Un’insegnante di sostegno scrive ai colleghi e colleghe

Un’insegnante di sostegno scrive ai colleghi e colleghe
Vita del 19/09/2022

Sono una docente neo specializzata nelle attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità presso l’Università di Genova, attualmente in anno di prova presso una Scuola Secondaria di Primo Grado a Settimo Milanese. “Le strategie inclusive non sono vantaggiose solo per alcuni alunni bensì per tutti i componenti della classe perché ognuno di loro ha i propri bisogni, che sono diversi da quelli degli altri”.

Care colleghe e cari colleghi,
sono lieta di aprire con queste righe il primo Consiglio di Classe dell’anno 2022-2023.
Nella scuola dei miei sogni, ogni Consiglio si apre con la lettera di un insegnante/ un’insegnante della scuola che funge da ricarica, da bussola, da monito su tutto ciò che siamo chiamati ad attuare quotidianamente sin dal primo giorno in cui abbiamo deciso di varcare la porta di un’aula scolastica.
Ogni mattina, mentre la nostra frenetica vita passa rincorrendo il tempo, i problemi, una stabilità che fatica ad arrivare, una vacanza da troppo rimandata, abbiamo davanti a noi dei futuri adulti nei quali, come ha affermato Maria Montessori, dobbiamo “gettare […] i semi dell’interesse; non tener conto di questo imprescindibile principio, è come progettare una casa senza pensare alle fondamenta” (Montessori, 1970).
In questa lettera, con la quale vorrei aprire le danze di quella che desidero diventi una tradizione epistolare, vi parlerò di unicità.
Credo che se ognuno di noi facesse proprio questo concetto, riusciremmo a dare alla scuola quell’impronta culturale rivoluzionaria che necessita da tempo.
Credo che se ognuno di noi facesse proprio questo valore, riusciremmo ad avere una scuola senza pregiudizi, senza etichette da incollare qua e là come dei bollini del supermercato.
La Convezione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ci dice che, sulla base della ricerche cliniche effettuate, l’educazione scolastica deve tener conto dell’unicità di ogni individuo e, quindi, avere un approccio alla persona e ai suoi bisogni. Infatti, la Convezione si fonda sul principio di dover garantire “il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale – compresa la libertà di compiere le proprie scelte – e l’indipendenza delle persone” (Convenzione ONU, art. 3).
Quindi, è importante che durante il triennio tutti noi lavoriamo affinché al termine del primo ciclo ogni alunno abbia il profilo delineato dalle Indicazioni Nazionali ovvero quello di una persona autonoma, responsabile, consapevole delle proprie potenzialità e che abbia uno stile di vita sano, la cura e il rispetto di se.

Se consideriamo e trattiamo ogni alunno come un adulto, gli permettiamo di sviluppare il senso di autoefficacia ovvero il senso di “potercela fare” che accrescerà la sua autostima e gli consentirà di diventare sempre più autonomo e stabile. Se lo nutriamo ogni giorno con il verbo modale “potere”, lo rendiamo protagonista di un percorso di scelta, di possibilità e di responsabilità di cui noi abbiamo le chiavi d’accesso.

Tutto ciò può concretizzarsi se costruiamo insieme a lui il suo progetto di vita pensandolo già adulto; perché ogni alunno è un unico, futuro adulto.
Questo postulato serve a capire l’importanza dell’eterogeneità di una classe al punto che, se valorizzata, diventa la sua fonte di ricchezza. Vantare tale preziosità richiede un’azione educativa sulla persona, sulla singola persona da accettare e valorizzare. Per tali ragioni, tutti gli alunni hanno diritto a una didattica individualizzata e non standardizzata che metta in evidenza i differenti stili di apprendimento e che consideri i punti di partenza di ognuno di loro. Lavorare in modo individualizzato non significa lavorare con il singolo bensì guardare agli apprendimenti di ognuno in funzione di un risultato che si basi su dei criteri di valutazione comuni a tutta la classe e alla scuola intera. Ne consegue, evidentemente, che la gestione dell’unicità degli alunni debba essere alla base della progettazione didattica la quale prevederà delle tipologie di intervento preventive e non riparatorie.

Quello che è indispensabile ricordarsi sempre è che le strategie inclusive non sono vantaggiose solo per alcuni alunni bensì per tutti i componenti della classe perché ognuno di loro ha i propri bisogni, che sono diversi da quelli degli altri.
Quindi, la scuola necessita di flessibilità per garantire l’inclusione: non può concentrarsi solo sui problemi e sulle mancanze ma deve cercare soluzioni e risorse. Il primo luogo in cui agire a tal fine è il contesto. Osservandolo con attenzione possiamo individuare i facilitatori e le barriere causati dagli atteggiamenti, dall’ambiente fisico e da quello sociale che possono, a seconda dei casi, ostacolare o favorire lo sviluppo della persona e dei suoi apprendimenti. Ne consegue che tale individuazione consente di abbattere le barriere, evitando che diventino disabilità, e permette di valorizzare i facilitatori negli interventi educativi e didattici.

Puntare a una scuola di qualità significa assicurare la partecipazione attiva di tutti. Infatti, i compagni di classe sono la risorsa che può generare quella che Robert Roche ha definito reciprocità positiva (Robert R., 2002) prodotta da tutti quei comportamenti che favoriscono e valorizzano l’altro senza volere in cambio nulla: la così detta prosocialità. Affinché ciò accada è necessario eliminare gli ostacoli alla partecipazione e favorire, invece, il senso di appartenenza a un gruppo grazie a continui incoraggiamenti e sollecitazioni e compiti di realtà da svolgere insieme e con curiosità.

Per concludere, è importante che non ci dimentichiamo di credere negli alunni; sempre. Secondo l’effetto Pigmalione o effetto Rosenthal se un insegnante/ un’insegnante crede che un alunno/un’alunna sia meno dotato/dotata, lo tratterà, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri e l’alunno/alunna si comporterà di conseguenza e secondo le attese (Rosenthal, R. e Jacobson L., 1986).

Possiamo applicare quotidianamente questo principio ma per ricordare agli alunni che per noi sono tutti egualmente dotati e che ognuno di loro, anche in presenza di disabilità, può aspirare al proprio livello di eccellenza; e questo perché “ciascuno cresce solo se sognato” (Dolci D., 1974).

di Ilaria Fiore

Transforming Education Summit

“L’istruzione è la sola chiave possibile per affrontare le sfide globali che abbiamo di fronte a noi e trasformare le società rendendole più inclusive e sostenibili”. Lo ha detto il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi intervenendo durante il Transforming Education Summit, il vertice sull’Istruzione in corso alle Nazioni Unite, convocato dal Segretario Generale Antonio Guterres all’apertura dell’Assemblea Generale ONU.

“Una società più giusta, che metta al centro della sua azione il contrasto alle attuali disuguaglianze globali, alle crescenti discriminazioni di genere, al cambiamento climatico, si costruisce grazie a cittadine e cittadini consapevoli dei propri diritti – ha sottolineato il Ministro -. È l’istruzione la strada per trasformare ragazze e ragazzi in agenti del cambiamento necessario. Soltanto un cambiamento reale e globale dei sistemi educativi, che permetta a tutte le bambine e a tutti i bambini l’accesso al diritto all’istruzione, può guidarci ad affrontare le sfide del clima e della crescita sostenibile”.

Durante il suo intervento nel corso della sessione ‘Transforming Education to transform the world: Empowering global citizens through education for a sustainable future’, il Ministro Bianchi ha ricordato l’impegno del nostro Paese in questa direzione, con l’insegnamento trasversale dell’educazione civica, il Piano per la transizione ecologica e culturale delle scuole “RiGenerazione Scuola”, ma soprattutto la trasformazione del sistema di istruzione italiano che il Governo sta realizzando quest’anno attraverso i massicci investimenti e le riforme del PNRR.

