GREEN PASS

GREEN PASS, DI MEGLIO: NOTA DEL MINISTERO SMENTITA ANCHE DAL GOVERNO 

“Errare è umano, perseverare è diabolico. Un proverbio che, evidentemente, è ben conosciuto al Ministero dell’istruzione. Dopo la nostra levata di scudi contro l’illegittimità della nota emanata il 17 dicembre, che estende l’obbligo vaccinale al personale assente per malattia o altri motivi, anche il Governo smentisce il provvedimento. Eppure, cocciutamente, viale Trastevere si ostina a non voler tornare sui suoi passi”. Ad affermarlo è Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, in merito alle disposizioni che inducono i dirigenti scolastici a effettuare il controllo del Green Pass nei confronti dei lavoratori assenti.

“Si tratta di un provvedimento fumoso e frammentario, – spiega Di Meglio – tirato fuori dal cilindro nello stesso giorno in cui la Presidenza del Consiglio dei ministri ha emanato disposizioni chiare e puntuali che precludono ai dirigenti scolastici di effettuare questi controlli nei confronti dei lavoratori che non si trovano attualmente in servizio. La situazione è paradossale e pone in evidenza l’inadeguatezza dell’intervento ‘interpretativo’ adottato dall’Amministrazione scolastica, che sta creando ulteriore ansia, incertezza e confusione, aggravando una situazione già di per sé drammatica”. 

“Invece di perseverare cocciutamente nell’errore, – afferma Di Meglio – sarebbe quanto meno opportuno che viale Trastevere intervenisse annullando la nota e sostituendola con un’altra che risulti conforme alla normativa vigente. Molti dirigenti scolastici, infatti, applicando le disposizioni ministeriali, hanno già avviato le procedure che potrebbero portare alla ingiusta sospensione di lavoratori assenti che risultano attualmente sprovvisti del Green Pass”, conclude il coordinatore nazionale.

OBBLIGO VACCINALE

OBBLIGO VACCINALE, LA NOTA DEL MIUR CREA SOLAMENTE CONFLITTI

La nota del Miur che estende l’obbligo vaccinale al personale assente per malattia o altri motivi è illegittima e crea confusione.

Le note ministeriali possono solo essere applicative delle leggi e non creare ulteriori gravosità per una categoria che si è sottoposta peraltro alla vaccinazione per oltre il 95%.  

Abbiamo l’impressione che tanto accanimento serva solo a generare una cortina fumogena per nascondere la mancata capacità di intervenire su spazi, organici e trasporti pubblici.

“Gli insegnanti meritano rispetto – sottolinea Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti – e non si accontentano delle citazioni del romanziere spagnolo José Ángel González Sainz o di Nicolais e Festinese, riportate in una nota che finirà per accrescere solo il contenzioso tra personale scolastico e dirigente. Il Miur, in quel documento, interpreta in modo  singolare il criterio per individuare  ‘personale in servizio’, ritenendolo tale anche se di fatto è assente per legittimi motivi, contraddicendo la propria precedente circolare del 7 dicembre scorso”.

La nota interpreta infatti poeticamente il Decreto legge che, all’articolo 2, comma 2  afferma che “la vaccinazione costituisce requisito indispensabile per l’attività lavorativa” è quindi ovviamente inapplicabile a chiunque non svolga per  legittimo impedimento l’attività lavorativa.

Il poetico funzionario dimentica poi che l’aspettativa per “infermità” cui fa riferimento non esiste più nel contratto della scuola dal lontano 1995. Da quel momento è divenuta infatti assenza per malattia.

La parola infermità – conclude il coordinatore nazionale di Gilda – nel vocabolario ha un significato molto diverso da quello che vuole intendere il Miur e non è un termine giuridico.   

Nel nostro sistema giuridico non esiste un’assenza per infermità che non sia la malattia prevista dal Ccnl.

Ma se per assurdo esistesse una tale differenza, si dimentica comunque che il datore di lavoro può conoscere solo la prognosi e non la diagnosi, essendo impossibilitato quindi a distinguere tra un tipo di malattia e l’altra. 

E’ opportuno quindi che si “chiariscano” subito gli errori della “nota di chiarimenti”.

Green pass per studenti discriminatorio

Covid: Cgil e Flc, green pass per studenti discriminatorio, con mantenimento misure di sicurezza non saremmo a questo punto


Roma, 20 dicembre – “La Cgil sostiene la necessità dell’obbligo vaccinale, mentre crediamo che rendere obbligatorio il green pass agli studenti per l’ingresso in classe introdurrebbe una grave discriminazione. La scuola è un diritto di tutti. Si abbia il coraggio di fare le scelte vere e non si scarichi sulle ragazze e i ragazzi, le bambine e i bambini questa mancanza dello Stato”. Così la segretaria confederale nazionale della Cgil Rossana Dettori e il segretario generale della Flc Cgil Francesco Sinopoli commentano l’appello partito da Matteo Ricci, presidente nazionale Ali-Autonomie Locali Italiane e Sindaco di Pesaro.


Per i dirigenti sindacali “è sbagliato continuare a procede per singole categorie”. “Piuttosto – proseguono – molti amministratori degli enti locali, anziché scaricare sulle scuole e sulle famiglie responsabilità che spetterebbero a loro, dovrebbero adempiere o portare a termine obblighi di loro competenza”. 

“Avevamo detto con chiarezza durante il confronto sul protocollo per la sicurezza – sottolineano Dettori e Sinopoli – che sarebbe stato necessario mantenere il distanziamento e garantire la possibilità di sdoppiare le classi. Era del tutto chiaro che si rischiavano nuove varianti. Il distanziamento nei fatti è stato eliminato, e gli organici per affrontare l’emergenza tagliati. Dove sono stati questi amministratori fino ad oggi? Perché non si sono spesi nei confronti del Governo?”

“Gli amministratori – aggiungono – avrebbero dovuto impegnarsi nella ricerca di locali più idonei a garantire il distanziamento, nel potenziamento degli impianti di areazione e purificazione delle aule, e nel rafforzamento dei trasporti pubblici”.


“Ci aspettiamo una posizione chiara da parte del Governo. Non si può lasciare che questa situazione sfugga di mano”, concludono la segretaria confederale della Cgil e il segretario generale della Flc Cgil. “Si proceda con l’obbligo vaccinale e si ripristinino tutte le misure necessarie a contenere la diffusione del virus”.

