all’articolo 13”.
Anche per tali disabili, definiti nei verbali di invalidità “non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita”, le commissioni delle Aziende U.S.L. e gli esperti dei Comitati tecnici dovranno indicare le residue capacità lavorative, le abilità, le inclinazioni e le attitudini lavorative.

In conclusione
Gli invalidi totali (con percentuale di invalidità pari al 100%) hanno diritto di iscrizione nelle liste speciali per accedere al lavoro e/o a percorsi di inserimento mirato qualora la valutazione della capacità lavorativa risulti positiva.
Non ci nascondiamo che, in alcuni casi, l’accertamento della disabilità ai fini del collocamento al lavoro possa dare esito negativo, ma, a nostro avviso, la valutazione deve essere eseguita situazione per situazione ed in ogni caso l’incapacità a svolgere gli atti quotidiani della vita o l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore non può costituire un impedimento a priori.

di Gabriela Maucci e Alessandra Torregiani

L’occasione di un’Agenda per le Competenze in Italia è adesso

RECOVERY PLAN PUNTI SU FORMAZIONE, 13 MILIONI DI ITALIANI CON BASSO LIVELLO DI ISTRUZIONE

Lettera appello al Governo per non rendere vano l’obiettivo Europeo del 50% di adulti che partecipano in attività formative almeno una volta ogni 12 mesi entro il 2025.

Roma, 27 gennaio 2021 – L’Italia ha quasi 13 milioni di adulti 25-64 anni con basso livello di istruzione e concentra quasi un quarto della popolazione adulta europea senza un titolo secondario superiore (circa 51 milioni). Se poi consideriamo il bisogno di alfabetizzazione linguistica, numerica e digitale, la quota di popolazione adulta che necessita di aggiornare le proprie competenze è stimata tra il 50-60% del totale. E non solo: la percentuale di partecipazione degli adulti del nostro Paese ad attività di formazione è tra le più basse e riguarda in netta prevalenza gli occupati. Per questo il Governo dovrebbe puntare con forza a investire parte delle risorse del Recovery Plan sulla formazione continua non solo per affrontare il gap di competenze a sostegno dell’occupazione, ma anche per garantire la modernizzazione della pubblica amministrazione, la digitalizzazione dell’economia e il sistema di istruzione scolastica. È questo l’appello sottoscritto da esperti appartenenti a diversi enti, tra cui CEDEFOP (Centro Europeo per la Formazione professionale), INAPP (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche Pubbliche), INDIRE (Istituto Nazionale di documentazione innovazione e ricerca educativa) in una lettera aperta al Governo con lo scopo di realizzare “entro il 2025 l’obiettivo Europeo del 50% di adulti che partecipano in attività formative almeno una volta ogni 12 mesi”.

“Lo abbiamo imparato anche da questa crisi” – si legge nella lettera appello – “reagire all’emergenza e costruire soluzioni sostenibili per il futuro richiede capacità e risorse propriamente umane e in primo luogo tutte le competenze – di base, trasversali, sociali, scientifiche e imprenditoriali – necessarie per affrontare l’incertezza e creare opportunità dalle nuove tecnologie, dall’allargamento degli scambi internazionali, così come dal vasto patrimonio di beni culturali e naturali di cui l’Italia dispone”. Se è vero che “il Piano nazionale di ripresa e resilienza Next Generation Italia riconosce l’importanza dell’apprendimento permanente” è altrettanto vero che “l’efficacia di queste misure resterebbe tuttavia limitata in assenza di un sistema nazionale integrato per l’apprendimento permanente e il riconoscimento delle competenze della popolazione adulta”.

Next Generation Italia rappresenta un’occasione per creare nel nostro Paese un vero e proprio sistema di formazione permanente – si legge ancora nella lettera appello – in grado di dare accesso sistematico e opportunità di formazione e sviluppo delle competenze a tutti gli italiani, siano essi occupati stabilmente o in forme atipiche, in cerca di occupazione, liberi professionisti, creatori di proprie iniziative imprenditoriali, o al di fuori del mercato del lavoro”.

“Siamo convinti che il nostro Paese sia oggi dotato delle capacità e risorse necessarie per realizzare questo salto di qualità strutturale – concludono i firmatari dell’appello – Riteniamo sia necessario un tavolo di confronto sull’istruzione e formazione degli adulti, riavviando processi e coinvolgendo \reti esistenti, affinché si definisca una nuova agenda per le competenze a livello nazionale a sostegno delle priorità di sviluppo di oggi con lo sguardo ai benefici per le future generazioni”.


L’occasione di un’Agenda per le Competenze in Italia è adesso

Lo abbiamo imparato anche da questa crisi: reagire all’emergenza e costruire soluzioni sostenibili per il futuro richiede capacità e risorse propriamente umane e in primo luogo tutte le competenze – di base, trasversali, sociali, scientifiche e imprenditoriali – necessarie per affrontare l’incertezza e creare opportunità dalle nuove tecnologie, dall’allargamento degli scambi internazionali, così come dal vasto patrimonio di beni culturali e naturali di cui l’Italia dispone.

Ancora oggi una larga parte della popolazione italiana in età lavorativa non ha un titolo di scuola secondaria superiore e non partecipa ad attività di formazione permanente. Sono quasi 13 milioni gli adulti con titolo di studio inferiore al diploma secondario. Se inoltre consideriamo il bisogno di alfabetizzazione linguistica, numerica e digitale, la quota di popolazione che necessita di aggiornare le proprie competenze è stimata tra il 50-60% del totale.

Ma in una società dinamica e capace di cambiare in direzioni sostenibili, la sfida va ben oltre i cosiddetti low skilled, a cui giustamente le politiche europee dedicano una particolare attenzione. Tutte le persone devono avere la possibilità di beneficiare di percorsi formativi che consentano sia di migliorare le proprie competenze lungo tutto l’arco della vita, sia di contribuire tangibilmente all’innovazione e competitività del nostro sistema Paese.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza Next Generation Italia[1] riconosce l’importanza dell’apprendimento permanente e la necessità di investire sulla formazione per garantire la modernizzazione della pubblica amministrazione, la digitalizzazione dell’economia, il sistema di istruzione scolastica e il sostegno all’occupazione. L’efficacia di queste misure resterebbe tuttavia limitata in assenza di un sistema nazionale integrato per l’apprendimento permanente e il riconoscimento delle competenze della popolazione adulta.

Next Generation Italia rappresenta un’occasione per creare nel nostro Paese un vero e proprio sistema di formazione permanente, in grado di dare accesso sistematico e opportunità di formazione e sviluppo delle competenze a tutti gli italiani, siano essi occupati stabilmente o in forme atipiche, in cerca di occupazione, liberi professionisti, creatori di proprie iniziative imprenditoriali, o al di fuori del mercato del lavoro, affinché si raggiunga entro il 2025 la media europea del 50% di adulti che partecipano in attività formative almeno una volta ogni anno.

Un obiettivo ambizioso che non risponde solo a esigenze di inclusione sociale e di maturazione culturale ma rappresenta una delle precondizioni di natura strutturale per muovere verso un’economia sostenibile e digitale. Un obiettivo perseguibile quando si guarda al nuovo Piano strategico nazionale per lo sviluppo delle competenze della popolazione adulta in via di discussione presso la Conferenza Unificata Stato-Regioni.

Siamo convinti che il nostro paese sia oggi dotato delle capacità e risorse necessarie per realizzare questo salto di qualità strutturale. Riteniamo sia necessario un tavolo di confronto sull’istruzione e formazione degli adulti, riavviando processi e coinvolgendo delle reti esistenti, affinché si definisca una nuova agenda per le competenze a livello nazionale a sostegno delle priorità di sviluppo di oggi con lo sguardo ai benefici per le future generazioni.

I target dell’Agenda Europea per le Competenze 2020-2025

IndicatoriTarget per il 2025Livello corrente nella media UE-27 (ultimo anno disponibile)Incremento atteso nella media UE-27
Partecipazione di adulti in età 25-64 ad attività di apprendimento negli ultimi 12 mesi (in %)50%38% (2016)+32%
Partecipazione di adulti con basse qualifiche in età 25-64 ad attività di apprendimento negli ultimi 12 mesi (in %)30%18% (2016)+67%
Porzione di disoccupati in età 25-64 con un’esperienza di apprendimento recente (in %)20%11% (2019)+82%
Porzione di adulti in età 16-74 in possesso di competenze digitali almeno a livello base (in %)70%56% (2019)+25%

Antonio Bernasconi, Presidente ENAIP NET

Giovanni Biondi, Presidente Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa – INDIRE

Sebastiano Fadda, Presidente Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche – INAPP

Laura Formenti, Presidente RUIAP Rete Universitaria Italiana per l’Apprendimento Permanente

Francesca Operti, European Association for the Education of Adults – EAEA

Antonio Ranieri, Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale – CEDEFOP

Giorgio Sbrissa, Presidente European Vocational Training Association – EVTA

Siria Taurelli, Fondazione europea per la formazione – ETF

Monica Verzola, Vice Presidente Lifelong Learning Platform – European Civil Society for Education


[1] https://www.mef.gov.it/focus/Next-Generation-Italia-il-Piano-per-disegnare-il-futuro-del-Paese/

La generazione fortunata

La generazione fortunata

di Maria Grazia Carnazzola

Nel 2005 è uscito, per Longanesi- ad aprile la prima edizione, ad agosto la seconda- un libro intitolato La generazione fortunata” scritto da Serena Zoli. Prendo a prestito il titolo per dire, a mia volta, quello che è successo e sta succedendo a quella generazione definita fortunata- a cui appartengo- e per riflettere su quanto sta capitando a questa di generazione che è (o era?) la generazione del benessere, del tutto subito, del senza limiti né confini… che ad un tratto, si ritrova ad essere “poco fortunata”.

1. Quando i sogni non erano utopia.

Vado con ordine e comincio col dire che le generazioni misurano le età delle società- non le età della vita- e che gli stereotipi culturali che connotano giovani e vecchi, con cui identifichiamo futuro e passato, dimenticando però che si vive nel presente, non coincidono totalmente con l’anagrafe.

Nel libro c’è un proverbio magrebino che parla di utopia. “Nessuna carovana ha mai raggiunto l’utopia, però è l’utopia che fa andare le carovane”. Nell’utopia è insito il desiderio senza il quale non c’è il sogno che alimenta azioni e percorsi, già essi stessi sogno. È forse un sogno, quello che si fonda sulle attese, sulle priorità, sul desiderio e sulla giusta fatica quello che manca oggi ai nostri ragazzi?