Il Summit delle Nazioni Unite conclude un lungo cammino di sei mesi, con l’avvio delle Consultazioni nazionali in oltre 100 Paesi, il lancio delle cinque Action tracks di approfondimento, in cui l’Italia ha svolto il ruolo di co-leader sui temi legati all’inclusione, e il Pre-Summit che si è svolto a fine giugno a Parigi presso l’UNESCO.

Durante l’appuntamento in corso a New York, il Ministro è intervenuto inoltre al ‘Solutions Day’ del Pre-Transforming Education Summit ed è prevista la sua partecipazione all’evento ‘Transforming Education in Africa’ che si svolgerà domani.

Corri la Vita 2022

La Squadra Erasmus di Indire partecipa a Corri la Vita 2022

Domenica 2 ottobre a Firenze la manifestazione benefica con studenti, alunni, docenti e dirigenti

FIRENZE, 19/09/2022 – Domenica 2 ottobre a Firenze anche il mondo Erasmus+ sarà ai nastri di partenza della più grande manifestazione sportiva e solidale in Italiache, dopo due anni, torna in presenza con la corsa per le strade del capoluogo toscano.

L’Agenzia nazionale Erasmus+ Indire partecipa per la quarta edizione consecutiva alla corsa, con l’obiettivo di testimoniare i valori di inclusione e di solidarietà, propri del Programma Erasmus+.

L’iniziativa si svolge nella Settimana europea dello Sport e rappresenta un’importante occasione per rafforzare il legame tra il mondo dello sport e dell’istruzione in chiave europea, valorizzando le esperienze dei protagonisti Erasmus. 

Per l’edizione 2022, l’Agenzia Erasmus+ Indire intende creare la squadra Erasmus composta da studenti, insegnanti, alunni, professori e tutte le persone legate al Programma. Per l’occasione, viene istituito anche il “Premio Erasmus”, un riconoscimento destinato al miglior classificato fra i componenti del team.

Nel giorno dell’evento, l’Agenzia sarà presente alla partenza, nel Piazzale Lincoln del Parco de Le Cascine di Firenze, con un punto informativo aperto a chiunque voglia conoscere le opportunità di Erasmus+, con la possibilità di ricevere anche alcuni gadget del Programma.

Per far parte della squadra Erasmus è necessario:

·      Iscriversi all’evento da questo link https://www.corrilavita.it/edizione-2022/;

·         Comunicare a Erasmus+ Indire il numero di iscrizione a questo link: https://indire.eminerva.eu/isc/?evt=Corri_la_vita ;

·      Partecipare domenica 2 ottobre a Corri la vita e ritirare il pacco gara allo stand Erasmus+ Indire, con gadget in edizione speciale;

·      Correre nella squadra Erasmus! Il primo al traguardo riceverà il premio Erasmus;

Info su Erasmus+ a Corri la vita: https://www.erasmusplus.it/news/programma/aperte-le-iscrizioni-a-corri-la-vita-2022-come-partecipare-nella-squadra-erasmus/

#PnrrIstruzione quanto ne sai?

Una campagna social per far conoscere meglio, con post dedicati e approfondimenti, le linee di investimento per l’istruzione previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

La campagna “#PnrrIstruzione quanto ne sai?” sarà lanciata a partire dal 20 settembre sui canali social del Ministero con l’obiettivo di informare e raggiungere la più ampia platea possibile. Dodici appuntamenti, due a settimana, ogni martedì e venerdì, per scoprire, attraverso grafiche, video e quiz, in cosa consistono, ad esempio, il Piano scuola 4.0, gli interventi di riqualifica degli edifici scolastici, il potenziamento di laboratori, mense e palestre e dell’attività sportiva a scuola.

Testi in pillole e per conoscere in modo semplice e immediato come saranno impiegati i 17,59 miliardi del Pnrr destinati all’istruzione e come sarà la scuola del futuro.

La varianza

La varianza

di Francesco Scoppetta

Roberto Ricci, presidente nazionale di Invalsi, ha illustrato a Catanzaro i dati riguardanti la Calabria. “Essi  individuano difficoltà a partire dalla scuola media, ovviamente non in tutte le scuole e in tutte le realtà, mentre l’obiettivo è arrivare a fornire a tutti gli studenti quantomeno una buona preparazione di base. Abbiamo visto che in alcune situazioni le competenze di base non sono adeguate”. Le difficoltà maggiori riguardano apprendimento e comprensione di matematica e inglese, come d’altra parte era atteso, con uniformità distribuite in tutte le province. Ora, a livello nazionale il PNRR ha destinato ben 1,5 miliardi di euro alla riduzione dei divari territoriali “per quanto concerne il livello delle competenze di base (italiano, matematica e inglese) e per sviluppare strategie per contrastare in modo strutturale l’abbandono scolastico”. Sono stati già ripartiti i primi 500 milioni di euro destinati a 3.200 scuole e sicuramente, oltre i fondi già stanziati, sarebbe anche importante rafforzare la valutazione delle scuole per sostenere i loro piani di miglioramento e favorire il confronto costruttivo tra realtà simili, anche se non vicine.

Ma detto questo, sono le scuole a dover mettere a fuoco uno solo concetto, quello di “equità”, un concetto che può essere declinato e misurato in indicatori da sottoporre a verifica periodica, dalle quali scaturirà una terapia efficace per correggerli se necessario. Che poi è quello che ognuno di noi fa per la sua salute quando dopo le analisi scopre qualche valore fuori norma. 

Quando facevo il preside avevo un’assistente amministrativa che ogni anno si prendeva la briga di compiere un’operazione (non so da chi l’avesse appresa) meritevole per costruire l’equità tra le classi. Divideva i nuovi iscritti sulla base dei voti ottenuti nelle materie importanti alla fine della terza media e creava dei gruppetti, i bravissimi, i bravi, i sufficienti, i ripetenti, ecc…Pertanto le prime classi le formava inserendo in ciascuna di esse tutti i gruppetti. Cosa voleva evitare? E’ semplice, classi formate solo da bravissimi e bravi, e altre composte da sufficienti e ripetenti. Allora, si era negli anni novanta, le scuole superiori riuscivano a formare classi prime così congegnate, non era ancora forte la pressione dei genitori che oggi  iscrivono il figlio a scuola a condizione che capiti con quel determinato docente ed eviti quell’altro. Insomma, dare a tutti le stesse opportunità (equità) di conseguire le competenze di cittadinanza fondamentali vuol dire formare delle classi eque e non le classi “ghetto” e le “classi dei migliori”.

La patologia (v. Paolo Mazzoli, Giuntiscuola, 20/7/22) può rinvenirsi nella “varianza” (indicatore statistico di variabilità)  dei risultati rispetto alla scuola e alla classe. È un parametro percentuale che esprime la fortuna di un alunno di essere capitato in una certa scuola o in una certa classe, che gli hanno consentito di migliorare i suoi risultati. E’ chiaro per tutti che in una città ci sono quartieriresidenziali e quartieri ghetto, e quindi vi sono scuole “isole felici” e altre malandate. Se in una classe o in una scuola, per ragioni legate al territorio o per scelte sbagliate nella formazione delle classi, si concentrano tutti i ricchi e/o i bravi, mentre in un’altra classe o scuola si concentrano i poveri e/o gli asinelli, i risultati finali (e le prove Invalsi) lo registrano. L’affermazione naturalmente non è assolutaperchè poi ci sono anche scuole migliori o peggiori del loro contesto ambientale a riprova che l’uomo non subisce mai passivamente il contesto in cui opera. 

