Ipoacusia: l’assistenza resta un miraggio

Ipoacusia: l’assistenza resta un miraggio senza il decreto di aggiornamento dei nuovi Lea 
Il Sole 24 Ore del 26/07/2022

L’ipoacusia colpisce circa il 12% della popolazione italiana ed è distribuita, in larga maggioranza, tra gli anziani che, loro malgrado, possiedono uno scarso livello di autonomia. Il DPCM sui Nuovi LEA offre alle istituzioni l’occasione di migliorare le loro condizioni di salute e la loro qualità di vita. Tuttavia, l’attesa per l’aggiornamento del Nomenclatore Tariffario sembra essere ancora lontana, così come la garanzia all’assistenza cui i deboli d’udito avrebbero diritto.
Il DPCM sui nuovi LEA, pubblicato il 12 gennaio 2017, ormai più di cinque anni fa, è da tempo in attesa di un decreto di aggiornamento e di un altro che ne definisca le tariffe. Un processo tortuoso la cui conclusione permetterebbe finalmente l’accesso per oltre 7 milioni di soggetti ipoacusici in Italia ad un percorso assistenziale appropriato, oltre che a dispositivi tecnologicamente aggiornati a sostituire quelli ormai superati risalenti al D.M. 332 del 1999. 
Proprio la Commissione per l’Aggiornamento dei LEA, e grazie alla Promozione dell’Appropriatezza del Servizio Sanitario Nazionale istituita presso il Ministero della Salute, è stato finalmente risolto il tema delle gare d’appalto, ripristinando per i dispositivi acustici (e per le prestazioni sanitarie ad essi inscindibilmente connesse) un regime di tariffe amministrate a livello nazionale. Ciò assicurerà un percorso erogativo appropriato per questi dispositivi altamente tecnologici contenuti nel DPCM sui nuovi LEA, garantendo al paziente la libertà di scegliere il proprio professionista sanitario di fiducia (il Tecnico Audioprotesista) e a quest’ultimo di “adattare, allestire e personalizzare l’apparecchio acustico sulle esigenze del paziente”, come recentemente affermato anche dal Viceministro Sileri. 
La rimediazione dell’ipoacusia ha lo scopo di guidare il paziente verso il recupero delle funzionalità del proprio udito e prevede uno specifico percorso riabilitativo che non si esaurisce con la consegna del dispositivo acustico ma deve inevitabilmente proseguire con un percorso altamente personalizzato.
Nel comparto biomedico, e in particolare in quello audio-protesico, la tecnologia si rinnova continuamente, introducendo sistemi sempre più aggiornati per migliorare le condizioni di ascolto – e di vita – dei pazienti. Da più di cinque anni, un parco di dispositivi datato impedisce agli assistiti di accedere alla corrente innovazione tecnologica e all’assistenza sanitaria cui avrebbero diritto.
Al contrario, un’assistenza appropriata, erogata da un professionista sanitario laureato e ordinato in grado di personalizzare il dispositivo sulle esigenze specifiche del paziente, e una tecnologia aggiornata e digitale sono i due pilastri che allineerebbero gli standard italiani di assistenza ai cittadini ipoacusici a quelli dei migliori Paesi europei.
L’adozione di queste misure è legata all’approvazione del Decreto di aggiornamento dei nuovi LEA che è ad oggi bloccata, impattando negativamente non solo sui pazienti ipoacusici ma anche su tanti altri pazienti che potrebbero trarne enormi benefici. Dare applicazione ai nuovi LEA significherebbe permettere ai cittadini riconosciuti invalidi per ipoacusia di accedere alla migliore tecnologia, riservando il ricorso all’out-of-pocket solo per varianti estetico-funzionali e ottenendo, finalmente, i nuovi dispositivi acustici digitali inseriti nel DPCM sui Nuovi LEA del 2017 in luogo di quelli, obsoleti, elencati nel D.M. 332/99.
I dispositivi acustici digitali ci sono, le tariffe anche ma i pazienti restano in attesa: finché il primo aggiornamento dei LEA da parte dalla Commissione per l’Aggiornamento dei LEA e la Promozione dell’Appropriatezza del Servizio Sanitario Nazionale non vedranno la luce, l’assistenza audio-protesica rimane ferma al 1999

di Gianni Gruppioni (Presidente ANAP – Associazione Nazionale Audioprotesisti Professionali) e Roberto Messina (Presidente Senioritalia)