Noi sogni ne avevamo tanti: grandi desideri a piccoli prezzi.

Siamo stati la generazione che ha goduto di una favorevole congiuntura storica ed economica che, prima di sfociare nel consumismo, ha permesso gradatamente di passare dalla povertà al benessere, dal rigore al facile, dal guadagnato al gratuito. È stato il tempo del presalario, dell’auto come bene per tutti, degli orizzonti che si aprivano, delle cose permesse… La generazione che poteva contare sulla solidità delle famiglie- indipendentemente dai motivi-; che poteva giocare nei prati e nei cortili per pomeriggi interi sbucciandosi i gomiti e le ginocchia senza controllo, se non il proprio; a riconoscere l’autorità di tutti gli adulti; a considerare la morte di vecchiaia come un fatto naturale; a pensare alla casa come un luogo con qualcuno dentro che si occupava di noi con semplicità, frugalità e senso del dovere, quando abbracciarsi era segno di affetto e non ostentazione. Tutti noi avevamo sempre qualcosa da sbrigare a beneficio di tutti, prima e dopo la scuola. E la scuola era “affar nostro”, erano responsabilità esclusivamente nostra i risultati di cui rispondevamo. Siamo stati testimoni della fiducia dei genitori nei confronti dei docenti e non è cosa da poco se pensiamo che i valori non si predicano ma si imparano dall’esempio. Eravamo una generazione convinta che i sogni fossero idee realizzabili, perché il progresso era continuo: “…in ciò che noi crediamo…vogliamo…faremo. Dio è risorto” cantava Guccini. E i sogni erano personali e collettivi. Era un mondo fondato -ancora- sulla parsimonia, sulla capacità di distinguere l’essenziale da quello che non lo è e ci veniva chiesto di comprendere che facile non è sinonimo di gratuito; porci delle mete e cercare di raggiungerle era normale così come era normale rinunciarvi sulla base di necessità reali che mettevano in fila e in scala i fatti, i sentimenti, i sogni: quelli personali e quelli collettivi. Sogni tutti orientati a un mondo migliore, sogni ottimistici sulle sorti dell’umanità. Col desiderio che i sogni personali e collettivi si avverassero, con un accento- e lo dico col senno di poi- che si è spostato gradatamente sui diritti a discapito dei doveri. Spostamento che qualche volta ci ha fatto confondere guadagnato con gratuito e, pur avendo ben chiaro che ogni prodotto si paga, non abbiamo considerato che se un prodotto non lo paghi, il prodotto sei tu. Forse è davvero un sogno, quello che si fonda sulle attese, sulle priorità, sul desiderio e sulla giusta fatica quello che manca ai nostri ragazzi. A sognare si impara.

2. Non siamo stati in grado di capire e di far capire…

Non abbiamo capito che i paradigmi che abbiamo utilizzato per descrivere e interpretare il cambiamento che avveniva sotto i nostri occhi e a cui partecipavamo quando cadevano i muri, si aprivano i confini, si modificavano gli stili di vita, non è compatibile con il processo di globalizzazione: non è possibile, contemporaneamente, l’apertura all’alterità e la conservazione della propria identità, o la medesima percezione della vita. Non abbiamo capito che la violenza non nasce solo dalla negatività- che genera reazione e difesa-, o dall’estraneo, ma si genera anche nella positività, può nascere dall’eguale: e non c’è polarizzazione tra giusto e sbagliato, tra positivo e negativo, tra amico e nemico, tra interno ed esterno, tra conosciuto ed estraneo. Nella società che via via diveniva più permissiva e pacificata, che non presupponeva ostilità, non abbiamo saputo cogliere quelle altre forme di violenza, di tipo non privativo ma saturativo, che ora riusciamo a vedere…. Lo testimoniano, in questa società della prestazione -ad esempio- i fenomeni legati alla sovrapproduzione e all’eccesso di informazione che frammenta sia la percezione sia l’economia e la struttura dell’attenzione. Abbiamo passato sotto silenzio l’idea che la gestione del tempo e dell’attenzione definita multitasking fosse un progresso della moderna società dell’informazione e del lavoro, mentre sappiamo che è una modalità largamente diffusa anche tra gli animali per la sopravvivenza; non abbiamo vigilato sul lento evolversi della società della prestazione verso la società del doping che ha trasformato l’essere umano in una macchina per massimizzare le prestazioni: ci siamo limitati a chiamare il doping cerebrale in un altro modo e a proibire l’uso delle sostanze, pur sapendo che la coesione sociale si basa sui costumi (mores) consolidati: le regole vengono dopo. Questo abbiamo fatto.

3. Che fare?

La società della prestazione, sia la prestazione agita o impedita, proprio perché connotata dall’attenzione diffusa e veloce, non riesce a strutturare, dare ritmo e forma alla confusione, genera noia e paura e porta all’esaurimento, separando e isolando ciascuno nella propria stanchezza. Che non è la stanchezza fisica del risultato, che riconcilia nella fatica con il mondo e sa distinguere quello che deve essere fatto da quello che può essere tralasciato, quello che deve essere ascoltato da quello che può essere ignorato. Per ascoltare bisogna sviluppare una capacità di attenzione profonda, prolungata e lenta che permetta anche di vedere per pensare, parlare, scrivere. Sappiamo che i luoghi comuni, anche quando sono paradossali, modellano il nostro pensare, il nostro dire e il nostro agire. Ho sentito adulti dire, e i ragazzi ripeterlo, che lo stato di cose generato dalla pandemia fa perdere agli adolescenti e ai giovani le loro “prime volte”. Ma se il primo bacio non lo si dà a 15 anni e lo dà l’anno successivo, a 16 è una seconda volta? Un adulto dovrebbe insegnare e curare questa capacità ri-flettere, cioè di guardare ancora, di ri-tornare su quello che si ascolta, con attenzione selettiva e approfondita: da qui si dovrebbe partire per aiutare i giovani a orientarsi. Ma per poterlo fare, gli adulti devono viversi e comportarsi da adulti nella fase della piena maturità. Così Benedetto Croce nel corso di una lezione “Si suol discorrere oggi, tra i tanti altri e gravi problemi che ci premono, del “ problema dei giovani”. Orbene, mi permetterete di dirvi che questo problema non esiste, perché la giovinezza è un fatto e non è un problema(…) i giovani non possono avere che altro fine di maturarsi a uomini, di preparare il loro avvenire di uomini”. Noi possiamo solo creare le condizioni più favorevoli alla loro maturazione, al cambiamento, ma toccherà a loro crescere e preparare il loro avvenire. Tocca tutti gli adulti e in particolare tocca a chi, istituzionalmente, si è assunto questo compito come professione. Per far questo la Scuola, comprendendo nel termine ogni Ente e Istituzione deputato alla formazione, dovrà cercare linguaggi e paradigmi che taglino trasversalmente gli ambiti separati dei saperi per riportarli a un condiviso orizzonte di senso sul quale costruire una solida- ma flessibile- conoscenza personale e sociale. Ma lo potrà fare solo se ricomincerà a chiamare i segmenti “segmenti” e non “bastoncini, per dirla con Lucio Russo. O, ancora, contrastando l’uso di un linguaggio vuoto di significati, fatto esclusivamente di metafore e di similitudini che alla lunga portano- come ha ampiamente sostenuto Orwell, a una rappresentazione del mondo confacente al senso comune dominante. Pensare, parlare e scrivere con chiarezza rappresentano il primo passo per contrastare l’inibizione e la massificazione del pensiero e dell’azione. Le tecnologie, la digitalizzazione non innovano nulla senza pensiero.

4. Conclusioni

Ritengo, e l’ho scritto spesso, che questa non sia una crisi personale o di qualche settore produttivo o sociale: è una crisi dell’intero sistema, una crisi globale e come tale la dobbiamo pensare e insegnare a pensarla perché, forse, la generazione nuova non potrà semplicemente prendere il posto della precedente, ma dovrà radicalmente modificare il modo di stare nel mondo. Penso sia doveroso che la generazione fortunata, quella che ha vissuto i primi “progressi” legati alla crescita economica, ma che sa com’era il mondo di prima, faccia con chi è arrivato dopo una riflessione seria su quello che sta succedendo, anche solo per chiedersi se la conoscenza di quanto è accaduto nel recentissimo passato possa essere di giovamento ai ragazzi nell’immaginare come potrebbe essere il domani, per fare in modo che i loro ideali non rimangano soltanto sogni.

BIBLIOGRAFIA

Byung-Chul Han, La società della stanchezza, Nottetempo srl, Milano 2017;

Gustavo Zagrebelsky, Senza adulti, Einaudi, Torino 2016;

Carlo Sini, Pratica del foglio mondo, CUEM, Milano 1994;

Benedetto Croce, Conversazione coi giovani- Scritti e discorsi politici, Laterza, Bari 1963;

Lucio Russo, Segmenti e bastoncini-Dove sta andando la scuola?, Universale Economica Feltrinelli/saggi, Milano 2016;

Gli iscritti ai licei ancora più su: 57,8% Tengono i tecnici

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno

Neanche il Covid-19 cambia le abitudini degli studenti italiani. È dal 2015 che più di uno su due preferisce il liceo, specie se scientifico, e la tendenza si ripete anche quest’anno: gli indirizzi liceali si accaparrano il 57,8% di desiderata dei ragazzi e delle ragazze che a settembre andranno in prima superiore (un anno fa erano il 56,3). A dirlo sono i risultati sulle iscrizioni all’anno scolastico 2021/22 pubblicati ieri dal ministero dell’Istruzione. Da cui emergono anche luci e ombre per gli istituti tecnici e i professionali. Mentre i primi – grazie soprattutto al successo dei tecnologici che crescono dal 19,6 al 20,3% – tutto sommato tengono così da restare oltre quota 30%, i secondi perdono un altro punto nei consensi e scendono all’11,9.

