Addio Giancarlo

Addio Giancarlo – Omaggio ad un grande della scuola Italiana

di Bruno Lorenzo Castrovinci

Giancarlo Cerini, maestro, direttore didattico, ispettore del Miur, una laurea in pedagogia, tanto amore per i bambini.

Oggi il mondo della scuola saluta e piange un grande, uno che nella sua vita ha scritto tanto, soprattutto sui piccoli, della scuola dell’Infanzia e Primaria.

Citare gli innumerevoli incarichi che ha ricoperto è pressappoco impossibile, così come sono tante le 40 pubblicazioni a stampa che portano il suo nome oltre gli innumerevoli articoli e saggi sulle maggiori riviste specialistiche Italiane.

Leggerlo per me è sempre stato un’emozione, pagine intrise di un amore infinito per i bambini, uno stile comunicativo unico, che ti fa innamorare della scuola, anche delle cose che di fatto non funzionano bene, o che necessariamente andrebbero cambiate.

Uno dei maggiori sostenitori del sistema 0-6 che riprende gli ECEC promossi dall’Europa, per una delle migliori scuole dell’infanzia, del mondo, lui nato e cresciuto in quell’Emilia Romagna, culla di tantissimi pedagogisti che hanno fatto la storia, e ai quali ancora oggi il loro pensiero sopravvive a loro stessi.

Dalle pagine di Scuola7 che curava con Mariella Spinosi, alla direzione della Rivista Istruzione, il suo pensiero riecheggiava sulla rivista Notizie della Scuola da anni, con saggi di notevole spessore culturale, dove però leggendolo emergeva sempre l’amore per i bambini.

Scrivere e raccontare di un grande, è difficile, un uomo prolifico, uno che ha scritto tanto e che non ci si stanca mai di leggere, lascia una bellissima eredita a tutti noi, soprattutto perché lui ha attraversato la lenta riforma della scuola, in lotta continua per un’autonomia scolastica mai effettivamente nata.

Se penso al portfolio e al sistema di valutazione dei dirigenti, scolastici, su cui tanto ha lottato, e sul quale nonostante fosse amato da tantissimi protagonisti della scuola di oggi, è stato a volte criticato, forse non capito, si comprende come ha cercato di responsabilizzare gli addetti ai lavori a trovare una rotta o meglio una Bussola nel mare in tempesta di una scuola che per quanto ci sforziamo stenta a distaccarsi da vecchi modelli ormai superati da tempo.

Ascoltarlo, in uno dei suo convegni o interventi di formazione, era un’esperienza unica, ti trasportava con le sue parole e quella cadenza del dialetto Bolognese, in un mondo fatto di bambini per i bambini, con un amore cosi grande per gli stessi che solo un maestro può dare, lui che maestro lo è stato, ma anche direttore didattico, ovvero immerso in quel mondo dell’infanzia e della prima scolarizzazione che oggi è transitato negli istituti comprensivi alla cui costituzione lui ha contribuito.

Portando in lungo e in largo, nelle scuole più nascoste e sconosciute d’Italia, dal Nord a Sud, un’intensa attività di formatore, un pioniere, un autonomista, i suoi interventi sulle Indicazioni Nazionali sono straordinari, così com’è stato il suo lavoro per la Buona Scuola, che ha contribuito a scrivere, quella legge 107 che doveva cambiare tutto e su cui molti speravano compreso lui.

Oggi che non c’è più riecheggiano nella mia mente i ricordi della Summer School di Ischia, dove lui, un grande della scuola italiana, uno che noi nuovi dirigenti scolastici, l’avevamo letto, riletto, che ci aveva confortato con le sue parole nei momenti più difficili della nostro percorso, era li insieme a noi, ad aiutarci, incoraggiarci, darci una buona parola, uno che forse più di tanti aveva creduto su questa figura di nuovo leader educativo, di dirigente per la scuola, e per i bambini, cosi distante da quell’essere manager, che di fatto è la trappola in cui molti poi, una volta immersi nel ruolo, cadono e non riescono più ad uscire.

Una bussola certo, per non perdersi, in un mare a volte tempestuoso, fatto di infinite note, adempimenti, riforme, controriforme, leggi che si susseguono una dopo l’altra, un mondo dove i piccoli bambini che lui ha amato e che in fondo non ha mai dimenticato, vengono a volte dimenticati per una managerialità, mai cercata, mai voluta, fino in fondo.

Noi che dopo un lungo percorso, immersi nei suoi scritti, abbiamo dovuto affrontare, uno periodi più bui della scuola italiana, fatta, di chiusure, paure, innovazioni obbligate, che con quella figura di leader educativo nel cuore, abbiamo dovuto affrontare momenti difficili, con genitori in ansia, per la paura di un virus che uccide prima l’anima che il corpo.

Dalle pagine digitali di “Riforme online” di questo editoriale, un saluto al grande Giancarlo, resterà il suo lavoro, che ha accompagnato tutta la riforma della scuola italiana, dai banchi di scuola con i piccoli bambini della scuola elementare alle grandi riforme del sistema 0-6 che guarda agli ECEC europei e ai grandi del mondo dell’educazione di oggi.

In questo momento di tristezza, per chi rimane, mi piace ricordarlo con una sua frase” Sono entrato a scuola con i calzoni corti, e dalla scuola non ne sono uscito più” e cosi è stato fino alla fine.

Una gioventù allo sbando?

Una gioventù allo sbando?

di Maurizio Tiriticco

Ho letto con attenzione l’intervista rilasciata oggi 20 aprile da Vittoria Gallina a “la Repubblica” dal titolo “Salviamo l’Italia dall’ignoranza”. Il sottotitolo è più che eloquente: “Più di undici milioni di cittadini sono analfabeti funzionali: la studiosa Vittoria Gallina spiega perché a rischiare è la democrazia”. Che dire? Mi viene da piangere! Eravamo il Paese dove il Bel Sì suona, ricco di tanti grandi in ogni campo della cultura e della ricerca scientifica, da un Dante Alighieri a un Galileo, a un Marconi, a un Fermi… e a mille altri… ma oggi? Non so… Ed ancora! A fianco dell’intervista è pubblicata una foto in bianco e nero: maschi adulti su dei banchi di scuola – quelli di un tempo, di legno, scomodissimi – intenti a scrivere, ed alla lavagna di ardesia un maestro, anche lui intento a scrivere “il sole illumina…”. E questa è la didascalia: “anni ’50, adulti a lezione in provincia di Cosenza”.

E a questo proposito c’è una mia diretta testimonianza. Proprio in quegli anni, e nei successivi, il Movimento di Collaborazione Civica, con sede a Roma, condusse numerose attività di educazione civica – appunto – in molti centri della Calabria: progettate e dirette dalla sua Presidentessa, EbeFlamini, e condotte da uomini di cultura e docenti universitari, oltre me, con tutta modestia! Qualche nome, Raffaele Laporta, pedagogista, Augusto Frassineti, scrittore (sono suoi i “Misteri dei Ministeri” e “Lo spirito delle leggi”), Filippo Maria De Sanctis, docente di Educazione degli Adulti all’Università di Firenze; animatori culturali, tra cui Cecrope Barilli, fondatore dei CEMEA (Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva), operanti soprattutto nel Mezzogiorno, Saul Megnagi, tra i più attivi: in seguito operante nella produzione culturale della CGIL ed autore di “Cento anni di educazione alla democrazia: il caso CGIL”.