I test INVALSI

I test Invalsi
Dibattito nell’era del complottismo

di Francesco Scoppetta

«Gli uccelli non sono reali, ma droni spia» recitano enormi cartelloni pubblicitari apparsi di recente a Pittsburgh, Memphis e Los Angeles. In realtà Birds Aren’t Real è nato come presa in giro dei veri complottisti. E’ stato ideato come parodia della disinformazione, anche se con un effetto paradossale il movimento sta guadagnando seguaci che credono realmente nel suo ironico e folle manifesto.

Essendo mia intenzione di parlare delle prove Invalsi nella scuola, questa premessa sul “complottismo” mi appare necessaria così come un’altra che è la seguente. Il meglio è nemico del bene, in Italia più che altrove. Talvolta nella vita quotidiana abbiamo necessità di essere pragmatici più che “scientifici” per soddisfare esigenze urgenti. Per esempio ho bisogno di sapere i mq della mia abitazione e non ho sotto mano la planimetria. Posso ricorrere a misurazioni con mezzi di fortuna sapendo che alla fine comunque non sarò molto lontano dai valori totali che rinvenirò sull’estratto catastale.

Come molti altri paesi europei, anche l’Italia è dotata di un programma di valutazione esterna del sistema scolastico a cura dell’Invalsi (D. L. n. 258 del 20 luglio 1999) che annualmente, attraverso la somministrazione di prove cognitive standardizzate (Rilevazioni nazionali), si propone di misurare gli apprendimenti di tutti gli studenti italiani e, quindi, di fornire informazioni utili per la valutazione del sistema educativo a livello nazionale e per l’autovalutazione alle singole istituzioni scolastiche. Queste valutazioni non si pongono in antitesi con la valutazione formativa e sommativa che gli insegnanti realizzano all’interno delle scuole, ma vogliono solo rappresentare un utile punto di riferimento esterno per integrare gli elementi di valutazione attualmente esistenti. Nonostante i limiti insiti nelle prove standardizzate, queste soltanto possono garantire, in maniera pragmatica e concreta, la comparabilità dei risultati conseguiti dagli alunni e dalle scuole (https://rivistedigitali.erickson.it ).

Marco Magni non ha dubbi e ha spiegato lo scenario in questo modo (da Micromega):

Le metodologie dell’Invalsi (e i loro precedenti anglosassoni) saranno ricordate, in futuro, nel novero delle aberrazioni storiche come i test QI per individuare le “tare” o selezionare gli immigrati, i voti dati alla maniera sessantottina dal collettivo di classe, le macchine per istruire del comportamentista Skinner, ed altre bizzarrie che la storia ha sfornato nel campo dell’educazione (Scuola, abbiamo le prove: Invalsi è contro la scienza, 18/2/2015).

Mentre nelle industrie vi è una divisione del lavoro… nella scuola ogni insegnante opera nel curare una parte dell’istruzione degli allievi, cooperando e mediando solo ex-post con gli altri…Allora perché assimilare la scuola ad un’impresa divisa in reparti distinti di un identico processo di lavorazione? Il reale significato dell’istituire artificialmente un’omologia tra la scuola e l’azienda sta nell’idea che entrambe debbano essere in concorrenza su un mercato, e migliorare se stesse attraverso la competizione… La concorrenza tra scuole determina solamente l’ampliamento delle diseguaglianze tra scuole socialmente favorite e scuole socialmente svantaggiate. La “valutazione di sistema”, legata alla pratica “meritocratica” di distribuire il salario accessorio in forma “premiale”, e di assegnare quote dei fondi pubblici alle scuole a seconda della loro posizione in graduatoria, ha l’evidente segno di indebolire i diritti collettivi del lavoro…la demolizione dello status professionale dei docenti conduce ad una loro marginalizzazione e perdita di autonomia ed all’esaltazione delle posizioni gerarchiche del capo d’istituto…

Sono affermazioni queste che vengono da un pensiero molto ideologico che ha ormai un unico nemico individuato in ogni campo nella cd dottrina neoliberista. L’ideologia è non accettare il dibattito pubblico sulle proprie opinioni personali o non accettare di sottoporre le proprie opinioni personali al dibattito pubblico.

Continuando a leggere il saggio succede però che ad un certo punto Magni si addolcisca: “pur ammettendo che i test offrano delle indicazioni attendibili dei risultati in termini di acquisizioni di competenze o abilità (e ciò, relativamente ai grandi numeri, è senza dubbio vero, proprio in ragione della “legge dei grandi numeri”), nulla possono dire sulle cause delle differenze di rendimento tra aree geografiche diverse o tra scuole diverse. Non possono, perché è semplicemente impossibile farlo.”

Sintetizziamo:  “relativamente ai grandi numeri è senza dubbio vero che i test offrano delle indicazioni attendibili”. Che poi è tutto quello che pragmaticamente ci serve.

Nonostante le varie critiche (pareri più che un pensiero) avanzate nel corso degli anni alle prove Invalsi, dall’analisi delle risposte degli insegnanti ad un questionario autosomministrato è emerso un quadro complessivo abbastanza incoraggiante, pur nei limiti metodologici del questionario.Una delle critiche più frequentemente rivolte alle prove Invalsi è quella relativa alla coerenza tra le domande proposte, le Indicazioni Nazionali per il curricolo e le effettive conoscenze degli alunni: la maggioranza dei docenti coinvolti crede che ci sia congruenza tra le prove Invalsi e le indicazioni curricolari ma, anche se ritiene gli argomenti proposti nei diversi ambiti delle prove coerenti con quanto studiato durante l’anno, sostiene che esse siano piuttosto “difficili” rispetto alle conoscenze e alle abilità che gli alunni realmente acquisiscono.

Riassumiamo adesso le critiche principali alle prove Invalsi formulate dai docenti. Non ci occupiamo dell’inaffidabilità (checking) dei risultati per mancato controllo perché a monte c’è sempre la scelta del docente, o controlla seriamente oppure consente che gli alunni collaborino.

1. Il problema di questo tipo di test è sapere cosa esattamente misurano. Controllano il grado di apprendimento di quello che è stato insegnato o la prontezza nelle risposte ed altre

abilità?

2. Se diventa cruciale “far bella figura” ai test, siamo di fronte al classico caso di una” misura” che perturba la cosa da misurare. Nei programmi e nel metodo di insegnamento, ed è la critica più seria (vedi G. Israel “Il bluff della matematica finlandese”).

3. L’interpretazione delle prove dipenderà da quello che cerchiamo. Supponiamo che dopo una attenta analisi si scopra (sorprendentemente?) che gli studenti delle classi “pollaio” imparano meno e peggio di quelle con 20 studenti, che la presenza di alunni che non parlano l’italiano rende problematica la didattica e il completamento dei programmi. Che chi frequenta scuole moderne con laboratori ha, in media, miglior profitto di quelli che vanno in scuole fatiscenti. Che un insegnante laureato in lingue straniere insegna meglio l’inglese alle elementari rispetto ad una maestra che ha seguito un corso. Il Ministero correrà ai ripari assumendo insegnanti, prevedendo sostegno didattico e linguistico dove necessario ed adeguando il patrimonio edilizio?

