Autismo, i bio-marcatori del plasma materno aiutano la diagnosi precoce
SuperAbile INAIL del 29/01/2021
Attraverso l’utilizzo del machine learning i ricercatori hanno individuato alcuni modelli di anticorpi materni nel plasma delle donne in gravidanza, risultati altamente connessi allo spettro autistico e alla gravità della possibile sindrome.
ROMA. Le nuove frontiere tecnologiche potrebbero predire alcune tipologie di autismo, con un’accuratezza pari al 100% a partire dai bio-marcatori (indicatori biologici, ndr) del plasma materno. È questa l’imponente scoperta appena pubblicata su “Molecular Psychiatry” dall’UC Davis MIND Institute, e condotta de facto da Ramirez-Celis e colleghi. Attraverso l’utilizzo del machine learning (strumento di apprendimento automatico, ndr) i ricercatori hanno infatti individuato alcuni modelli di anticorpi materni nel plasma delle donne in gravidanza, risultati altamente connessi allo spettro autistico e alla gravità della possibile sindrome.
I casi di disturbo dello spettro autistico correlati agli autoanticorpi materni sono denominati MAR ASD (Maternal autoantibodies related autism) e dallo studio emerge come “corrispondano fino al 18% di tutti i casi di autismo” presi in esame. già in passato, tra l’altro, una delle ricercatrici dello studio, Julie Van de Water, aveva rilevato che “gli autoanticorpi di una madre in gravidanza- si legge su neurosciencenews.com- potessero interagire con il cervello del feto in termini di alterazione del suo sviluppo”. Adesso, “il risultato dello studio è straordinario- commenta la ricercatrice- è la prima volta che il machine learning viene utilizzato per identificare con una precisione pari al 100%, modelli specifici di autoanticorpi materni come potenziali bio-marcatori del rischio di sindrome dello spettro autistico”.
Ad emergere dallo studio “è un nuovo test traducibile e facilmente trasferibile all’uso clinico in futuro”, continua Van de Water. L’esame del sangue che studia il plasma materno si realizza su una piattaforma, ELISA (Enzyme-Linked-ImmunoSorbent Assay), che è rapida e precisa. così la ricerca, grazie al machine learning, è riuscita a elaborare circa 10.000 modelli e ne ha identificati “tre che principalmente risultano associati allo spettro autistico collegato ad autoanticorpi materni”: CRMP1 + GDA, CRMP1 + CRMP2 e NSE + STIP1.
“Se ad esempio- illustra la ricercatrice- una madre ha anticorpi CRIMP1 e GDA”, che tra l’altro risulta essere il modello più comune, “le sue probabilità di avere un figlio con autismo saranno 31 volte maggiori rispetto alla popolazione generale” allo stato attuale degli studi. “C’è davvero molto poco lì fuori che ti darà una valutazione del rischio di questo tipo”, sottolinea Van de Water. Ma non finisce qui. I ricercatori affermano, infatti, come “la reattività al CRIMP1 in uno qualsiasi dei modelli”, risulti un fattore che “aumenta significativamente le probabilità di un minore di sperimentare un autismo più grave”.
Sotto il profilo delle implicazioni future, poi, gli effetti dello studio potrebbero essere mastodontici. “Possiamo immaginare che una donna si potrebbe sottoporre a un esame del sangue per quegli autoanticorpi ancor prima di rimanere incinta”. E se li riscontrasse “saprebbe fin da subito” di essere esposta a “un altissimo rischio di avere un figlio nello spettro autistico”. Mentre nel caso contrario, ribadisce Van de Water, “avrebbe una probabilità inferiore al 43% di avere un figlio con autismo, poiché si va ad escludere l’autismo di tipo MAR”.
Alla base dello studio, ci sono due campioni di mamme, rispettivamente 350 madri di bambini nello spettro e 342 madri di bambini a sviluppo “tipico”, tutte provenienti dallo studio CHARGE (Childhood Autism Risks from Genetics and the Environment) che, sempre sotto il cappello dell’US David MIND Institute, dal 2003 si propone di comprendere fattori genetici e ambientali coinvolti nell’autismo. L’obiettivo, in questo caso, era quello di “utilizzare il machine learning per identificare i modelli di reattività degli autoanticorpi fortemente associati allo spettro”. Il riconoscimento di questi ‘pattern’ potrebbe quindi essere fondamentale “per lo screening pre e durante la gravidanza”. Certo è che lo studio apra un percorso, e nonostante “richiederà nuove prove approfondite prima che la tecnologia possa vedere un uso clinico- conclude la studiosa- pensiamo che possa diventare clinicamente utile in futuro”. E intanto, già “rappresenta un grande passo in termini di valutazione precoce dei rischi per la sindrome dello spettro autistico”.