Insomma, in quegli anni Cinquanta e Sessanta la nostra rinnovata scuola democratica è stata attiva ad educare, formare ed istruire i nostri ragazzi e ragazze. Ricordo, ad esempio l’innalzamento dell’obbligo scolastico nella scuola media unica, avviato dall’a.s. 1963-64. E come non ricordare la famosa Lettera che Don Milani inviò nel 1967 a una professoressa, ovviamente di scuola media? Là dove più si bocciava! E dove, invece, più si doveva insistere nello scolarizzare una nuova generazione di italiani! Ed erano attive anche tante associazioni per educare cittadini adulti: mi piace ricordare l’Unla, Unione per la lotta contro l’analfabetismo, diretta da Saverio Avveduto e fortemente animata da Anna Lorenzetto. Quindi tante lotte, tante vicende per dare una cultura agli italiani! Ed una lingua! Ecome non ricordare l’aureo libretto di Tullio De Mauro, “Storia linguistica dell’Italia unita”, pubblicato da Laterza nel 1963.

Insomma, quanto abbiamo lottato, faticato per dare a tutti i nostri concittadini una cultura, un senso di appartenenza, una effettiva cittadinanza! In realtà una larga maggioranza dei nostri ragazzi e ragazze ha conseguito un titolo di studio medio alto. E occorre ricordare che c’è anche l’Educazione Civica – o meglio, l’Educazione alla Cittadinanza – attiva oggi in tutti i nostri percorsi scolastici. E’ una disciplina fondante, che concorre attivamente anche a perseguire quei“17 obiettivi globali necessari al fine di garantire all’intero pianeta uno “sviluppo sostenibile”. Eccoli: 1, sconfiggere la povertà: 2, sconfiggere la fame nel mondo; 3, buona salute; 4, istruzione di qualità; 5, parità di genere; 6, acqua pulita e servizi igienico-sanitari; 7, energia rinnovabile; 8, buona occupazione e crescita economica; 9, innovazione e infrastrutture; 10, ridurre le diseguaglianze; 11, città e comunità sostenibili; 12, consumo responsabile; 13, lotta contro il cambiamento climatico; 14, flora e fauna acquatica; 15, flora e fauna terrestre; 16, pace e giustizia; 17, partnership per gli obiettivi.

Insomma, come si suol dire, la carne al fuoco c’è ed è tanta! E tutte le nostre scuole sono attive in materia di educazione civica, al fine di garantire a tutti un vivere insieme solidale e collaborativo! Ma, mi chiedo; e tutti ce lo chiediamo: che cosa sta succedendo ai nostri ragazzi? Insisto! Ragazzi! Maschi! Che sembrano diventare sempre più cattivi, sempre più aggressivi! Nessuna cultura! Nessun senso civico! Nessun rispetto dell’altro! E soprattutto dell’altra! La cronaca nera è ormai quotidiana! A mia memoria, non ricordo ragazzi così. Con il fascismo, pensavamo solamente al nostro Duce, al “Sole che sorgi libero e giocondo”, alla rinascita della “Roma imperiale”, ad esportare la civiltà romana e, soprattutto, a vincere la guerra! Ma non fu così! Il castello di carte false crollò miseramente! Due date tremende per la nostra storia patria, il 14 luglio e l’8 settembre del nefasto 1943! In quasi due mesi il crollo di un Paese! E l’emergere della dura realtà: la caduta di una dittatura violenta e una guerra perduta! Furono giorni terribili per noi ragazzi! Costretti soltanto a salvare la pelle, a salvarci dalla fame, dalle bombe, dalle retate dei tedeschi.

Ma in tanta sofferenza riuscimmo anche nello studio, nellavoro, nella vita comune, nella vita politica, certi che, per con tante fatiche, stavamo ricostruendo un Paese e costruendo una Repubblica democratica! Orgogliosi poi che in pochissimi anni il nostro Paese si fosse riscattato dall’onta fascista e fosse diventato la quinta potenza industriale al mondo. Tutto questo allora! Ma poi? Poi non so… sarebbe tutta da scrivere la storia della nostra gioventù, dei nostri ragazzi, tanti dei quali oggi si macchiano di crimini orrendi…. e la cosa più grave è che sembrano non rendersene conto. Aggrediscono i più deboli, si ammazzano tra di loro… la droga? No! C’è un’altra droga, la più pericolosa, l’assenza di una coscienza di sé! Incivili, cattivi, bugiardi! Qualcuno, o meglio, qualcuna, mi aiuti a capire…

Anche perché domani, 21 aprile è una grande ricorrenza! 2774 anni fa nasceva Roma! Ed aveva inizio una delle più grandi civiltà!

Incontro con il Presidente ANPI

Il Ministro dell’Istruzione, Professor Patrizio Bianchi, ha incontrato, questo pomeriggio, il Presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (Anpi), Gianfranco Pagliarulo in vista delle celebrazioni per il prossimo 25 Aprile.

In questa occasione, è stato presentato al Ministro il portale “Memoriale della Resistenza” (Noipartigiani.it), prodotto dall’Anpi. Un patrimonio di testimonianze, video, interviste e racconti di partigiane e partigiani che sarà a disposizione per trasmettere alle nuove generazioni valori di giustizia, solidarietà, condivisione e coscienza dei diritti e dei doveri. La valorizzazione di questo lavoro avverrà anche attraverso un’apposita comunicazione alle scuole e agli Uffici scolastici regionali.

Scelta di un ritorno in sicurezza

Scuola, la FLC CGIL apprezza la scelta di un ritorno in sicurezza

Roma, 20 aprile 2021 – Si apprende che al tavolo con le regioni il Ministro Bianchi ha riferito di un margine flessibile dal 60% al 100% per la ripresa delle attività didattiche in presenza.

A margine dell’incontro al Ministero dell’Istruzione del 19 aprile scorso, avevamo rappresentato all’amministrazione tutte le concrete difficoltà di un rientro al 100%. Francesco Sinopoli, segretario generale della FLC CGIL aveva definito la scelta come un atto di volontà politica non supportato da condizioni reali e ribadisce ancora una volta: “Per tornare totalmente in presenza bisogna riprendere subito la campagna di vaccinazione oggi ferma al 2% per quanto riguarda le seconde dosi, anche se il 76,8% del personale della scuola si è già sottoposto alla prima. Bisogna poi rinnovare i protocolli di sicurezza, effettuare tracciamenti per gli studenti del secondo grado più esposti ai contagi nel sistema di trasporto e nella socialità esterna alla scuola, soprattutto ora che si riaprono le attività di ristorazione. In caso contrario non c’è alcuna garanzia per la sicurezza di studenti e personale scolastico”.

La FLC CGIL ritiene essenziale consentire che, dentro un quadro di regole fissato a livello nazionale, le scuole possano auto organizzarsi circa le presenze di alunni a scuola, gli orari di ingresso e d’uscita, la durata delle lezioni e quant’altro occorra per garantire il lavoro e le lezioni in sicurezza.

La FLC CGIL ritiene opportuna questa decisione del Governo di rivalutare la scelta per la ripresa graduale delle attività scolastiche in presenza, ma auspica che si lavori concretamente per raggiungere l’obiettivo di tornare tutti a scuola in sicurezza con ulteriori scelte concrete e coraggiose nei confronti di una delle principali infrastrutture del paese.