Ad ogni modo tutti sappiamo che il gruppo dei pari influenza il rendimento scolastico degli alunni verso l’alto o verso il basso e che le cattive o le buone abitudini di ciascuna scuola attraverso l’esempio e l’emulazione formano studenti (e docenti) più o meno preparati. Il problema dell’equità, se lo si vuole affrontare, sta tutto nel riuscire a misurarlo. E quindi occorre un termometro eun misuratore della pressione, occorrono cioè gli strumenti per misurare in modo preciso (e non ad occhio) la variabilità.

Il difetto di equità (tra le classi e le scuole) si osserva già nei dati della scuola primaria e si moltiplica via via che si sale nei gradi superiori. I dati Invalsi, per esempio, ci dicono che “un alunno della Campania potrà cavarsela a scuola soprattutto se ha la fortuna di andare nella scuola giusta. Questa fortuna, il più delle volte, dipende dalle informazioni di cui dispongono i genitori e dalla possibilità di portare i propri figli nelle scuole migliori. Parliamo di una sorta di “bonus scuola” che può far aumentare, da solo, dal 25% al 40% la qualità dell’apprendimento scolastico. Ma anche la variabilità per classe è piuttosto consistente. In questo caso il “bonus classe” va dai valori poco preoccupanti delle regioni del centro nord (compresi tra il 3% e l’8%) a valori ben più rilevanti nel Mezzogiorno che superano il 20% ” (P. Mazzoli).

L’“indice di immobilità sociale” è un altro dato che diminuisce l’equità ed ha a che fare con il titolo di studio dei genitori. Un genitore laureato fornisce generalmente ai propri figli maggiori opportunità di un genitore col diploma di terza media, e quindi la scuola deve essere in grado di compensare i limiti del contesto di provenienza. Se si formano classi dove gli alunni sono tutti figli di laureati e altre dove tra i genitori non vi sono professionisti (anche se la laurea di per sè non fa conseguire un reddito maggiore) la variabilità può presentarsi. I tanto bistrattati test Invalsi  dimostrano bene che il vantaggio degli alunni con almeno un genitore laureato si fa sentire già nella scuola primaria e, quel che è peggio, aumenta fortemente nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Nella scuola superiore poi le tre tipologie di scuola (liceo, tecnico o professionale) diversificano le aspettative e inoltre gli studenti con maggiori difficoltà iniziano a lasciare la scuola già dalla prima classe.

Si pensi solo alla scuola primaria, “per la competenza nella comprensione del testo (italiano), gli alunni che hanno il genitore più istruito con la licenza elementare conseguono un punteggio che è inferiore di 28 punti rispetto alla media nazionale considerata pari a 200 (-14% che si riduce a -11% nel caso in cui almeno un genitore sia in possesso della licenza media). È decisamente tanto”.

Pertanto può essere molto utile l’uso dei microdati che Invalsi restituisce ogni anno alle scuole, per individuare in ogni classe  tutti gli alunni collocati al di sotto di un determinato punteggio. 

Ora, se l’elemento centrale da tener presente è il diverso supporto che gli alunni più deboli possono avere dalla famiglia, a me pare che le ore aggiuntive o i corsi di recupero pomeridiani abbiano in parte mostrato tutti i loro limiti. Parlo delle scuole superiori dove le lezioni pomeridiane sono effettuate dai docenti non sulla base delle oggettive esigenze dei loro alunni ma sulla base della loro disponibilità. E’ chiaro che un professore commercialista il pomeriggio vorrà lavorare nel suo studio e quindi tenderà a mettere la sufficienza a tutti per dimostrare che non c’è bisogno di corsi di recupero.

Inoltre se l’alunno Tizio non va bene in matematica con il prof. Caio, è tutto da dimostrare che ore aggiuntive affidate sempre a Caio possano migliorare le prestazioni. Lo stile di insegnamento  andrebbe anche preso in considerazione in presenza di alunni deboli, senza replicarlo di mattina e di pomeriggio.  La scelta che a me pare decisiva è un cambiamento radicale dell’insegnamento-apprendimento, basato ancora in Italia su lezioni frontali al mattino e compiti assegnati da svolgere a casa al pomeriggio. Lo studio pomeridiano  a casa resta l’incognita, il vero problema che, come abbiamo visto, incide sulla variabilità. 

Nel senso che un docente non sa dove l’alunno trova difficoltà, non sa quanto studia e come studia. Lo scoprirà, in parte, quando lo interrogherà o con le verifiche scritte. La condizione sociale degli alunni diventa dunque rilevante per lo svolgimento dei compiti a casa, che andrebbero progressivamente svolti a scuola attraverso una scuola che cambi orari, tempi, intervalli, e si protragga al pomeriggio. Insomma, nell’orario di ogni insegnante andrebbe inglobato il tempo delle spiegazioni ma anche il tempo degli esercizi, di modo che quando gli studenti lasciano la scuola sia finita la loro giornata scolastica. Solo se, come avviene per le lezioni private, il docente capisce “come” studia un suo alunno, lo può correggere, consigliare, sorreggere. E quello che fanno gli istruttori sportivi, non è che un maestro di tennis o di sci svolge in aula le lezioni teoriche e poi lascia da soli gli allievi ad esercitarsi. Fin quando lo studio personale a casa resterà invisibile e sconosciuto ai docenti, i quali chiedono ai genitori (ma suo figlio quanto studia, come studia, con chi studia?) per ottenere informazioni, la variabilità, malgrado sforzi economici e finanziari, resterà il grande problema della scuola italiana, dalla primaria sino alle superiori.

Una scuola di periferia, o una classe di studenti in difficoltà potrà essere recuperata non con il solito ricorso a pacchetti di ore aggiuntive ma con una scuola diversa, senza compiti a casa, dove l’insegnante spiega e osserva come studiano i suoi alunni. E’ chiaro che in ogni classe soltanto attraverso questa osservazione capirà chi sono gli alunni deboli e pertanto, anche attraverso il mutuo insegnamento potrà a scuola contribuire al miglioramento senza delegare ai genitori a casa compiti che oggettivamente non sono in grado di svolgere (anche perché spesso lavorano entrambi).

L’organico Covid, il grande assente del DL Aiuti bis

da La Tecnica della Scuola

Di Redazione

Mentre le scuole patiscono la carenza di docenti e di collaboratori scolastici, il DL Aiuti bis non presenta traccia dell’organico Covid, quel personale scolastico aggiuntivo che nei due anni di pandemia ha permesso lo sdoppiamento delle classi o comunque ha consentito di tamponare situazioni complesse di didattica a distanza e l’assenza di personale in malattia. Una questione di cui ha parlato anche il nostro direttore, Alessandro Giuliani, che commenta: “Dai 70mila del primo anno ai 40-50mila del secondo, siamo arrivati a quest’anno senza alcuna riconferma e questo comporterà dei problemi qualora i casi Covid dovessero risalire”.

Sul tema in redazione abbiamo ricevute diverse lettere in questi mesi. Tra di esse, quella di Angelo Cascione, ex collaboratore scolastico e membro del Comitato Uniti per la Riconferma Organico aggiuntivo Covid, che segnala: “Neanche nella bozza del decreto Aiuti Ter c è traccia di organico aggiuntivo, possibile? Spero non si scherzi sulla gente che ha lavorato nelle scuole in questi anni difficili, spero non si alimentano false speranze, chiediamo concretezza e di poter continuare a servire le scuole italiane.

“Ieri è stato depositato all ordine del giorno dall’onorevole Gallo (M5S) la questione dell’organico aggiuntivo – aggiunge – e nel decreto Aiuti Ter si parla solo di 10 milioni di euro per le scuole paritarie, per le scuole pubbliche nulla?”

“È davvero assurdo e sconcertante questo prendere e lasciare nei nostri confronti. Il Governo intervenga assolutamente per sanare questa situazione poiché non va tutto bene, anzi, il contrario – lamenta il collaboratore scolastico – Le scuole hanno necessità, sono in difficoltà – conclude – e noi lavoratori rischiamo di non lavorare”.