Appreciative Inquiry a scuola

L’appreciative Inquiry a scuola, un paradigma per il miglioramento

La gestione delle emergenze e la necessità di “attrezzare” la scuola a rispondere alle sfide del futuro attraverso la pratica dell’Indagine Apprezzativa ed il lavoro collaborativo.
Dai punti di forza dell’organizzazione scolastica fino alla generazione di un processo trasformativo di miglioramento basato sul pensiero positivo e l’attivazione della comunità professionale

di Emmanuele Roca

La scuola in un mondo che cambia

L’emergenza Covid-19 ha “segnato” le scuole e la loro organizzazione nell’affrontare problematiche nuove ed impensabili, alle quali non si era preparati.

Oggi si è sempre più consapevoli che alcuni fattori quali l’incertezza, l’imprevedibilità, le crisi economiche, insieme anche alle sfide globali come il cambiamento climatico, le migrazioni, le pandemie, rappresentino nuove emergenze cui far fronte nella gestione della scuola.

Nello studio delle problematiche scolastiche contemporanee, alcuni autori si sono soffermati sul ruolo dell’eLearning e sull’impatto della Didattica Digitale Integrata (DDI) rispetto agli apprendimenti, anche alla luce delle indicazioni ministeriali (Ministero dell’Istruzione 2020, 2021).

Molina, Michilli e Gaudiello (2021) hanno ampiamente analizzato le linee di innovazione espresse dalle potenzialità dell’eLearning e dalla DDI, in un’ottica di una educazione centrata sulla persona.

Se da un lato si insiste sulle potenzialità delle nuove tecnologie (ICT – Information and Communication Technologies) a sostegno dell’insegnamento, dall’altro si avverte la necessità di focalizzare l’attenzione sulla capacità dei diversi attori scolastici a fare sistema e sull’abilità dell’organizzazione scolastica di innovarsi e di ridisegnare un assetto strutturale e funzionale dinamico, in grado di gestire la mutevolezza delle problematiche emergenti, al fine di garantire un servizio scolastico in grado di soddisfare sempre più le istanze del Paese e dei diversi stakeholders.

Questo miglioramento del servizio non può che passare attraverso la valorizzazione del personale scolastico, in termini sia di formazione che di sostegno professionale ed economico.

Al riguardo, estremamente significative sono le osservazioni della “National Association of Head Teachers” (NAHT), l’associazione di categoria dei Dirigenti Scolastici (DS) britannici, che nel dicembre 2021 ha pubblicato il rapporto “Fixing the leadership crisis: time for change. Making school leadership a sustainable career choice” (Risolvere la crisi della leadership: tempo di cambiare. Fare della dirigenza scolastica una scelta professionale sostenibile) nel quale si evidenzia il crescente disagio vissuto dalla dirigenza scolastica, tanto che circa il 47% degli School Leaders non augurerebbe a nessuno, come obiettivo di carriera, di effettuare la medesima scelta lavorativa.

La stessa associazione (NAHT) sottolinea la necessità di un maggiore sostegno e sviluppo professionale sia per gli insegnanti che per i dirigenti, per meglio “attrezzare” le scuole a rispondere alle sfide future nel senso di un miglioramento continuo della qualità dell’istruzione.