Il Covid è stato un detonatore, tra i ragazzi è boom di ricoveri

Il neuropsichiatra: «Il Covid è stato un detonatore, tra i ragazzi è boom di ricoveri»

Il Sole 24 Ore del 20/04/2021

La pandemia ha acuito fragilità che magari in altri periodi avrebbero “retto” avverte Stefano Vicari, docente e primario di Neuropsichiatria infantile al Bambino Gesù di Roma.

di Barbara Gobbi

Il balzo in avanti dei disturbi e del disagio psichiatrici tra bambini e adolescenti con la pandemia, è da far tremare i polsi: a un +30% di ricoveri per casi gravissimi si somma il bacino enorme di coetanei che soffrono di insonnia, ansia e depressione. Ma la rete della prevenzione e delle cure è anche per l’età evolutiva piena di falle e getta un cono d’ombra sinistro su quel Next Generation Ue che in teoria proprio ai giovani guarda. «Senza salute mentale non si va da nessuna parte: al Paese serve un Piano per l’infanzia e l’adolescenza mirato al benessere fisico e psicologico». A parlare è Stefano Vicari, docente e direttore Scuola di Neuropsichiatria infantile della Cattolica e primario di Neuropsichiatria infantile al Bambino Gesù di Roma. 

Che fenomeni osservate?
Premetto che l’emergenza psichiatrica nella fascia 0-18 anni è un tema di grande attualità da molti anni tanto che i disturbi mentali nell’infanzia e dell’adolescenza sono i più frequenti. L’Oms parla di almeno un 10% di bambini e di un 20% di adolescenti a rischio: percentuali che poi si ritrovano in un 20% di popolazione adulta.

Il Covid come impatta su questo scenario?
La pandemia fa da detonatore a fragilità che magari in altri periodi avrebbero “retto” e che invece in questa situazione di forte stress collettivo e individuale continuato nel tempo si traducono in scompenso e in disturbo di salute mentale, facendo emergere situazioni ai limiti. Se con il primo lockdown avevamo assistito addirittura a una minore richiesta di aiuto sia per la resistenza ad andare in ospedale sia perché lo stress era vissuto in modo meno intenso, con la seconda ondata dall’autunno scorso abbiamo registrato un +30% di ricoveri in psichiatria per atti di autolesionismo e tentativi di suicidio. Il 65% dei ragazzi arrivati in Pronto soccorso da ottobre a oggi hanno tentato il suicidio o praticato un autolesionismo marcato. Poi sono esplosi i disturbi del comportamento alimentare, solo per l’anoressia un +28% di richieste di aiuto. E per tutti l’età scende dai 15 ai 13 anni, dato che preoccupa ulteriormente.

Numeri agghiaccianti…
A queste situazioni estreme, che comunque sono in forte crescita, si affianca tutta la serie di disturbi messi in luce di recente dall’ospedale Gaslini di Genova: nel 60-70% della popolazione pediatrica generale troviamo un malessere che si traduce in disturbi del sonno, irritabilità e difficoltà di concentrazione nei più piccoli, mentre negli adolescenti prevalgono ansia e depressione.

Cosa si può fare davanti a un quadro così preoccupante?
Innanzitutto va ricostituito quanto è stato smantellato: personale, reti di cura, servizi di neuropsichiatria infantile dedicati all’interno dei dipartimenti di salute mentale. Mentre ancora oggi diverse Regioni del Centro-Sud, senza risposte, inducono le famiglie a una migrazione sanitaria che crea disequità d’accesso. Le cure sul territorio sono la priorità: una volta dimesso un ragazzo, non sappiamo dove indirizzarlo. Poi va rivista la programmazione di reparti e specialisti: basti pensare che i letti dedicati all’emergenza psichiatrica in tutta Italia sono solo 92. Dei 322 letti per la Neuropsichiatria, la stragrande maggioranza è dedicata alla sfera neurologica e cioè di fatto all’epilessia, che però rappresenta lo 0,6% delle malattie neuropsichiatriche mentre solo l’autismo è quasi al 2%. Quanto ai medici, già oggi pur avendo fondi non troviamo specialisti . Senza contare i bandi di concorso che vanno deserti per mancanza di candidati. Eppure anche quando supereremo questa pandemia, i disturbi mentali non scompariranno certo per magia.

La pandemia è stata un’occasione persa per occuparci dei nostri figli? 
Certo è che durante il lockdown nessuno si è preoccupato molto né dei bambini – ignorati – né degli adolescenti, trattati come bamboccioni o come untori. Vanno potenziate le agenzie educative che fanno la differenza in termini di benessere psicologico: quindi la famiglia – con i genitori messi nelle condizioni di dedicare tempo ai loro figli e di fruire di servizi cruciali come gli asili nido – ma anche una scuola accogliente e sicura e luoghi dove praticare sport.

Coronavirus, per saperne di più. Le mappe in tempo reale
L’andamento della pandemia e delle azioni di contrasto è mostrato in due mappe a cura di Lab24. Nella mappa del Coronavirus i dati da marzo 2020 provincia per provincia di nuovi casi, morti, ricoverati e molte infografiche per una profondità di analisi.
La mappa dei vaccini in tempo reale mostra l’andamento della campagna di somministrazione regione per regione in Italia e anche nel resto del mondo.

Serve qualcosa di più per garantire attività scolastiche in sicurezza

Serve qualcosa di più per garantire attività scolastiche in sicurezza. Dichiarazione di Maddalena Gissi

Ritornare all’attività didattica in presenza anche nella secondaria di II grado è un’esigenza fortemente avvertita, in primo luogo da ragazze e ragazzi per i quali fare scuola fuori da un contesto di relazioni dirette con insegnanti e compagni di classe è un problema che non può essere certo sottovalutato. E tuttavia non mancano le preoccupazioni per un rientro in classe generalizzato che avverrà tra pochi giorni, perché la diffusione del contagio non può ancora dirsi sotto controllo e soprattutto non è sostanzialmente cambiata la situazione per quanto riguarda l’organizzazione delle attività all’interno e all’esterno della scuola.
Immutati gli spazi a disposizione, con aule nelle quali sarà difficile garantire la presenza in contemporanea di tutti gli alunni rispettando i parametri del distanziamento, oltretutto in presenza di varianti che aumentano il rischio di trasmissione del contagio. Non sembra garantita nemmeno la distribuzione di dispositivi individuali adeguati al nuovo livello di rischio (mascherine FFP2), e anche sul tracciamento preventivo attraverso test, sia pure semplificati, il Ministero afferma di non essere in grado di assicurarne la necessaria diffusione.
Sui trasporti, vero e proprio epicentro del rischio di contagio, difficile pensare che si riesca a fare in pochi giorni ciò che non si è fatto per mesi.
Sono solo alcune delle criticità emerse nel confronto svoltosi ieri fra sindacati e Ministero dell’Istruzione, in attesa che il CTS nella riunione di oggi stabilisca in modo chiaro se vi siano e quali siano i parametri da rivedere per quanto riguarda le misure di prevenzione del contagio contenute nel protocollo per lo svolgimento delle attività scolastiche in sicurezza sottoscritto il 6 agosto 2020, e anche in quello specifico per lo svolgimento degli esami di stato in presenza.
Più che giustificata, dunque, la preoccupazione diffusa riguardo a un appuntamento, quello del 26 aprile, al quale si giunge senza che vi sia la necessaria preparazione: non è da sottovalutare, inoltre, la difficoltà che incontreranno le scuole a dover riadattare, per l’ennesima volta, l’organizzazione del proprio lavoro.
Quanto alle vaccinazioni del personale docente, la CISL Scuola ha chiesto che la campagna sia completata il più rapidamente possibile, segnalando ancora una volta, in particolare, l’esigenza di considerare con la dovuta attenzione il rischio di una sovrapposizione, per il personale coinvolto, tra le date di somministrazione della dose di richiamo e quelle di svolgimento degli esami di Stato. Il manifestarsi di effetti collaterali piuttosto importanti, come avvenuto in moltissimi casi con la prima iniezione vaccinale, costringerebbe infatti a fare ricorso a sostituzioni con problemi di non poco conto per la regolare attività delle commissioni esaminatrici.
Se la decisione della riapertura generalizzata il 26 aprile, come viene affermato, dev’essere letta come un segnale di attenzione del Governo alla scuola, allora forse è il caso di dire che quell’attenzione dovrebbe tradursi in qualcosa di più che il fissare una data, ma concretizzarsi nella messa in atto di interventi assolutamente necessari, dal tracciamento alla fornitura di dispositivi adeguati, interventi che devono riguardare sia le classi che tornano in presenza, sia quelle dei gradi di scuola per i quali le attività in presenza sono state normalmente erogate per tutto l’anno scolastico.