4. Se invece pretendiamo che le prove siano anche un test sugli insegnanti, sulle classi e sul singolo istituto scolastico (a questo punto però i test dovrebbero forse essere somministrati da personale Invalsi) leggeremo i risultati come classifiche. Dopo di che, cosa succede? Aiuteremo finanziariamente le scuole deboli per portarle a livello delle altre o quelle forti per premiarle? Pagheremo di meno (meno di adesso?) gli insegnanti con punteggi mediocri (siamo sicuri che dipende dagli insegnanti?) oppure di più quelli “bravi”? Ha senso assimilare una scuola ad una azienda? Per scuole primarie, medie e superiori, in realtà manca la libertà di scelta. In molte città, nemmeno piccole, c’è un solo Liceo Scientifico, per esempio. E la scelta delle scuole elementari dipende largamente dalla disponibilità di tempo del genitore. Tutte le scuole dovrebbero soddisfare certi livelli, così come tutti i Pronto Soccorso devono possibilmente salvare vite. Non sono libero, in generale, di scegliere l’ospedale, come da un punto di vista pratico, non sono libero di scegliere tra due licei concorrenti (che spesso nemmeno esistono). Ed infine, anche se la trasparenza fosse perfetta e la classifica veritiera, cosa succederebbe? Una scuola scadente vuota ed una ottima strapiena? Facciamo ampliamenti? O un sorteggio? O rendiamo buona anche la scuola scadente? (Enea Berardi, Italians, Le critiche principali ai test Invalsi, 22/5/2014)

Leggendo queste critiche che certamente non sono ideologiche ma di tipo pratico la conclusione alla quale si perviene è che forse allora sia preferibile lasciare le cose come stanno. Per evitare la scuola-azienda, una carriera dei docenti con stipendi differenziati, la concorrenza tra istituti e tra docenti, meglio tenerci la scuola com’è, dove in nome della libertà d’insegnamento ciascun docente insegna come e quanto vuole, senza dover rendere conto a nessuno, sia esso il Ministro, il dirigente, il genitore, il collega.

“Io sono un autarchico” sembra essere il motto dei docenti italiani, i quali, forse (ma indagini demoscopiche dicono non sia più così) si accontentano di uno stipendio misero purchè si lasci loro la libertà di insegnare e di voto, evitando finanche il coordinamento collegiale e la valutazione degli apprendimenti. Ha scritto Nuccio Ordine “la buona scuola l’hanno fatta e la faranno solo i buoni insegnanti. Non le piattaforme digitali o i computer. Punto”. Dopo aver vinto il Nobel Albert Camus inviò a caldo una commovente lettera di ringraziamento al suo insegnante delle scuole elementari di Algeri, Louis Germain: «Quando mi è giunta la notizia il mio primo pensiero, dopo che per mia madre, è stato per lei. Senza di lei, senza quella mano affettuosa che lei tese a quel bambino povero che io ero, senza il suo insegnamento e il suo esempio, non ci sarebbe stato nulla di tutto questo». Ecco, chi sono i buoni insegnanti ognuno di noi lo sa come Camus, soltanto in Italia alcuni vogliono convincerci con acute dimostrazioni scientifiche che sia impossibile individuarli come fosse un altro dei problemi matematici irrisolti. Magari con l’intelligenza artificiale, chissà.

Ma poi il problema, dal mio punto di vista, non è neppure fare la classifica dei docenti, stabilire chi sia il più bravo in ogni scuola, o dell’istituto, per determinare la scuola migliore. Il problema che uno Stato dovrebbe porsi è forse quello di intervenire in modo concreto se un docente o una scuola non funzionano. Cosa intendo per docente che non funziona? E’ il docente che non insegna nulla ma alla fine a tutti gli allievi mette solo voti positivi. In questo modo evita che gli stakeholders siano insoddisfatti anche se non ha prodotto nessun apprendimento. Al contrario, un prof severo creerà qualche malcontento ma anche apprendimenti. Tra questi due estremi si situano tutte le figure degli insegnanti le quali non si possono valutare se la scuola o il sistema non prendono in considerazione appunto gli apprendimenti essenziali, oltre e al di là dei voti sommativi che ciascun docente attribuisce a suo giudizio con l’approvazione formale del consiglio di classe. E ancora, se in una scuola con 20 o 100 docenti nessun studente vuole avere come insegnante il terribile prof. Tizio, cosa si fa in pratica? Lo imponiamo a qualcuno, come sono costretti a fare tutti i dirigenti, perché tutti i docenti sono formalmente eguali e qualche classe a Tizio comunque la si deve assegnare? Lo stesso discorso vale per i dirigenti nel momento in cui il personale, alunni o genitori chiedono che venga sostituito per qualche ragione. Insomma, ripristinare la normalità, garantire un clima sereno in ogni classe e scuola dell’intera penisola, è un compito che il Ministero dell’Istruzione deve adempiere oppure “estad todos caballeros” alla Carlo V? Non solo non si devono valutare docenti e dirigenti ma neppure, attraverso le prove Invalsi, si possono comparare i risultati di due scuole affini, mettiamo una scuola media di Bergamo e una di Brescia perché “i testi Invalsi, dal punto di vista scientifico, nel campo delle scienze dell’educazione, è ciò che Lysenko è stato in biologia, Di Bella in medicina, Moniz (l’inventore della lobotomia) in psichiatria”?

Come ha ben spiegato Fabio Paglieri (Chi ha paura della standardizzazione? Il Mulino, 24/6/2021)  “nell’opporsi alla misurazione a livello nazionale delle competenze degli studenti, si possono scegliere tre diversi campi di battaglia: 1. rifiutare tout court la logica della misurazione universale e uniforme, contestandone i presupposti di fondo; 2. preoccuparsi delle conseguenze di tale misurazione, sostenendo che i rischi sarebbero superiori ai benefici; 3. criticare la bontà degli specifici strumenti di misurazione proposti, mostrandone in modo analitico difetti e ambiguità. Spesso chi contesta le prove Invalsi si concentra sulla prima dimensione: si sostiene cioè che l’idea stessa di misurare con metodi uniformi le competenze degli studenti sia esecrabile, inattuabile, o entrambe le cose”.