L’UNESCO (2020) nel rapporto “Education in a post-COVID world: nine ideas for public action”, redatto nell’ambito dell’iniziativa Futures of education: learning to become, ha prospettato nove idee guida per orientare le azioni a sostegno della scuola del futuro, in uno scenario sempre più complesso, incerto e precario. Tali idee vengono così riassunte: 1) impegnarsi a rafforzare l’educazione come bene comune; 2) espandere il diritto all’istruzione; 3) valorizzare l’insegnamento e la collaborazione tra insegnanti; 4) promuovere la partecipazione e i diritti di studenti, giovani e bambini; 5) proteggere gli spazi sociali forniti dalle scuole; 6) rendere disponibili ad insegnanti e studenti tecnologie gratuite e open source; 7) garantire l’alfabetizzazione scientifica all’interno del curriculum; 8) sostenere il finanziamento dell’istruzione pubblica; 9) promuovere la solidarietà globale per porre fine agli attuali livelli di disuguaglianza.

Necessità di un apprendimento professionale collaborativo

Come si evince l’idea di valorizzare la professione docente e di favorire la collaborazione tra pari rappresenta una linea progettuale di sviluppo per la scuola del futuro auspicata anche dall’UNESCO.

Donà (2020) ha sottolineato quanto sia importante pure per i Dirigenti Scolastici costituirsi e ritrovarsi in comunità di pratiche professionali, abituarsi a lavorare in sinergia con i colleghi di altre scuole ed a condividere modalità e strategie di gestione dei temi complessi del sistema scuola, sostenendosi a vicenda nel fronteggiare scelte e decisioni non sempre immediate, promuovendo in ciò un modello di dirigenza che superi l’isolamento e l’autorefenzialità.

In molti contesti, lo sforzo degli operatori scolastici è stato accompagnato da un apprezzamento del loro operato, in termini di professionalità ed impegno e molti genitori, costretti a supervisionare l’apprendimento dei propri figli a casa (nel periodo del Covid), hanno acquisito maggiore consapevolezza sulla complessità del lavoro docente. Spesso, gli insegnanti e i Dirigenti Scolastici si sono spinti a fare molto di più di quanto previsto contrattualmente, rispondendo ai bisogni degli allievi e della comunità con passione e dedizione.

La crisi pandemica ha stimolato la capacità dei docenti ad “aggiornare” le proprie competenze ed a mobilitarsi in modo collaborativo, con intraprendenza e creatività e tutto ciò non sarebbe potuto accadere in base alla sola logica del “command-control” quale imposizione dall’alto da parte di un’autorità pubblica.

Anche sul versante della dirigenza scolastica ci si è mossi in tale direzione cercando di fare rete tra pari, nel comune impegno verso l’innovazione pedagogica ed organizzativa della scuola. La stessa figura del DS è stata oggetto di diverse interpretazione come “il dirigente agente di cambiamento”, “il formatore”, “il dirigente quale opinion maker”, “il leader che si prende cura e che fa la differenza”, “colui che incarna una leadership per l’innovazione”, ecc.

Giunti e Mughini (2019) hanno proposto la figura del capo d’istituto come costruttore di comunità professionali con le quali condivide una visione comune di sviluppo, essendo in grado di valorizzare le risorse creando rapporti di cooperazione con il personale, i genitori, gli studenti ed il territorio.

Per l’UNESCO (2020), il settore dell’istruzione, seppur criticato a volte per un certo conservatorismo nell’agire, si è dimostrato tra i più flessibili e capace di adattamento rispetto alle altre istituzioni sociali e le scuole “più preparate” a gestire le crisi sono state quelle che hanno valorizzato gli insegnanti, offrendo condizioni di contesto atte a stimolare l’autonomia, la creatività ed il lavoro collaborativo.

La collaborazione tra pari va intesa come una espansione della professionalità a tutti i livelli al fine di coinvolgere la più ampia gamma di attori dell’istruzione e raggiungere un maggiore livello di resilienza nella gestione delle crisi. Certo è che gli operatori scolastici andrebbero sempre più socialmente riconosciuti ed apprezzati per il loro lavoro.