Italia “anatra zoppa” dell’Arte

Italia “anatra zoppa” dell’Arte

Formazione ancora incompleta, produzione musicale consegnata agli stranieri, teatri in programmato dissesto: mercoledì 21 aprile alle ore 18 manifestazione online promossa dall’Unione Artisti UNAMS

Formazione ancora incompleta, produzione musicale consegnata agli stranieri, teatri in programmato dissesto: di questi tre gravi problemi, che richiedono interventi urgenti da parte della politica e delle istituzioni, si discuterà nel corso della manifestazione promossa dall’Unione Artisti UNAMS che si svolgerà mercoledì 21 aprile alle ore 18 in diretta sul canale ufficiale YouTube dell’Unione Artisti UNAMS https://www.youtube.com/c/unioneartistiunams/featured.

L’UNAMS denuncia come da anni non risulti ancora portata a compimento la cosiddetta filiera musicale, ovvero l’inizio dello studio della musica, sin dalle elementari per proseguire poi nella secondaria di primo e secondo grado sino all’accesso, per la parte professionale, nei Conservatori di musica e nelle Accademie. “Una luce in fondo al tunnel – spiega la Professoressa Dora Liguori, Segretario Generale Unione Artisti UNAMS – finalmente si intravede grazie a un disegno di legge presentato dalla Senatrice Loredana Russo che, sia pure in ritardo, mira a colmare questa mancanza, portando a sistema la formazione musicale”.

L’evento organizzato dall’UNAMS, inoltre, vuole richiamare l’attenzione sulla pratica, sempre più diffusa tra le grandi Fondazioni italiane, di ingaggiare personale artistico straniero, impoverendo così sempre più la presenza, in teatri e sale da concerto, di validissimi cantanti e musicisti italiani. “Purtroppo – afferma la Professoressa Liguori – questa pessima abitudine è divenuta talmente esponenziale da prevedere, in un momento in cui tutti gli artisti italiani soffrono la mancanza di lavoro per la chiusura dei teatri a causa del Covid, l’allestimento di una Traviata con tutti artisti stranieri, comprese le piccole parti di comprimariato che, per legge, dovrebbero essere riserva degli italiani”.

Ultima, e ancor più grave iniziativa di alcune Fondazioni, è quella di ridurre e smantellare gli organici dei teatri.

Alla manifestazione parteciperanno la Senatrice Loredana Russo, il Senatore Francesco Maria Giro,  il Professor Salvatore Sfrecola, Alma Manera,  il M° Fabio Severini (RSU e RLS “Teatro Opera” di Roma), Marco Fagioli (danzatore Arena di Verona), Vito Cesaro (Direttore Assoteatro), il M° Raffaele Maisano.

Modera la Professoressa Dora Liguori, Segretario Generale Unione Artisti UNAMS.

Ritorno al 100% in presenza «con flessibilità». Resta il nodo trasporti

da Il Sole 24 Ore

di Claudio Tucci

L’obiettivo politico, come ha ricordato Patrizio Bianchi, è riportare la scuola in presenza per l’ultimo mese dell’anno, fondamentale per le valutazioni finali e la preparazione degli esami di Stato. Ma il criterio del ritorno al 100% dal 26 aprile, indicato dal premier, Mario Draghi, anche per le superiori nelle zone gialle e arancione, sarà “flessibile”; vale a dire gli istituti, nella loro autonomia, potranno, per ragioni di sicurezza, prevedere, ad esempio, orari scaglionati o un utilizzo della Dad residuale, come del resto già indicato nelle linee guida sulle lezioni “da remoto” diffuse la scorsa estate. Insomma, se trasporti e spazi, in qualche territorio, restano un nodo – nonostante i tavoli prefettizi – i presidi potranno decidere le soluzioni organizzative migliori per garantire la scuola a tutti gli studenti.

Sarebbe questo l’orientamento dell’esecutivo che sta limando il nuovo decreto, con il ministero dell’Istruzione che, successivamente, emanerà una nota di accompagnamento, dove verrà ricordata anche tutta la normativa vigente (che, come detto, per ragioni di sicurezza, già consente “adattamenti” alle singole scuole).

Del resto, i numeri in campo sono ampi. Lunedì prossimo torneranno sui banchi circa 1,2 milioni di studenti; complessivamente saranno in classe 8 alunni su 10; ricreando, nella sostanza, la situazione di settembre 2020. Ma da allora, ricordano dal ministero dell’Istruzione, di passi avanti ne sono stati fatti: al 16 aprile il 73,5% degli insegnanti ha ricevuto la prima dose di vaccino (la seconda dose sarà garantita, come da indicazioni delle autorità sanitarie). Per le scuole, ad agosto, sono stati stanziati 331 milioni di euro, di cui 54 (il 18%) sono stati spesi per gli interventi di adattamento degli spazi esterni. Un mesetto fa, con il decreto Sostegni 1, sono stati stanziati, e già assegnati agli istituti, altri 300 milioni, di cui 150 proprio per garantire il ritorno in sicurezza (in media sono stati accreditati 18mila euro a scuola).

Certo, la situazione è a macchia di leopardo; e c’è anche un freno “interno” da parte di molti docenti che vorrebbero concludere l’anno “a distanza”. Il rebus maggiore riguarda però i trasporti, dove i 390 milioni stanziati non sono ancora stati tutti assegnati agli enti territoriali, e con una capienza su mezzi fissata al 50%.

Il Cts, su input dell’Istruzione, si riunisce oggi per valutare la necessità (o meno) di rimodulare le misure di sicurezza finora applicate (distanziamento di 1 metro, mascherine obbligatorie dai 6 anni in su, sanificazione ed areazione frequente dei locali, sistema di tracciamento). Nel pomeriggio il governo incontrerà le regioni. «Assicuriamo massima disponibilità – ha detto il presidente del Friuli Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga -. Ma bisogna avere la consapevolezza che limiti fisici come la disponibilità dei mezzi non si possono superare».

