PNRR e Piano Scuola 4.0

PNRR e Piano Scuola 4.0: no a una gestione verticistica e burocratica del Ministero. Valorizzare e investire su tutto il personale scolastico

Roma, 9 agosto – Con molta enfasi in questi giorni il Ministero dell’Istruzione sta pubblicizzando gli interventi previsti dal PNRR in tema di transizione digitale nelle scuole: 2,1 miliardi di euro del Piano scuole 4.0,
800 milioni di euro per la realizzazione di un sistema di formazione continua, 1,1 miliardi per “Nuove competenze e nuovi linguaggi” e poi gli avvisi del PON Scuola finanziati dal REACT-EU, quelli sulla digitalizzazione dell’attività amministrativa, il Piano Banda Ultra larga.

Da un punto di vista ordinamentale il decreto legge 152/21 ha previsto interventi sui curricoli scolastici con l’integrazione in tema di competenze digitali degli obiettivi specifici di apprendimento e dei traguardi di competenza.

Le istituzioni scolastiche inoltre, dovranno compilare entro marzo 2023 un documento denominato “Strategia 4.0” che declina il programma e i processi che ogni scuola seguirà per tutto il periodo di attuazione del PNRR.

Pur rappresentando investimenti di notevoli dimensioni, le azioni previste non sono accompagnate da specifiche risorse nazionali per retribuire il personale che dovrà sobbarcarsi un aggravio di lavoro davvero notevole. In ogni caso, la straordinaria accelerazione dei processi di transizione digitale rende ineludibile il reperimento di nuove risorse da destinare ai rinnovi contrattuali per l’incremento delle retribuzioni di tutti i lavoratori e un deciso rafforzamento delle relazioni sindacali a tutti i livelli.

Occorre inoltre, un pieno riconoscimento del lavoro del personale ATA: nel Piano Scuola 4.0 manca sorprendentemente qualsiasi specifico riferimento a questi lavoratori che sembrerebbero avere un ruolo irrilevante nella realizzazione dei processi finanziati.

Al di là di richiami alla valorizzazione del ruolo dello spazio di apprendimento nel processo di formazione, mancano i riferimenti al ruolo del lavoro collegiale come strumento di crescita insostituibile del fare scuola.
Manca un forte richiamo alla necessità di partecipazione e condivisione da parte di chi opera quotidianamente nelle scuole: difficile ottenere risultati tangibili e duraturi nel tempo con iniziative calate dall’alto e gestite in maniera verticistica e burocratica.

Docente esperto: effetti perversi di buone intenzioni

Il “docente esperto” ed effetti perversi di buone intenzioni

di Gabriele Boselli

Fornire stimoli alla formazione continua dei docenti è lodevole ma senza consuetudini di studio e relativi esiti documentabili potrebbe divenire differenziazione arbitraria.

Tra gli ultimi atti della morente legislatura (decreto/minestrone 4 agosto 22) vi è la creazione della figura del “docente esperto”; docente consacrato tale non sulla base di regolari procedure concorsuali, di seri curricula e pubblicazioni su riviste qualificate ma -sembra- di una specie di attestato di buona condotta e della semplice frequenza di corsi promossi da enti spesso dalla dubbia qualità culturale e scientifica.

Fra i non disinteressati suggerimenti confindustriali alla scuola vi è sempre stato quello di creare differenziazioni tra il personale scolastico.

La resistenza al potere di una massa indifferenziata è certamente superiore a quello di una massa incrinata da posizioni varie, conflitti interni di status e di interessi.

I “quadri intermedi” servono in ogni tipo di organizzazione a impedire processi di autonomizzazione culturale e organizzativa.

La creazione della figura del “docente esperto” è parte di questo vecchio disegno di differenziazione e gerarchizzazione: scatenare processi di concorrenza interna (con l’attuale diminuzione del potere d’acquisto conseguente alle spese per il conflitto USA-Russia in Ucraina non mancheranno gli aspiranti) e far nascere status differenziati non conseguenti ad accertata preparazione ma che stabilizzino differenze pur artificiose.

Il potere è del resto -essenzialmente- capacità di violenza alla razionalità. La retribuzione differenziata rafforzerebbe la differenza di status tra docenti, alcuni dei quali diverrebbero mediatori consacrati di una catena di comando oggi aleatoria, domani più stabilizzata e allineata alla volontà del dirigente.

Non bastassero i genitori a distribuire agli insegnanti patenti di serie A, B, C, D…

Oltre al danno, la beffa: la maggior retribuzione del cosiddetto docente esperto verrà finanziata dalle minori risorse destinate agli altri docenti; costoro di conseguenza -a onta dei loro studi e delle loro ricerche- non potranno non essere considerati “inesperti”.

Esperire significa “passare attraverso”; i nuovi esperti forse passeranno ovunque tranne che dalle pagine dei libri.