La collaborazione professionale è l’obiettivo strategico su cui puntare per formare e riformare la cultura scolastica e la stessa organizzazione dell’istituzione in modo tale da rispondere efficacemente alle sfide poste dalla contemporaneità; tutto ciò nell’assunzione piena del significato, dell’identità, della coscienza pedagogica e deontologica, dei rispettivi ruoli professionali.

In un precedente contributo (Roca, 2021a) si è già discusso sulla necessità di implementare la collaborazione professionale e la collegialità significativa, quali strumenti strategici per il miglioramento delle scuole, tra continuità e innovazione.

Al riguardo Berger (2015) ha posto in risalto la stretta correlazione esistente tra l’incremento del grado di collaborazione fra insegnanti ed il miglioramento dei risultati dell’apprendimento degli alunni, mentre Mortimore et al. (1998) hanno evidenziato come le scuole più efficaci siano quelle nelle quali la dirigenza attua e stimola il coinvolgimento dei collaboratori nell’assunzione di decisioni specifiche. Tuttavia il contributo offerto dai collaboratori del DS e dai membri dello staff dirigenziale – contributo rivelatosi essenziale nel periodo pandemico non solo per la gestione dei protocolli di sicurezza e dei tracciamenti o del controllo dell’assolvimento degli obblighi vaccinali ma anche per la gestione dei rapporti con le famiglie ed il territorio – non sempre viene ufficialmente riconosciuto.

In tale direzione, Tiriticco e Silvestri (2021) hanno offerto uno specifico contributo relativamente all’importanza del “middle management” per la qualità del servizio scolastico e l’attivazione dei processi di miglioramento organizzativo, ribadendone il necessario riconoscimento giuridico e contrattuale.

Orientamenti per il miglioramento organizzativo della scuola

Come fare per “attrezzare” la scuola ad essere meglio resiliente e capace di gestire i cambiamenti epocali salvaguardando ed anzi incrementando la qualità dell’istruzione? Come ottimizzare e migliorare l’efficacia e l’efficienza delle organizzazioni scolastiche?

Al fine di migliorare l’organizzazione scolastica la letteratura indica come possibile strada da percorrere quella di sviluppare un apprendimento organizzativo costante, situato e calato nella propria realtà.

Di fronte al presentarsi di situazioni problematiche come la mancata corrispondenza tra i risultati attesi e quelli ottenuti, i diversi attori dell’organizzazione scolastica dovrebbero attivare momenti comuni di riflessione per prendere coscienza del dato di fatto, studiarne le variabili di contesto e formulare ipotesi di lavoro che consentano di modificare atteggiamenti, azioni, approcci metodologici e processi nel tentativo di fare meglio allineare i risultati con gli obiettivi prefigurati, in un’ottica di miglioramento continuo (Roca, 2021b).

Tuttavia, l’impostazione classica basata sulla “ricerca-azione”, quale metodologia di risoluzione dei problemi, articolata (secondo l’impostazione di Kurt Lewin) nei tre momenti di pianificazione, di esecuzione e di inchiesta/valutazione, considerati fasi di un unico processo circolare in grado di generare cambiamento sociale ed organizzativo, presenta anche alcuni limiti.

Il primo momento della pianificazione prevede l’analisi della situazione problematica di partenza ricercando le criticità e focalizzando l’attenzione su ciò che non funziona (deficit-based) o su quell’agire organizzativo che risulta non del tutto adeguato al perseguimento degli obiettivi prefissati e ciò permette la progettazione di azioni di sviluppo orientate al cambiamento.

Il successivo momento di esecuzione prevede la messa in atto nel tempo dei processi di cambiamento pianificati.

L’ultimo momento di inchiesta/valutazione indaga, mediante l’utilizzazione di strumenti valutativi, se quanto pianificato e realizzato corrisponda alle mete prefissate, se i processi avviati siano stati efficaci e in che misura, se sia necessario apportare eventuali azioni correttive per riformulare la pianificazione nell’ambito di un ciclo virtuoso di miglioramento della performance organizzativa.