Alcune valutazioni dei docenti sulle prove Invalsi che adesso riporterò sono significative perchè riassumono le critiche:

(Laura, Salerno, insegna Lettere alle scuole medie) …le prove Invalsi sono per me una perdita di tempo perché può capitare che, quel giorno, un ragazzo preparato e studioso possa sbagliare diverse risposte preso magari dall’ansia o da una giornata particolarmente negativa, di contro, un ragazzo non proprio eccellente possa avere avuto la fortuna di segnare molte risposte esatte!

(Anna, Bologna, insegna Matematica e Scienze alle elementari) I test Invalsi non forniscono valutazioni oggettive sulla qualità dell’insegnamento e in particolare sulla preparazione degli alunni, perchè non corrispondono ai programmi che ogni singolo docente, grazie all’autonomia e alla libertà di insegnamento, svolge nella propria classe.(Controcampus.it)

Innanzitutto la critica viene fatta all’uso di prove identiche per persone diverse, che minaccerebbe la valorizzazione delle differenze individuali; e poi l’ostilità alla centralizzazione della valutazione nasce perché essa viene tolta agli insegnanti in favore di un soggetto terzo (l’Invalsi), segnalando sfiducia e scarso rispetto per i lavoratori della scuola. “Si tratta di preoccupazioni legittime, che tuttavia nascono da un equivoco: l’idea che la misurazione fatta con prove standardizzate e la valutazione effettuata dagli insegnanti servano ai medesimi fini. Non è così, e neppure deve esserlo: al contrario, è essenziale che questi due momenti rimangano distinti, e proprio per questo le prove Invalsi (o test analoghi) devono svolgersi in autonomia rispetto all’operato dei docenti”.

Torna sempre la differenza tra valutazione e misurazione che molti docenti sembrano ignorare sulla base dell’ “ho sempre fatto così” (la famosa media finale aritmetica dei voti identifica la valutazione solo con i personali strumenti attraverso i quali gli insegnanti hanno misurato le competenze acquisite). La prima prevede un giudizio di valore, sensibile al contesto e alle differenze individuali; la seconda si limita a registrare fatti e tratti oggettivi, per quanto possibile, lasciando ad altri il compito di valutarli. La differenza che c’è tra la diagnosi del medico e la febbre o la pressione misurata al paziente. Le prove Invalsi si occupano di misurare le competenze, mentre ai docenti spetta valutare gli studenti. Ogni bravo insegnante sa benissimo che valutare lo studente non è il fine dell’attività educativa, bensì uno strumento. Il voto e il giudizio sono utili per aiutare lo studente a far meglio riconoscendone i risultati, spronandolo sulle aree di difficoltà, agendo sempre sull’autostima ed i margini di miglioramento. Tu sei qui, ti aiuto ad arrivare lì perché ce la puoi fare. Questa valutazione non serve a certificare l’oggettività, bensì a sviluppare la soggettività, giacché il miglioramento dell’individuo si misura rispetto alla sua condizione di partenza. Al docente spetta questa valutazione di tipo maieutico e portata avanti con metodo dialogico, senza alcuna pretesa universalistica.

Al contrario le prove come i test Invalsi servono a valutare le competenze in un’ottica certificatoria, volta cioè a misurare qualcosa di oggettivo, senza che questo necessariamente comporti un giudizio di valore (positivo o negativo) sul percorso educativo del soggetto.

«E allora per cosa la facciamo a fare?» è la domanda finale. La risposta è: per ottenere informazioni ogni anno sulle effettive competenze maturate, oltre a quelle che deduciamo attraverso gli esami.

Infine, molti critici delle prove Invalsi si limitano a parlarne in generale senza che venga illustrato neppure un singolo esercizio, anche solo a titolo di esempio, facendo sorgere il sospetto che neppure si è perso tempo per dargli uno sguardo. A questo proposito un docente, Mario Fillioley (Linkiesta, 10/12/21) ha spiegato molto bene quel che succede con le prove di italiano; “…io non faccio altro che dire loro: non leggete solo le domande, leggete prima tutto il testo, mi raccomando, altrimenti poi sbagliate le risposte. E come predicare nel deserto: il foglio col testo integrale non viene nemmeno preso in considerazione (di solito è il primo del malloppo), subito girano pagina e vanno a leggere le domande: i ragazzi credono che così facendo vanno “subito al sodo”, cioè che così facendo daranno subito sia a me sia al test quello che vogliamo da loro”.

In effetti le Invalsi sono più una misurazione che un test. Al contrario, sono pensate per essere una partita secca, una finalissima: hai studiato per tre anni una serie di cose? Adesso ti proponiamo un problema preso dal mondo reale (materiale autentico, un grafico, una piantina stradale, una piccola comparazione di dati o percentuali presa da un giornale) e vediamo se riesci a capire come potrebbe essere risolto, oppure se riesci a decodificare (dopo tre anni di letture di antologia ed esercizi di grammatica) il messaggio o l’informazione contenuti in questo testo che ti chiediamo di leggere.

Per fare l’Invalsi serve solo andare a scuola e provare a leggere, ragionare, usare le cose che mano a mano si vanno imparando, perché in pratica lo scopo dell’Invalsi sarebbe proprio questo, cioè capire se questi tre anni sono serviti a qualcosa, e, in caso di risposta affermativa, misurare quanto sono serviti: poco? Abbastanza? Molto? Solo che c’è chi queste misurazioni le ritiene pericolose. I No Test.

Un’altra Chiesa!

Un’altra Chiesa!

di Maurizio Tiriticco

Leggo che Papa Francesco ha assunto una interessante ed importante posizione circa la questione educativa. Concretamente l’impegno che il Papa persegue si declina in diversi punti: a) prima di tutto, mettere al centro di ogni processo educativo la persona e la sua dignità e capacità di essere in relazione con gli altri; b) in secondo luogo, ascoltare la voce dei bambini e dei giovani per costruire insieme un futuro di giustizia e di pace; 3) favorire la partecipazione di bambine e ragazze all’istruzione; 4) vedere nella famiglia il primo e indispensabile soggetto educatore; 5) educazione all’accoglienza verso gli emarginati; 6) impegno a trovare altri modi per intendere economica, politica e progresso, affinché siano a servizio della famiglia umana nella prospettiva di un’ecologia integrale; 7) coltivare la casa comune con stili più sobri secondo principi di sussidiarietà, solidarietà e economia circolare. Il punto di riferimento di questo progetto educativo è la dottrina sociale ispirata agli insegnamenti della Rivelazione e all’Umanesimo cristiano, che si offre come solida base per trovare strade da percorrere nell’attuale situazione di emergenza. Bisogna, poi, assicurare a tutti l’accesso a un’educazione di qualità.

