Rinnovare la formazione

Rinnovare la formazione

di Rita Manzara

La formazione dei docenti rappresenta un elemento di rilievo nel programma di interventi di competenza del Ministero dell’Istruzioneprevisti dal PNRR Italia Domani.

Nelle intenzioni, si intende coinvolgere – con metodi e strumenti innovativi rispetto al passato – l’intera vita professionale dei docenti a partire dagli esordi, al fine di migliorare – in termini di acquisizione di conoscenze e competenze – la qualità dei percorsi educativi offerti all’utenza.

La realizzazione di questo auspicio è tuttavia compromessa dal persistere di alcune problematiche che si riscontrano nei percorsi di insegnamento/apprendimento posti in atto nelle nostre aule.

Finora buona parte dell’innovazione si è infatti ancora basata su“aggiustamenti organizzativi” ad un modo tradizionale di far scuolain cui prevale il modello didattico che Massimo BALDACCI definisce “centrato sull’arricchimento culturale”: quello, cioè, che concepisce la formazione come processo di appropriazione di contenuti, pur caratterizzati da un “elevato valore intrinseco”.

Per ridefinire le connotazioni del processo di formazione dovrebbeessere superata la “scuola del programma”, connessa ad una visione selettiva ed elitaria della cultura. Andrebbe, altresì, abbandonata anche la logica dei progetti realizzati soprattutto per ottenere finanziamenti, che conducono ad effettuare attività prive di una relazione significativa con le cosiddette “materie di studio”.

Non si tratta di sminuire l’importanza dei cosiddetti “saperi disciplinari”, ma di abbandonare l’idea che essi siano il fine unico della formazione, anche di quella offerta ai docenti. 

L’approfondimento inerente la disciplina di insegnamento il più delle volte per i docenti (soprattutto quelli con maggiore anzianità di servizio che continuano ad essere, di fatto, i detentori della gestione delle classi), significa ancora – riduttivamente – auspicio di acquisizione di strumenti e tecniche didattiche da porre in corrispondenza con un programma tradizionale, basato sui contenuti propri delle varie materie.

In questo contesto la mediazione pedagogico-didattica si riduce ad un semplice didatticismo, basato su griglie, mappe e obiettivipreconfezionati.

Tale nodo non è stato ancora sciolto, nonostante si parli (e si stanzino fondi) per “aule di nuova generazione” nell’ambito delle quali gli insegnanti del futuro dovrebbero essere preparati a diventare osservatori, raccoglitori di dati, analisti, progettisti, risolutori di problemi, ricercatori.

L’obiettivo dell’azione didattica, infatti, dovrebbe essere la conquista dell’autonomia, da parte degli studenti, nell’ambito di ambienti di apprendimento esperienziale.

In questa prospettiva, anche la formazione dei docenti sulla didattica disciplinare dovrebbe partire da un’indagine sui processi posti in atto nei percorsi di apprendimento delle discipline, considerate sia singolarmente sia in un’ottica di interdisciplinarietà.

Un approccio del genere va collocato sempre nel contesto della didattica generale, volta a sviluppare un metodo di ricerca e a fornire un insieme di conoscenze attinenti alla dimensione metodologica, relazionale ed organizzativa.

Questa prospettiva richiede all’insegnante in formazione di abbandonare il ruolo di “ricevente” (di nozioni teoriche, di schemi e procedure da applicare) e di riconoscere l’importanza e la necessità di un’interazione continua tra azione e ricerca, tra esperienza professionale e riflessione teorica. 

A questo punto, sembra utile riflettere in merito alla motivazione dei docenti a partecipare alla formazione.

È appena il caso di sottolineare la diversità di atteggiamento nei confronti di iniziative che possono essere oggetto di scelta rispetto a quelle “obbligatorie”.

L’obbligatorietà della formazione, infatti, rischia spesso di compromettere la qualità della partecipazione, che viene vissuta come un passaggio necessario più che come un momento di arricchimento professionale.

Questo discorso può essere applicato soprattutto ai corsi per neo immessi in ruolo, nell’ambito dei quali gli insegnanti spesso esprimono maggiori apprensioni di tipo formale (es. relative al monte orario ai fini della validazione del percorso) rispetto ad un reale interesse per le tematiche affrontate.

Nel ripensare alla formazione iniziale dei docenti dovrebbero essere eliminati definitivamente i “pacchetti formativi preconfezionati” e create, invece, le condizioni per effettive esperienze laboratoriali (analoghe a quelle da condurre nelle classi con gli studenti) per valorizzare le competenze che molti già possiedono creando entusiasmo e condivisione.

Per ottenere questo risultato, oltre al superamento delle difficoltà organizzative (ad es. quelle che a volte si incontrano nella gestione a distanza dei laboratori), serve una seria ricognizione dei formatoricondotta anche e soprattutto tra i cosiddetti “docenti esperti”, con eventuali percorsi di ulteriore preparazione al ruolo in questione.

Questi formatori dovrebbero essere in grado di assumere il ruolo di facilitatori, di “registi” di esperienze di apprendimento, per far vivere ai nuovi colleghi esperienze simili a quelle da vivere nelle aule, accantonando definitivamente l’identità del “docente in cattedra”, dispensatore e detentore del sapere.