Semplificare vuol dire eliminare

Semplificare vuol dire eliminare

di Stefano Stefanel

​La scuola si trova in una situazione di costante criticità in quanto la sua qualità di autonomia funzionale dello stato la pone come crocevia amministrativo di troppi soggetti che agiscono contemporaneamente, con richieste continue e senza alcun tentativo o necessità di coordinare i loro interventi. Così succede che, quotidianamente, si attivino scadenze o arrivino richieste da soggetti con loro proprie tempistiche per nulla in linea con quelle della scuola, per cui la Pubblica Amministrazione scolastica deve interfacciarsi con il ministero, con le autorità di gestione, con gli uffici scolastici regionali e gli uffici scolastici provinciali che non si coordinano, con gli enti locali regionali, provinciali e comunali, con i revisori dei conti, con i servizi sociali, con le ASL, con l’Inps, con l’Inail, con i dipartimenti di prevenzione, ecc. in un elenco che sembra non finire mai. Anche tutta la semplificazione è spesso più annunciata che realizzata, perché si è sempre tramutata in maggior impegno lavorativo e in un aumento di documentazione. Inoltre il passaggio al digitale e la possibilità di allegate documenti in PDF li ha fatti diventare sempre più lunghi e complessi, spesso illeggibili. 

​Il concetto di semplificazione deve essere collegato a quello di scelta e quello di scelta a quello di riduzione. La prassi consolidata è quella per cui ogni apparente riduzione ha portato sempre a procedure che, invece di ridurre, hanno aggiunto. E’ il caso, banale, ma veramente paradigmatico, del processo di dematerializzazione, che prevederebbe una significativa semplificazione, ma non ha diminuito la quantità di carta stoccata negli archivi della pubblica amministrazione, producendo a volte duplicazioni che appesantiscono quello che è già di per sé pesante. Qui siamo davanti ad una di quelle questioni che costringono ad un certo punto la Pubblica amministrazione ad addentrarsi dentro un coacervo di norme che mal si connettono tra loro e che determinano contenziosi e conflitti, producendo soltanto un aumento delle complicazioni. La piattaforma Inps per la ricostruzione del personale a fini pensionistici è uno dei massimi esempi di sistema che si è avvitato su séstesso, tra procedura apparentemente semplice di gestione della posizione in piattaforma e documenti cartacei, che si “ribellano” ad ogni riconduzione alle voci che scendono dalle famigerate “tendine”.

​Il concetto di semplificazione passa anche attraverso quello di competenza: solo del personale capace e competente è in grado di semplificare, mentre il personale che non conosce bene il suo lavoro per forza di cose è inefficiente e quindi tende all’accumulo e non alla selezione. Per dare conto della situazione attuale e di come potrebbe evolversi in senso positivo se tutto venisse semplificato, cerco di indicare alcuni elementi di inciampo burocratico abbastanza evidenti che, se eliminati, produrrebbero in forma automatica una reale semplificazione nell’attività istituzionale della pubblica amministrazione scolastica e di conseguenza una maggiore efficienza del sistema.

PON e PNSD

La procedura negoziale ed attuativa dei PON e del PNSD è stata pensata dentro l’idea per cui la cosa fondamentale non è la realizzazione dei progetti, ma le possibilità costanti di controllo sui tutti gli atti. Inoltre i controlli continuano per anni e anni bloccando finanziamenti, dentro un mare di burocrazia che ha determinato la resa di molte scuole, la mancata chiusura di molti PON o progetti del Piano Nazionale Scuola Digitale. Tra le richieste del Ministero e dell’Autorità di gestione e le reali capacità delle scuole si assiste ad un incredibile cesura, che determina un’oggettiva difficoltà a spendere soldi che ci sono. Se, però, si eliminassero alcuni passaggi inutili tutto diventerebbe più semplice. Ecco quali:

– eliminazione della carta nelle rendicontazioni: adesso, infatti, si devono caricare tantissimi documenti in PDF (carta fotografata), mentre tutto dovrebbe avvenire solo in piattaforma;

– eliminazione dei blocchi alla procedura qualora vi siano degli errori che possono essere sistemati o dalla stessa autorità di gestione o dalle scuole se ben indirizzate;- eliminazione della “neutralità” degli USR, che dovrebbero invece essere la task force che elimina i problemi delle scuole che non ce la fanno;

– eliminazione del controllo da parte dei revisori dei conti, che bloccano le procedure a fronte di situazioni che l’autorità di gestione è in grado di controllare da sola;

– eliminazioni delle possibilità di controllo oltre i tre mesi dalla fine del progetto;

– eliminazione dell’anticipazione di cassa, che costituisce un fardello troppo pesante per molte piccole scuole(quindi finanziamento di tutto il progetto nella fase d’avvio);

– eliminazione della decurtazione della somma da erogare a causa di assenze di studenti e quindi eliminazione anche della rigidità delle classi, che molto spesso è difficile tenere unite nello stesso progetto, anche perché molte scuole sono piccole e il gruppo di studenti interessati variabile.

Non si tratta di dare via libera ad un sistema inefficiente, ma di semplificare procedure di controllo ossessive, che semplicemente impediscono la realizzazione dei PON e del PNSD. Personalmente, vista l’emergenza pandemica e la sua drammaticità, penso che sarebbe anche il caso di eliminare dai PON sia il vincolo di progetto che il vincolo di controllo e permettere a questi soldi già stanziati di essere spesi dalla scuola per qualunque necessità. Questa sarebbe un bell’utilizzo dei fondi PON residui, ma non spero tanto. Ma eliminare quello che sopra riportatocomunque faciliterebbe le realizzazioni di quello che si può ancora realizzare. 

RAFFORZARE LE SEGRETERIE

Per rafforzare le segreterie sarebbe sufficiente eliminare l’automatismo contenuto nell’art. 59 del CCNL del 29 novembre 2007 e vincolare la possibilità per un collaboratore scolastico di accettare incarichi a tempo determinato come assistente amministrativo solo dopo l’accertamento del suo livello di competenze.L’eliminazione del passaggio automatico dai ruoli di collaboratore scolastico a quelli di assistente amministrativo senza concorso, dovrebbe anche prevedere,alla fine di ogni anno scolastico un parere vincolante del Dirigente scolastico e del Direttore dei servizi generali e amministrativi che, se negativo, inibisce l’accettazione di nuove supplenze. A chi non conosce il mondo della scuola può sembrare strano che la semplice eliminazione di una possibilità potrebbe semplificare le cose. In realtà il lavoro delle segreterie è sempre più caricato di procedure e impegni che richiedono forti competenze. Se queste non ci sono tutto viene complicato e, spesso, fotocopiato con un aumento di complicazioni dovute a procedure sbagliate e competenze reali non disponibili in forma eguale tra i tutti i dipendenti.

Un altro modo per rafforzare le segreterie è l’eliminazione di tutti i monitoraggi che non comportino una restituzione degli esiti in forma condivisa. Se, cioè, il Ministero o l’Ufficio Scolastico Regionale, o gli Uffici Provinciali, o gli Enti Locali, o l’Invalsi, le Università, qualunque altro soggetto chiede alla scuola o la obbliga apartecipare ad un monitoraggio deve chiarire le motivazioni e la norma di legge a cui si riferisce, ma è tenuto anche a restituire in tempi brevi (dieci giorni, non di più) l’esito del monitoraggio stesso, restituendo i dati a tutti i partecipanti. L’eliminazione dei monitoraggi senza restituzione metterebbe il soggetto che li chiede nell’obbligo di dare una precisa motivazione alla sua azione, evitando alle segreterie di dover quotidianamente seguite il monitoraggio del giorno, che poi non si sa che fine fa.

DEMATERIALIZZARE SENZA CONSERVARE

La dematerializzazione potrebbe aiutare la semplificazione se fosse collegata a due eliminazioni:

– tutta la carta dematerializzata va eliminata e pertanto ci possono essere solo “faldoni” digitali e non cartacei (ogni duplicazione è una complicazione);

– tutto quello che non serve deve essere eliminato, in modo da costringere le scuole a limitare le procedure burocratiche espansive e a limitarsi ai documenti essenziali da conservare, non intasando archivi e protocolli di materiale inutile.