L’indicazione del rientro al 100% (50% per le superiori in zona rossa) «non può essere tassativa – ha tagliato corto Antonello Giannelli, a capo dell’Anp, l’Associazione nazionale presidi -. Voglio ricordare che le scuole non sono mai state chiuse durante l’anno, ma hanno lavorato con impegno sia con le lezioni in presenza, che da remoto. Va però anche detto che molti istituti non possono e non hanno potuto mai garantire la presenza di tutti gli alunni nei locali scolastici per assenza di spazi adeguati. Per questo, auspico flessibilità e che si lasci alle scuole, nella loro autonomia, la possibilità di decidere le più opportune forme organizzative per assicurare le lezioni e, al tempo stesso, la sicurezza di alunni e personale».

È possibile bocciare soltanto in presenza di dati oggettivi

da Il Sole 24 Ore

di Pietro Alessio Palumbo

La mancata attivazione delle attività di recupero e degli oneri di informazione alla famiglia circa l’andamento scolastico dell’alunno non influisce sul giudizio di non ammissione alla classe successiva.

Il “verdetto” si basa esclusivamente – senza che ad esso possa attribuirsi alcun intento “punitivo” – sulla constatazione oggettiva della insufficiente preparazione dello studente e dello scarso grado di maturazione personale dello stesso. A fronte di ciò, a ben vedere, l’ammissione dell’allievo alla classe superiore potrebbe costituire un danno piuttosto che un “premio”.

La maturazione frammentaria
La “bocciatura” di un alunno si basa unicamente sulla sua insufficiente preparazione e sul suo incompleto sviluppo educativo e formativo. E la valutazione di legittimità di tale giudizio deve essere condotta avendo esclusivo riguardo agli elementi che denotano, alla conclusione dell’anno scolastico, la presenza o meno di un sufficiente livello di conoscenze, ma anche di “crescita” dell’alunno.

Inoltre si badi, neppure vale ad inficiare il giudizio del consiglio di classe, un eventuale difetto di relazioni scuola – famiglia, dato che ciò che assume imprescindibile rilievo è la possibilità di esprimere un giudizio favorevole sulla preparazione e sul livello di apprendimento “concretamente” raggiunti al termine dell’anno scolastico; ovvero, in presenza di carenze, una valutazione positiva sulla “realistica” possibilità del loro recupero.

La valutazione di “congruità” del giudizio di non ammissione alla classe superiore deve quindi essere condotta avendo riguardo solo ai fattori che mostrano, alla conclusione dell’anno scolastico, la mancata “maturazione” dello studente, senza che su di essa possa incidere l’eventuale scarsa attivazione di specifici interventi atti a favorire il recupero scolastico dello studente.

Lo scarso impegno del ragazzo
Nella vicenda affrontata dal Tar di Palermo con la recente sentenza 700/2021 il livello globale di sviluppo degli apprendimenti dell’alunno era stato giudicato insufficiente da parte della scuola. L’alunno infatti aveva mostrato un “interesse minimo” per le attività proposte, partecipando alla vita scolastica in modo poco attivo e comunque discontinuo. Il risultato era stato che gli obiettivi delle programmazioni disciplinari non erano stati raggiunti, riportando insufficienze in ben cinque materie.

Al riguardo occorre evidenziare che il giudizio di non ammissione costituisce il frutto di una valutazione discrezionale di carattere tecnico-didattico sulla preparazione degli alunni che in quanto tale non è “discutibile” dal giudice amministrativo, salvo che da carte e comportamenti venga fuori una (evidente) irragionevolezza o illogicità.

Ebbene nella vicenda, secondo il Giudice siciliano, il giudizio conclusivo di non ammissione alla classe successiva era “congruente” e quindi “immune” dalle lamentele dei genitori che, su tutto, avevano segnalato la scarsità delle comunicazioni da parte della scuola sulle carenze riscontrate dal figlio già dal primo quadrimestre.

Rientro al 100% ma flessibile

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi

Il rischio ragionato», di cui ha parlato il premier Mario Draghi nell’annunciare il ritorno in presenza a scuola anche alle superiori da lunedì prossimo, non basta a tranquillizzare i sindacati. Che ieri, nel vertice con i rappresentanti del ministero dell’istruzione, hanno chiesto lumi sulle misure approntate per garantire che ci sia maggiore sicurezza rispetto al passato. Nella fattispecie su distanziamento, trasporti, tracciamento. «Non siamo ciechi, risolveremo i problemi, riaprire le scuole è un segnale politico chiaro nell’interesse del Paese», ha detto il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi.

Tra l’altro il rientro avviene quando solo il 72% dei docenti ha ricevuto almeno la prima dose di vaccino, il restante 28%, con il cambio di strategia del generale Figliuolo, dovranno attendere il proprio turno in base all’età. Un cambio, hanno contestato le sigle sindacali, che comporterà il rientro in classe di insegnanti in situazioni personali diverse, con punte di mancata vaccinazione che arrivano anche al 60%. Su questa anomalia il ministero guidato da Bianchi ha fatto capire che non ci sarà una retromarcia, la decisione, assunta direttamente dal commissario in tandem con palazzo Chigi, non sarà rivista neppure alla luce del ritorno a scuola in presenza. Che però potrebbe non essere obbligatorio per tutti allo stesso modo: la norma del decreto legge che definirà la cornice per tutte le riaperture dovrebbe parlare di un ritorno fino al 100% nelle zone gialle e arancioni, al 50% in quelle rosse, lasciando però una formulazione che consenta, come già previsto in passato, alle singole scuole, in base agli spazi, alle condizioni epidemiologiche e alle dotazioni anche di personale, il compito di individuare il mix tra presenza e didattica a distanza. Altra ipotesi è che sia previsto però anche un minimo sotto al quale non scendere, per evitare che il ritorno in classe per tutti resti solo un annuncio.

Decisivo sarà anche il parere che dovrà dare oggi il Cts e che potrebbe portare alla conferma o meno del precedente protocollo di sicurezza: basterà per esempio la distanza in classe tra i ragazzi di un metro da una «rime buccali»? Con le varianti in circolazione, in particolare quella inglese molto più contagiosa tra i ragazzi, i virologi dicono di no. Rivedere però quel parametro, ed è quello che il Cts dovrebbe chiedere di fare, significherebbe non consentire la riaperture a molte scuole i cui spazi non consentono un ulteriore distanziamento in classe.

Giallo poi per i tamponi salivari: dopo l’annuncio di un componente del Cts, nel corso del vertice è emerso che in realtà non è stato fatto ancora uno studio di fallibilità su tempi e costi, luoghi di somministrazioni e intervalli, studio di cui si era in attesa di riscontro da parte del commissario alla emergenza. Ad oggi potranno disporre i tamponi salivari, in base alle dotazioni frutto dei 150 milioni di euro di recente stanziamento dal gover, le stesse scuole, oppure il servizio sanitario su indicazione delle regioni.

Per una volta compatto il fronte sindacale: Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals, Gilda e Anp chiedono di rivedere i protocolli di sicurezza, di avviare un efficace tracciamento e di potenziare i trasporti. E soprattutto di consentire che le scuole possano auto organizzarsi sugli orari di ingresso e di uscita, sulla durata delle lezioni oltre che sul rientro in presenza al 100% o meno, e che comunque le misure siano concordate con le direzioni scolastiche regionali e non con le regioni.