Non in tutta Italia però va così. Ci sono aree del paese in cui le due grandi “famiglie” che compongono gli studi del secondo ciclo sono meno distanti della media. Pensiamo al Veneto dove gli istituti tecnici arrivano al 38% e i licei al 48. Oppure alla Lombardia e all’Emilia Romagna dove tali rapporti diventano, rispettivamente, di 36,2 a 52 e di 36 a 48,2. Emilia Romagna che si conferma ancora la prima regione nella scelta dei professionali (15,8%), seguita da Veneto (13,8%), Basilicata (13,7%), Toscana (13,5%). Opposto il panorama offerto dal Lazio, con il 71,2% di opzioni che investono il liceo. A seguire troviamo Campania (64,3%), Abruzzo (63,9%) e Sicilia (63,8%).

Restando in zona liceo, il primo elemento che balza agli occhi è la tenuta del classico che passa dal 6,7% di iscritti del 2020/21 al 6,5 del 2021/22. Laddove si presenta ancora in crescita lo scientifico, che sale dal 26,2% delle preferenze di 12 mesi fa al 26,9% di quest’anno. Grazie soprattutto al l’opzione scienze applicate che arriva al 10% (era all’8,9%) visto che lo scientifico tradizionale cala (dal 15,5 al 15,1%) e lo sportivo resta inchiodato all’1,8 per cento. Degno di nota è anche l’appeal delle scienze umane che aumenta dall’8,7 al 9,7%. Destini opposti invece per l’artistico, che sale dal 4,4 al 5,1%, e il linguistico, che scende dall’8,8% all’8,4. Completano il quadro l’europeo e internazionale (fermo allo 0,5%) e il musicale /coreutico (giù dall’1 allo 0,7%).

I numeri diffusi dal dicatsero fin qui guidato da Lucia Azzolina contengono un altro paio di spunti interessanti. Il primo riguarda la primaria e l’aumento delle richieste di tempo pieno a 40 ore settimanali. A invocarlo è il 46,1% delle famiglie rispetto al 45,8% di un anno fa. Tra le regioni con le più alte percentuali di scelta ci sono Lazio (64,1%), Piemonte (62,5%), Emilia Romagna (60,7%). Viceversa agli ultimi posti si piazzano Sicilia (14,8%), Molise (15,3%) e Puglia (21,4%).

Il secondo investe le modalità di compilazione e invio delle domande. Probabilmente grazie all’emergenza coronavirus – che ne ha favorito la diffusione, ad esempio per aprire il libretto famgilia presso l’Inps e usufruire del bonus babysitter – risulta addirittura triplicato (+270%) il numero di utenti che ha usato lo Spid e ha potuto scegliere la scuola senza effettuare la registrazione sul portale dell’Istruzione: sono 512.093, il 37% sul totale, rispetto al 10% di un anno fa.

Con la chiusura della finestra riservata alle famiglie adesso tocca alle scuole elaborare le domande e comunicare via mail – entro l’11 febbraio – se possono accettarla o se devono smistarla per carenza di posti alla seconda scelta. Con un possibile fuori programma per chi ha indicato un sole nome e si dovesse vedere respinta l’istanza: potrebbe essere chiamato dall’istituto individuato come prima e unica opzione per aggiungere almeno un’alternativa. Fermo restando che, una volta ricevuta la conferma, chi vorrà modificare la propria scelta dovrà presentare una vera e propria domanda di trasferimento e attendere il nulla-osta.

La valutazione nella scuola primaria

La valutazione nella scuola primaria: dai voti al giudizio descrittivo (O.M. n. 172 – 2020 e Linee guida)

di Pietro Boccia

La valutazione periodica e finale degli apprendimenti nelle classi della scuola primaria, superando i voti decimali e introducendo il giudizio descrittivo, è un fatto rivoluzionario, giunto nelle scuole per caso e inaspettatamente. Non era, infatti, prevista nel decreto-legge n. 22 (08/94(2020), ma è stata introdotta con l’approvazione del decreto con la legge n. 41 (06/06/2020), la quale all’art. 1, comma 2 bis, ha stabilito che, in deroga all’art. 3, comma 1, del D.Lgs n. 62/2017, “la valutazione finale degli apprendimenti degli alunni” nella scuola primaria deve essere espressa con un giudizio descrittivo.

La legge n. 41 viene approvata in Parlamento ignorando, poi, che l’atto valutativo è anche periodico. Il Governo è, pertanto, costretto ad intervenire con un altro decreto-legge n. 104 (14/08/2020) e a estendere il giudizio descrittivo anche alla valutazione periodica degli apprendimenti, approvato in via definitiva con la legge n. 126 in data 13 ottobre 2020. Un Gruppo di lavoro già veniva istituito con D.M. n. 597 (4 agosto 2020) con l’impegno di formulare al Ministero “proposte in ordine alle azioni di accompagnamento, di formazione e di monitoraggio, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Tale Gruppo elabora le Linee guida, che vengono allegate all’Ordinanza ministeriale n. 172 (04/12/2020), costituita da sette articoli.

Tralasciando il primo, che tratta le definizioni, e il settimo, che fa salve le competenze delle Province autonome (Trento e Bolzano), l’art. 2 fissa che la valutazione degli apprendimenti nella scuola primaria concorre, come recita l’art. 1 del D.Lgs n. 62/2017 e in considerazione della  valutazione dell’intero processo formativo, alla maturazione graduale e progressiva dei traguardi di competenza, definiti dalle Indicazioni nazionali del 2012 (D.M. n. 254); essa deve, poi, essere coerente con gli obiettivi di apprendimento progettati nel curricolo d’istituto e nel PTOF (Piano triennale dell’Offerta Formativa).

L’Ordinanza Ministeriale all’art. 3 (Modalità di valutazione degli apprendimenti), stabilisce che dall’anno scolastico 2020/2021 la valutazione periodica e finale degli apprendimenti deve essere espressa sia per le discipline di studio, previste dalle Indicazioni nazionali del 2012, sia per l’insegnamento trasversale di educazione civica (Legge n.  92/2019) con un giudizio descrittivo, da trascrivere nel Documento di valutazione; ciò “nella   prospettiva   formativa   della valutazione” e per valorizzare il miglioramento degli apprendimenti.

Il comma 2 precisa che la valutazione in itinere, coerentemente con le modalità e i criteri di valutazione, che, in base al comma 4 dell’art. 4 del Regolamento dell’autonomia (D.P.R. n. 275/1999), il Collegio dei docenti ha definito nel PTOF, viene espressa dall’insegnante per restituire all’alunno, in maniera comprensibile, il livello di padronanza delle conoscenze osservate e verificate.

Ogni scuola, attraverso gli insegnanti e non solo, è tenuta ad adottare dimensioni d’interrelazione con le famiglie, anche utilizzando il registro elettronico, per garantire, in tal modo, la trasparenza del processo di valutazione specialmente alle famiglie non italofone. I giudizi descrittivi devono – recita il comma 4 – avere per riferimento gli obiettivi, che, come oggetto di valutazione, sono definiti nel curricolo d’istituto e riportati nel Documento di valutazione.

Al comma 5 dell’art. 3 (O.M. n. 172) si sostiene che, nel curricolo di istituto, sono individuati, per ciascun anno di corso e per ogni disciplina, gli obiettivi di apprendimento che sono oggetto di valutazione periodica e finale. Tali obiettivi sono riferiti alle Indicazioni nazionali del 2012, con una rilevante attenzione agli obiettivi dei nuclei tematici delle discipline e ai traguardi di sviluppo delle competenze. Si comprende facilmente che l’insegnante, in possesso delle conoscenze disciplinari, delle metodologie didattiche, delle tecnologie e di ogni altra strategia, è, con il supporto dell’intera comunità scolastica, uno strumento, per far sviluppare in ogni singolo alunno le sue competenze attraverso l’acquisizione dei contenuti, il conseguimento delle abilità e il perseguimento degli obiettivi di apprendimento. I giudizi descrittivi sono redatti attraverso gli obiettivi, che, secondo le Linee guida dell’Ordinanza ministeriale n. 172, descrivono manifestazioni dell’apprendimento in modo sufficientemente specifico ed esplicito da poter essere osservabili.

Nel comma 6 dello stesso articolo, si afferma, inoltre, che i “giudizi descrittivi da riportare nel Documento di valutazione sono correlati ai seguenti livelli di apprendimento, in coerenza con i livelli e i descrittori adottati nel Modello di certificazione delle competenze”, ossia:

  • Livello avanzato.
  • Livello intermedio.
  • Livello base.
  • Livello in via di prima acquisizione.

I livelli devono essere riferiti alle dimensioni delle Linee guida, che, allegate all’Ordinanza, fissano le modalità per descrivere gli apprendimenti, vale a dire quattro dimensioni prescrittive (Tipologia della situazione – nota e non nota -, Risorse mobilitate, Continuità e Autonomia); la scuola può eventualmente utilizzarne altre, elaborate dal Collegio dei docenti e inserite all’interno del PTOF. In base a tali dimensioni diventa, per ogni insegnante, semplice descrivere i livelli di apprendimento. Infatti:

  • Avanzato:

L’alunno porta a termine compiti in situazioni note e non note, mobilitando una varietà di risorse sia fornite dal docente sia reperite altrove, in modo autonomo e con continuità.

     –      Intermedio:

L’alunno porta a termine compiti in situazioni note in modo autonomo e continuo; risolve compiti in situazioni non note utilizzando le risorse fornite dal docente o reperite altrove, anche se in modo discontinuo e non del tutto autonomo.

  • Base:

L’alunno porta a termine compiti solo in situazioni note e utilizzando le risorse fornite dal docente, sia in modo autonomo ma discontinuo, sia in modo non autonomo, ma con continuità.

      –       In via di prima acquisizione:

L’alunno porta a termine compiti solo in situazioni note e unicamente con il supporto del docente e di risorse fornite appositamente.

All’art. 4 dell’Ordinanza ministeriale n. 172 viene, poi, trattata la valutazione delle alunne e degli alunni con disabilità certificata; essa, pur connessa alla progettazione curricolare della classe, in funzione dell’inclusione, è correlata agli obiettivi individuati nel piano educativo individualizzato (PEI), predisposto ai sensi del D.Lgs n. 66/2017.

Per le alunne e gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento, la valutazione si attiene alla progettazione curricolare e tiene conto del piano didattico personalizzato (PDP) che gli insegnanti della classe, ai sensi della legge n. 170/2010, predispongono.