In questo caso la Pubblica amministrazione scolastica dovrebbe solamente eliminare la paura di non avere le famose “pezze giustificative”, ma questo lavoro di cernita ai fini della conservazione del necessario semplificherebbe di molto tutte le procedure, costringendo a tenere traccia dei documenti essenziali e necessari.

Se poi dal settore amministrativo passiamo a quello didattico penso sarebbe molto semplice eliminare tutto il materiale didattico che non può essere “impugnato”. Decorsi i termini dei ricorsi al Tar dovrebbe essere eliminato tutto, in modo da non dover diventare un fardello che comporta sistemazioni e registrazioni. A questo punto le Sovrintendenze dovrebbero avere un tempo limitato per chiedere l’eventuale trasferimento di materiale didattico a fine culturale. Perché pare evidente che, davanti ad una possibilità senza limiti di tempo, nessuna Sovrintendenza avrà interesse a forzare i tempi e chiedere cosa realmente serve al suo archivio o alle eventuali ricerche storiche. In questo modo anche le scuole potrebbero costruire degli archivi della memoria, per nulla burocratici, con caratteristiche di testimonianza e di cultura, producendo magari delle biblioteche di materiali pedagogici, che avrebbero ben diverso valore dei quintali di carta stipati nelle cantine scolastiche a marcire in silenzio e nel disinteresse.

Per difendere la scuola in presenza occorrono interventi immediati

Per difendere la scuola in presenza occorrono interventi immediati. Preoccupano le nuove varianti.

Roma, 12 febbraio – Destano forti preoccupazioni le notizie che giungono da varie parti del Paese di focolai nelle scuole determinati da varianti del coronavirus. L’ultimo, particolarmente allarmante, è quello che ha colpito alcune scuole primarie e dell’infanzia nel comune di Bollate in provincia di Milano, che ha determinato la chiusura dei plessi frequentati da quasi 750 bambini. Casi isolati sono stati individuati anche a Roma.

La vicenda rende non più rinviabili risposte rapide e concrete alle richieste che CGIL e FLC CGIL hanno più volte avanzato in questi mesi per la riapertura in presenza delle scuole, a partire da quelle del primo ciclo: occorre fare chiarezza sui dati del contagio nelle scuole delle varie regioni. Se non si conoscono con precisione dati e numeri, diventa difficilissima se non impossibile l’adozione di interventi adeguati sia sulla sicurezza che sulla prevenzione.
Deve essere immediatamente attivato e pianificato un programma di screening con tampone antigenico periodico del personale della scuola tenuto conto del diffondersi delle nuove varianti. Devono essere messi in campo tutti gli interventi di prevenzione necessari, a partire dalla campagna vaccinale, tenendo ben presente che circa 450 mila lavoratori della scuola hanno dai 55 anni in su.

Per fare tutto questo occorre un governo nazionale dei problemi. In caso contrario qualsiasi azione naufragherà nel caos delle disposizioni regionali e territoriali e nel conflitto permanente tra istituzioni.

Chiediamo al nuovo governo che sta per insediarsi, un deciso cambio di passo, scelte conseguenti e risposte alle nostre richieste, al fine di evitare che la situazione precipiti nuovamente verso i periodi più bui che abbiamo conosciuto in questo anno di pandemia.

La scuola che vorrei

La scuola che vorrei
Un’ipotesi di riforma della scuola italiana per uscire dal cappio del neoliberismo

di Pietro Boccia

Con la caduta del muro di Berlino (1989), l’URSS e i suoi Paesi satelliti non solo si sono disgregati e tutte le ideologie della civiltà occidentale sono entrate in crisi, sconvolgendo le identità nazionali e individuali. I punti di riferimento sono stati smarriti. Il sistema mondiale è passato, in tal modo, dal bipolarismo (USA-URSS) a una forma di ordine globale e planetario del potere economico e politico. Tale processo ha innescato, creando nel mondo diverse aree calde, nuove tensioni. Si sono, così, dopo la disintegrazione del bipolarismo (USA-URSS) con la caduta del muro di Berlino, ravvivati, a livello mondiale, i nazionalismi; questi si distinguono in aree geografiche (area dell’Europa orientale, area africana e asiatica, area dell’Europa occidentale, sub-aree o regionalismi) e in ideologie che li animano. Tali nazionalismi rappresentano una miscela esplosiva non solo per motivi religiosi e culturali, ma anche etnici. Non solo i Paesi dell’est, ma anche le aree del sud del mondo sono entrate in conflitto con quelle del nord. Tali aree calde si sono, così, dislocate, dopo la caduta del muro di Berlino, altrove.

Tutto il mondo occidentale, allo smantellamento dell’Unione sovietica, poteva scegliere tra due percorsi, vale a dire seguitare a tutelare il welfare state, soprattutto con l’autogestione dell’economia, com’è avvenuto in Svezia con il “Fondo dei salari”, ideato dallo studioso Rudolf MEIDNER, oppure smantellare lo Stato sociale, com’è accaduto con Ronald REAGAN, negli Stati Uniti, e con Margaret THATCHER, in Inghilterra, e praticare una politica economica, eretta sul taglio dell’imposta sul reddito, sulla riduzione dei tassi d’interesse, sull’incremento delle spese militari e sull’aumento del deficit pubblico. Si è, purtroppo, seguita e ha vinto la seconda strada. Alla guida del potere in America e in Inghilterra si afferma, così, una politica fiscale anti-keynesiana, vicina al monetarismo di Milton FRIEDMAN. Intraprendendo la seconda strada, la sinistra, a livello mondiale, non riesce nemmeno a percepire la via di non ritorno che si stava imboccando e subisce una débâcle, che ancora oggi è all’ordine del giorno. La civiltà occidentale è entrata, in tal modo, in una profonda crisi.

La sfida alla complessità è, nella società attuale, irta di ostacoli e non è possibile intenderla né governarne gli sviluppi senza richiamarsi e farsi guidare dal metodo democratico e riformistico, l’unica prassi politica incardinata simultaneamente sulla libertà e sulla giustizia sociale (uguaglianza). Il metodo riformistico per governare i cambiamenti è un’arte difficile e, come tale, non può appartenere a chi per quasi un secolo non è riuscito nemmeno a cogliere la differenza tra democrazia e totalitarismo.

La democrazia, poi, non può essere considerata un valore come un altro; essa poggia soprattutto sulla libertà, anzi questa è il punto di partenza per fondare e per condividere tutti gli altri valori, che vivificano una comunità democratica. Tali valori (uguaglianza, giustizia, solidarietà. fratellanza, pace e così via), senza la libertà, non avrebbero consistenza. A che cosa, appunto, servirebbero la pace, l’uguaglianza, la giustizia, la solidarietà e così via, se fossero imposte?

La cultura, giacché è legata ai modelli di sviluppo delle società, certamente rischia, attraverso il processo di globalizzazione, di essere completamente emarginata. Di positivo, potrebbe esserci, tuttavia, per effetto dell’integrazione economica, sociale, politica e culturale, un’estesa partecipazione di persone, anche se indirettamente. Tutti dovrebbero, però, partecipare e non rinunciare ai diritti individuali e collettivi. Ognuno non solo è influenzato dagli avvenimenti dei contesti socio-culturali, in cui vive, ma anche dagli eventi che subiscono i soggetti con i quali non ha rapporti diretti, perché vivono in Paesi e ambienti lontani. L’aspetto (socio/politico) riguarda la nascita, a livello internazionale, di organizzazioni politiche (l’ONU, OCSE e così via) e sociali (OMS, UNESCO e così via).

Il processo di globalizzazione è iniziato negli anni Ottanta del Novecento e oggi ha subito una forte accelerazione. In quegli anni, le spinte di liberalizzazione e di deregolamentazione, prima di tutto nel campo economico, hanno condotto, all’affermazione della concezione del neoliberismo e del capitalismo totalitario; quest’ultimo, dopo quello sperimentale (dal mondo classico al Settecento) e conflittuale (dalla prima rivoluzione industriale alla caduta del muro di Berlino – 1989 -), è riuscito, eliminando, al suo interno la classe della borghesia illuminante e degli intellettuali della “coscienza infelice”, ad affermarsi e a diffondersi fino a diventare, annebbiando tutte le coscienze, una modalità naturale per tutti. In tal modo, i capitali e le merci, circolando liberamente, facilitano e favoriscono la formazione, a livello globale, di un unico mercato. In una simile situazione, le banche e le imprese finanziarie hanno acquisito, emarginando gli scambi culturali e le comunicazioni interpersonali, un ruolo preminente. I cambiamenti negli apparati degli scambi economici accentuano, invece, di eliminare, a livello mondiale, sperequazioni e contrasti tra gli uomini all’interno delle società. Circa un terzo di cittadini, infatti, nel mondo è costretto a vivere in totale povertà.