19 settembre: rientro in classe anche per Sicilia e Valle d’Aosta, ma molte scuole hanno anticipato l’apertura dei cancelli

da La Tecnica della Scuola

Di Carla Virzì

Il 19 settembre si completa il rientro a scuola degli studenti e delle studentesse italiane con la riapertura dei cancelli anche in Sicilia e in Valle d’Aosta. Tuttavia bisogna segnalare che in entrambe le regioni l’autonomia scolastica ha fatto sì che nel corso della settimana scorsa molte scuole abbiano anticipato il ritorno in classe rispetto alle date ufficiali del calendario regionale, probabilmente nell’ottica di “recuperare” qualche giorno di vacanza per i numerosi ponti dell’anno.

A seguire il riepilogo dei dati del ministero dell’Istruzione sul rientro a scuola.

Sono 7.286.151 le studentesse e gli studenti tornati sui banchi delle scuole statali nell’anno scolastico 2022/2023, per un totale di 366.310 classi.

I primi a rientrare in aula sono stati, lo scorso 5 settembre, gli alunni e le alunne della Provincia di Bolzano. Da lunedì 12 si è ripartiti ufficialmente, secondo i calendari predisposti a livello regionale, in Abruzzo, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e nella Provincia di Trento. Il 13 settembre è stata la volta di bambini e ragazzi della Campania. Il 14 settembre le lezioni sono riprese in Calabria, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Umbria. Il 15 in Emilia-Romagna, Lazio e Toscana. In coda, il 19 settembre, Sicilia e Valle d’Aosta.

Il 26 settembre è la Giornata Europea delle Lingue 2022: ecco tutte le iniziative

da La Tecnica della Scuola

Di Carmelina Maurizio

Su iniziativa del Consiglio d’Europa di Strasburgo la Giornata Europea delle Lingue è stata celebrata il 26 settembre a partire dal 2001.

In tutta Europa, 700 milioni di europei, rappresentati dal Consiglio d’Europa con 46 stati membri, sono incoraggiati a imparare più lingue, ad ogni età, all’interno e al di fuori della scuola. Nella convinzione che la diversità linguistica sia uno strumento per ottenere una migliore comprensione interculturale e un elemento chiave nel ricco patrimonio culturale del nostro continente, il Consiglio d’Europa promuove il pluralismo in tutta Europa.

Nell’Unione Europea si contano 24 lingue ufficiali (bulgaro, ceco, croato, danese, estone, finlandese, francese, greco, inglese, irlandese, italiano, lettone, lituano, maltese, olandese, polacco, portoghese, rumeno, slovacco, sloveno, spagnolo, svedese, tedesco e ungherese) e oltre 60 lingue autoctone regionali o minoritarie, parlate da circa 40 milioni di persone, fra cui il catalano, il basco, il frisone, le lingue sami, il gallese e lo yiddish.

Sia come singolo sia come gruppo, attraverso un’organizzazione (scuola o associazione) o solo tra amici e gente di ogni età, tutti possono far parte della Giornata europea delle lingue. Ognuno può contribuire al successo della Giornata – sia partecipando alle attività già in programma, sia organizzando eventi con gli altri.

I temi e gli obiettivi della Giornata

Come nelle edizioni precedenti e sin dal 2001, l’iniziativa invita a riflettere sull’importanza dell’apprendimento delle lingue per la crescita integrale della persona e sull’importanza della diversità linguistica e culturale, in quanto patrimonio immateriale da amare, rispettare, proteggere.

La Giornata Europea delle Lingue 2022 si veste di giallo e blu, in sostegno europeo alla popolazione ucraina per condannare la guerra e la violazione dei diritti in ogni loro forma.

Tra gli obiettivi:– promuovere l’importanza dell’apprendimento delle lingue, diversificando la gamma di lingue imparate con l’obiettivo di incrementare il plurilinguismo e la comprensione interculturale;
– promuovere le diversità linguistiche e culturali dell’Europa, che devono essere preservate e favorite;
– incoraggiare l’apprendimento delle lingue durante tutto l’arco della vita dentro e fuori la scuola.

Eventi nazionali
Per meglio promuovere questa giornata, il Consiglio d’Europa ha deciso di nominare dei referenti nazionali.
In Italia dal 2021 il referente nazionale della Giornata per il Centro Europeo di Lingue Moderne del Consiglio d’Europa a Graz è il Centro Europe Direct del Comune di Venezia, responsabile del sito web ufficiale tradotto in 37 lingue diverse e dove si trovano molti degli eventi organizzati per la prossima 21° celebrazione della Giornata. Tra questi: l’App delle sfide linguistiche, una competizione tra chi conosce e sa ripetere più scioglilingua, il libro delle barzellette multilingue, un sondaggio “Perché imparare una lingua” e molte altre.

Tra gli altri ricordiamo che la sezione italiana di Trinity offre un’ampia gamma di iniziative dal 26 al 30 settembre, con una settimana di eventi online gratuiti con Trinity College London Italy: ogni giorno un appuntamento diverso, per parlare insieme di metodologia CLIL, continuità didattica, storytelling, ma anche della relazione tra lingua e musica e dei giochi online come strumenti utili per favorire l’apprendimento della lingua inglese. Tutti gli incontri si svolgeranno online su Zoom e la partecipazione è gratuita.

L’Anils, Associazione Nazionale Insegnanti Lingue Straniere organizza una serie di incontri gratuiti sulla didattica delle lingue, a cui ci si può registrare dal sito.

Elezioni 2022, nelle scuole seggio elettorale come vanno considerate le assenze del personale scolastico?

da La Tecnica della Scuola

Di Redazione

Si avvicina il voto. Domenica 25 settembre 2022 dalle ore 7.00 alle 23.00 le scuole seggio elettorale saranno abitate per un giorno dai cittadini italiani intenzionati a esprimere il proprio giudizio sull’operato dei partiti (qui i programmi scuola). Un appuntamento, quello elettorale, che comporta la chiusura di molti plessi per l’allestimento dei locali a partire dal pomeriggio di venerdì 23 settembre e fino al 26 settembre compreso. Scuole chiuse per tre giorni, quindi, tolta la domenica.

Quali conseguenze per il personale scolastico? Il sindacato Flc Cgil fa una rassegna delle varie situazioni in cui potrà trovarsi un docente o un collaboratore scolastico. “Qualora il personale scolastico non possa prestare la propria attività nella sede di lavoro perché inaccessibile – precisa il sindacato – così come disposto dagli organi competenti, si determina un’assenza pienamente legittima, non riconducibile ad alcuna tipologia di previsione contrattuale”.

“Tali assenze non vanno giustificate, non sono oggetto di decurtazione economica o di recupero, né imposte come ferie o considerate permessi retribuiti e rientrano a pieno titolo nel computo dei periodi utili ai fini dell’anno di formazione e prova e nella continuità del servizio su supplenza”.

I chiarimenti di Flc Cgil

Chiusura totale della scuola

Nel caso in cui l’intera scuola (con unica sede) venga chiusa per la consultazione elettorale, tutte le attività di quella scuola sono sospese, gli alunni rimangono a casa e nessun lavoratore, sia esso dirigente scolastico, DSGA, docente o ATA, è tenuto a prestare servizio, né a recuperare le ore non svolte.

Se la consegna della scuola avviene al termine della sessione antimeridiana, quindi si effettua la chiusura dell’edificio a partire dal pomeriggio, non hanno obblighi di servizio i lavoratori (docenti e ATA) impegnati in quella fascia oraria, né sono tenuti ad anticipare o restituire la mancata prestazione. Qualora subentrino “esigenze di funzionamento”, ad esempio in sostituzione di personale assente alla mattina, il dirigente disporrà i provvedimenti secondo quanto previsto nel contratto integrativo di istituto.