Pertanto, alla base della “ricerca-azione” c’è il “problem-solving” basato sull’identificazione del problema, sull’analisi delle cause, sulla ricerca delle possibili soluzioni, sulla predisposizione di un piano di azione (terapia sociale dell’organizzazione) da attuare nell’ottica che “an organization is a problem to be solved”.

Questo modello basato sull’indagine del deficit fa proprio l’interrogativo: “ecco il problema, come lo stai risolvendo?”; esso presuppone un gruppo di lavoro che individui le criticità e pianifichi le azioni correttive ma rischia anche di generare la facile colpevolizzazione dell’agire dei singoli attori o la messa sotto inchiesta di parti del sistema e ciò potrebbe determinare un deterioramento delle relazioni nell’ambito dell’organizzazione che rappresenterebbe una conseguente “distrofia” del sistema, da recuperare con successivi interventi.

Infatti, potrebbe accadere che proprio l’individuazione dell’errore generi problemi di accettazione da parte del responsabile, alimenti il timore di eventuali conseguenze nell’ambito del gruppo dei pari, concorra a rendere le relazioni più difficili, incrementi lo stress nell’assolvimento delle prestazioni lavorative in uno scenario che demonizza l’errore come un fallimento o lo considera esclusivamente come un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi e pertanto da punire. In tali casi, è necessario predisporre azioni volte a ridare all’errore una giusta visione realistica, senza drammatizzare oltremodo il problema, affinché lo stesso possa diventare una risorsa per l’apprendimento ed un punto di partenza per un apprendimento organizzativo volto a stimolare il raggiungimento di prestazioni di qualità, nella considerazione tutta umana che “si impara sbagliando”.

Occorre riflettere seriamente sull’efficacia delle modalità di gestione delle azioni di miglioramento puntando sulla diffusione di un approccio collaborativo, cercando di non compromettere, in maniera permanente, il sistema delle relazioni che è alla base dei sistemi complessi come quelli delle istituzioni scolastiche.

Appreciative Inquiry a scuola, una scommessa per il futuro

Dario (2015) ha approfondito l’applicazione dell’Appreciative Inquiry (AI), quale particolare modello post-lewiniano di ricerca-azione, che si basa su una concezione positiva delle organizzazioni e degli attori coinvolti nella generazione del cambiamento e come essa possa costituire un nuovo paradigma per il mondo della scuola.

Il termine “appreciative” indica il “riconoscimento del valore di” e l’Appreciative Inquiry o Indagine Apprezzativa costituisce una ricerca sistematica volta a studiare ed apprezzare ciò che di più positivo esiste nell’organizzazione, quale punto di partenza per orientare le ulteriori possibilità di crescita. Ogni organizzazione scolastica ha i suoi punti di forza e di debolezza, occorre partire dal positivo che già c’è – in termini di azioni, concezioni, procedure, ecc. – e saperlo valorizzare come presupposto per favorire un maggiore impegno di condivisione e di azione da parte di tutti gli attori coinvolti nell’organizzazione, al fine di realizzare un ulteriore cambiamento di crescita per il futuro.

Martinelli (2013a) nel descrivere “i fondamenti” ed il modello teorico dell’AI esplicita come sia meno produttivo focalizzare esclusivamente l’attenzione sui problemi o sui deficit dell’organizzazione per cercare di attivare processi di miglioramento, mentre sembra più utile riorientare la riflessione sulle positività del presente per prospettarne l’incremento nel futuro, nella “certezza che qualunque essere umano … possiede caratteristiche proprie positive che devono essere apprezzate e valorizzate” e che possono rappresentare leve per il miglioramento.

L’impostazione dell’AI si basa pertanto nell’apprezzare e valorizzare il meglio di ciò che già c’è (cercando informazioni sul come agisce l’organizzazione quando funziona al meglio), nell’immaginare realisticamente “cosa si potrebbe essere”, nell’aprire una ampia consultazione su come realizzare il sogno del “come si dovrebbe essere in più”, nell’ottica che “an organization is a mystery to be embraced”.