Il Pianeta è, tuttavia, bombardato da una quantità di informazioni. Questo non dovrebbe impedire di non vedere o di far finta di non percepire le condizioni di chi si trova immerso nell’indigenza e nell’iniquità. Molti sostengono che solo nel caso che gli uomini decidessero di impegnarsi, in modo originale, ad affrontare e a risolvere le difficoltà del mondo attuale, il mercato globale diventerebbe, per l’intera umanità, un’opportunità. Gli Stati, però, devono, per conseguire un tal esito, sostenere, tramite intese e accordi di collaborazione, il processo di globalizzazione con politiche appropriate.

“Se la globalizzazione non è riuscita – ha scritto Joseph E. STIGLITZ in La globalizzazione e i suoi oppositori – a ridurre la povertà, non è riuscita neppure ad assicurare la stabilità”; ha, invece, prodotto sia sul piano culturale sia su quello sociale e politico, conseguenze devastanti come l’omologazione mondiale dei mercati, dei valori sociali, delle culture e dei comportamenti, non riuscendo a determinare in modo uniforme la distribuzione delle ricchezze. Anzi, ha accentuato il divario tra i Paesi ricchi e le aree povere.

Oggi, nel mondo, il 18% della popolazione dispone dell’83% del reddito mondiale, mentre l’82% della restante popolazione deve accontentarsi del 17% del reddito). In un recente censimento della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) si sostiene addirittura che un miliardo e trecento milioni di persone non disponga, per la propria sopravvivenza, nemmeno di un dollaro al giorno. In tal modo, solo alcuni popoli e culture vivono e partecipano al processo di globalizzazione; altri popoli e culture sono, invece, costretti, giacché le loro società non riescono a tenere il passo delle nuove tecnologie e dell’economia mondiale, a vivere ai margini o a essere esclusi dai canali di comunicazione e dai mercati internazionali.

La civiltà occidentale e industriale, nonostante tali problemi, è stata, in ogni modo, protagonista di un progresso che ha radicalmente cambiato la qualità della vita di molti popoli. Ciò è avvenuto soprattutto per l’avvento della tecnologia informatica e digitale. Tutte le attività economiche devono utilizzare, per essere efficacemente presenti sul mercato, esperti nella raccolta e nell’elaborazione di informazioni. Si sono, perciò, nelle società attuali, formate le cosiddette élites delle reti informatiche.

Nel mondo della globalizzazione, dove si formano gerarchie tra chi rappresenta le élites globalizzate e quelli che sono costretti a vivere una localizzazione coatta, si produrrà normalmente un nuovo conflitto, perché i primi, vivendo nelle loro fortezze, non avranno alcun interesse per il territorio, e i secondi, pur non avendo, per il momento, alcuna possibilità di modificare la realtà, faranno pressione per migliorare la loro condizione di vita e per riuscire a entrare nel sistema. Attraverso il processo di globalizzazione, da un lato, è stato liberalizzato il capitale e, dall’altro, è stata asservita e condizionata la vita della maggior parte delle popolazioni, che vivono al Sud del Pianeta e di quelle nuove periferie che si trovano nelle aree marginali. Il denaro e il capitale sono, pertanto, oggi, diventati i veri soggetti liberi. Se una multinazionale decidesse di spostarsi, ad esempio, dall’Europa all’Asia, tantissime persone si troverebbero all’improvviso senza lavoro. Non si può assolutamente pensare, in tal caso, a politiche sociali dell’occupazione, perché, mentre il denaro e il capitale si trasferiscono alla velocità dei nuovi mezzi di comunicazione, gli uomini si spostano lentamente o sono costretti a vivere segregati nei loro territori.

Il superamento dei conflitti armati s’intreccia, dunque, con il problema della pace e della tutela dei diritti individuali e collettivi. Non si può mai costruire, quando ai singoli uomini e ai popoli sono negati tali diritti, un ordine mondiale, basato sulla pace. I diritti individuali e collettivi devono, perciò, essere riconosciuti e garantiti, attraverso una forte e condivisa istituzione sopranazionale, dal diritto internazionale. Ciò, oggi, purtroppo, non è nemmeno più sufficiente, giacché è emersa, a livello internazionale, una nuova forma di conflitto armato, ovverosia il terrorismo. Le azioni terroristiche, imprevedibili e, a volte, immotivate, mettono in discussione non solo ogni possibilità di risolvere in maniera razionale le controversie tra le parti in conflitto, ma anche il processo di globalizzazione. I protagonisti di tali azioni sono, tuttavia, ricondotti al fenomeno della globalizzazione, perché sono identificabili e vivono nei non-luoghi, teorizzati dall’antropologo francese Marc AUGE’.

L’attacco dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers, vale a dire contro il simbolo delle moderne sofisticazioni tecniche, rappresentate da gigantesche costruzioni, ha, da un lato, segnalato l’esistenza di un nemico senza volto, che è difficile rintracciare e combattere, e, dall’altro, l’impossibilità di reagire, in maniera immediata, per trasformare l’angoscia dell’avvenire in forza positivamente propulsiva, affinché le società democratiche e non violente acquisiscano la sicurezza indispensabile per progettare e per costruire un futuro di pacifica convivenza.

L’umanità, per superare la condizione di una tale disumanizzante realtà, deve riappropriarsi del presente e, avvalendosi di un pessimismo solare e di un ottimismo crepuscolare, sottrarre il futuro al potere della tecnica e della finanza. Si deve andare, dunque, verso una globalizzazione non solo economica, ma anche culturale, sociale e politica, attraverso una mobilitazione globale, vista quest’ultima come una sequenza di veloci mutamenti sociali, costituito da tanti momenti differenti, che, pur diversificandosi analiticamente, potrebbero avvenire sia in una fase successiva sia contemporaneamente a livello empirico. Tali momenti possono essere i seguenti: stato d’integrazione, disgregazione o rottura, spostamento o sganciamento individuale, mobilitazione psicologica (ritirata o disponibilità), mobilitazione oggettiva, reintegrazione.

La concentrazione delle attività produttive in gruppi e mega/gruppi, la spietata concorrenza sul mercato mondiale e l’apertura di nuovi canali di comunicazione nei mercati internazionali stanno producendo la scomparsa dei confini e delle barriere nazionali.

Le reti informatiche, internet e i satelliti per le telecomunicazioni, permettendo alla conoscenza e all’informazione di diffondersi liberamente, non hanno alcun bisogno di confini territoriali e rappresentano i valori reali della globalizzazione. Il “villaggio globale” è, però, diventato un’invenzione per nascondere la realtà. Il capitale e l’impresa non possono essere più luoghi d’incontro dei soggetti del mercato: investitori e consumatori.

Le imprese globalizzate sono facilmente acquisite da grandi organizzazioni economiche senza patrie e, perciò, transnazionali. Tali organizzazioni realizzano, così, un’assoluta libertà di manovra, senza essere, a livello territoriale, vincolate e senza avere appartenenza culturale.

Il capitalismo totalitario, attraverso un’architettura globale, agisce, attraverso informazioni e dati, di cui entra in possesso quando noi con un clic diamo il consenso, sui comportamenti umani, asservendo l’anima per i credenti e la mente per tutti gli altri.

All’avvento della cultura neoliberista, dopo la caduta del muro di Berlino, l’Occidente è diventato preda della strategia del capitalismo finanziario e totalitario. Anche in Italia si è affermato fortemente il neoliberismo.

In tal modo, i partiti di centro-destra sono costretti a governare decisioni assunte dalla concentrazione capitalistico-finanziaria di destra, mentre quelli di centro-sinistra a governare e scimmiottare le decisioni che assume quella, che, grottescamente, si definisce di sinistra.