Fin qui l’appello del Papa. E come non essere d’accordo? Io, da sempre convintamente laico, non ho mai negato che nelle Parole del Vangelo ed in tutto l’Umanesimo, cristiano nonché laico, possiamo sempre ritrovare le fondamenta di una convivenza solidale e produttiva tra tutti gli uomini e le donne di un pianeta, oggi particolarmente minacciato da una terribile pandemia e dalle preoccupanti tensioni politiche e militari che funestano in primo luogo l’Europa Orientale. In verità ho sempre avvertito che un Papa che ha scelto di chiamarsi Francesco sarebbe stato un Papa molto diverso dai precedenti. Ma vi siete mai chiesti perché nessun Papa ha mai assunto il nome di Francesco?

Un pizzico di storia. Francesco, il Poverello di Assisi – siamo nel 1200 – decise di dare una regola di condotta al suo primo gruppo di confratelli, e la dettò a Frate Leone. Volle che la scrittura fosse “chiarissima ed umile” perché rispecchiasse fedelmente l’impegno di fede, di carità e di fratellanza che il gruppo dei fratelli intendeva adottare come condotta. Finito il testo, i Fratelli partirono per Roma e arrivarono da Papa Innocenzo III. Il Papa diede udienza ai Poverelli e Francesco lesse al Papa la loro regola. Ecco il testo: “Noi seguaci di Sorella Povertà, detti Frati Minori, ci siamo riuniti per vivere in assoluta obbedienza l’uno all’altro,per seguire il Signore nella sua Povertà. Chiunque darà ai poveri ciò che possiede sarà accolto da noi con grande gioia e amore. Ci vestiremo come i poveri con misere vesti fatte da stracci, ma benedette dal buon Dio. Nessun Fratellopossiederà beni terreni. Lavoreremo e chi di noi non lavorerà non mangerà. Elemosineremo il cibo in porta in porta e saremo felici in compagnia del povero, del malato, del lebbroso e di tutti coloro che sono disprezzati”.

E viene da chiedersi: avrebbe mai potuto una Chiesa Costantiniana in tutta la sua lunga storia essere la Chiesa vagheggiata dal Poverello di Assisi? Impegnata per lunghi secoli in quel lancinante duello contro il cosiddetto Potere temporale? Quando, lo stesso Potere spirituale, in effetti, di spirituale aveva ben poco? La teoria dei Due Soli – il riferimento è a Dante – è chiaramente indicativa che si trattava di due potenze in eterno conflitto: e che il conflitto era assolutamente politico.

Ma veniamo a noi. Su “la Repubblica” di oggi, 19dicembre 2021, Eugenio Scalfari in un articolo intitolato “Una Chiesa moderna in cammino” scrive tra l’altro: “Un non credente quale io sono è molto interessato alla storia della Chiesa che cominciò da quando Paolo cadde da cavallo quando andava da Gerusalemme a Damasco. Svenne, si risvegliò – come lui racconta in alcune sue lettere – quando un angelo lo sollevò da terra ed entrò nell’anima e la trasformò. Paolo si considerò uno degli Apostoli di Gesù. Gli apostoli erano tredici, uno dei quali però tradì Gesù e lo denunciò alle autorità del Tempio di Gerusalemme, dalle quali fu anche pagato per questa sua confessione. Quando Gesù fu poi crocifisso, l’apostolo traditore che si chiamava Giuda si impiccò. Paolo, il cui nome ebraico era Saul, si considerò comunque un Apostolo e in realtà divenne una delle figure più importanti del nascente cristianesimo che allora era una delle tante comunità ebraiche che praticavano ognuna a suo modo la religione diretta dai sacerdoti del Tempio. Strano a dirsi, ma in realtà il primo a considerare l’insegnamento di Gesù, la sua predicazione durata tre anni ed infine il suo arrivo a Gerusalemme, l’Ultima Cena e la Crocifissione fu Paolo”.

E Scalfari così conclude: “Adesso siamo ad una necessità di modernizzare la Chiesa, adeguandola alla società che compone il mondo ed ha le sue proprie religioni, alcune monoteistiche, ma con un Dio proprio, che non è quello della Bibbia e soprattutto quello raccontato dai Vangeli. Il Papa che abbiamo oggi… afferma costantemente che il Dio creatore è unico in tutto il mondo. Non può esistere un Dio di proprietà di un solo popolo. Storicamente queste situazioni si verificano in molti Paesi, ma Papa Francescodice il vero per chi crede in un Dio: quel Dio è uno solo; l’epoca degli dei è ormai di duemila anni fa ed ha perso ogni senso”.

Ed allora è chiaro perché l’attuale Papa, tra i tanti che si sono susseguiti, è stato il primo a volersi chiamare Francesco: un nome di battaglia, per restituire alla Chiesa di Cristo il compito che Cristo, Paolo e Pietro le hanno affidato: la cura delle anime. E’ una sfida che Papa Francesco ha lanciato ad una Chiesa e con una Chiesa che sta profondamente rinnovando. E’ un compito immane che tutti i laici devono sostenere.

Il diritto all’istruzione non può essere violato mai, neppure per motivi di bilancio

da Il Sole 24 Ore

Il Tar Firenze contraddice un preside e fa chiarezza sul numero di studenti che devono formare una classe e sull’inclusione di alunni diversamente abili

di Pietro Alessio Palumbo

La Costituzione stabilisce l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione per almeno 10 anni e per quanto riguarda la fascia compresa tra i 6 ed i 16 anni, assicurando in tal modo quel grado minimo di formazione socialmente necessario ed assolutamente inderogabile. L’obbligatorietà e la gratuità è stata sancita anche dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Nella vicenda affrontata dal Tar Firenze con la sentenza 1537/2021 un liceo aveva ricevuto 34 richieste d’iscrizione alle classi prime; tra queste quelle di due disabili. Il dirigente scolastico aveva formato una sola classe con 27 alunni nonostante nella provincia non vi fossero altri licei.

Prime classi e alunni disabili

Il Tribunale amministrativo toscano ha chiarito che le classi iniziali delle scuole e degli istituti di ogni ordine e grado, ivi comprese le sezioni di scuola dell’infanzia che accolgono alunni con disabilità vanno costituite di norma con non più di 20 alunni; purché sia esplicitata e motivata la necessità di tale consistenza numerica in rapporto alle esigenze formative degli alunni disabili; e purché il progetto di integrazione definisca espressamente le strategie e le metodologie adottate dai docenti della classe, dall’insegnante di sostegno, e dall’altro personale operante nella scuola.