Le Linee guida, in base all’art. 5, suggeriscono gli strumenti e i processi ad essi collegati, in coerenza con le Indicazioni nazionali del 2012, con i traguardi di competenza, riferiti alle singole discipline del curricolo, e con la certificazione delle competenze, rilasciate al termine del quinto anno della scuola primaria. Le competenze devono, tuttavia, essere sviluppate, per poterle certificare al quinto anno, in maniera ricorrente e permanente, nell’arco dei cinque anni della scuola primaria.

L’articolo 6 prevede anche le misure di accompagnamento in sostegno delle scuole. Esso recita che, negli anni scolastici 2020/2021 e 2021/2022, le istituzioni scolastiche devono attuare l’Ordinanza n. 172, con riferimento al Documento di valutazione, e applicare, in modo progressivo, quanto è indicato nelle Linee guida; ciò in relazione alla definizione degli strumenti e delle modalità di attuazione. A tale scopo “sono promosse, a partire dall’anno scolastico 2020/2021 e per un biennio, azioni di formazione, finalizzate a indirizzare, sostenere e valorizzare la cultura della valutazione e degli strumenti valutativi nella scuola primaria, tenendo a riferimento le Indicazioni nazionali”.

Ogni scuola, attraverso il Dirigente scolastico, deve, pertanto, operare le seguenti azioni di accompagnamento:

  • indizione di un apposito Collegio dei docenti per inserire nel PTOF il nuovo impianto di valutazione;
  • corretta e diffusa comunicazione sia interna (alunni e personale scolastico) sia esterna (famiglie) attraverso la convocazione degli organi collegiali e delle assemblee dei genitori per diffondere la cultura della nuova valutazione;
  • adattamento del curricolo d’Istituto all’Ordinanza ministeriale e alle Linee guida;
  • diffusione delle dimensioni per valutare gli apprendimenti e il perseguimento degli obiettivi;
  • coerenza nella valutazione degli alunni disabili e con DSA;
  • rimodulazione del Registro elettronico che i gestori si sono impegnati ad apportare modifiche (valutazione periodica o per l’apprendimento oppure finale o dell’apprendimento: discipline, obiettivi di apprendimento, livello, descrizione del livello, spazio libero; valutazione in itinere: discipline, obiettivi di apprendimento, valutazione, spazio libero);
  • valutazione dell’educazione civica;
  • struttura del Documento di valutazione (oltre all’intestazione della scuola, alla generalità dell’alunno, alla classe di appartenenza, alla valutazione del comportamento con giudizio sintetico, al giudizio globale dei periodi didattici, all’educazione civica e all’aggiunta nota per la religione cattolica o attività alternativa, bisogna aggiungere anche le discipline, gli obiettivi di apprendimento, i livelli, il giudizio descrittivo).

Per quanto concerne la valutazione è da considerare che essa nella storia della scuola ha avuto connotazioni diverse, in base alla visione educativa della società. Sicuramente si è affermata, come modalità di monitoraggio e di controllo, quando gli Stati hanno incominciato a erogare l’istruzione. Storicamente la scuola italiana, nel campo della valutazione, ha attraversato tre fasi, vale a dire:

  • autoritaria e selettiva, nella quale la valutazione è stata misurazione delle conoscenze attraverso i voti. Il rapporto educativo è stato, in tal caso, un paradigma selettivo, impostato a livello didattico sui programmi ministeriali e a livello psicologico sullo stimolo/risposta (comportamentismo);
  • democratica ed egualitaria, fase che inizia negli anni Sessanta del Novecento e introduce il paradigma dell’uguaglianza delle opportunità educative all’interno della società. Non è più sufficiente valutare le conoscenze ma bisogna anche considerare le abilità, concentrando l’attenzione sugli allievi. A livello didattico ai programmi ministeriali si accompagna la programmazione, calata dagli insegnanti sui bisogni degli alunni, e a livello psico-pedagogico chi apprende acquisisce centralità e diventa attivo (cognitivismo-attivismo). In tale fase già si ha la necessità di stabilire che l’apprendimento non può essere misurato con un voto ma deve essere descritto (Art. 4 della Legge n. 517/1977);
  • equa e inclusiva. Questa è una fase, nella quale ogni allievo deve essere costruttore della propria conoscenza (psicologia e pedagogia del Costruttivismo) per diventare, attraverso l’acquisizione dei contenuti, delle abilità e delle competenze, autonomo e responsabile. A livello didattico, lo Stato, all’avvento del Regolamento dell’autonomia (DPR n. 275/1999 e della riforma costituzionale (Legge n. 3/2001), non può più imporre i programmi ministeriali con la relativa programmazione delle singole istituzioni scolastiche, ma deve stabilire soltanto i livelli essenziali di prestazione attraverso le Indicazioni nazionali e le Linee guida.

 Con la terza fase, la valutazione non può più immaginare di poter misurare gli apprendimenti. Anzi deve promuovere l’autovalutazione, facendo acquisire ad ognuno la consapevolezza critica non solo della propria identità, dell’autonomia e delle competenze ma anche della cittadinanza attiva.

La valutazione diventa, così, un processo dinamico e circolare, che implica la padronanza consapevole della progettazione educativa e didattica; essa, secondo le Indicazioni nazionali del 2012, precede, accompagna e segue tutto il percorso dell’acquisizione delle conoscenze, delle abilità e delle competenze. L’atto valutativo, come processo, esplicita, in maniera permanente, una valenza formativa attraverso l’osservazione, il riconoscimento e la valorizzazione degli apprendimenti (formali, non formali e informali) acquisiti.

Una valutazione, intesa in tal modo, nella sua articolazione:

  • attiva le azioni di progettazione da intraprendere per perseguire gli obiettivi di apprendimento e per sviluppare i traguardi delle competenze (valutazione iniziale o diagnostica);
  • orienta e regola le azioni per far documentare a chi apprende lo sviluppo dell’identità personale, concorrendo all’apprendimento permanente e al successo formativo (valutazione in itinere e formativa o per l’apprendimento). “La valutazione – è scritto nella Certificazione delle competenze della Nota ministeriale n. 312/2018 – diventa formativa quando si concentra sul processo e raccoglie un ventaglio di informazioni che, offerte all’alunno, contribuiscono a sviluppare in lui un’azione di autorientamento e di autovalutazione”.
  • promuove, in base all’art. 1 del D.Lgs n. 62/2017 e all’art. 4 del DPR n. 249/1998, l’autovalutazione, attraverso una valutazione autentica, e, pertanto, la partecipazione attiva di chi apprende, facendo assumere a ciascuno consapevolezza critica in relazione all’acquisizione del successo formativo (valutazione partecipativa o come apprendimento). I bambini, gli alunni e gli studenti, supportati dagli insegnanti, devono gradualmente assumere, con un approccio metacognitivo, la competenza personale, sociale e la capacità di imparare a imparare dell’Unione europea (22 maggio 2018) per valutare con equilibrio gli altri e se stessi (autovalutazione);
  • favorisce il bilancio critico sulle azioni operate e condotte a termine per regolare e migliorare l’apprendimento (valutazione sommativa o dell’apprendimento). Questa, nella dinamicità e nella circolarità, è, come processo, la base per un nuovo apprendimento e, quindi, anch’essa formativa.

 La valutazione è, in conclusione, un processo, che, nel coinvolgimento di tutti gli attori della comunità scolastica, sicuramente migliora gli apprendimenti e concorre al successo formativo.

Sostegno, varato il nuovo modello nazionale di Piano educativo individualizzato

da Il Sole 24 Ore

di Laura Virli

Con la nota 40 del 13 gennaio 2021 è stato trasmesso il decreto 182 del 29 dicembre 2020 che adotta il nuovo modello nazionale di Piano educativo individualizzato (Pei) per gli alunni con disabilità e ne stabilisce le modalità di assegnazione delle misure di sostegno.
Previsto dal Dlgs 66 del 2017, il decreto è rimasto in gestazione a lungo, ma ora ha finalmente avuto luce. I princìpi alla base dell’integrazione scolastica in Italia erano di fatto rimasti immutati dal “documento Falcucci” del 1975.

Cosa è il Pei
Il Pei contiene la progettazione individualizzata per lo studente con disabilità. Si tratta di uno strumento in grado di aiutare a realizzare un ambiente di apprendimento che promuova lo sviluppo delle facoltà degli alunni con disabilità.

Il nuovo modello contiene le modalità di sostegno compresa la proposta del numero di ore di sostegno alla classe, gli strumenti e gli ausili di supporto, gli obiettivi didattici, le modalità di verifica e di valutazione, gli eventuali interventi per l’assistenza igienica, l’autonomia e la comunicazione.

Il corredo al decreto 182
Al decreto, oltre a dettagliate linee guida, sono allegati quattro nuovi modelli di Pei (per la scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado), una scheda per l’individuazione delle principali dimensioni interessate dal bisogno di supporto per l’alunno e delle condizioni di contesto scolastico, nonché una tabella per l’individuazione dei fabbisogni di risorse professionali per il sostegno e l’assistenza.

I tempi per la stesura
Per quest’anno le scuole potranno continuare ad utilizzare i modelli già redatti o aggiornarli in ottemperanza delle nuove disposizioni. In ogni caso il nuovo modello di Pei dovrà essere adottato nel prossimo anno scolastico e utilizzato già per il cosiddetto Pei provvisorio da predisporre, per i neo iscritti, entro il prossimo 30 giugno 2021.

Il Glo
Il Pei, di durata annuale, entro il 31 di ottobre di ogni anno viene elaborato e approvato dal Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione (Glo). Il dirigente scolastico, a inizio dell’anno scolastico, definisce la configurazione del Glo che coinvolge i docenti di classe, le famiglie, gli operatori sanitari.Il Glo si riunisce ogni anno, entro il 30 di giugno, per la verifica finale e per formulare le proposte relative al fabbisogno di risorse professionali e per l’assistenza per l’anno successivo.

Attribuzione delle ore di sostegno
Il decreto introduce una diversa modulazione nell’attribuzione delle ore di sostegno partendo dalla necessità di valorizzare tutte le professionalità presenti. Si passa, nei fatti, a una quadripartizione delle possibili attribuzioni, e a una correlazione tra risorse e disabilità specifica, superando l’attribuzione meramente quantitativa. Ad esempio, viene rotto il rapporto gravità/rapporto 1:1.