Chiusura di una scuola, plesso o sede ubicata nello stesso o in diverso comune, con mantenimento dell’apertura della sede centrale

In questo caso sono sospese tutte le attività della sola scuola/plesso, ma non quelle della sede centrale. Il personale docente e ATA in servizio nella sede che rimane chiusa non è obbligato ad adempiere a prestazioni lavorative nella sede centrale (tenendo conto che l’assegnazione di docenti e ATA ad una sede della scuola in comune diverso ha durata annuale), salvo non vi siano “effettive e straordinarie esigenze di funzionamento”. Tale utilizzo deve essere in ogni caso regolato nel contratto integrativo di istituto e solo per lo stretto necessario.

Chiusura di un singolo plesso o succursale di una scuola con più sedi, ma non della sede centrale

Sono sospese tutte le attività degli alunni di quel singolo plesso o succursale, ma non quelle delle altre sedi della scuola. Anche in questo caso il personale docente e ATA non è tenuto, nei giorni lavorativi di chiusura, a prestare servizio nelle altre sedi salvo non vi siano “effettive esigenze di funzionamento” (es. sostituzioni di assenti). I criteri di utilizzo del personale non possono essere decisi in via esclusiva dal dirigente scolastico, ma regolati nel contratto integrativo di istituto per lo stretto necessario.

Chiusura di una parte dell’edificio scolastico, ovvero sospensione delle lezioni/attività didattiche, ma senza la chiusura della presidenza e segreteria

Si verificano situazioni in cui non viene utilizzato l’intero edificio scolastico per l’allestimento dei seggi, ma solo alcune aule e/o parte dei corridoi. In questo caso gli alunni rimangono a casa e i docenti non hanno obblighi di insegnamento; c’è l’obbligo di partecipare alle attività funzionali e collegiali, nonché a quelle aggiuntive, se già programmate nel piano annuale delle attività, secondo l’orario definito e se compatibili con la disponibilità dei locali.

Con l’apertura della presidenza e della segreteria il personale ATA resta in servizio per le esigenze di funzionamento. L’utilizzo del personale, non può essere stabilito in via unilaterale ma sempre regolato nel contratto integrativo di istituto.

Può verificarsi un ulteriore caso, ricorrente soprattutto negli Istituti Comprensivi: la chiusura di un piano o ala dell’edificio, coincidente con la locazione delle aule di un solo grado di istruzione e sovente con ingresso separato (esempio la primaria). Le lezioni si svolgeranno per gli alunni che si trovano nel settore non-interessato (la secondaria di primo grado, per continuare l’esempio) con i docenti in regolare servizio, secondo l’orario programmato. Il personale ATA presta attività lavorativa per le dovute esigenze di funzionamento.

Chiusura della scuola con presidenza e segreteria ma non di altri plessi, succursali o sezioni staccate

Nella sede centrale gli alunni rimangono a casa e i docenti e gli ATA non potranno prestare servizio. Gli alunni delle altre sedi, invece, svolgono normale attività didattica. Anche in questo caso il dirigente, sempre con criteri definiti in contrattazione, dovrà far fronte alle possibili esigenze delle succursali/sezioni aperte (ad esempio per il funzionamento provvisorio della segreteria in altra sede).

Servizi di supporto al funzionamento dei seggi

La responsabilità per il funzionamento dei seggi, ivi compresa la pulizia, la sanificazione e la predisposizione dei locali, degli allestimenti e di quanto necessario, è dell’Amministrazione comunale che provvede con i propri addetti.

È inoltre possibile stabilire un accordo col Comune, che si farà carico degli adeguati e corrispondenti compensi, per utilizzare su base volontaria il personale ATA della scuola al fine di garantire alcuni compiti precisi, tipo quelli inerenti le funzioni connesse agli impianti/sistemi elettrici e di sicurezza dell’istituto.

In questo caso, al pari di chi è impegnato direttamente al seggio, questo personale ha diritto al recupero immediato del riposo festivo (domenica, ed anche del sabato se giorno libero).

Le ultime sulle sanzioni disciplinari ai docenti

Le ultime sulle sanzioni disciplinari ai docenti

di Francesco G. Nuzzaci

Nell’articolato – e volutamente dilatato – calendario predisposto dall’ARAN sul rinnovo del CCNL di comparto è ritornata sulla scena, il 7 settembre u.s., la stucchevole telenovela delle sanzioni disciplinari irrogabili ai docenti.

Giusto intendimento dell’ARAN era quello di risolvere l’eterno assetto provvisorio della materia; che dopo due rinvii – art. 91 del CCNL 2006/2009 e art. 29 del CCNL 2016/2018 – dovrà pure, alla buonora, allinearsi – secondo risalenti e finora disattese disposizioni di legge – alla comune normativa civilistica, quale strumento di gestione del datore di lavoro (artt. 5 e 25 del D. Lgs. 165/2001), sia questi un soggetto privato o una pubblica amministrazione, l’unica differenza consistendo nella facoltatività di attivarsi nel primo caso e nell’obbligatorietà nel secondo: beninteso, qualora si versi in presenza di fatti ritenuti di rilevanza disciplinare e sempre nel rispetto delle procedure legali e pattizie per evitarsi abusi e per tutelare il lavoratore che si trova in stato di soggezione.

Ma, come previsto, le sigle sindacali hanno riproposto il consolidato copione che disconosce le disposizioni di legge (anche nei confronti del personale ATA) nel punto in cui attribuiscono al dirigente scolastico il potere di irrogare direttamente tutte la sanzioni fino alla sospensione dal servizio e dallo stipendio per non più di dieci giorni, non essendo accettabile – dicono – che confluiscano nello stesso soggetto più poteri: accertare i fatti, raccogliere testimonianze, avviare il procedimento disciplinare formulando i capi di accusa, sentire le varie parti coinvolte all’interno del contraddittorio e in esito al medesimo comminare la sanzione ovvero archiviare il procedimento.

A ciò osterebbe – sempre secondo loro –  l’obbligato rispetto della libertà d’insegnamento, costituzionalmente tutelata e che – pare di capire – al massimo sopporterebbe il potere della controparte datoriale di infliggere il rimprovero verbale, come avviene per i dirigenti delle altre amministrazioni pubbliche, per il resto subentrando la competenza degli appositi uffici esterni per i procedimenti disciplinari e con il previo filtro di un istituendo organismo di garanzia (che la legge non solo non lo prevede, ma lo esclude esplicitamente ex art. 55, comma 3 e art. 55-bis, comma 9-bis del D. Lgs. 165/2001 e s.m.i.).

Fa specie, ma non più di tanto, che non ci si fidi dei dirigenti scolastici – che pure in altra sede le stesse sigle sindacali rappresentano – poiché avrebbero lo strumento disciplinare facile, come testimoniato anche da “recenti fatti di cronaca, che hanno visto perseguiti ingiustamente dei docenti nello svolgimento delle loro attività didattiche” (dal sito www.flc cgil.it del 07.09.2022).

Ma quel che appare una inaccettabile grossolana mistificazione tutta ideologica è il radicale fraintendimento della libertà d’insegnamento, pretesa come diritto soggettivo assoluto, sì da non tollerare qualsivoglia intrusione nella propria sfera giuridica (ius excludendi alios), mentre – all’opposto –  è essa qualificata come funzione (art. 395, D. Lgs. 297/1994) e così ribadita nell’articolo 27 del CCNL 2016-2018, comparto Istruzione e Ricerca: vale a dire, un complesso di facoltà che combinano diritti e doveri, obbligatoriamente – e in modo corretto, altrimenti consumandosi un abuso, giuridicamente sanzionabile –  esercitabili per la realizzazione di un diritto altrui (dell’alunno o studente di essere educato, formato, istruito: art. 1, comma 2, D.P.R. 275/1999, Regolamento dell’autonomia). Quindi da svolgersi entro le coordinate poste dalla legge e in conformità delle conseguenti decisioni collegialmente adottate, essa agendosi, e circoscrivendosi, nell’attuazione di un progetto formativo già definito nelle sue direttrici di fondo, sia negli aspetti didattici in senso stretto che nei profili latamente organizzativi, nel Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF).