La deroga possibile

È possibile una deroga ampliativa in misura non superiore al 10% al numero massimo di alunni; per cui le classi iniziali di una scuola se uno degli alunni è disabile non possono essere formate da più di 20 ovvero 22 alunni. Illegittima quindi la scelta del dirigente scolastico coinvolto nella vicenda. E ciò anche perché – ha accentato il Tar – il diritto all’inclusione scolastica non può essere violato dall’amministrazione scolastica in nessuno caso; neppure per motivi di vincolo di bilancio. A nulla valendo una giustificazione fondata sulla mancata autorizzazione da parte dell’Ufficio scolastico territoriale o sull’organico di fatto.

Obbligo vaccinale: esteso anche a personale scuola assente per legittimi motivi. Le eccezioni e il caso malattia

da OrizzonteScuola

Di redazione

Obbligo vaccinale per il personale scolastico: il Ministero, con una nota in cui esprime dei PARERI su alcuni aspetti del DL 172/2021 introduce degli elementi di novità rispetto alla precedente nota del 7 dicembre 2021. Il caso del personale coinvolto e il caso della “malattia”.

Obbligo vaccinale a scuola dal 15 dicembre 2021

Riguarda il personale scolastico

  • del sistema nazionale di istruzione (quindi scuole statali e paritarie)
  • delle scuole non paritarie
  • dei servizi educativi per l’infanzia di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65
  • dei centri provinciali per l’istruzione degli adulti (CPIA)
  • dei sistemi regionali di istruzione e formazione professionale (IeFP)
  • dei sistemi regionali che realizzano i percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore (ITS)

DECRETO LEGGE IN GAZZETTA UFFICIALE [PDF]

E’ stato introdotto a partire dal 15 dicembre 2021 dal decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 che ha modificato l’art. 4 del decreto-legge 1 aprile 2021, n. 44.

L’obbligo vaccinale riguarda – lo ricordiamo – sia il ciclo vaccinale primario sia la cosiddetta “dose di richiamo”“da adempiersi […] entro i termini di validità delle certificazioni verdi COVID-19 previsti dall’articolo 9, comma 3, del decreto-legge n. 52 del 2021″

L’intervallo temporale minimo fra il completamento del ciclo vaccinale primario e quella booster è ora di cinque mesi (150 giorni).

Attualmente il DL 172/2021 è in fase di discussione in Parlamento, pertanto saranno presentati degli emendamenti, ci sarà un vaglio in merito e il contenuto finale del testo tradotto in Legge potrebbe essere diverso.

Nel frattempo però il DL esplica i suoi effetti e infatti già dalla giornata del 15 dicembre il personale inadempiente nei confronti dell’obbligo ha ricevuto da parte del Dirigente Scolastico l’invito a chiarire la propria posizione.

Il DL 172/2021 all’art. 2 comma 2 (versione attualmente in vigore) afferma

La vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle attivita’ lavorative dei soggetti obbligati ai sensi del comma 1

Tale precisazione era stata ripresa dal Ministero nei suggerimenti operativi trasmessi alle scuole con la nota del 7 dicembre 2021, laddove  scriveva  “In sintesi, dal prossimo 15 dicembre 2021, per svolgere l’attività lavorativa, il personale scolastico deve essere dotato di certificazione verde “rafforzata” (vaccinazione e guarigione). La somministrazione della dose di richiamo potrà essere effettuata non prima di cinque mesi dal completamento del ciclo vaccinale primario e non oltre il termine di validità della certificazione verde COVID-19, ora pari a nove mesi.

E, sempre nella stessa nota, ad ulteriore chiarimento ” dal prossimo 15 dicembre, la vaccinazione costituisce requisito essenziale ed obbligatorio per lo svolgimento dell’attività lavorativa di dirigenti scolastici, docenti e personale ATA delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e del personale delle ulteriori tipologie di servizi scolastici e formativi sopra richiamati. L’obbligo si applica al personale a tempo determinato e indeterminato.

Personale escluso dall’obbligo vaccinale

Sempre nella nota del 7 dicembre il Ministero scriveva

Pare dunque possa ritenersi escluso dall’obbligo vaccinale introdotto dal decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172, il personale scolastico il cui rapporto di lavoro risulti sospeso, come nel caso di collocamento fuori ruolo, aspettativa a qualunque titolo, congedo per maternità o parentale

L’aver fornito un elenco dettagliato, introdotto dal “pare dunque…”, ha subito suscitato qualche perplessità tra i Dirigenti Scolastici obbligati a dover mettere in atto la procedura richiesta dal DL. Da un lato infatti si parlava di “personale sospeso”, dall’altra si faceva riferimento solo ad alcune legittime assenze, tralasciandone altre altrettanto legittime.

Ma a scatenare un piccolo caso è stata la mancanza, tra questi esempi, del lavoratore in malattia. Scontato che il personale debba aver assolto all’obbligo al momento del rientro in servizio, il sindacato FLCGIL e il sindacato ANP hanno richiesto al Ministero espliciti chiarimenti su questo aspetto. Il dipendente in malattia è considerato tra il personale non soggetto – nel limite dell’assenza – all’obbligo vaccinale?

Anche la vicepresidente dell’ANDIS, Paola Bortolletto, intervenuta in un question time di Orizzonte Scuola sull’applicazione del DL, aveva posto questo passaggio come problematico per i Dirigenti Scolastici.

La circolare del 17 dicembre 2021. Pareri

Ed eccoci dunque alla circolare del 17 dicembre 2021 “Obbligo vaccinale del personale scolastico – Pareri”. 

In essa il Ministero scrive

“A partire dal 15 dicembre, l’obbligo vaccinale si applica a tutto il personale scolastico, incluso quello assente dal servizio per legittimi motivi, con la sola eccezione del personale indicato nella precedente propria nota 7 dicembre 2021, n. 1889/DPIT, il cui rapporto di lavoro risulti sospeso per

  • collocamento fuori ruolo
  • comando
  • aspettativa per motivi di famiglia
  • mandato amministrativo
  • infermità
  • congedo per maternità, paternità, per dottorato di ricerca
  • sospensione disciplinare e cautelare.”

Cade quindi l’assunto – ma pur sempre insito nell’attuale decreto – che l’obbligo sia conditio sine qua non per svolgere l’attività lavorativa e si sa dà il via libera ad una interpretazione avallata dai media secondo la quale la vaccinazione possa essere richiesta anche al personale in malattia, se la stessa non possa essere considerata infermità.