Il Glo formula la proposta relativa al fabbisogno che viene acquisita e valutata dal dirigente scolastico per formulare la richiesta complessiva d’istituto delle misure di sostegno da trasmettere entro il 30 di giugno al competente ufficio scolastico regionale o da proporre all’ente territoriale per quanto riguarda l’assistenza di base e specialistica.

LIBERTE’, ÉGALITE’, FRATERNITE’

LES PRINCIPES FONDAMENTAUX DE LA CONSTITUTION FRANÇAISE: LIBERTE’, ÉGALITE’, FRATERNITE’

par Giovanni Ferrari *

Qu’est-ce que c’est la liberté dans la constitution française ?

La liberté est le premier divise républicaine :Liberté, Égalité, Fraternité. Droit fondamental de la personne : liberté d’aller et venir, liberté de la presse, liberté de manifester. Les libertés proviennent de sources variées : Déclaration des droits de l’homme et du citoyen de 1789, Préambule de la Constitution du 1949, principes fondamentaux reconnus par les lois de la République. Constitution de 1958. Le libertés publiques sont des libertés individuelles et collectives garanties par les textes. Elles constituent un sous- ensemble des droits fondamentaux. D’autres libertés ne sont pas des droits et ne sont pas protégées par les textes.

L’État protège les libertés publiques et, dans le même temps, il pose des limites pour que la liberté des uns n’entrave pas celle des autres.

Le Conseil constitutionnel est le garant des libertés : il vérifie la conformité des lois de la Constitution. Le référé-liberté devant le Conseil d’État  permet au juge, lorsqu’une personne publique porte une atteinte grave et manifestement illégale à une liberté fondamentale, de prendre toutes mesures urgentes nécessaires à la sauvegarde de la liberté.

Le principe de liberté : liberté d’opinion, liberté d’aller et venir, liberté syndical, liberté de pensé, liberté religieuse, liberté de presse, liberté de communiquer, liberté de circulation, la liberté d’entreprendre et la liberté de réunion.

Qu’est-ce que c’est Égalité dans la Constitution française ?

L’égalité identifie l’homme, si l’on peut dire que tous les hommes sont égaux, à l’inverse tous les égaux sont des hommes car si un homme refuse à un autre la qualité d’égal ; il lui refuse la qualité d’homme.

C’est  ce qu’expriment les célèbres dispositions du premier article de la Déclaration de 1789 aux termes desquelles « les hommes naissent et demeurent libres et égaux en droits ».

L’égalité dont on parle dans la divise de la République est une égalité de droit affirmé dés 1789.

L’égalité devant la loi ou égalité endroit est le principe selon lequel tout être  humain doit être…

L’égalité a fait  l’objet d’une longue réflexion de la part du philosophe français… Le quatorzième amendement de la Constitution des États-Unis garantit l’égal.

Qu’est- ce que c’est la fraternité dans la Constitution française ?

La fraternité est le lien fraternel et naturel ainsi que le sentiment de solidarité et d’amitié qui unissent ou devraient unir les membres de la  même famille que représente l’espèce humaine ; la fraternité est l’une de trois composantes de la divise de la République française :Liberté, égalité, fraternité.

La notion di fraternité est cité dans le premier article de la Déclaration universelle des droits de l’homme : « Tous les êtres humains naissent libres et égaux en dignité et en droits : Ils sont doués de raison et de conscience et doivent agir les uns envers les autres dans un esprit de fraternité ».

Le concept de fraternité entre les hommes est largement évoqué. La morale stoïcienne s’en fait l’écho de façon précoce. « L’unité du genre humain l’égalité des hommes, l’égale dignité de l’homme et de femme, le respect des droits des conjoints et des enfants, la bienveillance, l’amour, la pureté dans la famille, la tolérance et la charité envers nos semblables, l’humanité en toute circonstance et même dans la terrible nécessité de punir de mort les criminels, voilà les fonds d’idées qui remplit les livres des derniers stoïciens ».

La Révolution française est un événement fondamental de l’histoire européenne, dans lequel l’ordre politique de la France change radicalement. Elle débute en 1789, et il est plus difficile d’identifier sa fin: selon de nombreux historiens on peut dire en novembre 1799, lorsque Napoléon Bonaparte devient Premier Consul de la République par un coup d’État.  

La révolution a des origines liées aux conditions précaires de l’économie française, le pays devant rembourser une importante dette publique après la guerre de sept ans contre ses rivaux anglais. Guerre qui coûtait cher à la France désormais dépourvue d’empire colonial, avec d’énormes dettes et avec un monarque en difficulté. En effet, Louis XVI ne savait pas exactement comment relancer le pays, d’autant plus qu’il était isolé dans sa bulle de cristal de Versailles loin de l’inconfort des populations désormais affligées par les guerres, les mauvaises récoltes et les augmentations ultérieures du prix des denrées alimentaires.

Avant que la Révolution française n’éclate, la France était au bord de la faillite pour de nombreuses raisons. Les dépenses énormes engagées par la cour du roi Louis XVI (1754-1793) et de ses prédécesseurs sont parmi les plus évidentes: non seulement un symbole de prestige et centre de tous les divertissements, mais aussi un véritable instrument de domination sur la noblesse. La France avait également investi beaucoup d’argent pour participer à la Révolution américaine.  

A l’automne 1786, Charles Alexandre de Calonne , économiste qui occupait le poste de contrôleur général des finances de la France, proposa au roi de nombreuses réformes financières très avancées, qui éliminèrent certains privilèges des classes privilégiées: Noblesse et Clergé.

Pour éviter une révolte des classes privilégiées, le roi avait besoin de soutien pour mener à bien ces mesures.   

Pour cette raison, le roi appelle les États généraux, une assemblée où se rencontrent les représentants des trois «classes» qui composent la société française: noblesse, clergé et bourgeoisie. Les États généraux sont convoqués pour le 5 mai 1789 .

Ces États n’avaient qu’un pouvoir consultatif puisque la France était encore une monarchie absolue avec le pouvoir judiciaire, législatif et exécutif encore aux mains d’un seul homme. Chaque ordre s’est réuni dans une chambre distincte des deux autres, ils discutent de la loi et donnent un vote par chambre : comme il y avait trois votes, le système ne permettait pas d’égalité. La plupart du temps, le Tiers État était désavantagé, car d’une certaine manière les intérêts des nobles et du clergé coïncidaient : il leur suffisait de voter deux voix pour obtenir la majorité.

Avant la réunion prévue le 5 mai, le Tiers État commence à demander une représentation plus équitable : une assemblée où les voix uniques compteraient, «par tête», et non par «classe». Cela allait à l’encontre des intérêts de la noblesse, qui ne voulait pas du tout abandonner les privilèges dont elle jouissait traditionnellement.

Lorsque les États généraux se réunirent enfin à Versailles, le débat public sur le vote avait dégénéré : il y avait désormais une hostilité ouverte entre les trois ordres. Le but initial de l’assemblée était désormais perdu de vue : c’était l’autorité du roi elle-même qui était en question.

Le 17 juin, alors que les procédures et les discussions étaient dans une impasse totale, le Tiers État se réunit de manière autonome, sans les deux autres, et prend formellement le nom d’Assemblée nationale. Le 20 juin, l’Assemblée nationale se réunit dans la célèbre salle du jeu de Paume. Les membres de l’Assemblée jurent solennellement de ne pas se disperser tant qu’il n’y aura pas de réforme constitutionnelle.

L’Assemblée nationale a été soutenue par la plupart de la population qui a déclenché la révolte. La prise de la Bastille le 14 juillet 1789 est un événement emblématique où la prison a été attaquée pour voler ses armes, et surtout pour effrayer le roi et montrer la puissance du peuple. Les terres aristocratiques ont également été incendiées avec leurs documents démontrant ainsi leur domination politique et sociale.

Bientôt, le climat de tension s’étend et l’hystérie collective arrive dans les campagnes. Les paysans, en révolte après des années d’impôts et d’exploitation, prennent d’assaut les maisons des collecteurs d’impôts et des propriétaires terriens. Connue sous le nom de “Grande Peur”, cette insurrection agraire fait fuir de nombreux nobles de la campagne. L’Assemblée constituante réagit en abolissant une fois pour toutes la féodalité le 4 août 1789: c’était la fin d’un ordre dépassé.

Le 4 août 1789, l’Assemblée constituante adopta la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen. Ainsi, les principes des Lumières, inspirés par des penseurs politiques tels que Jean-Jacques Rousseau, ont changé la culture politique française de manière profonde et irréversible. Des principes tels que l’égalité des chances, la liberté d’expression, la souveraineté populaire et le gouvernement représentatif ont finalement été reconnus et ont officiellement inspiré les travaux de l’Assemblée constituante. 

Après les premières émeutes, des rumeurs ont commencé à circuler en octobre de la même année, disant que Marie- Antoinette accumulait des richesses, provoquant une hystérie populaire qui a conduit à ce qu’on a appelé la «Marche des femmes sur Versailles» où un groupe de paysans armés a pris d’assaut le palais, forçant la famille royale à déménager à Paris pour être surveillée. A Paris, le roi est devenu prisonnier de son propre peuple.

En 1790, la constitution civile du clergé fut adoptée grâce à laquelle presque tous les biens du clergé en France furent confisqués. Le roi a tenté de s’échapper en s’enfuyant en Autriche, mais a été arrêté à un barrage routier et a été ramené à Paris.

En avril 1792, une nouvelle Assemblée, l’Assemblée législative, déclara la guerre à l’Autriche et à la Prusse, coupables selon les Français d’accueillir des exilés qui organisaient une contre-révolution. Les membres les plus radicaux de l’Assemblée, Jacobins et Cordeliers, avaient l’espoir de pouvoir répandre les idées de la révolution dans toute l’Europe.

Sur le plan intérieur, cependant, la crise est ouverte : le 1er août 1792, un soulèvement populaire, mené par les jacobins les plus extrémistes, attaque la résidence royale à Paris et arrête le roi et toute sa famille. Tout au long du mois d’août, il y aura des vagues de violence au cours desquelles toute personne soupçonnée d’être contre la Révolution française pourrait être exécutée.

L’Assemblée législative est désormais remplacée par la Convention nationale, qui proclame l’abolition de la monarchie. Le 25 septembre 1792, la République française est proclamée. Le 21 janvier 1793, Louis XVI est condamné à mort pour haute trahison : lui et sa femme, Marie-Antoinette, sont guillotinés.     