Il tempo per rimettere in moto la macchina della scuola è strettissimo: il decreto legge andrà in Gazzetta per venerdì. Subito dopo arriverà la circolare del dipartimento guidato da Stefano Versari. Dal 26 aprile agli inizi di maggio la riaperture con i nuovi parametri. E nonostante si sia a fine aprile, la situazione organizzativa è ancora molto, troppo, simile a quella di settembre scorso quando i mezzi pubblici non erano in grado di far rispettare il distanzaimento a bordo e c’erano classi sottostrutturate, senza un sistema valido di areazione, quando non si facevano tamponi rapidi di massa per gli studenti e il tracciamento era una chimera.

Bianchi chiude la porta a sanatorie Sui precari maggioranza divisa

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

Nessuno sta cercando sanatorie, io non ne faccio, è offensivo pensarlo. Individuiamo dei percorsi: ci sono coloro che hanno già maturato dei diritti e c’è sicuramente un problema di formazione e di verifiche; va raggiunta una sintesi politica che è ora di trovare. Credo che tutte le forze politiche si devono esprimere in modo esplicito». Lo ha detto il ministro dell’istruzione, Patrizio Bianchi, durante il suo intervento ieri al convegno «Prima la Scuola» promosso dal senatore del Pd, Francesco Verducci, al Senato. L’appello è stato indirizzato ai partiti ma anche agli esponenti del suo partito, il Pd, che ancora non ha assunto una posizione chiara sulla soluzione da adottare per risolvere il problema del reclutamento dei docenti nella scuola.

L’intervento del ministro è avvenuto dopo l’incontro interlocutorio che si è tenuto, sempre ieri, al ministero dell’istruzione, tra amministrazione e sindacati, proprio sulla questione del reclutamento. Secondo quanto risulta a Italia Oggi, tra i partiti di governo sarebbe in atto uno scontro muro contro muro che sta determinato una situazione di stallo. Il Movimento5 stelle sta mantenendo fermamente la propria posizione di opposizione a qualsiasi forma di sanatoria in favore dei docenti precari attualmente in servizio. Dall’altro lato la Lega ha da tempo una posizione favorevole ad una soluzione che consenta ai precari storici di bypassare il concorso in senso stretto. E tra i due contendenti, l’uno contro l’altro armati, c’è il Pd che, al momento non ha ancora assunto una posizione né nell’uno né nell’altro senso. A fronte di questa situazione, i rappresentanti del dicastero di viale Trastevere non hanno potuto fare altro che assumere una posizione attendista nel vertice mattutino. Che si è tradotta in una mera richiesta ai rappresentanti sindacali presenti circa l’esposizione delle proposte coincidenti con le richieste avanzate già in passato dalle sigle di appartenenza.

Richieste già note all’amministrazione e ribadite al tavolo di confronto. E che consistono nella richiesta di un concorso essenzialmente per titoli, basato sulla valorizzazione del servizio prestato, con una prova orale da tenersi davanti al comitato di valutazione al termine dell’anno di prova. In rotta di collisione la proposta dell’Anp, pure presente al tavolo. Che ha riproposto la chiamata diretta. Un’istanza che, se accolta, allungherebbe esponenzialmente i tempi delle assunzioni, perché la relativa disciplina andrebbe riscritta ex novo. E in ogni caso non comporterebbe l’aggiramento dell’obbligo di superare un concorso. Resta il fatto, però, che il 1° settembre 2021 si avvicina e, allo stato attuale, il governo non ha ancora trovato una soluzione. E i tempi delle selezioni già avviate rischiano di protrarsi oltre le previsioni.

Il concorso riservato, infatti, ha già subito uno stop, oltre che per l’inasprimento delle misure di contenimento del contagio da Covid-19 dei mesi scorsi, anche per la questione delle prove suppletive. Il Tar del Lazio, infatti, ha accolto alcuni ricorsi di candidati che non avevano potuto partecipare alle prove perché in quarantena o in isolamento fiduciario. E adesso bisognerà attendere anche che la procedura faccia il suo corso. A ciò vanno aggiunti i mali di sempre: la difficoltà di reperire i commissari e le dimissioni dei commissari in itinere. In più bisogna anche considerare che il concorso ordinario, pure previsto, non è ancora stato avviato. E anche qualora fosse avviato a breve, la prospettiva del vincolo di permanenza quinquennale nella sede di prima assegnazione potrebbe scoraggiare gli aspiranti docenti del Sud a presentare la domanda di partecipazione al Nord. Il fenomeno si è già verificato con la call veloce. E il rischio che si corre è che, nonostante l’indizione dei concorsi, le cattedre al Nord continuino a rimanere prive di titolari. Nel frattempo, la platea dei supplenti si allarga sempre di più.

Attualmente i precari che lavorano nella scuola sono circa 200 mila. In più bisogna considerare che i posti vuoti sono destinati ad aumentare per effetto dei pensionamenti. Pertanto, è ragionevole ritenere che, se e quando il governo deciderà di intervenire, la soluzione ipotizzata dovrà essere affrontata con provvedimenti legislativi anche d’urgenza. A peggiorare ulteriormente la situazione c’è anche la questione della gestione dei licenziamenti a raffica dei supplenti assunti da Gps, che si stanno verificando dall’inizio dell’anno. La particolare complessità della normativa contenuta nell’ordinanza 60/2020 e la novità della disciplina, infatti, ha indotto molti aspiranti docenti a dichiarare titoli che non erano valutabili. Ma vi sono anche casi in cui le scuole hanno agito in modo difforme. E ciò ha contribuito ad accrescere notevolmente il clima di incertezza. A differenza che in passato, infatti, la valutazione delle domande di inclusione nelle Gps non è stata gestita direttamente dagli uffici, ma dalle scuole.

Al via il rinnovo del contratto

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

Al via la riapertura del tavolo negoziale per il rinnovo del contratto di lavoro del personale della scuola. I rappresentanti dell’Aran e delle confederazioni sindacali, il 15 aprile scorso, hanno siglato l’ipotesi di contratto quadro sulla composizione dei comparti. L’accordo conferma i 4 comparti esistenti (funzioni centrali, funzioni locali, istruzione e ricerca, sanità) e costituisce il presupposto per l’avvio delle trattative per il rinnovo dei contratti di comparto. Tra cui quello che riguarda il personale della scuola.

Le trattative, però, partiranno dopo la firma definitiva del contratto quadro e, soprattutto, dopo l’emanazione dell’atto di indirizzo del comitato di settore del governo. Il contratto della scuola attende ormai da 3 anni di essere rinnovato. I fondi, peraltro, anche se esigui, sono disponibili per tutto il pubblico impiego già dal 2018. L’articolo 1, comma 436, della legge 145/2018, prevede infatti uno stanziamento di 1.100 milioni di euro per l’anno 2019, 1.750 milioni di euro per l’anno 2020 e 3.375 milioni di euro annui a decorrere dal 2021. A ciò va aggiunto un ulteriore stanziamento di 400 milioni di euro previsto dalla legge di bilancio di quest’anno. I 400 milioni vanno ad impinguare la dotazione finanziaria dal 2021 in poi. Quindi, la somma a regime dovrebbe essere pari a 3775 milioni di euro.