In merito il sindacato UIL ha richiesto ulteriori precisazioni sui due aspetti

” La UIL Scuola, facendo leva sulla norma primaria che non è suscettibile di modifiche da parte di note o atti secondari, ritiene inaccettabile che sia il Ministero a decidere quali siano le assenze che legittimano il non obbligo vaccinale, e quali invece vi rientrino, attraverso un elenco che è frutto di valutazione unilaterale e non supportato dalla norma che, invece, parla di intervento quando vi sia il casus (il servizio reso o da rendere).

A questo proposito, è lecito domandarsi, per esempio, perché un lavoratore assente per “dottorato di ricerca” debba ritenersi fuori dall’obbligo mentre chi è in “aspettativa per assegno di ricerca” invece no.

Oppure, mentre un lavoratore assente per “aspettativa per motivi di famiglia” rientra nelle eccezioni, un lavoratore assente per “anno sabbatico” o perché fruisce dell’aspettativa per svolgere un’”altra esperienza lavorativa” non vi rientra, solo perché tali assenze non sono ricomprese nell’elenco del Ministero.

E qui sorge un’altra domanda: nel momento in cui si fruisce legittimamente di una aspettativa non retribuita (es. anno sabbatico), ma non inclusa nell’elenco del Ministero, come andrà applicata la sospensione della retribuzione dal momento che il lavoratore già non percepisce stipendio?!

E ancora, come è possibile non includere nelle eccezioni il “congedo biennale per assistenza all’handicap” o le altre fattispecie previste dal testo Unico della maternità e paternità?

Infine, la questione della malattia: con il termine “infermità, che il Ministero include nelle eccezioni, ci pare che si voglia ancora di più confondere le idee invece che chiarirle. In più: è intuitivo pensare che una persona assente per malattia sia impossibilita a svolgere qualsiasi attività compresa la vaccinazione.

Tutto ciò appare, a nostro parere, come elemento di discriminazione e oltretutto illogico ed illegittimo, per cui riteniamo che la nota ministeriale crei solo una inaccettabile pressione psicologica su chi la deve applicare e soprattutto su chi la dovrebbe subire.

Per la UIL Scuola vale il contenuto dell’art. 2 comma 2 del DL 172/2021 in cui viene esplicitamente detto che “la vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative dei soggetti obbligati”.

Pertanto, per chi non è in servizio, a qualunque titolo, non c’è alcun obbligo immediato, ma mediato e subordinato all’attività lavorativa de facto.

Per tali motivi, riteniamo che la nota sia illegittima in quanto va oltre il dettato legislativo”.

N.B. La delicatezza della questione impone uno studio attento della normativa di riferimento, alla quale rimandiamo per qualsiasi decisione in merito.

Viola: “Serve l’obbligo vaccinale”

da La Tecnica della Scuola

Di Pasquale Almirante

L’immunologa dell’università di Padova, Antonella Viola, in un post nella sua bacheca Facebook scrive con molta chiarezza: “Alcune misure sono utili, altre sono solo una risposta dettata dal panico”.

Scrive infatti: “Ci sono misure che servono e altre che sono solo una risposta scomposta dettata dal panico. Tra queste ultime, la richiesta di un tampone a chi è vaccinato e rientra dai paesi europei, che mette in discussione l’Europa (come sottolineato da Macron) e la vaccinazione. O inserire di nuovo tamponi per i vaccinati per il cinema o il teatro (settori che hanno sofferto duramente e che non mi pare siano stati luoghi di contagio). 

Ricordiamo che: il virus probabilmente resterà con noi per anni;

che i vaccini stanno proteggendo dalla malattia severa (altrimenti oggi viaggeremmo sui 1000 morti al giorno) e che quindi contare i positivi è utile solo a fini epidemiologici e non dovrebbe essere una forma di comunicazione della paura. 

L’unica cosa seria da fare è inserire l’obbligo vaccinale. Il resto è solo confusione e stress inutile per i cittadini“.

Vincoli alla mobilità: siamo vicini alla decisione finale. La soluzione nelle prossime ore al Senato

da La Tecnica della Scuola

Sono ore decisive per la legge di bilancio e in particolare per le eventuali modifiche alle disposizioni che riguardano la scuola.
Di alcuni emendamenti abbiamo già scritto e sembra che ormai siano cosa fatta (aumento, peraltro modesto, del fondo per la valorizzazione della professionalità docente e proroga dei contratti covid anche per gli Ata).
Ma su altre questioni c’è ancora molta incertezza.
Da alcune ore sta circolando in rete la notizia di un emendamento per intervenire sui vincoli alla mobilità.
Si parla persino di una modifica inserita dal Governo nel maxi-emendamento da portare in aula e se ne riporta il testo:

All’articolo 399, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 3 è sostituito dal seguente:
”3. A decorrere dalle immissioni in ruolo disposte per l’anno scolastico 2022/2023, i docenti a qualunque titolo destinatari di nomina a tempo indeterminato possono chiedere il trasferimento, il passaggio di cattedra o di ruolo, l’assegnazione provvisoria o l’utilizzazione in altra istituzione scolastica a partire dall’anno successivo a quello di immissione in ruolo. Gli stessi docenti possono ricoprire incarichi di insegnamento a tempo determinato in altro ruolo o classe di concorso a partire dall’anno stesso di immissione in ruolo.”
b) il comma 3-bis è abrogato.»

In realtà, se si va a controllare negli atti ufficiale del Senato, si scopre che questo, per ora, è un emendamento proposto non dal Governo ma da 4 senatori del PD (Verducci, Marcucci, Rampi e Marilotti).
Quindi per ora non c’è nulla di sicuro.
Anzi, per la verità, c’è persino qualcuno – all’interno della stessa maggioranza di Governo – che sostiene che tutto questo pressing per ottenere questa modifica è piuttosto incomprensibile in quanto la mobilità è materia di contrattazione.
Che è come dire: se la vedano Ministro e sindacati al tavolo delle trattative.
Peccato però che il vincolo triennale sia espressamente previsto da una legge del dicembre 2019, controfirmata anche dall’allora ministro Lorenzo Fioramonti.
Ad ogni modo l’incertezza dovrebbe durare solo poche ore perché tra il pomeriggio di domenica e la giornata di lunedì la Commissione Bilancio dovrà chiudere il proprio lavoro e passare la parola all’aula.

Rischio scuole chiuse a gennaio, l’aumento del Covid preoccupa molto

da La Tecnica della Scuola

Di Lucio Ficara

I dati dell’aumento del Covid-19 degli ultimi giorni, insieme al timore della diffusione della variante omicron che corre al ritmo di un raddoppio dei casi ogni 48 ore, sono i principali motivi che stanno preoccupando il Governo Draghi tanto da pensare a non riaprire le scuole subito dopo la Befana.