È questa libertà d’insegnamento, correttamente intesa, che già è tutelata nell’articolo 25, comma 3 del D. Lgs. 165/2001 e in senso più ampio e generalizzato nell’articolo 7, comma 2 dello stesso testo normativo.

Pertanto, alla stregua del suddetto progetto formativo, la libertà d’insegnamento – nel suo concreto esercizio –  può e deve essere rendicontata e apprezzata, alla pari di ciò che avviene nello svolgimento di ogni funzione agita nelle amministrazioni pubbliche. E in ragione di ciò non è affatto preclusa al dirigente scolastico – rappresentante legale e responsabile della gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali e dunque dei risultati del servizio: art. 25, comma 1, D. Lgs. 165/2001 – la cognizione dei contenuti e dei modi in cui l’insegnamento è stato impartito (anzi, ciò è un suo dovere, quale primo garante del diritto dell’alunno/studente alla prestazione).

Sul punto la giurisprudenza, risalente e mai smentita, resta concorde nel reputare di spettanza del responsabile dell’istituzione scolastica “il potere di accertare e valutare, sulla base dell’esperienza concreta e dei risultati raggiunti dal docente, il grado di efficacia del metodo seguito” (Consiglio di Stato, sez. VI, 22.12.1966, n. 297), dato che “la libertà d’insegnamento non implica l’insindacabilità in ordine ai metodi didattici, che devono assicurare comunque l’efficienza del servizio dell’istruzione in vista del raggiungimento degli specifici scopi educativi per cui essa è organizzata” (Consiglio di Stato, 01.06.1971, n. 405 e 06.05.1969, n. 207).

Rimane comunque pacifico – ma evidentemente non per i sindacati di comparto –  che i docenti non possono rivendicare la libertà d’insegnamento e/o l’autonomia tecnico-professionale a giustificazione di inadempienze, legali e contrattuali, che fungono, per così dire, da corredo alla prestazione tipica; tal che non può esserci nessuna copertura che mandi esente da responsabilità disciplinare – e, ricorrendone i presupposti, penale e civile – chi si assenta ingiustificatamente, chi non compila i registri, chi non adempie agli obblighi di vigilanza della classe, chi si dimostra negligente nell’espletare le proprie mansioni, chi assume comportamenti scorretti verso i colleghi o gli utenti, chi arriva a scuola – più o meno sistematicamente – in ritardo, e altro ancora.

Tanto puntualizzato, resta il fatto che, secondo una oramai inequivoca giurisprudenza della Corte di cassazione (da ultimo, ordinanza n. 23524 del 27.08.2021), la novella al D. Lgs. 150/2009 (c.d. Riforma Brunetta) recata dal D.  Lgs. 75/2017 non ha modificato la disciplina sostanziale delle sanzioni, avendo solo ribadito per i dirigenti scolastici l’astratto potere di disporre direttamente la misura massima della sospensione dal servizio per non più di dieci giorni, con l’ulteriore specificazione – rispetto alla preesistente disciplina – che essa concerne l’intero “personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario”; mentre è certo che  questa prerogativa non sussiste più per tutti gli altri dirigenti pubblici, che devono ora limitarsi al solo rimprovero verbale e a segnalare al competente Ufficio per i procedimenti disciplinari i fatti stimati meritevoli di più gravi sanzioni.

Si tratta allora di inserire nel CCNL, come correttamente ha prospettato l’ARAN, anche per i docenti una sanzione disciplinare tipica della sospensione dal servizio fino a dieci giorni, unitamente alle altre sanzioni c.d. privatizzate e tutte sostitutive di quelle pubblicistiche figuranti nel Testo unico della scuola (D. Lgs. 297/1994). E il non farlo significherebbe continuare a disattendere la volontà di una legge dello Stato: esattamente quello che vogliono – e lo hanno apertamente dichiarato – le sigle sindacali del comparto, riproponendo in via pregiudiziale la totale indisponibilità a definire la materia qualora dovesse permanere il vincolo della legge Madia (art. 55-bis, comma 9-quater del D. Lgs. 165/2001, come novellato dal D. Lgs. 75/2017), previsto peraltro solo nel comparto scuola, che assegna al dirigente scolastico la competenza ad irrogare la sanzione disciplinare fino a dieci giorni di sospensione, mentre in tutti gli altri comparti pubblici l’irrogazione di tale sanzione è affidata a un apposito ufficio per i procedimenti disciplinari. Ne deriva – concludono – l’inopportunità di definire un codice disciplinare che, in assenza di un’auspicata modifica del quadro normativo, non potrebbe tener conto debitamente delle particolarità e specificità del lavoro docente, a cui va garantitapienamente la libertà d’insegnamento.

Dunque, ancora una volta, non se ne farà nulla. Sicché dovrà essere a breve il nuovo ministro dell’Istruzione – che voglia e/o che sia in grado di fare il ministro – a dover promuovere un intervento legislativo che introduca nell’ordinamento la sanzione disciplinare tipica e autonoma della sospensione dalservizio fino a dieci giorni, sempreché non si accetti supinamente di continuare a far dipendere l’attuazione di leggi dello Stato dalla mera volontà delle organizzazioni sindacali e alle condizioni dalle medesime imposte.

Outdoor learning

Outdoor learning, il bello della scuola all’aperto

di Bruno Lorenzo Castrovinci

O meglio scuola all’aperto, un metodo pedagogico sempre più diffuso nella scuola di oggi di tutto il pianeta.

Adatto a bambini e ragazzi di ogni età, esso consiste nello svolgere le lezioni a contatto con la natura, sfruttando gli spazi all’aperto di pertinenza degli edifici scolastici e le uscite didattiche in outdoor, come escursioni e visite in contesti antropizzati e non, luoghi e ambienti di pregio per svolgere delle lezioni dove lo studente, soprattutto nell’ambito dell’apprendimento delle STEAM, possa incrementare il proprio “curriculum experience”.

Gli studenti, in questo modo, imparano il rispetto della natura, sono in grado di toccare con mano i vari fenomeni naturali e scientifici, acquisendo nuove competenze in ambienti di apprendimento immersivi, nuovi e stimolanti.

La diffusione dell’Outdoor Learning, oltre a condividere e riconoscere i principi dell’Agenda 2030 dell’ONU, per uno sviluppo sostenibile del pianeta, è diventata negli ultimi anni la soluzione per svolgere attività didattiche in sicurezza e arginare la diffusione del virus SARS COV 2.

Per la nostra scuola italiana un’esperienza pedagogica di questo tipo rappresenta sempre più un’occasione per essere protagonisti di un rinnovato modo di fare didattica che sfrutta gli spazi all’aperto come ambienti ideali di apprendimento, con una didattica fondata sull’esplorazione, sulla scoperta, sull’apprendimento di abilità sul campo, per uno sviluppo di competenze unico.

La nostra penisola, infatti, si presta più di altre nazioni a tale proposta, sia per il fatto che fondamentalmente, tranne poche città, gli insediamenti urbani sono prevalentemente rurali, sia perché molti plessi della scuola dell’infanzia ma anche di altri ordini di scuola presentano spazi verdi di pertinenza delimitati.

Alcune realtà sono, inoltre, vicine a parchi urbani o addirittura in aperta campagna, per non citare le scuole che da anni hanno realizzato orti e fattorie didattiche.