L’AI fa proprio il modello attuativo denominato “4 D Cicle” che prevede una serie di azioni (fasi) che si susseguono costituendo un ciclo virtuoso di miglioramento e che sono:

1) fase di Discovery (scoperta) in cui si pongono “positive questions” per dare avvio ad un processo di identificazione e di apprezzamento delle esperienze di successo già esistenti e di valutazione degli aspetti positivi con l’individuazione delle condizioni operative e dei fattori determinanti. Tale fase può compiersi a livello individuale e di gruppo;

2) fase di Dream (sogno) nella quale si chiede di immaginare il futuro prossimo in merito a “che cosa potrebbe essere”, cercando di stimolare un pensare appassionato che renda attraente la scelta di un futuro perseguibile e condivisibile. Questa fase di ricerca verso un futuro condiviso e desiderabile, se sapientemente guidata, risulta essere fortemente generativa ed in grado di attivare sinergie e co-progettazione;

3) fase di Design (progettazione) ovvero la predisposizione concreta del piano di azione e del progetto di miglioramento che rappresenta un momento nodale per la fattività del cambiamento. In tale fase si costruisce comunitariamente la nuova architettura organizzativa, non come concezione astratta, ma come progetto preciso, concretamente realizzabile e che gode della volontà dei partecipanti a “perseguire il sogno” essendo in prima persona interessati a realizzarlo;

4) fase di Destiny (realizzazione) nella quale l’organizzazione si attiva a realizzare il suo futuro mettendo in esecuzione quanto progettato, utilizzando le risorse disponibili già individuate, cercando di fronteggiare l’eventuale cambiamento improvviso delle variabili di sistema. In tale fase i diversi attori – che condividono l’orizzonte di senso ed il significato delle azioni concordate – si mettono al lavoro per concretizzare ed adattare le soluzioni innovative alle situazioni contestuali ed in ciò attribuiscono valore all’agire organizzativo.

Pertanto, il modello AI pone al centro la collaborazione e l’inclusività nella convinzione che tutte le parti interessate abbiano qualcosa da offrire per identificare, migliorare e realizzare il cambiamento sognato.

Martinelli (2013b) afferma che nell’Indagine Apprezzativa il puntare sulla positività di quanto c’è già per costruire il presupposto di un ulteriore miglioramento – basato sul coinvolgimento attivo dei diversi attori, dei quali si apprezzano i lati positivi ma si conoscono anche le fragilità operative – non significa credere “favolescamente” che ciò sia di per sé garanzia di miglioramento e né si può pensare di creare illusioni consolatorie per gestire le difficoltà ed i problemi individuali.

L’AI deve indicare realisticamente che cosa sia possibile migliorare con le risorse di cui si dispone e questa conoscenza deve risultare “provocatoria”, nel senso che deve invogliare all’azione nella direzione di un convincente possibile migliore futuro organizzativo, e suscitare il desiderio di mettersi in gioco collaborativamente, partendo da semplici e fattibili azioni di cambiamento, anche da parte di quanti si sentono in difficoltà o hanno preferito rimanere ai margini dell’organizzazione; ciò evidenzia l’assenza di coercizione o di imposizioni dall’alto.

Tuttavia, nonostante in letteratura appaiano lavori inerenti l’applicazione dell’AI al mondo della scuola, riguardo al miglioramento degli apprendimenti, al rafforzamento delle pratiche di insegnamento, al miglioramento dell’inclusione, ecc., evidenziando un incremento della conoscenza dell’organizzazione da parte degli stessi operatori ed il relativo cambiamento di atteggiamenti, occorre ribadire che l’Indagine Apprezzativa rappresenta solo uno dei possibili e molteplici modelli per il miglioramento organizzativo delle istituzioni scolastiche.

Bibliografia

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