Nell’ultimo decennio del Novecento, se alla guida della politica italiana ci fossero stati politici di spessore e non ragionieri, spacciatosi per economisti, si sarebbe sicuramente aperto un dibattito sul ruolo dell’Italia per l’occasione di diventare testa e guida dei popoli del mediterraneo oppure di decidere, com’è avvenuto acriticamente, ad accodarsi non all’Europa dei cittadini, prefigurata in precedenza, ma dei mercati e della finanza.

Agli inizi degli anni Novanta, in Italia, era presente un deficit economico del 7%; il 65% del prodotto interno lordo (PIL), gestito in maniera diretta o indiretta dallo Stato, aveva uno scopo sociale. Per entrare nell’Unione europea, secondo i parametri di Maastricht, bisognava privatizzare e ridurre il deficit dello Stato al 3%.

La politica di allora ragionieristica e non di spessore, invece di confrontarsi sui parametri, fa due devastanti interventi per l’Italia, vale a dire lo smantellamento delle imprese con le privatizzazioni (circa il 65% apparteneva direttamente e indirettamente al welfare state) e la disgregazione sociale con la riduzione del deficit dal 7% al 3%. Per quanto concerne le privatizzazioni non c’era efficienza allocativa. Questa “ha a che fare – sostiene Roberto FAZIOLI in Dalla proprietà alle regole – con la relazione fra prezzi e costi marginali di produzione: essa sarà massima quando i primi ricalcano i secondi, quando le quantità desiderate saranno pari a quelle offerte”.

Con l’algoritmo della riduzione del debito di quattro punti (dal 7% al 3%), per entrare in Europa, s’interviene:

  •  con il 2% di aumento delle tasse (dal 27% sino al 53%);
  •  con la percentuale dell’1,3% attraverso la diminuzione del costo della lira, attivando lo smembramento del ceto medio e, di conseguenza, permettendo l’arricchimento dei pochi e l’impoverimento di molti;
  •  con la percentuale dell’1,7% di taglio su ricerca e istruzione, vengono messe a repentaglio la cultura e la creazione, in Italia, di una futura classe dirigente.

Senza mettere al centro la palla della politica italiana, non ci potranno mai essere misure e interventi adeguati per far crescere il Paese e dare respiro alle nuove generazioni. Bisogna rompere la spirale e l’intreccio (solo i giovani possono farlo, perché non sono ancora socializzati al conformismo) tra la politica e il potere economico-capitalistico-finanziario. Dopo aver realizzato l’autonomia della politica, bisognerebbe intervenire non solo sulla riforma del mercato del lavoro, ma anche operare opportuni interventi su quelle politiche fiscali e previdenziali, che, in qualche modo, avrebbero lo scopo di ridurre le disuguaglianze sociali. Si migliorerebbero, di conseguenza, ridistribuendo adeguatamente la ricchezza, le condizioni di ognuno e di tutti.

Bisogna, per riscoprire l’orizzonte e ritrovare il cammino, liberare le energie di ogni singolo soggetto e arginare la cultura politica del neoliberismo. La libertà è un processo, che si attua e si afferma in maniera graduale. Attraverso tale processo, la successione dei fenomeni e degli avvenimenti, anche se naturali, ha una propria forza storica, perché la libertà è interiorizzata e rivissuta, come risultato proiettivo, prima dall’individuo e, poi, dalla società. Questa perenne attività dell’uomo, nel suo cammino, incontra, per forza di cose, il mondo naturale e sociale, che lo circonda e che diviene una sua parte integrante.

E’ chiaro che gli esseri umani sono, nella loro coscienza e nella loro individualità, diversi gli uni dagli altri; essi vivono la diversità nella misura in cui la coscienza è in grado di allargare o di restringere il campo di svolgimento della libertà.

Nei rapporti con la realtà oggettiva, l’uomo quanto più fortemente vive la sua volontà o libertà di azione tanto maggiormente comprende il mondo circostante come ostacolo o come risorsa per la sua stessa realizzazione. Il vincolo, posto all’individuo, è tutto ciò che non attiene alla sua volontà e alla sua libertà interiore.

La scuola che vorrei in Italia

L’uomo vive nella e con la società; si trova collocato in sfere che non sono per niente isolate e indipendenti, ma che hanno fra loro un rapporto continuo di scambi e di interferenze; ciò avviene in un intreccio indeterminabile di azioni e di reazioni, di eventi e di riflessioni, che, partendo dalla sfera individuale, contribuisce non solo a far realizzare ogni soggetto nella propria attività, ma anche a far evolvere nuovi accadimenti. In questa valutazione della realtà umana, la volontà individuale e la libertà di azione hanno la stessa valenza. Sia nell’azione individuale sia in quella sociale o collettiva vige la libertà più completa; ciò avviene, perché la libertà di ognuno, giacché la società è nient’altro che emanazione individuale, si sposta interamente nel sociale. E’, in tal modo, che si può abbattere il neoliberismo e, di conseguenza, si possono realizzare le società libere e democratiche.

In questa prospettiva, la scuola, trasformata in scuola-azienda alla fine degli anni Novanta, dovrebbe essere ripensata. Uno Stato democratico, che opera per una società equa e giusta, oltre a demolire tutte le caste, deve cercare di abolire tutti i privilegi (pensioni d’oro, stipendi e liquidazioni milionarie in ogni ambiente) con la leva fiscale. Le istituzioni che hanno funzioni sociali, come, ad esempio, la sanità e la scuola, devono essere salvaguardate e non soggette a tagli indiscriminati. Non può una funzione sociale essere soggetta al mercato e non deve mai essere pensata come una prestazione che può andare a pareggio di bilancio.

Alla scuola italiana che è stata, negli ultimi anni, tradita e snaturata dalle forze economiche e politiche dominanti, deve essere, pertanto, restituita la funzione sociale. Non si può, attraverso la scuola, tutelare l’interesse pubblico, conseguendolo con riferimento alle prestazioni. In tal modo tale interesse si smonterebbe e si sostituirebbe con la commercializzazione di un servizio.

Con riferimento alla scuola, il diritto amministrativo prefigura che l’interesse pubblico deve manifestarsi tramite il diritto vissuto non come fine ma come strumento. Questo è un principio che nella seconda Repubblica é stato smontato meticolosamente. Trasformare, poi, la scuola in azienda ha l’indiscutibile significato di forgiare le strutture che hanno come fine predominante l’attuazione, in contrapposizione alla “produzione” di un sapere critico, del profitto economico. Ciò avverrebbe, inoltre, in un sistema di spietata concorrenza ed emarginando, in tal modo, socialmente, economicamente e culturalmente i soggetti più deboli e svantaggiati.

La scuola, nella storia, è stata, in realtà, caratterizzata da una traiettoria e da un percorso lineare di democratizzazione dell’educazione, dell’istruzione e della formazione, mettendo, al proprio interno, in moto i processi di:

  • educazione universale (nel Seicento, pedagogia di Amos COMENIO);
  • scolarizzazione (illuminismo, rivoluzione francese e istruzione pubblica con CONDORCET);
  • tendenza all’innalzamento dell’obbligo scolastico (legge Gabrio CASATI, in Italia, nel 1859 e così via);
  • tendenza all’unificazione dei sistemi educativi e formativi (riforma dei programmi “Brocca”, in Italia, 1992/1993);
  • tendenza all’individualizzazione e personalizzazione dell’insegnamento/apprendimento (riforma MORATTI, in Italia, nel 2003);
  • educazione permanente e inclusione (strategia di Lisbona, nel 2000, Europa/2020, nel 2010 e Agenda 2030, nel 2015).

Con l’istruzione permanente e l’inclusione, il processo di democratizzazione dell’educazione, dell’istruzione e della formazione dovrebbe entrare nella fase della massima espansione e realizzazione.