Dopotutto, i grandi pedagogisti del passato lo avevano intuito, provato, divulgato, da Baden-Powell, fondatore dello scautismo, a  John Dewey con la sua didattica esperenziale, a Adolphe Ferrière con la campagna come luogo ideale per l’apprendimento, alle sorelle italiane Agazzi  e al compianto Gianfranco Zavalloni, con la sua pedagogia della lumaca, pilastro portante della rete nazionale delle scuole all’aperto, di cui molti istituti di tutta Italia  ne fanno parte e contribuiscono in modo attivo alle attività di ricerca e sperimentazione.

L’outdoor learning, come lo conosciamo oggi, nasce grazie al professore inglese Simon Beames, il quale, per primo, ha sfruttato lo spazio esterno degli edifici scolastici per le attività didattiche.

Oggi questa nuova modalità didattica si sta diffondendo in moltissime scuole europee e italiane poiché consente, oltre allo svolgimento delle attività didattiche che prima venivano svolte nel chiuso delle aule, anche altre e nuove esperienze stimolanti tali da consentire un approccio attivo con l’ambiente naturale e incrementare, divertendosi, le attività psicomotorie.

Scuola dell’infanzia

L’outdoor learning, per i piccolissimi bambini che frequentano la scuola dell’infanzia e i primi anni della scuola primaria, si svolge prevalentemente in spazi verdi, spesso di pertinenza dell’edificio scolastico, che a tale scopo vengono attrezzati con panche per la didattica all’aperto in legno, gazebi, giochi e percorsi per la psicomotricità, orti didattici, piccole serre, pollai o piccoli recinti per gli animali.

Interessante a quest’età è l’interazione con il mondo naturale, alla scoperta dei cicli della natura, che i bambini possono apprendere attraverso l’esperienza diretta della coltivazione negli orti didattici o l’osservazione della vita degli animali.

I campi di esperienza si declinano in nuovi e interessanti ambienti di apprendimento, ma gli spazi all’aperto possono essere utilizzati anche per nuove e interessanti routine che scandiscono il tempo del bambino. Basti pensare alle attività di socializzazione e svago, ai momenti in cui i bambini possono, sotto l’osservazione attenta della maestra o del maestro, correre liberamente immersi nella natura.

Con la coltivazione delle specie vegetali i bambini imparano i cicli della natura ma anche i rudimenti delle pratiche agricole tradizionali.

L’orto didattico, in particolare, è quell’esperienza che molte scuole svolgono ogni anno e che, per alcune di loro, è stata oggetto nell’ultimo anno scolastico, di sperimentazione, ricerca e innovazione nell’ambito del progetto MenSi – Mentoring for School Improvement  – nel quale le scuole mentee, con la supervisione della scuola mentor e con il supporto attivo dei ricercatori INDIRE, hanno realizzato e documentato, le attività svolte.

Dall’analisi dell’esperienza didattica è emerso che i bambini hanno mostrato interesse sia verso la natura sia verso i suoi prodotti, collaborando alla progettazione ed alla realizzazione dell’orto: hanno, infatti, seguito ed eseguito alcune fasi della coltivazione: manipolando scavando, seminando e raccogliendo…    

Nel progetto si riesce a declinare il learning by doing nelle varie sfaccettature didattiche e pedagogiche, grazie all’utilizzo non solo delle varie tipologie di piante (da quelle officinali, agli ortaggi) ma anche di forme geometriche ed attrezzi da giardinaggio.

In una prospettiva di sviluppo futuro, sfruttando le nuove risorse messe a disposizione dai fondi PON e PNRR, si potrebbe ampliare l’orto didattico con una serra e spazi attrezzati per le coltivazioni idroponiche e con la creazione di spazi artistici realizzati sfruttando le differenze cromatiche relative alla nascita e crescita di piante e fiori stagionali differenti in base al momento dell’anno.

In questo modo sarebbe possibile realizzare dei veri e propri laboratori all’aperto utilizzabili dai bambini e dai ragazzi di tutti gli ordini di scuola.

Scuola primaria

In un anno scolastico come l’ultimo, in cui le disposizioni dovute all’emergenza sanitaria hanno richiesto uno stravolgimento nella didattica e nell’organizzazione scolastica, l’uso del giardino della scuola non è stato solo un modo per rispondere all’emergenza ma, soprattutto, un’occasione di ricerca pedagogica.

Sicuramente diversi studi dimostrano che sono molti i benefici dell’outdoor learning.

Da uno studio dell’American Academy of Pediatrics viene evidenziato che il sistema immunitario di un bambino che gioca all’aria aperta è più sviluppato rispetto a quello di bambini che trascorrono la maggior parte del loro tempo in ambienti chiusi.

Questo è l’aspetto legato alla salute fisica del bambino, ma ancora più importante è sottolineare l’aspetto psicologico.

L’educazione all’aria aperta porta il bambino a rapportarsi con tempi e modalità più “a misura di bambino”.

Di outdoor education si parlava già nel corso dei secoli scorsi quando grandi pedagogisti italiani come Comenio, Pestalozzi, Frobel avevano già evidenziato il legame tra esperienza e apprendimento e avevano fatto emergere il ruolo dell’ambiente esterno nell’attivazione dei processi cognitivi.  La stessa Maria Montessori ha sperimentato esperienze di scuole innovative dando grande risalto al rapporto con la natura.

Questo tipo di esperienza non va intesa come la scuola della ricreazione, ma come un complesso modello pedagogico, didattico e organizzativo.

Alberto Manzi diceva “io posso insegnare il ciclo dell’acqua ma se un bambino non ha mai provato cosa vuol dire la pioggia sul viso non saprà mai fare un collegamento concreto”.

L’approccio pedagogico dell’outdoor education è proposto dal Movimento “Avanguardie educative” come una delle idee innovative volte a promuovere la trasformazione del modello tradizionale di fare scuola.

Alcune scuole nell’ambito del progetto europeo MenSi, hanno avuto modo di sperimentare tale metodologia.

Gli alunni hanno imparato ad approfondire, ampliare, dettagliare quanto svolto al chiuso, in classe.

Gli insegnanti hanno introdotto nel loro lavoro quotidiano con i bambini, elementi naturali offerti in chiave didattico-educativa. Non solo elementi di origine naturale ma qualsiasi oggetto non strutturato e di recupero che potesse ampliare l’offerta educativa per i nostri alunni.

Alla fase della progettazione è seguita quella della realizzazione delle attività proposte all’aperto: lettura di storie, attività di matematica e scienze con materiale reperito in giardino.

Sicuramente in questa fase di sperimentazione, l’outdoor education non è stata una strategia per sostituire il sistema educativo più tradizionale, piuttosto lo ha affiancato per completarlo con esperienze che l’ambiente chiuso non può offrire.

Uscire all’aperto, però, non significa riproporre fuori quanto si studia dentro, bensì utilizzare quanto l’ambiente e la natura mettono a disposizione per ulteriori apprendimenti, caratterizzati dai fenomeni che, in modo del tutto naturale, si realizzano all’aperto e non al chiuso. All’aria aperta vengono rispettati gli spazi che ogni bambino dovrebbe avere anche in piena pandemia da Covid-19.

Le esperienze realizzate raccontano di come il “fuori” sia stato spunto per vari percorsi disciplinari che poi si sono svolte anche in aula. Ambienti di apprendimento nuovi che diventano, meteo permettendo, parte integrante della scuola e nei quali si alternano le attività per un nuovo modo di fare didattica. Si va, pertanto, oltre l’aspetto motorio o scientifico, che pare essere oggetto privilegiato dell’outdoor, per individuare quanto nella natura possa offrire molteplici occasioni educative e di apprendimento.

Ma l’outdoor learning si estende, anche per i più piccoli, alle visite presso le fattorie didattiche presenti sul territorio, in grado di coinvolgerli, attraverso un’esperienza concordata tra i titolari della struttura, le maestre e i maestri, in laboratori didattici finalizzati all’osservazione dei vari aspetti della vita sia agreste, ma anche semplicemente all’osservazione scientifica di fenomeni.