En juin 1793, les Jacobins prennent le contrôle de la Convention nationale, évinçant les Girondins les plus modérés et instituant une série de mesures radicales, y compris l’établissement d’un nouveau calendrier ainsi que le système métrique toujours en vigueur aujourd’hui, et le total éradication du christianisme, qui a été remplacé par une véritable sacralité publique, ou religion d’État.

La mort du roi de France, la guerre ouverte avec la plupart des puissances européennes et une série de divisions au sein de la Convention nationale sont les déclencheurs de la période la plus dure et la plus violente de la Révolution française : la soi-disant «Terreur»: une période de 10 mois au cours desquels des milliers d’opposants au régime seront exécutés à la guillotine. Le responsable de nombreuses condamnations est Robespierre, chef du comité de santé publique jusqu’à ce qu’il finisse lui aussi guillotiné, le 28 juillet 1794, suite à la réaction thermidorienne. Les Français, épuisés, ont demandé la paix. Les Jacobins perdent leur crédibilité, et la vengeance spontanée de ceux qui voulaient un retour à la monarchie s’abat sur eux.

La France se dirige vers le retour au pouvoir de la bourgeoisie libérale.

En août 1795, la Convention nationale, composée pour la grande majorité des Girondins ayant survécu à la Terreur, approuva une nouvelle constitution, cette fois bicamérale. Le pouvoir exécutif passerait entre les mains d’un «Directoire» composé de 5 membres et nommés par le parlement. Les protestations des opposants, en particulier des jacobins et des royalistes, furent réprimées par l’armée, dans laquelle un jeune général à succès, Napoléon Bonaparte, commença à émerger.   

Pendant les 4 années du Directoire, les problèmes seront nombreux: crises financières, mécontentement du peuple, inefficacité bureaucratique et forte corruption. À la fin des années 1890, le Directoire parvient à maintenir le pouvoir presque uniquement grâce à l’armée.

Le 9 novembre 1799, Napoléon Bonaparte organise un coup d’État qui aboutit à la suppression du Directoire. Napoléon assume la fonction de Premier Consul. L’événement est généralement considéré comme la fin de la Révolution française, ou plutôt son évolution vers une nouvelle phase. Avec Napoléon, la France, profondément redéfinie par les nombreux changements de ces dernières années, mais en même temps dominée par la puissance de Bonaparte, en viendra à dominer la quasi-totalité de l’Europe continentale. 

La montée de Napoléon représente une étape charnière autant que contre la Révolution française. La concentration problématique du pouvoir entre les mains de Napoléon seul est une sorte de trahison du principe républicain même si grâce au lien idéologique originel avec la révolution de 1789, Napoléon a fini par consolider certaines idées et structures sociales, à tel point que les Etats européens après la mort du souverain français tenteront, à défaut, de restaurer et d’imposer à la France les principes monarchiques antérieurs.

Le 18 mai 1804, le Sénat le proclama empereur des Français.

Le 2 décembre 1804, la cérémonie de couronnement a eu lieu dans la cathédrale Notre-Dame à Paris. Napoléon s’est couronné empereur des Français puis a couronné son épouse Joséphine de Beauharnais comme impératrice.

Entre 1800 et 1804, Napoléon se consacre à la réorganisation interne de la France, favorisant quelques réformes importantes: il concentre tous les pouvoirs à Paris et à la tête des provinces il place ses représentants, les préfets; conclut un accord avec le pape, par lequel il rétablit un équilibre religieux dans le pays; favorise l’agriculture, le commerce et l’ industrie; il fonde la Banque de France à Paris, mettant en circulation de nouvelles pièces métalliques, telles que le franc d’argent et l’or Napoléon.

La création la plus significative et la plus durable fut le Code Napoléon, promulgué le 21 mars 1804 et étendu à tous les pays annexés ou contrôlés par la France, qui confirma les acquis majeurs de la révolution : égalité juridique, liberté religieuse, droit de propriété privée et l’État laïque.

Au début de 1805, la troisième coalition entre l’Angleterre, l’Autriche et la Russie est formée. Les Britanniques ont vaincu la flotte française à Trafalgar, près de Gibraltar, tandis que les Français ont réussi à remporter une victoire à Austerlitz sur les Austro-Russes, ce qui a conduit à la paix de Presbourg .

En 1806, Napoléon prend possession du royaume de Naples, amenant d’abord son frère Giuseppe sur le trône, puis son beau-frère Gioacchino Murat ; il transforma la république hollandaise en royaume de Hollande, qu’il confia à son frère Luigi; a fondé la Confédération du Rhin, qui a réuni la plupart des États allemands, mettant fin au Saint Empire romain.

Une réaction anti-napoléonienne prend forme en Europe, alors qu’au sein de l’empire, le mécontentement grandit face à l’énorme effort de guerre de moins en moins justifié par les intérêts nationaux. Après la campagne de Russie, qui se termina à l’hiver 1812 par une retraite désastreuse de l’armée française anéantie à la Beresina, les armées de la septième coalition battirent Napoléon à Leipzig.

Privé su soutien des maréchaux qui ont refusé de continuer à se battre, et du Sénat, l’empereur abdique le 6 Avril de 1814, se retirant à l’île d’Elbe, le dernier vestige de la souveraineté qui lui est accordé. En mars 1815, profitant de l’opposition croissante au nouveau souverain, Louis XVIII, Napoléon, qui fuyait l’île d’Elbe, marcha sur Paris, où il publia une nouvelle constitution, qui prévoyait le suffrage universel et la création d’un sénat héréditaire, et se mit en route la conquête de la Belgique.

Avec la défaite subie par Napoléon à Waterloo en 1815, la longue série de guerres qui avait opposé la France révolutionnaire aux autres puissances continentales prit fin. Lors du Congrès de Vienne, le forum chargé de la refonte de la politique européenne, les puissances victorieuses ont accepté de restaurer le système politique et social d’avant la Révolution.

L’objectif premier du Congrès était avant tout d’annuler les conséquences politiques et sociales de la Révolution, en empêchant la répétition d’un tel événement ; certes cette tentative a heurté la réalité d’un pays, la France, fortement marqué par l’expérience révolutionnaire.

Dans un climat de profonde dissidence et de méfiance, le phénomène du romantisme est né comme une réponse, qui a trouvé les plus grands représentants d’artistes tels que Hugo, Delacroix, Géricault et Madame de Staël.

Le romantisme se dissocie des idées rationalistes purement absolutistes de la période des Lumières, renforçant à la place l’émotion, le sentiment de l’absolu. La tension vers l’infini, le titanisme, la mesure constante contre l’infini, le désir de franchir les limites matérielles et spirituelles en dépassant la réalité elle-même, une « angoisse de l’absolu », sont des topos typiques de la période romantique.

A partir de ce sentiment général de méfiance, en particulier à l’égard de la société progressiste désormais technicisée, et du rejet d’une compréhension mécaniste de la nature, qui doit être traitée au cours des années 1800, l’idée de conscience de masse et la revendication des opprimés se développe.

Le peuple de plus en plus opprimé par la révolution industrielle dominante, qui a recréé une scission socio-économique entre la bourgeoisie riche et les prolétaires pauvres exploités dans les usines, n’a pas tardé à s’unir et à s’unir comme modèle des grandes grèves qui se sont répandues dans toute L’Europe. Les gens souffrent mais sont conscients de la façon dont ils sont capables de renverser le statu quo alors que les disparités économiques, les horaires de travail et en général la vie de plus en plus mécanisée et aliénante ont conduit à un bénéfice collectif et industriel mais à une détérioration individuelle qui sera un terrain fertile pour les grands conflits socio-politiques qui caractériseront le XXe siècle français.

* Dipartimento Studi Umanistici
Università degli Studi di Napoli « FEDERICO 2 »

ATA ex LSU, passaggio contratti full time: possibile compensazione posti tra province diverse

da OrizzonteScuola

Di redazione

Il 25 gennaio si è tenuto l’incontro tra sindacati e ministero: sul tavolo non solo l’aggiornamento delle graduatorie di terza fascia ATA ma anche il passaggio a full time dei contratti degli ex LSU assunti a marzo 2020.

A definire il passaggio dei contratti da part time a full time dei 4485 collaboratori scolastici ex LSU stabilizzati il 1° marzo 2020 è stata la legge di Bilancio 2021.

Il ministero con diverse note è intervenuto per fornire indicazioni: con l’ultimo avviso del 13 gennaio ha chiarito che “è possibile procedere alla trasformazione a tempo pieno di tutti i contratti a tempo parziale”, dopo un apparente passo indietro della nota precedente, nella quale si indicava il passaggio “solo su posti vacanti e disponibili dell’organico”.

Se però non ci sarà disponibilità a livello territoriale, questo è perlomeno quanto emerge dall’incontro di ieri, si effettueranno delle compensazioni dei posti tra province diverse e, qualora non dovesse bastare, la compensazione potrà avvenire anche tra province di regioni differenti.

Riapertura scuole, la task force siciliana: “Mascherine Ffp2 per i docenti infanzia, primaria e di sostegno”

da OrizzonteScuola

Di redazione

“Lavorare insieme affinché ci possa essere una ripresa delle lezioni in presenza, sia nelle seconde e terze medie, sia negli istituti superiori (al 50 per cento). L’auspicio è quello di tornare in aula il primo febbraio o comunque al cessare della ‘zona rossa’ in Sicilia”.

È quanto ribadito a Palazzo d’Orleans di Palermo, sede del governo regionale, nel corso di una riunione della task-force presieduta da Adelfio Elio Cardinale. Alla riunione ha partecipato anche l’assessore regionale all’Istruzione, Roberto Lagalla.

“C’è l’impegno dell’assessorato alla Salute e di tutto il governo Musumeci – evidenzia Lagalla – ad assicurare lo screening degli alunni dai 14 anni in su, dei docenti e di tutto il personale scolastico, nei drive-in allestiti in tutta l’Isola e a continuare il monitoraggio negli istituti, con le apposite Usca scolastiche, dopo la ripresa”.

La task-force ha ribadito la raccomandazione di utilizzare le mascherine Ffp2 per i docenti di sostegno delle scuole di ogni ordine e grado e per gli insegnanti dell’infanzia e della primaria.

“Confermato anche – aggiunge Lagalla – il potenziamento dei trasporti urbani ed extraurbani in coincidenza con la riapertura degli istituti superiori, secondo i Piani provinciali elaborati e coordinati dalle prefetture”. 