Considerato che i dipendenti pubblici, secondo le rilevazioni Istat del 2018 (le più recenti disponibili) sono 3.342.816, i fondi consentono incrementi retributivi medi di 1.129 euro l’anno a testa. L’importo, però, è al lordo delle trattenute fiscali e previdenziali (cosiddetto lordo stato). Per arrivare alla cifra netta bisogna togliere circa il 50%. Che è pari, grosso modo, all’importo dei contributi e delle ritenute fiscali. A conti fatti, 40-50 euro in più a testa.

Nella scuola gli importi potrebbero essere ancora inferiori. Perché il criterio che viene applicato per la distribuzione degli aumenti consiste nell’applicare una percentuale identica a prescindere dall’importo di partenza delle retribuzioni. E siccome le retribuzioni della scuola sono le più basse del pubblico impiego, ad ogni rinnovo contrattuale la forbice si apre sempre di più e il divario tra qualifiche analoghe nei vari comparti aumenta costantemente. E poi c’è il problema del coordinamento delle disposizioni del contratto del 2007 e del 2018 con le innovazioni legislative introdotte nel corso degli anni. Coordinamento che dovrebbe essere attuato tramite la compilazione di un corposo testo unico delle disposizioni contrattuali che andrebbero attentamente vagliate, una per una, al tavolo negoziale.

Il lavoro da svolgere è tutt’altro che facile. Prima di tutto bisognerà verificare gli effetti delle norme di legge che si sono succedute nel tempo dopo il 2007. Norme che, per effetto della inderogabilità delle disposizioni di legge da parte della contrattazione collettiva, ormai prevalgono sulla disciplina contrattuale. Molte norme di legge hanno peggiorato il trattamento contrattuale.

Per esempio, quelle sul vincolo di permanenza quinquennale nella sede di prima assegnazione per i neoimmessi in ruolo. Oppure quelle che hanno cancellato i rimedi stragiudiziali per le controversie di lavoro, comprese quelle di natura disciplinare. Ma ve ne sono anche altre che hanno ampliato il regime di tutela dei lavoratori come, per esempio, quelle sui congedi parentali e, da ultimo, la norma che ha introdotto il permesso specifico per la vaccinazione. Ma c’è anche un altro aspetto molto importante che riguarda il trattamento deteriore previsto per i precari. Sia per quanto riguarda il trattamento retributivo che per la disciplina dei permessi.

Anche su questa delicata materia le parti dovranno necessariamente aggiornare le vecchie clausole negoziali adeguandole alla legislazione vigente e anche ai più recenti orientamenti della Suprema corte. Si pensi, per esempio, al diritto alla retribuzione professionale docenti per i supplenti con nomina del preside. Diritto che viene ancora negato nonostante la Cassazione abbia spiegato che il diritto sussiste già secondo le disposizioni contrattuali vigenti (si veda l’ordinanza della sezione lavoro 20015/2018). Oppure al diritto al completamento per i precari che, per contro, la Cassazione ha posto praticamente nel nulla con la sentenza 24214/2017. Motivo per cui l’intera disciplina andrebbe totalmente riscritta per consentire ai docenti più titolati di non essere scavalcati in graduatoria da colleghi meno titolati, per questioni meramente organizzative riguardanti la compatibilità di orario, che nulla hanno a che fare con la sostanza di questo istituto giuridico.

Poi c’è la questione della formazione che da diritto è diventata un dovere. Ciò determina quindi la necessità di rivedere la norma sulle attività funzionali di natura collegiale riducendo le ore da destinare alle riunioni dei collegi e agli incontri scuola-famiglia. Oppure, in alternativa, bisognerà prevedere una dotazione finanziaria specifica per retribuire la formazione come lavoro straordinario. Insomma, la strada è tutta in salita e sconta l’inerzia degli anni precedenti.

Il 28% dei prof non è vaccinato

da ItaliaOggi

Angela Iuliano

Si ritorna tutti in classe con quasi 100 mila contagi in più in un mese tra i ragazzi in età scolare. Tra il 14 marzo e il 14 aprile l’Iss (istituto superiore di sanità) ha registrato un aumento del 22,8% di casi tra 0 e 19 anni, ben 99.778 positivi in più. A cui vanno aggiunti altri 10.150 ragazzi contagiati negli ultimi 4 giorni. Così che dall’inizio della pandemia fino a domenica (18 aprile) sono 546.933 i bambini e i ragazzi in età scolare che hanno avuto il Covid: 191.910 nella fascia 0-9 anni e 355.023 in quella 10-19 anni. In appena un mese i bimbi in età da nido, materna e primaria infettati dal virus Sars-Cov-2 sono stati 37.839, mentre i compagni in età da medie e superiori sono stati 61.939. Negli ultimi 4 giorni si sono avuti +4.075 nuovi positivi under 9 e +6.075 casi tra i 10-19enni. Non solo.

Nell’ultimo report settimanale dell’Iss si legge che «nelle ultime due settimane si rivela un lievissimo aumento della percentuale di casi nella fascia di età 0-18 anni pari al 15,8% (nelle due settimane precedenti era del 15,3%)». Mentre, osserva il rapporto, «diminuisce leggermente la proporzione di casi nella fascia di età 19-50 anni (43,1% vs 43,4%) e nella fascia di età over 50 (41,1% vs 41,3%)». Anzi, a leggere i nuovi dati disaggregati per età tra gli under 19, che da fine marzo il report settimanale dell’Iss riporta, emerge che a guidare la crescita dei contagi è proprio la fascia di bambini e ragazzi in età scolare.

I più colpiti i bambini del nido, con +10,18% di casi tra 0 e 3 anni, passati dai 36.657 del 31 marzo ai 40.391 del 14 aprile. Seguono i bambini in età da materna: +8,79% nella fascia 3-5 anni, cioè da 46.699 positivi a 50.806. Poi, si piazzano i ragazzi della primaria, quelli tra 6 e 10 anni di età registrano un +7,92% di positivi, passando da 116.361 infettati a 125.577. Subito dopo si collocano i ragazzi in età da scuole superiore con un +7,45% di casi arrivano a 218.589 infetti rispetto ai 203.391 del 31 marzo. Infine, gli studenti delle medie vedono +7,355 di positivi, arrivando a 98.955 rispetto ai 92.176.

In tutte le altre fasce di età della popolazione l’incremento di nuovi positivi è stato inferiore al 7%. Addirittura la metà tra gli ottantenni (+4,44%). Si tratta, inoltre, di un periodo, quello tra il 31 marzo e il 14 aprile, in cui oltre alla vacanze scolastiche di Pasqua, in tutta Italia hanno frequentato la scuola in presenza i bambini dal nido alla prima media, cioè da 0 a 11 anni, e in 11 regioni anche i compagni di II e III media, tra 12 e 13 anni e il 50% di ragazzi delle superiori, tra 14 e 19 anni.

Una conferma, quindi, che la scuola in presenza è motore di contagi. Del resto, proprio Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss e nuovo portavoce del Cts, recentemente in conferenza stampa ha ammesso che sui contagi a scuola «dati precisi non ci sono, si considera solo la fascia di età».