Oggi, a tale scopo, si deve, nella società globale e complessa, condividere ed edificare una scuola che, da un lato, sia adeguata a cogliere la realtà e a farla interpretare criticamente, e, dall’altro, aspiri a un presente proporzionato ai sogni delle nuove generazioni e che per loro immagini un futuro attendibile e verosimile. Una riforma, in tal senso, dovrebbe, allora, basarsi su alcune priorità, vale a dire:

  • riorganizzare la pubblica istruzione in una scuola non obbligatoria (nidi, micronidi e servizi educativi da tre a ventiquattro mesi, sezione primavera da ventiquattro a trentasei mesi), una scuola obbligatoria del primo ciclo (otto anni – scuola dell’infanzia e primaria), una scuola obbligatoria del secondo ciclo (cinque anni – scuola secondaria di primo grado e primo biennio della scuola secondaria di secondo grado) e una scuola secondaria di diritto/dovere all’istruzione del terzo ciclo (tre anni – secondo biennio e quinto anno della scuola secondaria di secondo grado). In tal modo l’obbligatorietà e la certificazione delle competenze avrebbero un’intrinseca e coerente logica;
  • abolire i carrozzoni ministeriali (i Dirigenti scolastici, i responsabili e gli Uffici degli ambiti scolastici provinciali), creando un diretto collegamento degli ambiti territoriali e delle reti di scuole con le Direzioni regionali e nazionali del Ministero della pubblica istruzione. L’autonomia delle istituzioni scolastiche e l’asfissia dirigenziale sono una contraddizione in termini;
  • introdurre l’elezione diretta e democratica di un Coordinatore educativo da parte del collegio dei docenti, perché la scuola dell’autonomia esige democrazia e partecipazione. Nello stesso tempo rafforzare e fortificare, per qualità professionali e competenze, il profilo del Direttore dei servizi generali e amministrativi (laurea in economia aziendale, giurisprudenza o equipollenti) per la governance giuridica-amministrativa delle scuole. Con la scelta dei Coordinatori da parte del collegio dei docenti si potrebbe non essere più costretti all’accorpamento delle istituzioni scolastiche, finalizzate, nel compromettere ogni forma di didattica e nel sottrarre sedi di scuole alle piccole comunità, al risparmio. Anzi, si riconoscerebbe, così, lo status delle scuole sia a rischio sia di eccellenza;
  • valorizzare il ruolo dei docenti sia riconoscendo l’insegnamento come una professione logorante e usurante sia equiparando i diritti e i doveri degli insegnanti italiani a quelli europei (compresi orario di lavoro e stipendio: in Germania, ad esempio, a fine carriera, i docenti percepiscono 80.378 euro annuali; invece, in Italia, a fine carriera, ne percepiscono annualmente appena 34.052);
  • abolire il finanziamento (223.000.000 euro) delle scuole paritarie e private, rispettando l’art. 33 della Costituzione che recita: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”;
  • valorizzare e non abolire i titoli di studio. Il mercato e i poteri forti aspirano ad abolire i titoli di studio per emarginare le classi sociali più deboli;
  • far acquisire alle scuole la funzione di palestra della democrazia per costruire, attraverso una cittadinanza attiva, una società aperta e interculturale;
  • considerare gli studenti come soggetti di diritto e di doveri verso il mondo sociale e immaginare la scuola come un bene pubblico e condiviso. La scuola, in tutte le società democratiche, svolge, infatti, una funzione sociale;
  • introdurre nella scuola primaria insegnanti per aree disciplinari. Non è umanamente immaginabile che un solo insegnante possa svolgere il ruolo di tuttologo;
  • prevedere che ogni docente di una classe di concorso (ad esempio A019 – Filosofia e Storia) sia, dopo che la scuola si sia dato un rigoroso ed equilibrato regolamento, assegnato a un’aula. Gli studenti dovrebbero, in tal modo, scegliere responsabilmente e liberamente l’aula da frequentare. Il docente sarebbe, così, costretto a formarsi e qualificarsi continuamente; in verità, bisogna attrezzarsi culturalmente e professionalmente perché ormai si sta andando verso questa prospettiva. Gli insegnanti, a livello globale, devono prendere coscienza e rendersi conto del rischio, che, nel futuro, le scuole saranno costrette ad essere, nella società totalitaria e neoliberista, controllate dalle piattaforme online. Oggi le imprese globalizzate sono i colossi delle reti informatiche (Google, Facebook, Amazon e Microsoft). Questi hanno, come sostiene Shoshana ZUBOFF in Il capitalismo della sorveglianza, costruiti sistemi per trasformare i comportamenti umani attraverso attività pervasive, messe in atto dal capitalismo totalitario, non sfruttando più soltanto la natura, come avveniva con la fase del capitalismo dialettico, ma, con i mezzi tecnologici, anche l’essere umano, asservendone l’anima e la mente.
  • abolire l’insegnamento delle discipline opzionali e a scelta individuale. Gli studenti che intendono liberamente usufruirne dovrebbero con rette mensili pagarsi tali insegnamenti;
  • aspirare, infine, a un Ministero dell’istruzione che si convertisse in un Dicastero delle future generazioni per una crescita intelligente e pubblica.

La scuola, in tal modo, potrebbe diventare un concreto luogo di formazione ricorrente e continua di tutti i cittadini ad acquisire conoscenze appropriate, per interpretare la società complessa, e a conseguire competenze adeguate, per governarne, in maniera autonoma e responsabile, i processi.

WeWorld, per contrastare la povertà educativa arrivano i Community Worker

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Contrastare la povertà educativa in diversi territori italiani lavorando su due livelli: da una parte rafforzando gli adolescenti, soprattutto quelli più vulnerabili, dall’altro potenziando i soggetti che rappresentano, a vario titolo, le risorse educative sul territorio e facilitando le loro relazioni. Questo l’obiettivo che WeWorld – organizzazione italiana che difende da 50 anni i diritti di donne e bambini in 27 Paesi del mondo inclusa l’Italia – mira a raggiungere attraverso l’istituzione della figura del Community Worker, nata all’interno del progetto React (Reti per educare gli adolescenti attraverso la comunità e il territorio), selezionato da “Con i bambini” nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, attivo in diversi territori italiani a rischio di dispersione scolastica, dai quartieri Bicocca-Niguarda di Milano ai quartieri di Santa Teresa-Pirri e Sant’Elia a Cagliari, da San Basilio a Roma al quartiere Borgo Vecchio di Palermo.

Il Brief Report “Il Community Worker nel progetto React” è stato presentato ieri all’interno della Giornata di studio virtuale promossa da WeWorld e dalla rete Frequenza200, trasmesso sulla pagina Facebook di WeWorld, dal titolo “Dalla comunità educante ai patti educativi. Quale futuro per la collaborazione tra pubblico e privato nel contrasto alla povertà educativa?”, cui hanno preso parte anche Marco Rossi Doria, vicepresidente impresa sociale “Con i Bambini” e Andrea Morniroli, Forum Disuguaglianze Diversità, Cooperativa Dedalus.

Il welfare di comunità è una scelta per rigenerare legami sociali e costruire nuove opportunità per tutti: il Community Worker rappresenta infatti un facilitatore comunitario che sviluppa legami collaborativi tra gli attori della comunità educante, ponendosi come un ponte tra insegnanti e operatori sociali da un lato e famiglie, volontari e cittadini dall’altro, affinché diventino una risorsa per rispondere ai bisogni dei giovani. Si tratta di una figura che lavora per creare una rete capillare e coesa di adulti che saranno un riferimento positivo nel percorso di crescita degli adolescenti, coinvolgendo le famiglie e rafforzandole nelle competenze genitoriali, promuovendo occasioni di supporto, cura, animazione e socializzazione nel territorio.

La figura del Community Worker è presente in ciascuno dei 10 territori coinvolti nel progetto React, con il compito di facilitare le relazioni e attivare processi e strategie che portino alla costruzione di una comunità educante, in cui i cittadini che abitano il territorio possano diventare soggetti attivi del cambiamento.

«Il lavoro del Community Worker vuole andare ad incidere sulle persone e sui gruppi che costituiscono la comunità educante di un territorio, in vista di un cambiamento sociale che possa produrre maggiore partecipazione ai processi. Le dimensioni da prendere in considerazione sono quindi molteplici, a cominciare da un approccio di fondo che cerchi di indagare e descrivere la visione di società, i valori e le credenze che sono alla base della vita sociale dei territori in cui si articolano gli interventi del progetto», ha spiegato Elena Caneva, coordinatrice del Centro Studi di WeWorld – Il Community Worker tenta di individuare e creare delle alleanze in primo luogo tra quei soggetti e che si dichiarino interessati ad un autentico percorso a garanzia e sostegno di una maggiore giustizia sociale».