Il commento di Anief

“Prendiamo atto di quanto riferito ed apprezziamo lo sforzo dell’assessore Lagalla anche per avere accolto quanto Anief Sicilia aveva richiesto nei precedenti incontri – dichiara Giovanni Portuesi, presidente Anief Sicilia – apprezziamo che il governo regionale voglia mettere ordine sulle chiusure a macchia di leopardo nel territorio regionale; insistiamo sulla dotazione delle mascherine FFP2 con filtro per le docenti e i docenti dell’infanzia e di sostegno, le sole in grado di garantire una maggiore protezione dei lavoratori anche alla luce di quanto emerge dal documento del DASOE; per questo al tavolo abbiamo chiesto ai rappresentanti sindacali dei dirigenti scolastici di rivedere con gli RSPP, gli RLS e i referenti Covid di ciascuna scuola i piani di prevenzione e protezione introducendo la espressa previsione dell’utilizzo delle mascherine FFP come DPI per i docenti dell’infanzia e di sostegno. Condividiamo le preoccupazioni degli studenti: avanti con lo screening direttamente nelle scuole e riapertura al 1 febbraio solo se sono garantite tutte le condizioni di sicurezza per studenti e personale scolastico e la piena operatività dei piani di trasporto provinciali”.

L’univoco significato di formazione, educazione, istruzione

L’univoco significato di formazione, educazione, istruzione

di Enrico Maranzana

Maurizio Tiriticco ha scritto una lettera aperta alla ministra Lucia Azzolina per circoscrivere il significato delle tre mete cui mira il decreto 297/99 sull’autonomia delle istituzioni scolastiche: l’Educazione, la Formazione, l’Istruzione.

Si tratta di una questione essenziale: dalla sua corretta soluzione dipende la possibilità di governare le scuole.

Lo scritto propone un’ipotesi astratta, indipendente dai vincoli posti dal sistema di regole in cui vivono le scuole: le disposizioni del TU 297/94 sono state ignorate. Esse illuminano e riempiono di significato i tre pilastri dell’autonomia.

E’ stato infranto il principio: “Il significato delle parole è contestuale”.

Una trasgressione da cui l’inconsistenza e la devianza della proposta.

Queste le indicazioni dell’ispettore Tiriticco:

“L’EDUCAZIONE attiene ai VALORI, alla necessità che i nuovi nati, giunti in età scolastica, siano avviati anche e in primo luogo alla condivisione dei “principi fondamentali” che sostengono la nostra convivenza civile e che sono descritti negli articoli 1-12 della Costituzione repubblicana”. 

“L’EDUCAZIONE costituisce l’insieme dei valori che un dato regime è tenuto a perseguire”.

“La FORMAZIONE attiene alla promozione di date abilità operative, al saper fare”.

“L’ISTRUZIONE attiene alla acquisizione delle conoscenze disciplinari, inter- e pluridisciplinari, di cui ai singoli gradi ed ordini di studio”.

La lettura dei primi articoli del Testo Unico citato evidenzia il contrasto esistente tra la volontà del legislatore e quanto è stato esposto.

La legge ha risolto il problema del governo della scuola fornendo un duplice ordine d’indicazioni: strutturali e contenutistiche.

INDICAZIONI STRUTTURALI.

La legge ha disegnato l’organigramma della scuola; la sequenza degli articoli lo traccia:

Art. 1  Formazione della personalità degli alunni [momento esecutivo].

Art. 5  Consiglio di intersezione, di interclasse, di classe [momento tattico].

Art. 7  Collegio dei Docenti [momento strategico e tattico].

Art. 8  Consiglio di Circolo, di Istituto [momento strategico].

INDICAZIONI DI CONTENUTO

Consiglio di Circolo/Istituto

  • “elabora e adotta gli indirizzi generali” [approvando il Piano Triennale dell’Offerta Formativa].

L’organismo collegiale deve definire il contenuto del concetto FORMAZIONE: quali competenze devono possedere i giovani, al termine del percorso scolastico per interagire positivamente con l’ambiente?

  • Ha potere deliberante su “criteri generali per la programmazione educativa”;

riguarda la responsabilità di elaborare le linee guida per indirizzare il lavoro del Collegio dei Docenti.

Riformulando: inizialmente si elencano le mete formative, poi si forniscono le indicazioni per il loro raggiungimento [EDUCAZIONE].

Collegio dei Doceti

  • “cura la programmazione dell’azione educativa”, applicando la strategia dettata dall’organismo sovraordinato.
  • “valuta periodicamente l’andamento complessivo dell’azione didattica per verificarne l’efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, proponendo, ove necessario, opportune misure per il miglioramento dell’attività scolastica”.

Riformulando: la programmazione dell’azione educativa consiste nel prefigurare, organizzare, sviluppare e controllare i percorsi che gli studenti devono percorrere per potenziare e sviluppare le qualità intellettive e operative (capacità e abilità) richieste dal mandato formativo ricevuto.

Consiglio di intersezione, di interclasse, di classe

  • Realizza il “coordinamento didattico” per concordare e monitorare la strategia che conduce alla conquista delle mete educative elencate dal Collegio [ISTRUZIONE].

Riformulando: la progettazione dell’insegnamento, che ogni docente del Consigio realizza, deve essere incardinata su due elementi: il perseguimento dei traguardi comuni e la trasmissione di una corretta e precisa immagine della propria disciplina.

Liliana Segre: “Mai perdonato, mai dimenticato”

da La Tecnica della Scuola

In occasione del Giorno della Memoria  e di fronte alle numerose manifestazioni per ricordare l’immane dramma dello sterminio bestiale  di milioni e milioni di persone tra ebrei, oppositori politici, diversi, anche la senatrice a  vita   Liliana Segre, 90 anni, deportata nei campi di sterminio nazisti e miracolosamente uscita viva, interpellata, ha detto: “Non ho mai perdonato, come non ho mai dimenticato”. Una testimonianza forte che dovrebbe scuotere le coscienze.

E “mentre ero ad Auschwitz “, ha detto anche in altre occasioni la senatrice,  “per un attimo vidi una pistola a terra, pensai di raccoglierla. Ma non lo feci. Capii che io non ero come il mio assassino. Da allora sono diventata donna libera e di pace”.

Parlando delle leggi razziali Segre ha pure ricordato che “un giorno di settembre del 1938 sono diventata l”altra’. So che quando le mie amiche parlano di me aggiungono sempre ‘la mia amica ebrea’.

E da quel giorno, a otto anni, non sono più potuta andare a scuola. Mio papà e i nonni e mi dissero che ero stata espulsa. Chiesi perché, mi risposero che ci sono delle nuove leggi e gli ebrei non possono fare più una serie di cose. Se qualcuno legge a fondo le leggi razziali fasciste capisce che una delle cose più crudeli è stato far sentire invisibili i bambini”.

Appena arrivati nel lager, “mi venne tatuato un numero sul braccio, e dopo tanti anni si legge ancora bene, 75190”.

Ma oggi, 27 gennaio, anche in tutta Europa, oltre che in Italia, si svolgono iniziative per ricordare la tragedia della Shoah: nelle scuole, in Parlamento, nei Comuni, nelle tv.

Ed è importante ricordare, fondamentale riportare alla luce documenti e testimonianze di quei crimini efferati.

Una recente ricerca Eurispes, svolta nell’ottobre 2020, rivela purtroppo che i negazionisti aumentano anche in Italia: in circa 15 anni la percentuale di chi non crede all’orrore della Shoah è passata dal 2,7% al 15,6% con un 16% che sostiene che la persecuzione sistematica degli ebrei “non ha fatto così tanti morti”.

Nuovi modelli PEI, Bruschi: nessun taglio al sostegno, Italia Paese con migliori leggi sull’inclusione

da La Tecnica della Scuola

“Qualcuno ha detto che questo decreto presuppone un taglio nei posti di sostegno: ciò non è assolutamente vero. Anzi, questo provvedimento si inserisce in una serie di misure che abbiamo cercato di coordinare che assumono l’inclusione scolastica come centrale”.

Lo ha dichiarato il Capo del Dipartimento per l’Istruzione, Max Bruschi, nel corso della presentazione, in diretta sul sito del Ministero, del nuovo decreto sull’inclusione e dei nuovi modelli di Piano Educativo Individualizzato.

Si è svolto infatti oggi l’evento on-line, dal titolo “I nuovi modelli PEI e le modalità di assegnazione delle misure di sostegno”, realizzato con obiettivo di avviare le misure di accompagnamento alle novità introdotte dal decreto interministeriale 29 dicembre 2020, n. 182.

Ricordiamo che con il decreto sono definite le nuove modalità per l’assegnazione delle misure di sostegno, previste dal decreto legislativo 66/2017, e i modelli di piano educativo individualizzato (PEI), da adottare da parte delle istituzioni scolastiche.

Il decreto è infatti corredato di apposite Linee guida e comprende i quattro nuovi modelli di Piano Educativo Individualizzato (per la scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado), la scheda per l’individuazione del bisogno di supporto per l’alunno, nonché una tabella per l’individuazione dei fabbisogni di risorse professionali per il sostegno e l’assistenza.

Decreto interministeriale n. 182 del 29 dicembre 2020

Linee guida

Nota n. 40 del 13 gennaio 2021

Scheda per l’individuazione del debito di funzionamento

Tabella individuazione fabbisogni di risorse professionali per il sostegno e l’assistenza

“A partire dal prossimo anno e nel successivo triennio – ha proseguito Bruschi, ricordando l’ultima legge di bilancio – avremo 25 mila insegnanti di sostegno stabili in più. Abbiamo poi 10 milioni di euro per l’anno 2021 per realizzare l’inclusione scolastica che significa presa in carico dello studente con disabilità da parte dell’intera comunità educante. Queste risorse serviranno alla formazione degli insegnanti curriculari, non genericamente sul sostegno, ma sui casi concreti che si troveranno mano a mano ad affrontare nella realtà delle scuole”.

Secondo le classifiche europee, ha infine ricordato il capo del Dipartimento, “siamo il Paese che ha la migliore legislazione sull’inclusione”. Ci sono molte realtà scolastiche splendide dove l’inclusione è una buona pratica, ha proseguito, ed “è attraverso il coinvolgimento di queste scuole che vorremmo migliorare non soltanto i dati quantitativi, ma soprattutto gli elementi e i dati qualitativi dell’inclusione: una migliore inclusione degli alunni con disabilità significa una migliore inclusione per l’intero gruppo classe e una migliore performance per l’istituzione scolastica, che significa una migliore istruzione per tutti”.