Mentre sul fronte vaccinazione del personale scolastici i dati regionali elaborati dal comitato nazionale Idea Scuola e aggiornati al 15 aprile, rivela che ben 419.760 docenti e Ata non sono ancora stati vaccinati neppure con una sola dose, cioè il 27,87% del totale del personale scolastico. Con punte del 50-60% in regioni come Liguria, Calabria, Sardegna, Sicilia e Bolzano. Mentre il 72,13% che ha ricevuto la prima dose riceverà la seconda in media a giugno: 1.086.284 docenti e lavoratori della scuola che quindi completerà il ciclo vaccinale ad anno scolastico terminato. In base ai dati forniti dal MI i contagi tra i docenti, ricorda il comitato, sono 2 volte maggiori rispetto a quelli della media di tutta la popolazione italiana.

Riapertura scuole, Draghi non vuole tornare indietro. Ipotesi lezioni in musei e spazi all’area aperta

da OrizzonteScuola

Di Fabrizio De Angelis

La riapertura scuole viene salutata positivamente da molti esponenti di spicco ma non convince tutti: alcuni Governatori ma anche i dirigenti scolastici e i sindacati sollevano dubbi. Dubbi che proprio le Regioni affronteranno con il Governo nel corso di un incontro domani alle 17. Ma il premier Draghi sembra essere il più convinto di tutti.

Racconta all’Adnkronos uno dei ministri che ne ha preso parte: “Draghi era convintissimo sul ritorno in aula, il più convinto di tutti. Su questo sono certo che non tornerà indietro, vuole i ragazzi in classe. La scuola prima di tutto, ha detto mentre decidevamo delle riaperture, ricordandoci come l’istruzione sia rimasta drammaticamente indietro in questo anno di pandemia“. La parola d’ordine resta ‘ripartire in presenza’, senza tralasciare il tema prioritario della sicurezza.

Si fa strada l’ipotesi di lezioni ‘outdoor’, in musei, palestre, parchi attrezzati e spazi all’aria aperta soprattutto, sul modello della ‘scuola diffusa’ partito in Emilia Romagna -regione del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi- ancor prima che la pandemia investisse l’Italia.

Ogni strada verrà battuta affinché la scuola riapra in massima sicurezza, ma il 26 aprile si torna in classe“, ribadiscono fonti di governo alla vigilia dell’incontro con le Regioni sulla scuola.

Dal canto suo Fedriga, Governatore del Friuli Venezia Giulia,  dice “ci dovrà essere un mix di soluzioni che non può essere semplicemente sul trasporto, ma evidentemente sull’organizzazione scolastica. Vogliamo trovare delle soluzioni, ma bisogna raccontare la verità, dire fin dove è possibile arrivare perché altrimenti si fanno dei danni. E’ meglio dire con chiarezza e serietà dove sono i limiti perché si fa confusione e non si risolvono i problemi

Ci sono troppe carenze che riguardano il ritorno in classe: tra le ipotesi sul tavolo, quella di orari scaglionati per le entrate negli istituti, mantenendo il 50% di presenza sui mezzi rispetto alla capienza. Oppure, per non rischiare di aumentare questa stessa percentuale, chiedere (anche se i tempi sarebbero troppo stretti) un potenziamento di mezzi e numero di personale. C’è anche l’idea dei test salivari per gli studenti, anche se non su questo bisogna sentire il Comitato Tecnico Scientifico e attendere la validazione.

Carenze che i sindacati, nel corso dell’incontro con l’amministrazione del 19 aprile, hanno fatto notare e che li rendono preoccupati: “Ci troviamo davanti a un atto di volontà politica non supportato da condizioni reali. Prima di decidere la riapertura al 100% in presenza bisogna riprendere subito la campagna di vaccinazione, rinnovare i protocolli di sicurezza, effettuare tracciamenti, anche a campione, valutare i dati dei vaccinati, ancora non disponibili. In caso contrario non c’è alcuna garanzia per studenti e personale scolastico”, dice Francesco Sinopoli della Flc Cgil.

L’Anp, ha richiesto “di completare il piano vaccinale del personale in servizio presso le scuole per garantire le condizioni di sicurezza che, sole, possono dare continuità all’erogazione del servizio: è necessario, in particolare, che tutto il personale impegnato nell’imminente esame di Stato porti a termine la procedura vaccinale prima del suo inizio”.

Scrutini fine anno, possibili dal 4 giugno ed entro il termine delle lezioni. In arrivo ordinanza Bianchi

da OrizzonteScuola

Di redazione

“Per l’anno scolastico 2020-2021 gli scrutini finali per le classi delle istituzioni scolastiche statali e paritarie del primo e secondo ciclo di istruzione possono essere conclusi entro il termine delle lezioni fissato dai calendari delle Regioni e delle Province autonome, fermo restando l’avvio non prima del 4 giugno 2021”, si legge nell’ordinanza firmata dal ministro Patrizio Bianchi di prossima pubblicazione.

Il ministro dell’Istruzione, infatti, si accinge a dare facoltà alle scuole di potere anticipare gli scrutini di fine anno scolastico di circa una settimana rispetto alle date già prefissate dalle varie Regioni e collocate tra il 5 e il 16 giugno prossimo: lo prevede un’Ordinanza firmata dal ministro Patrizio Bianchi e trasmessa “ai competenti organi di controllo”. L’intento del professor Patrizio Bianchi è quello di agevolare le operazioni di fine anno, che in presenza della pandemia, soprattutto nella scuola secondaria, potrebbero rivelarsi particolarmente difficoltose.

Come già ricordato nei giorni scorsi, non si tratta in realtà di una novità.  L’anticipo degli scrutini prima del termine delle lezioni è previsto dal decreto Rilancio, che prevede la possibilità di concluderli entro il termine delle lezioni “al fine di consentire l’avvio e lo svolgimento dell’anno scolastico 2020/2021 nel rispetto delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, in deroga quindi alla norma che prevede che gli scrutini debbano necessariamente essere svolti dopo la conclusione delle lezioni.

L’ordinanza era stata già inviata al vaglio Consiglio superiore della Pubblica istruzione (Cspi).

Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, si tratta di “un’opportunità di buon senso: è la giusta risposta a chi per settimane ha ipotizzato la conclusione dell’anno scolastico a fine giugno o a luglio inoltrato. Gli apprendimenti, come abbiamo sempre detto, non si recuperano con qualche settimana in più di lezioni, accavallando gli impegni o pregiudicando il regolare svolgimento degli Esami di Stato, a partire dalla maturità. I nostri alunni hanno bisogno di una scuola che offra loro maggiori garanzie, sicuramente rispetto alla priorità assoluta del Covid, ma anche per quando sarà terminata la pandemia. Quello che serve, lo abbiamo ripetuto anche oggi ai dirigenti del ministero dell’Istruzione, è un rinnovato protocollo sulla sicurezza, ma anche organici maggiorati, aule più grandi, il ripristino di 4mila sedi autonome, la proroga e conferma del personale Covid, l’assunzione in ruolo dei precari con almeno due anni di supplenze con procedure per titoli e servizi con la riaperture delle GaE e l’utilizzo delle Gps pure per il reclutamento”.

Per il sindacato Anief si tratta di una decisione saggia, prodotta per venire incontro alle incombenze di fine anno che si svolgeranno con gli alunni in presenza, se il piano del Governo dovesse essere confermato, ma soprattutto con tutte le problematiche che la pandemia da Covid-19 comporta. Bene ha fatto il ministro dell’Istruzione a rompere gli indugi.