«La scuola è uno degli attori centrali di questo quadro, considerata come uno dei “beni comuni” principali: in questa dimensione il Cw ha il compito di portare il discorso educativo al centro della vita pubblica, per andare incontro al bisogno di offerta educativa, soprattutto nei territori più poveri, e favorire una crescita culturale. Fondamentale in questo senso è il dialogo constante che si instaura tra queste figure all’interno dei territori coinvolti nel Progetto React, sia a livello locale che nazionale, per lo sviluppo di una visione comune e di un ragionamento collettivo», ha concluso Caneva.

I licei della classe dirigente si ribellano a un’Italia senza scuola

da la Repubblica

Corrado Zunino

A Roma occupano i licei, e anche a Milano a gennaio era stato così. Il Visconti, qui. Il Parini, su. Si dice licei bene. Di certo hanno formato la classe dirigente nazionale. Su cinque istituti presi nella capitale, cinque sono licei. Undici su undici nella capitale produttiva: il Parini, un classico, per una notte. L’artisitco Boccioni fino al 23 gennaio, l’ultimo a lasciare. All’Ennio Quirino del Collegio romano, dove si sono formati Giulio Andreotti Giovanni Pacelli, il futuro Papa Pio XII, l’attuale presidente di Generali Gabriele Galateri di Genola, il regista Carlo Lizzani, gli studenti non fermavano le lezioni dal 2011, poi bisogna risalire indietro nel tempo per trovare i ragazzi della buona borghesia romana mettere di traverso i banchi, puntellarli contro il portone.

Questa volta non è stato così: in regime di pandemia permanente, e pericolosamente in risalita con le varianti del virus proprio all’interno delle scuole del Paese, non ci si può assembrare, non si può fare barricata. Si sistemano, oggi, al Parini e al Visconti, le seggiole negli atrii larghi e luminosi di questi palazzi antichi diventati scuole, e ci siede mascherati. Si organizza distanziati la settimana di occupazione: l’incontro con il giornalista che si conosce, il professore di Economia che si conosce, il deputato che si conosce. Argomenti: i tagli alla scuola per un Paese che non cresce, le quote rosa in una politica patriarcale.

“Contro la scuola dei padroni 10, 100, 1000 occupazioni”, cantano mentre escono dopo aver ripulito i bagni. Non ci sono danni registrati, a questo giro. E i genitori fuori ad applaudirli. Tra i padri del Liceo Kant di Roma c’era Luca Mascini, il Militant A degli Assalti frontali: “Sto ascoltando l’istinto darmi il ritmo…”.

Altri licei stanno discutendo: “Occupiamo o no?”. Lo fanno con il professore di Filosofia, con i fratelli: “Che dobbiamo fare per poter studiare sul serio?”. L’ondata delle occupazioni veloci prima del governo Draghi si allarga.

Scuola, l’esperto inglese: ci vorranno cinque anni per recuperare il tempo perduto

da Corriere della sera

Mentre in Italia si discute se prolungare l’anno scolastico di un paio di settimane estive (a giugno) per recuperare le competenze che i ragazzi non sono riusciti a imparare o consolidare nei mesi di Dad e in Germania c’è chi propone di rinviare promozioni e bocciature al prossimo Natale, in Inghilterra si cominciano a fare – a scuola ancora chiuse per l’emergenza Covid – piani di recupero a più lunga scadenza. Serviranno infatti fino a cinque anni per tornare al livello medio di preparazione dell’epoca del pre-Covid. Lo ha annunciato sir Kevan Collins, che è stato incaricato dal governo di sovrintendere ad un piano di recupero per gli studenti. Collins oltre immaginare un progetto di lungo periodo ha chiesto fondi e proposto un approccio creativo e nuovo al curriculum.

«La qualità è meglio della quantità»

Tra le opzioni proposte da Collins, che si riserva di preparare un piano articolato a breve, ci sono anche l’idea di estendere il tempo scuola nelle vacanze e l’aggiunta di ore durante i giorni di scuola. Ma uno dei piani riguarderà anche la formazione dei docenti a «incorporare nelle lezioni tradizionali elementi di recupero» e l’adozione di programmi extracurricolari che serviranno per lo sviluppo della personalità come teatro, musica e sport da offrire ai bambini e ai ragazzi. “La qualità vince sulla quantità – è il motto di Collins – e il gioco sarà lungo, almeno quattro o cinque anni», ha spiegato chiedendo anche alle Università e al mondo delle aziende di partecipare a piano di recupero per coloro che in questi due anni scolastici sono usciti dal curriculum scolastico.

Maturità 2021, sarebbe tutto pronto ma si attende il nuovo Ministro

da La Tecnica della Scuola

Siamo ormai arrivati a metà febbraio e sulla prossima maturità nessuna notizia ufficiale da parte del Ministero dell’Istruzione. Le scuole secondarie di secondo grado non sanno quale esame di Stato sarà quello 2020/2021, non è dato sapere se ci saranno le prove scritte e quale tipo di valutazione sarà attuata per i crediti scolastici e per le prove d’esame.

Ritardo dovuto al cambio di Ministro?

La mancanza di notizie certe sulla maturità 2021 è motivo di critica all’interno delle scuole per una gestione ministeriale che non tiene conto dell’esigenze organizzative delle scuole, degli insegnanti e degli studenti. La Ministra Azzolina, destinata a lasciare il Ministero di viale Trastevere già la prossima settimana, non ha dato nessuna indicazione sull’Ordinanza Ministeriale sui prossimi esami di Stato delle classi terminali il II ciclo di istruzione.

Tale ritardo è stato imputato al fatto che, prima di dare indicazioni ufficiali, si attende l’insediamento del nuovo Ministro e il suo parere sul da farsi.

Ordinanza già pronta con regole uguali all’anno passato

Le notizie filtrate da viale Trastevere dicono che l’Ordinanza degli esami di Stato 2020/2021 è già pronta con le regole identiche all’anno scolastico 2019/2020. Vista la situazione particolare di un Ministro dimissionario, in attesa di conoscere se verrà sostituito già la prossima settimana, si sarebbe deciso di non rendere pubblica tale OM. Quindi sarà il nuovo Ministro dell’Istruzione a prendere la decisione, visto le novità che ci potrebbero essere anche sulle possibili modifiche del calendario scolastico, di rivedere l’OM sugli esami di Stato ed eventualmente pubblicarla.

Test Invalsi e PCTO

L’obbligatorietà dello svolgimento delle prove Invalsi e l’obbligo dell’assolvimento di tutte le ore di PCTO previste dalla legge, potrebbero non essere ostative all’ammissione degli esami di Stato. In buona sostanza le prove Invalsi potrebbero essere svolte, ma non rappresenterebbero un impedimento all’ammissione per coloro che non le dovessero svolgere. Potrebbe essere derogata anche l’obbligatorietà, come successo per l’ammissione degli esami 2019-2020, dello svolgimento di tutte le ore dei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento.

Un solo maxiorale come prova d’esame

Il Ministero dell’Istruzione ha deciso di riproporre anche per l’esame di Stato 2020/2021 della scuola secondaria di secondo grado lo svolgimento di un’unica prova, ovvero quella di un maxicolloquio . La valutazione prevista per tale prova è di massimo 40 punti , mentre per l’ammissione agli esami il credito scolastico verrà ridefinito sulla base di un valore massimo di 60 punti.

Credito scolastico come l’anno scorso

L’art.10 dell’OM 10 del 16 maggio 2020 specifica che il credito scolastico, per gli esami di Stato 2019/2020 della scuola secondaria di II grado è attribuito fino a un massimo di sessanta punti di cui diciotto per la classe terza, venti per la classe quarta e ventidue per la classe quinta.

Anche per l’esame di Stato 2020/2021 è intenzione del Ministero adottare la stessa tabella dei crediti già adittata l’anno scorso.

