Golnaz Hashemzadeh Bonde, Un popolo di roccia e di vento

Golnaz Hashemzadeh Bonde, Un popolo di roccia e di vento,
Universale Economica Feltrinelli, 2021

di Mario Coviello

Ho divorato questo romanzo in un giorno e ho pianto più volte leggendolo. E’ un romanzo  con le donne protagoniste, donne forti nella sorellanza, nell’impegno, nell’amicizia, nella solidarietà, nel coraggio, nell’amore.

  Ve lo consiglio perché  è scritto in modo avvincente  in prima persona da Nahid, una  iraniana,che a 18 anni con il compagno Masood partecipa alla rivoluzione del 1978 per rovesciare il regime dello scià. I due giovani hanno nelle vene il fuoco della passione della  giovinezza, di chi si sente invincibile perché certo di essere nel giusto. Di giorno studiano, di notte distribuiscono volantini, discutono di libertà e di democrazia. Sanno di rischiare la vita perché la polizia del regime è dappertutto e imprigiona, tortura, uccide.

Nahid viene imprigionata, tradisce i suoi compagni e diventa responsabile della scomparsa di Noora, di 14 anni, la più piccola delle sue  sei sorelle. Costretta a fuggire  in Svezia a 23 anni  con la figlia Aram e il marito, a cinquant’anni,è un’ infermiera che  ha saputo ricostruirsi una vita, ha una casa,è sopravvissuta al  marito morto  che la picchiava, e scopre che ha pochi mesi di vita perché ha un cancro.

I mesi della malattia, una lunga agonia fatta di chemio, radio, rabbia, attesa, speranza, sono per Nahid i mesi del bilancio della sua vita. La figlia Aram aspetta un bambino e Nahid vuole vivere disperatamente  fino la giorno della nascita della sua nipotina. Vuole diventare nonna. In qualche modo pareggiare i conti, farsi perdonare dalla madre la morte della sorellina Noora . La madre di Nahid è divenuta  sposa all’età di nove anni di un marito di ventisette, e ha partorito la prima delle sue sette figlie a dodici anni. E’  rimasta vedova  a trentasette e ha difesa con i denti la sua famiglia nella rivoluzione e la guerra.

 Alla madre  Nahid racconta :  “ Penso ai maestosi alberi sull’isola. Penso che mia nipote non diventerà come me. Sarà una creatura di radici, non di sabbia. Che vivrà nello stesso posto in cui è nata. Con radici che ramificano solide sotto terra. “ (pag.137-138). E darà così un senso alla sua vita, alla sua fuga dall’Iran, all’abbandono dei suoi ideali, alle botte che ha ricevuto dal marito, il giovane rivoluzionario che in Svezia  non ha saputo “crescere” .  “ Le radici di mia nipote sono stata io a crearle. Io a fare in modo che la figlia di  mia figlia potesse avere al  tempo stesso libertà e radici. Penso che sia stata la mia fuga a renderlo possibile.” ( pag.138).

 Il rapporto di Nahid con la figlia è un rapporto tormentato da sensi di colpa perché come mamma  ha dovuto da sola crescere sua figlia, difendendola da un padre violento. E’ un rapporto intessuto nella  di musica e nella poesia  della crescita, capaci di consolare   nella sofferenza. 

Questo romanzo è una riflessione necessaria  sui popoli in cammino. Sulle persone che hanno un colore della pelle diverso dal nostro, le persone  che  incontriamo per strada, al lavoro, a scuola e cercano di parlare una lingua che non è la loro.

 “Guardo il telegiornale. Tutti quei profughi che attraversano il mare.”- è Nahid che parla a pag. 173-“Penso a come è cambiato il mondo . All’epoca della nostra fuga dall’Iran  non abbiamo dovuto far altro che trovare i soldi per i biglietti. E poi volare verso la libertà. Queste persone, invece. Lottano con le unghie e con i denti per arrivare qui, chilometro dopo chilometro. E quelli che ce la fanno pensano di avercela fatta per sempre. A loro vorrei dire che questo è solo l’inizio. Che la fuga ti contamina il sangue, e attraverso il sangue infetta tuo figlio che non è ancora nato….Ciò che hai abbandonato vive insieme con te con la stessa forza della strana nuova vita a cui stai cercando di adattarti. Non sparirà mai! Tutto resta, e tutto passa alle generazioni  future.”

In questi giorni nei quali viviamo il dramma dei profughi dell’Afganistan questo è un romanzo  che  ci aiuta a comprendere pezzi fondamentali  di quel puzzle che è il mondo di oggi.

Golnaz Hasshemzadeh Bonde è nata in Iran nel 1983 ed è fuggita in Svezia con i genitori quando era ancora bambina. Alla Stockolm School of Economics è stata la prima donna di seconda generazione a dirigere il comitato studentesco e ha fondato la Inkludera Invest, un’organizzazione no profit che si batte per sconfiggere l’emarginazione. “ Un popolo di roccia e di vento”  è il suo secondo romanzo, in corso di pubblicazione in 25 paesi.