Situazione contagi in Italia

Dopo le prime sospensioni di stipendio operate ai danni di docenti e personale Ata non vaccinati, che non hanno inteso mettersi in regola con la documentazione del vaccino, adesso il Governo Draghi dovrà fare i conti con la realtà dell’aumento di contagi che risulta essere piuttosto grave, forse ancora più grave del dato che ha fatto passare in zona gialla alcune regioni italiane.

Il problema dell’avanzata consistente dell’aumento dei contagi, probabilmente causata dall’insidiosa variante “omicron” ha costretto il premier Mario Draghi a istituire, per il prossimo 23 dicembre, una cabina di regia da lui presieduta e a convocare, subito dopo, un Consiglio dei ministri per valutare l’introduzione di nuove misure restrittive. Tutto questo per evitare l’aumento esponenziale dei contagi che, se continuassero in questo modo, supererebbero, già nella prima decade di gennaio 2022, i 60 mila casi di contagio al giorno.

Prima delle vacanze di Natale e della chiusura delle scuole, le regioni che saranno in zona gialla sono Veneto, Liguria, Marche e provincia di Trento che da lunedì 20 dicembre si andranno ad affiancare a Friuli Venezia Giulia, provincia autonoma di Bolzano e Calabria. In buona sostanza contiamo almeno 11 milioni gli italiani in zona gialla, un numero destinato a triplicare tra Natale e Capodanno. Esistono infatti tre mega-regioni che potrebbero lasciare la zona bianca ed entrare in zona gialla entro fine anno, sono Emilia-Romagna, Lombardia e Lazio, che insieme hanno circa 20 milioni di abitanti. A gennaio, continuando a crescere con questa rapidità i contagi da covid-19, ci potremmo trovare anche in una situazione di totale emergenza, con Regioni che si potrebbero trovere collocate in zona arancione e forse anche rossa.

Chiusura scuole in zone rosse

Si ricorda che per chiudere le scuole e mandare in DaD gli studenti, bisognerebbe trovarsi in situazioni di assoluta gravità emergenziale e solo in zone rosse. In buona sostanza il dl 111 del 6 agosto 2021, all’art.1 comma 4, prevedeva che fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, i Presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e i Sindaci possono derogare, per specifiche aree del territorio o per singoli istituti, alle disposizioni di cui al comma 1 (ovvero lo svolgimento delle attività didattiche in presenza) esclusivamente in zona rossa o arancione. Con la conversione in legge del dl 111/2021, ovvero con la legge 133 del 24 settembre 2021, la zona arancione è stata soppressa dal comma 4 dell’art.1.

Il Consiglio dei Ministri, nella seduta n. 51 del 14 dicembre 2021, ha approvato un decreto-legge che prevede la proroga dello stato di emergenza nazionale e delle misure per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 fino al 31 marzo 2022.

Per cui la sospensione delle attività didattiche e la conseguenziale attività a distanza per le scuole a partire dalla ripresa dopo le vacanze natalizie, potrà avvenire solamente in zone rosse, o negli Istituti in cui si registrano situazioni particolarmente gravi di aumento dei contagi, con decreto dei sindaci o dei Presidenti di Regione.

Se dopo la Befana i rilievi dei contagi saranno realmente raddoppiati, raggiungendo quota 60 mila e quindi ci troveremo in una mappa di colori delle regioni tendenti al rosso, allora la probabilità di riprendere le lezioni in DaD si farebbe più concreta nonostante tutti gli sforzi governativi di svolgere con massima priorità la didattica in presenza.

Nota 20 dicembre 2021, AOODGCASIS 4016

Ministero dell’Istruzione
Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali Direzione Generale per i sistemi informativi e la statistica

Ai Dirigenti scolastici delle istituzioni scolastiche statali e dei Cpia
Ai Coordinatori delle istituzioni scolastiche non statali
Ai Referenti Regionali e degli Ambiti Territoriali delle Rilevazioni sulle scuole
e p.c. Agli Uffici Scolastici per Ambito Territoriale e Direzioni Generali Regionali
Al Sovrintendente Scolastico per la Regione Valle d’Aosta
Al Sovrintendente Scolastico per la Provincia di Trento
Al Sovrintendente Scolastico per la scuola in lingua italiana di Bolzano
All’Intendente Scolastico per la scuola in lingua tedesca di Bolzano
All’Intendente Scolastico per la scuola delle località ladine di Bolzano

Oggetto: Rilevazione “Dati Generali” – A.S. 2021/2022 – Scuole statali e non statali e Cpia.

Nota 20 dicembre 2021, AOODPIT 1929

Ministero dell’Istruzione
Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione
Il Capo Dipartimento

Ai Dirigenti e ai Coordinatori didattici delle istituzioni scolastiche
del sistema nazionale di istruzione
e, p.c. Ai Direttori generali e Dirigenti titolari degli Uffici scolastici regionali
Al Sovrintendente Scolastico per la Scuola in lingua italiana di Bolzano
All’Intendente Scolastico per la Scuola in lingua tedesca di Bolzano
All’Intendente Scolastico per la Scuola delle località ladine di Bolzano
Al Dirigente del Dipartimento Istruzione della Provincia di Trento
Al Sovrintendente scolastico per la Regione Valle d’Aosta
Alle Organizzazioni sindacali area e comparto istruzione e ricerca

Oggetto: Obbligo vaccinale del personale scolastico – Specifica.

A specifica delle indicazioni fornite con nota di questo Dipartimento n. 1927 del 17 dicembre 2021 e al fine di rispondere agli ulteriori quesiti pervenuti, si ribadisce che il decreto legge 26 novembre 2021, n. 172, non prevede deroghe all’obbligo vaccinale per il personale scolastico e che, dunque, a prescindere dalla vicende contingenti che interessano i singoli rapporti di lavoro, la vaccinazione costituisce per tutto il personale della scuola, anche se assente dal servizio, re- quisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative.

In ragione di quanto sopra, le procedure di verifica dell’avvenuta vaccinazione potranno non essere avviate soltanto nei confronti di coloro che non svolgono la propria prestazione di lavoro presso le istituzioni scolastiche perché prestano servizio presso altra amministrazione o ente, op- pure perché fruiscono di aspettative o congedi che comportano l’astensione piena e continuativa dalle attività lavorative a scuola (per i motivi di assistenza e/o di cura familiare o per i motivi personali già richiamati nelle precedenti note di questo Dipartimento), oppure perché versano nelle condizioni di infermità, previste dalla normativa vigente e certificate dalle competenti autorità sanitarie, che determinano l’inidoneità temporanea o permanente al lavoro.

IL CAPO DIPARTIMENTO
Stefano Versari