In buona sostanza, tenendo conto che di norma il credito è sempre stato calcolato in modo che la somma totale degli ulti tre anni raggiungesse il massimo di 40 punti,  Il consiglio di classe, in sede di scrutinio finale, provvederà alla conversione del credito scolastico attribuito al termine della classe terza e della classe quarta e all’attribuzione del credito scolastico per la classe quinta sulla base dell’ultima tabella crediti adottata in questa fase di emergenza Covid.

Vaccino insegnanti, novità nel piano del Ministero. Accelerata docenti: si inizia in contemporanea agli over 80

da La Tecnica della Scuola

L’aggiornamento datato 9 febbraio del piano vaccinale del Ministero della Salute, ha l’obiettivo di individuare l’ordine di priorità delle categorie di cittadini da vaccinare dopo quelle della fase 1 (operatori sanitari e sociosanitari, personale ed ospiti dei presidi residenziali per anziani, anziani over 80 anni).

I parametri presi in considerazione sono l’età e la presenza di condizioni
patologiche, che rappresentano le variabili principali di correlazione con la
mortalità per Covid-19. Dunque nessuna valutazione basata sul contesto lavorativo.

Secondo questo piano gli insegnanti sono la categoria numero 6: persone di età compresa tra i 18 e 54 anni senza condizioni che aumentano il rischio clinico. Tra essi, la priorità di somministrazione va al personale scolastico e universitario docente e non docente.

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A questa categoria 6 viene destinato il vaccino AstraZeneca. Si legge infatti sul documento ministeriale: si ritiene opportuno offrire i vaccini a RNA alle categorie 1, 2, 3, 4 e 5, riservando il vaccino di AstraZeneca alla categoria 6.

Ne consegue che il personale scolastico, essendo destinatario di un vaccino che non va alle altre categorie, potrà iniziare le somministrazioni sin da subito, mentre ancora in tutte le regioni si procede alla vaccinazione degli ultra ottantenni.

Una decisa accelerata, dunque, per le vaccinazioni scuola. In molte regioni. Abbiamo parlato della Campania, della Puglia, del Veneto, ma non sono le sole.

Toscana

A Firenze una docente universitaria di 37 anni è tra le prime persone a cui oggi pomeriggio è stato somministrato l’AstraZeneca, al Mandela forum, tra i principali hub della regione per la vaccinazione di massa. A regime si potrà arrivare a oltre 2mila persone al giorno.

In Toscana due giorni fa sono arrivate 15.400 dosi di AstraZeneca, destinate al personale scolastico e dell’Università e alle forze armate e di polizia under 55.

Il presidente della Toscana Eugenio Giani commenta: “Abbiamo cercato di accelerare al massimo aprendo subito le prenotazione non appena è arrivato il convoglio militare che ha portato i 15mila vaccini.”

Marche

Marche pronte a partire il 20 febbraio con la somministrazione del vaccino AstraZeneca, in particolare al personale docente, Ata, e dell’università, con una “corsia aggiuntiva” in ognuno dei 15 punti di vaccinazione previsti per gli over 80 (con Pfizer e Moderna).

Così l’assessore regionale alla Sanità Filippo Saltamartini: “Oggi c’è stata una riunione con l’Iss per verificare come somministrarli, a chi. Il nodo non è stato sciolto. Noi siamo pronti, nei ‘punti’ per gli over 80, a vaccinare docenti e personale della scuola.”

Delle perplessità sull’efficacia del vaccino AstraZeneca abbiamo scritto a questo link.

Tutte le categorie della fase 2

  • Categoria 1. Le persone estremamente vulnerabili, intese come affette da condizioni che per danno d’organo pre-esistente, o che in ragione di una compromissione della risposta immunitaria a SARS-CoV-2 hanno un rischio particolarmente elevate di sviluppare forme gravi o letali di COVID-19, a partire dai 16 anni di età;
  • Categoria 2: Le persone di età compresa tra 75 e 79 anni;
  • Categoria 3: Le persone di età compresa tra i 70 e i 74 anni;
  • Categoria 4: Le persone con aumentato rischio clinico se infettate da SARS-CoV-2 a partire dai 16 anni di età fino ai 69 anni di età;
  • Categoria 5: Le persone di età compresa tra i 55 e i 69 anni senza condizioni che aumentano il rischio clinico;
  • Categoria 6: Le persone di età compresa tra i 18 e 54 anni senza condizioni che aumentano il rischio clinico.

Ecco la lista delle patologie a rischio

  • Malattie respiratorie
  • Malattie cardiocircolatorie
  • Condizioni neurologiche e disabilità (fisica,
  • sensoriale, intellettiva, psichica)
  • Diabete/altre endocrinopatie severe
  • Fibrosi cistica
  • HIV
  • Insufficienza renale/patologia renale
  • Ipertensione arteriosa
  • Malattie autoimmuni/Immunodeficienze primitive
  • Malattia epatica
  • Malattie cerebrovascolari
  • Patologia oncologica e emoglobinopatie
  • Sindrome di down
  • Trapianto di organo solido e di cellule staminali
  • emopoietiche
  • Grave Obesità

Gissi: il problema della scuola non è prolungare l’anno

da La Tecnica della Scuola

La segretaria generale della Cisl scuola, Maddalena Gissi, all’indomani dell’incontro dei confederali con il premier incaricato, Mario Draghi, nel corso del quale non si sarebbe parlato del calendario ma di investimenti nella scuola e per i precari, ha rilasciato una dichiarazione all’Agi nella quale parla di “proposte fuorvianti”, come il prolungamento dell’anno scolastico, mentre si mettono di lato le priorità della scuola come esami di Stato e stabilizzazione dei precari.

“Aspettiamo con ansia la conferma dell’incarico al professore Draghi perché la scuola ha bisogno di aprire un confronto su molte questioni. Il 1 settembre è alle porte e in questo periodo solitamente vengono assunte decisioni indispensabili per l’avvio regolare dell’anno scolastico. Se vogliamo evitare di mettere in discussione le attività didattiche ancora una volta per mancanza di idee o fuorvianti proposte che distolgono l’attenzione dai reali problemi, dobbiamo darci da fare e subito”.

“Bisogna definire le modalità per gli esami di maturità e gli esami di Stato della scuola media – ha sottolineato Gissi all’Agi- per questo consideriamo insensato il dibattito sul prolungamento dell’anno scolastico che rischia di rimettere in discussione anche la regolarità di alcune tappe fondamentali per i ragazzi e le famiglie” facendo riferimento all’eventuale spostamento anche della data degli esami finali degli studenti.

“Pensiamo a definire gli organici e a individuare le procedure per l’assegnazione di personale a tempo indeterminato che dovrà fare domanda di trasferimento. I movimenti che gestisce il sistema sono piu di 100mila e le regole devono essere ancora oggetto di discussione. Su questi temi vorremmo chiarezza perché alcune decisioni normative sul vincolo quinquennale rischiano di aprire una deriva giuridico-legale che produrrà complicazioni e ritardi nell’avvio regolare delle lezioni”.

E infine:  “Manca ancora un’indicazione da parte del ministero dell’Istruzione ai propri dipendenti e le tante interpretazioni, che a livello regionale vengono messe in campo, rischiano di creare disinteresse e sfiducia. Chiediamo l’apertura di un tavolo immediato da parte del ministro dell’Istruzione, appena si insedierà il nuovo, per una modifica del protocollo di sicurezza sottoscritto con le parti sociali”.

“Serve una norma – sostiene ancora Gissi -, un dispositivo normativo che abbia un disegno chiaro e non ideologico, con tutte le questioni urgenti per l’avvio dell’anno scolastico a partire dalle coperture delle cattedre vacanti che a tutt’oggi sono più di 220mila. E a queste si aggiungono 75mila contratti per i posti Covid tra personale docente (50mila) e personale Ata (25mila). Evidenziamo inoltre  una gravissima inadempienza del ministero e del Mef in quanto a tutt’oggi non hanno ancora provveduto alla copertura degli stipendi del personale supplente assunto con i cosiddetti contratti Covid”.

Tuttavia, se per la Cisl scuola al momento non ci saranno proteste di piazza: “Per coerenza dal primo momento in cui non c’è stato più un governo in carica a tutti gli effetti, abbiamo pensato di sospendere la nostra presenza vertenziale, perché dovremmo parlare con interlocutori che non hanno alcun potere. Non è corretto. Non ha senso, in questa fase, riempire le piazze”, di opposto parere la Fcl Cgil.