ECCO I NUOVI MODELLI DI PEI:

Modello di PEI per la scuola dell’infanzia

Modello di PEI per la scuola primaria

Modello di PEI per la scuola secondaria di I grado

Modello di PEI per la scuola secondaria di II grado

Iscrizioni scuola: tutti pazzi per i licei. Li scelgono quasi 3 studenti su 5

da Tuttoscuola

Licei, con il 57,8% delle preferenze, si confermano in testa alle scelte degli studenti. Seguono gli Istituti tecnici, con il 30,3% delle iscrizioni, e i Professionali, scelti dall’11,9% delle ragazze e dei ragazzi. Questi i primi dati riferiti alle iscrizioni online al prossimo anno scolastico, il 2021/2022, che hanno riguardato le classi prime della primaria, della secondaria di primo e di secondo grado. Per la scuola dell’infanzia la domanda andava presentata in modalità cartacea. La partecipazione delle scuole paritarie alle iscrizioni online era facoltativa. La procedura si è aperta lo scorso 4 gennaio e si è conclusa lunedì 25 gennaio alle 20.00.

Iscrizioni scuola: licei ancora in crescita

Licei continuano ad essere scelti da oltre uno studente su due: quest’anno il 57,8% delle domande ha riguardato un indirizzo liceale (era il 56,3% un anno fa). Rimane sostanzialmente stabile il Classico, scelto dal 6,5% delle ragazze e dei ragazzi (il 6,7% un anno fa). Ancora in crescita l’interesse per gli indirizzi del Liceo scientifico, che passano dal 26,2% delle preferenze di un anno fa al 26,9% di quest’anno. Scendendo nel dettaglio, ha scelto lo Scientifico tradizionale il 15,1% dei ragazzi (un anno fa era il 15,5%), il 10% ha scelto l’opzione Scienze applicate, che è in crescita (l’8,9% l’anno scorso), confermata la scelta delle sezioni dello Scientifico a indirizzo Sportivo da parte dell’1,8% delle studentesse e degli studenti. Il Linguistico scende dall’8,8% all’8,4% delle scelte. Cresce l’Artistico, dal 4,4% al 5,1%. In aumento anche l’interesse per il Liceo delle Scienze umane, dall’8,7 al 9,7% delle preferenze. In particolare, l’indirizzo tradizionale sale dal 6% al 6,5%, l’opzione Economico-Sociale sale dal 2,7% al 3,2%. Stabile il dato per i Licei ad indirizzo Europeo e internazionale (0,5%). I Licei musicali e coreutici scendono dall’1% allo 0,7%.

Iscrizioni scuola: 1 studente su 3 agli Istituti tecnici

Un terzo delle scelte è ancora per i Tecnici che, sostanzialmente, tengono: li sceglie il 30,3% delle studentesse e degli studenti (il 30,8% un anno fa). Il settore Economico scende al 10% dall’11,2%, cresce il Tecnologico, dal 19,6% al 20,3%. Gli Istituti professionali segnano un calo dal 12,9% all’11,9% delle scelte.

Licei ancora al primo posto nel Lazio, Tecnici in Veneto, Professionali in Emilia Romagna

È ancora il Lazio la Regione con il maggior interesse per i Licei, con il 71,2%. Seguono Campania (64,3%), Abruzzo (63,9%), Sicilia (63,8%)Veneto ed Emilia Romagna si confermano le Regioni con meno adesioni per gli indirizzi liceali, entrambe al 48,2%.

Una conferma anche per il Veneto, come Regione con più adesioni per i Tecnici: 38%. Seguono Lombardia (36,2%), Emilia Romagna (36%), Friuli Venezia Giulia (35,7%). L’Emilia Romagna è ancora la prima Regione nella scelta dei Professionali (15,8%), seguita da Veneto (13,8%), Basilicata (13,7%), Toscana (13,5%).

Iscrizioni scuola: la richiesta di tempo pieno

Cresce la domanda di tempo pieno (per un totale di 40 ore settimanali) nella scuola primaria: a richiederlo è il 46,1% delle famiglie rispetto al 45,8% di un anno fa. Tra le Regioni con le più alte percentuali di scelta ci sono Lazio (64,1%), Piemonte (62,5%), Emilia Romagna (60,7%). La percentuale più bassa si registra in Sicilia (14,8%), Molise (15,3%), Puglia (21,4%).

Utenti sempre più autonomi nella compilazione della domanda

L’83,7% degli utenti ha effettuato autonomamente l’iscrizione online, senza passare dall’intermediazione della scuola. Un dato in forte crescita rispetto all’anno scorso, quando erano il 69,4%. Il picco maggiore di coloro che hanno gestito in autonomia la domanda si registra in Friuli Venezia Giulia (94,6%). Seguono Veneto (93,2%), Lombardia (92,2%) e Sardegna (92,1%). Le Regioni in cui si è registrata una maggiore intermediazione da parte delle scuole sono  Puglia (37,5%), Campania (36,2%), Sicilia (33,2%) e Calabria (33,1%).

Triplicato (+270%) il numero di utenti che ha effettuato le iscrizioni online attraverso l’identità digitale unica, lo SPID, che consentiva un accesso diretto al sistema senza registrazione. Sono 512.093, il 37% sul totale, rispetto al 10% di un anno fa.

Quasi due terzi delle iscrizioni online sono state inoltrate utilizzando un pc; il 35% delle famiglie lo ha fatto da mobile, il 3% da tablet.

Alto anche l’apprezzamento verso il servizio. Il 93,8% degli utenti, dato in crescita, ritiene vantaggiosa, in termini di risparmio di tempo, l’iscrizione online. Il 92% ritiene semplice la procedura, dalla fase di registrazione a quella di inoltro della domanda. Oltre 248 mila utenti sono stati supportati durante la compilazione dall’Assistente virtuale “iolly”, messo a disposizione sulla piattaforma per le iscrizioni.

Dispersione scolastica anche nel primo ciclo: colpa della pandemia. Le proposte

da Tuttoscuola

La pandemia sta incidendo sulla dispersione scolastica anche tra gli alunni del primo ciclo, un settore che fino ad oggi sembrava immune da questo rischio. È quanto ha denunciato la Comunità di Sant’Egidio di Roma.

I risultati di un’indagine della Comunità di Sant’Egidio condotta su un campione di minori (di scuola primaria e scuola secondaria di I grado) che frequentano i centri pomeridiani gestiti dalla Comunità, conosciuti come “Scuole della Pace” in diverse scuole di dodici regioni hanno evidenziato effetti preoccupanti di dispersione causati dalla pandemia.

Il primo dato allarmante riguarda i minori delle regioni del Centro-Sud per i quali il rischio di dispersione scolastica è tre volte più alto di quello dei coetanei del Nord.

Dopo la presentazione dei dati allarmanti sulla scuola, è stato presentato un decalogo di proposte. “Vogliamo evitare che il bambino sia un cittadino dimenticato – ha detto il presidente della Comunità, Marco Impagliazzo – perché per investire nel futuro vanno messi al centro i bambini prevedendo una task force della famiglia per trasformare il Covid in opportunità”.

L’indagine ha rilevato il numero eccessivo di assenze, le difficoltà degli alunni a seguire le lezioni con la didattica a distanza, la riduzione dell’orario delle lezioni di talune scuole a tutto il mese di dicembre.

Sulla base dei dati registrati, la Comunità di Sant’Egidio ha stilato dieci proposte contro la dispersione scolastica nel primo ciclo:

  1. Recupero effettivo delle ore perse a causa dell’emergenza
  2. Prolungamento della scuola fino a metà luglio
  3. Inizio anticipato (1° settembre) del prossimo anno scolastico
  4. Stabilizzazione dell’iscrizione online sul sito del MIUR alla primaria e alla secondaria di 1° grado, oltre la scadenza del 25 gennaio, evitando così che le scuole rifiutino le iscrizioni degli alunni ritardatari
  5. Recuperi estivi per tutte le carenze censite e, a lungo termine, impiego di risorse per programmare interventi in favore delle famiglie in difficoltà
  6. Miglioramento delle azioni di recupero dell’abbandono scolastico
  7. Introduzione della figura dello “school facilitator” per aiutare le famiglie e la scuola a evitare che i bambini si perdano
  8. Risorse a favore della scuola dell’infanzia, per diminuire le diseguaglianze formative ed educative
  9. Obbligatorietà della scuola materna dai 3 ai 6 anni
  10. Utilizzare le scuole per una vasta campagna di educazione sanitaria

27 gennaio: per evitare che la memoria della Shoah si indebolisca

da Tuttoscuola

«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».

Il Covid ha fermato anche le consuete iniziative in presenza che negli anni scorsi preparavano la Giorno della memoria del 27 gennaio, dedicato alla commemorazione delle vittime dell’olocausto.

A Palazzo Chigi il 26 gennaio si è svolta una tavola rotonda dal titolo “Fascismi di ieri e fascismi di oggi”, alla presenza del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Presidente dell’UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane).

Sono sempre meno numerosi i superstiti della Shoah che possono dare testimonianza personale della tragedia immane delle stragi perpetrate dai nazisti nei campi di concentramento.

Già l’anno scorso erano stati ridotti o annullati i viaggi della memoria per gli studenti ai campi di sterminio; e ancor più lo saranno in questo anno di drastiche limitazioni per la pandemia.

I viaggi della memoria in molti casi sono sostituiti da video conferenze di testimonial da varie città europee e da Israele. Ma le parole non avranno certamente la stessa efficacia del vedere con i propri occhi i luoghi della tragedia con la cruda esposizione dei resti e degli oggetti delle vittime.

La memoria dell’olocausto rischia di indebolirsi, di diventare vox clamantis in deserto.

La memoria, oggi più che mai, chiede di essere tenuta viva; non può essere data per scontata una volta per tutte.

Vi sono nuove generazioni di giovani da informare su quella tragedia umana e formare sui valori che lo sterminio ha negato.

La scuola ha il compito importante da realizzare in conoscenza e formazione, anche per prevenire i ritorni negazionisti favoriti dal web.