Da non sottovalutare l’osservazione degli animali, che può essere incentivata anche attraverso la realizzazione di recinti e pollai, in cui i bambini possono familiarizzare con varie specie animali.

Negli orti didattici l’esperienza si estende a incontri insoliti come la talpa, i lombrichi, le lumache, che attraggono i bambini in quanto poco diffusi e conosciuti.

Per tutti i bambini e i ragazzi in età scolare, leggere all’aria aperta o studiare immersi nella natura, diventa un modo per vivere al meglio il tempo scuola.

Le lezioni all’aperto, oggi più che mai, con la necessità di areare costantemente le aule, diventano l’occasione per vivere al meglio l’esperienza didattica anche soprattutto nei primi mesi autunnali e in primavera, quando le temperature, particolarmente in alcune regioni, consentono di svolgere in condizioni ottimali le attività all’aperto.

Scuola secondaria di primo e secondo grado

Per i ragazzi della scuola secondaria di primo e secondo grado, interessanti sono le escursioni naturalistiche, le gare di orienteering, le visite guidate, tutte inserite in un’articolata e complessa cornice di scuola all’aperto, che si espande nel quotidiano alle aule all’aperto realizzate nelle aree verdi di pertinenza degli edifici scolastici.

La maggior parte di queste attività possono essere svolte in tutte le stagioni dell’anno, dopotutto camminare è di per sè un’esperienza interessante, durante la quale i compagni socializzano e si raccontano, si aprono all’altro, migliorando di fatto le competenze socio-relazionali.

Interessanti anche le visite guidate e le uscite didattiche presso contesti antropici di pregio, le città d’arte diventano con la loro struttura urbana, ambienti ideali di apprendimento per discipline come la storia e l’arte e non solo, ma anche per l’italiano, in quanto alcuni scorci di città sono stati fonte d’ispirazione letteraria e poetica.

Un po’ più audace lo studio della fisica nei parchi giochi dove le attrazioni consentono uno studio della meccanica e della cinematica divertendosi, in pieno stile di edutainment (Educare e formare divertendosi).

I vantaggi e svantaggi dell’Outdoor Learning

Le attività di outdoor learning hanno indubbiamente il vantaggio di costare poco, quasi tutte le attività che si possono realizzare, infatti, prevedono un budget limitato e sostenibile per tutti i programmi annuali delle istituzioni scolastiche.

Le attività, ovviamente, sono molteplici: dall’allestimento di spazi all’aperto, con l’acquisto di arredo dedicato di costo modesto, a veri e propri orti didattici, il cui costo maggiore è la preparazione del terreno, all’acquisto di attrezzi per la coltivazione di ortaggi ed erbe aromatiche. Naturalmente si possono anche realizzare investimenti più importanti con la realizzazione di serre, colture idroponiche, spazi coperti con tettoie e gazebi, piccoli recinti per l’allevamento degli animali, piccoli pollai e veri e propri impianti sportivi all’aperto, ma, in linea di massima, i costi dell’outdoor learning sono sempre molto contenuti.

Altri vantaggi sono la vita all’aria aperta e la possibilità di stimolare i processi cognitivi con nuovi input sensoriali, tattili e attraverso la percezione degli odori con l’olfatto.

Con un uso sistematico e ordinario degli spazi all’aperto, gli studenti imparano a riconoscere il ciclo delle stagioni con le loro caratteristiche meteo.

Gli svantaggi sono legati prevalentemente alle condizioni meteo, ma anche ad un maggior impegno da parte del personale docente nelle attività di vigilanza non solo per i più piccoli, ma per le attività di edutainment svolti nei parchi giochi attrezzati per lo studio della fisica e nelle escursioni naturalistiche, specialmente quelle in ambienti innevati o vulcanici, anche per i ragazzi più grandi.

Le reti di scuole

In italia l’outdoor learning è promosso dalla rete “Scuole All’aperto”, della quale si possono avere maggiori informazioni all’indirizzo: https://scuoleallaperto.com/ e dal “Movimento Avanguardie Educative” con le sue idee che si possono adottare e di cui è possibile avere maggiori informazioni al seguente indirizzo: https://innovazione.indire.it/avanguardieeducative/

Outdoor Learning, quindi, per ritrovare un modo antico di fare scuola ma, allo stesso tempo, sperimentare nuove metodologie didattiche sfruttando l’ambiente naturale, in tutte le ore della giornata e anche di notte. Perché no, studiando le stelle, magari in aperta campagna, rendendo sempre più prossima questa proiezione verso il futuro in cui lo spazio aprirà per l’uomo nuove frontiere per nuovi mondi da vivere e esplorare.

Ma questa è tutta un’altra storia da scrivere e un giorno da raccontare.

Nota 19 settembre 2022, AOODGOSV 23988

Ministero dell’Istruzione
Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione
Direzione generale per gli ordinamenti scolastici, la valutazione
e l’internazionalizzazione del sistema nazionale di istruzione

Agli Istituti Professionali del Sistema Educativo Nazionale di Istruzione e di Formazione
Agli Uffici Scolastici Regionali LORO SEDI
e, p.c. All’Ufficio di Gabinetto Al Dipartimento del Sistema Educativo di Istruzione e Formazione SEDE

Oggetto: Nota sul decreto ministeriale n. 164 del 15 giugno 2022 di adozione dei “Quadri di riferimento per la redazione e lo svolgimento delle seconde prove” e delle “Griglie di valutazione per l’attribuzione dei punteggi” per gli esami di Stato conclusivi del II ciclo degli istituti professionali di nuovo ordinamento.

Nota 19 settembre 2022, AOODGSIP 2960

Ministero dell’Istruzione
Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione Direzione generale per lo studente, l’inclusione e l’orientamento scolastico
Ufficio II

Ai Direttori Generali e ai Dirigenti titolari degli Uffici Scolastici Regionali
Al Dipartimento istruzione – Provincia Autonoma di Trento
Alla Sovrintendenza Scolastica per la Provincia di Bolzano
All’Intendenza Scolastica per la Scuola in lingua tedesca – Bolzano
All’Intendenza Scolastica per le Località Ladine – Bolzano
Alla Sovrintendenza agli studi per la Regione Valle d’Aosta
e pc Ai Dirigenti delle Istituzioni scolastiche di primo e secondo ciclo d’istruzione statali e paritarie e ai Dirigenti dei Circoli didattici

Oggetto: XXI edizione Concorso “I giovani ricordano la Shoah” – Anno scolastico 2022/2023

Nota 19 settembre 2022, AOODGOSV 23940

Ministero dell’Istruzione
Direzione generale per gli ordinamenti scolastici, la valutazione e l’internazionalizzazione del sistema nazionale di istruzione
Ufficio 6° – Valutazione del sistema nazionale di istruzione e formazione

Ai Direttori generali/Dirigenti titolari degli Uffici Scolastici Regionali
Ai Dirigenti scolastici/Coordinatori didattici delle Istituzioni scolastiche statali e paritarie di ogni ordine e grado e dei CPIA LORO SEDI
e p.c. Al Capo di Gabinetto Al Capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione
Al Capo Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali
Al Sovrintendente agli Studi della Valle d’Aosta Al Sovrintendente Scolastico della Provincia di Bolzano
Al Dirigente del Dipartimento Istruzione per la Provincia Autonoma di Trento Al Capo Ufficio stampa LORO SEDI

Oggetto: Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) – indicazioni operative in merito ai documenti strategici delle istituzioni scolastiche per il triennio 2022-2025 (Rapporto di autovalutazione, Piano di miglioramento, Piano triennale dell’offerta formativa, Rendicontazione sociale)