Concorso straordinario, il MI ottiene parere favorevole dal CTS [MODELLO AUTODICHIARAZIONE]

da La Tecnica della Scuola

Apprendiamo dalla FLC CGIL di una nuova nota del Ministero dell’Istruzione, la n. 232 dell’11 febbraio, con la quale comunica agli USR di aver ottenuto dal CTS parere favorevole sulla possibilità di adottare per le prove del concorso straordinario, che si terranno dal 15 febbraio, il medesimo protocollo adottato durante le prove di ottobre e novembre. Il CTS ritiene inoltre opportuno evitare gli spostamenti verso regioni a rischio alto.

Gli USR dovranno procedere nel modo seguente:

  • le sedi concorsuali che in aree classificate a livello di rischio alto ( “zona rossa”) saranno mantenute per i candidati che vi risiedano
  • dovranno essere ricollocati in diversa sede concorsuale – che si trovi in area non ad alto rischio della stessa regione – i candidati che provengano da zone con livello di rischio alto, provvedendo alla pubblicazione del nuovo abbinamento candidato/aula
  • i candidati che si sposteranno dalle aree classificate a livello di rischio alto (“zone rosse”) verso altra sede concorsuale e quelli che svolgeranno la prova presso sedi collocate nelle “zone rosse” presenteranno, all’atto dell’ingresso nell’area concorsuale, un referto relativo ad un test antigenico rapido o molecolare, effettuato mediante tampone oro/rino-faringeo presso una struttura pubblica o privata accreditata/autorizzata in data non antecedente a 48 ore dalla data di svolgimento delle prove
  • gli altri candidati presenteranno l’autodichiarazione scaricabile sul sito MI

Totoministri, Bianchi e Cipollone in pole position

da Tuttoscuola

Il governo Draghi potrebbe nascere già venerdì sera o sabato mattina e, come sempre, il totoministri si intensifica. Questa volta, però, è più difficile fare previsioni perché il presidente incaricato non ha fatto trapelare alcuna informazione sui criteri di scelta ai quali si atterrà. Il nuovo governo non sarà formato da rappresentanti di partiti accordatisi su una formula politica predefinita (soluzione esclusa dallo stesso Presidente della Repubblica) ma probabilmente non sarà neppure un governo di soli ministri tecnici, perché il sostegno al nuovo esecutivo preannunciato da tutti i partiti, tranne Fratelli d’Italia, non può non trovare qualche riferimento nella composizione del governo.

Quel che è certo è che il nuovo ministro dell’istruzione, politico o tecnico che sia, dovrà essere un ministro di indiscutibile competenza. Nel primo caso la personalità più accreditata è quella di Patrizio Bianchi, già rettore dell’università di Ferrara e assessore all’istruzione e lavoro della Regione Emilia-Romagna, e coordinatore della task force di esperti nominata nello scorso mese di Aprile da Lucia Azzolina con l’incarico di definire un documento programmatico in vista della riapertura delle scuole a settembre. Proprio in questi giorni è uscito il suo ultimo libro, Nello specchio della scuola (il Mulino), nel quale scrive che  “Non possiamo accontentarci di tornare alla situazione precedente, ma diviene ormai indifferibile avviare una vera fase costituente per la scuola, per aprire una nuova stagione in cui la scuola torni a essere, o meglio divenga, il motore di una crescita di un paese che da troppo tempo è bloccato”. Un’idea guida ripresa anche nell’ampia intervista rilasciata a Tuttoscuola  nel numero di gennaio 2021. In questo quadro Bianchi colloca anche la proposta di un forte investimento dell’istruzione terziaria non universitaria (“almeno 150.000 tecnici superiori come traguardo degli ITS“), come ha sostenuto con forza anche in un webinar diffuso ieri da AEEE.

Se la scelta di Draghi cadrà invece su un tecnico il nome che circola è quello di Piero Cipollone, attualmente vicedirettore generale di Bankitalia e presidente dell’Invalsi tra il 2007 e il 2011, scelto a suo tempo dal ministro dell’istruzione Fioroni, ma soprattutto da quello dell’economia Padoa-Schioppa, che lo chiese ‘in prestito’ proprio a Draghi, con l’intento di mettere in luce l’importanza decisiva del rapporto tra economia e istruzione. Nesso che nell’agosto 2011 fu anche oggetto di una precisa richiesta proveniente dalla BCE, allora guidata dal francese Jean-Claude Trichet al quale stava per subentrare Mario Draghi: quella di utilizzare in modo sistematico gli indicatori di performance nelle strutture pubbliche (“public entities”), in particolare in tre settori: istruzione per prima, poi sanità e giustizia. Tre settori che anche oggi sono in sofferenza e che Draghi ha messo tra le priorità del suo futuro governo.

Alla guida del Ministero dell’istruzione, a nostro avviso, serve una personalità con solide competenze tecniche ma anche dotato di esperienza e sensibilità politica, di una ‘visione’ di medio-lungo periodo.

Concorso straordinario: tampone obbligatorio per chi viene dalle aree rosse?

da Tuttoscuola

Concorsi scuola: la scorsa settimana è stato adottato dal Dipartimento della funzione pubblica il protocollo per la prevenzione e la protezione dal rischio di contagio da COVID-19 nell’organizzazione e nella gestione delle prove selettive dei concorsi pubblici e il Ministero dell’Istruzione ha fornito istruzioni per lo svolgimento in sicurezza delle prove scritte del concorso straordinario per docenti della scuola secondaria di I e II grado.

Nello specifico, il  Ministero con una nota a firma di Marco Bruschi, comunica di essere ancora in attesa del verbale del CTS in merito al protocollo da adottare. Al momento, non esistono regioni classificate a rischio alto, ma specifiche aree “rosse”. Per questi motivi, vengono adottate sin da ora alcune disposizioni precauzionali.

Nella nota diffusa da MI si legge che le sedi concorsuali in “zona rossa” possono essere mantenute per i candidati che vi risiedano, fermo restando la necessità di ricollocare i candidati che provengano da zone con altra classificazione in diversa sede concorsuale della stessa regione. A ulteriore misura precauzionale, ai fini del contenimento massimo delle situazioni di rischio, il MI ritiene necessario disporre, per i candidati che si spostino dalle zone rosse verso altra sede concorsuale di presentare all’atto dell’ingresso nell’area concorsuale un referto relativo ad un test antigenico rapido o molecolare, effettuato mediante tampone oro/rino-faringeo presso una struttura pubblica o privata accreditata/autorizzata in data non antecedente a 48 ore dalla data di svolgimento delle prove.

Gli USR hanno iniziato a pubblicare sui loro siti alcuni avvisi con indicazione per i candidati della necessità di presentarsi con referto antigenico negativo o, in alternativa, di fare sottoscrivere autocertificazione di non provenienza da “zona rossa”. Di seguito i link degli USR che hanno pubblicato gli avvisi:

Abruzzo
Calabria
Campania 
Emilia Romagna
Friuli Venezia Giulia
Lazio
Liguria
Marche
Piemonte
Puglia
Sicilia
Toscana

Nota 12 febbraio 2021, AOODGSIP 431

MINISTERO ISTRUZIONE
Direzione Generale per lo Studente, l’Inclusione e l’Orientamento Scolastico

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI
Direzione Generale Cinema ed Audiovisivo

Alle tutte le Istituzioni Scolastiche di ogni ordine e grado e-mail istituzionale

Oggetto: Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola (art. 27 Legge 220/2016) Progetto “Operatori di Educazione Audiovisiva a Scuola” – Avvio attività progettuali.

Nota 12 febbraio 2021, AOODGRUF 3363

Ministero dell’Istruzione
Dipartimento per le risorse umane e finanziarie
Direzione generale per le risorse umane e finanziarie – DGRUF Ufficio IX

Alle istituzioni scolastiche ed educative statali
LORO-MAIL

Oggetto: Indicazioni per i contratti di supplenza breve e saltuaria a copertura di posti lasciati liberi da lavoratori “fragili” temporaneamente utilizzati in altre mansioni (art. 26 commi 1-ter, 2 e 2-bis del Decreto-Legge 14 agosto 2020, n. 104) – Precisazioni