Principali dati della scuola – Avvio Anno Scolastico 2022/2023

Settembre 2022

Ministero dell’Istruzione – Direzione generale per i sistemi informativi e la statistica – Ufficio di statistica

Un coach digitale per aiutare le persone autistiche

Un coach digitale per aiutare le persone autistiche a superare gli imprevisti
Vita del 22/09/2022

AI Coach” è la nuova App che, grazie all’intelligenza artificiale, stimola e potenzia l’autonomia, favorendo l’inclusione sociale delle persone nello spettro autistico o con disabilità intellettiva. Un aiuto nella gestione della sua quotidianità, imprevisti compresi.
Hai trovato il solito negozio chiuso? Chiama Blu. Il bus non passa? Dillo a Blu. Ti urlano addosso? Chiama Blu. Blu è il bot di “AI Coach”, la nuova App utilizzabile sui dispositivi mobili che consente alle persone nello spettro dell’autismo di avere a portata di mano un aiuto senza necessariamente chiedere aiuto. Uno strumento che, grazie all’intelligenza artificiale, stimola e potenzia l’autonomia, favorendo l’inclusione sociale. L’obiettivo è creare un’app per cellulare, che successivamente sarà disponibile anche per tablet, che aiuti la persona con disabilità nella gestione della sua quotidianità, imprevisti compresi.

Il progetto è realizzato da ANFFAS Nazionale, soggetto capofila e coordinatore, in partenariato con ANGSA e con il contributo di Fondazione TIM. Le attività di ricerca sono realizzate dall’Università di Trento – Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione diretto dal Professor Giuseppe Riccardi. In queste settimane “AI Coach” è entrato nella fase due, con lo sviluppo del secondo prototipo del sistema conversazionale in base ai feedback ricevuti nella prima fase della sperimentazione. 

di Sara De Carli

Il futuro della scuola nel silenzio dei partiti

da Corriere della Sera

di Ernesto Galli della Loggia

I promossi sfiorano ormai sempre il 100 per cento. Dato solo apparentemente ultrapositivo, infatti di questi promossi oltre il 20% abbandona l’università dopo il primo anno e alla laurea non arriva neppure la metà delle matricole

Anche in questa campagna elettorale per l’ennesima volta sull’istruzione è calato il silenzio. Nessun partito ne ha fatto un tema centrale della sua piattaforma politica. Il fatto è che della scuola e dell’istruzione, in realtà, la politica non sa né si cura di sapere nulla. Ubriacata dal mare di demagogia che negli ultimi trent’anni essa stessa ha prodotto al riguardo e che la burocrazia ministeriale si è incaricata di moltiplicare per mille, ignora la realtà critica delle cose. Ignora che l’intero sistema italiano dell’istruzione pubblica, dalla scuola dell’infanzia all’Università, fa acqua da ogni parte. E per conseguenza non si rende conto che questa sta diventando sempre di più una delle cause principali della nostra arretratezza complessiva come Paese.

Basta a confermarlo il dato di cui abbiamo avuto notizia proprio da questo giornale ( Corriere della Sera , 19 settembre): le altissime cifre dell’evasione dell’obbligo scolastico e dell’abbandono degli studi (quelli universitari compresi). Il che fa sì che ben il 23,1% (una cifra enorme) dei giovani italiani tra i 15 e i 29 anni di età non studia e non lavora. Si spiega così la situazione del nostro mercato del lavoro che specie nel Mezzogiorno e specie tra le donne vede un altissimo numero di persone prive di qualunque competenza professionale, destinate perciò alla disoccupazione o a lavori dequalificati e perlopiù in nero: due categorie, detto tra parentesi, alle quali appartengono anche molti percettori del reddito di cittadinanza.

Ma la crisi del sistema dell’istruzione ha un significato ancora più vasto e grave. La scuola che c’è è una scuola che — non per colpa di chi in essa lavora ma a causa dell’impostazione che le è stata data da scelte politiche sconsiderate — non ha come sua stella polare l’importanza cruciale del sapere, non motiva allo studio, non pone al primo posto il merito e quindi non educa in questo senso le nuove generazioni. Stando alle prove Invalsi è una scuola che non riesce neppure a insegnare ai suoi alunni (ci riesce infatti solo la metà) a comprendere il significato di un testo scritto non in cinese ma in italiano. È insomma una scuola che a dispetto di tutte le sue intenzioni non aiuta la società italiana a essere migliore, più dinamica, più competente, più colta, più civile.

Per rimediare non basta tuttavia farla finita con le conseguenze di prassi o di scelte sbagliate compiute in passato. Non servono controriforme. Ciò che è necessario è ripensare l’intera organizzazione dei cicli scolastici: non solo stabilendo finalmente la durata dell’obbligo al termine delle secondarie (17-18 anni), ma adottando un principio nuovo, e cioè partendo dal punto d’arrivo degli studi, da quella che oggi è l’Università.

Per avere una scuola nuova bisogna innanzi tutto immaginare un nuovo modello per gli sbocchi che essa apre ai suoi studenti dopo l’esame finale di licenza di scuola secondaria. L’esistenza — come avviene ancora oggi — di un solo sbocco, quello universitario tradizionale, a cui da mezzo secolo è possibile accedere con il diploma di qualsiasi scuola secondaria, condiziona e distorce profondamente il carattere della scuola. L’esistenza di un unico sbocco presuppone infatti due cose del tutto irreali: innanzi tutto l’equivalenza sostanziale della qualità dei contenuti dell’insegnamento e dei suoi risultati in qualunque tipo di scuola, da quella professionale al liceo classico; in secondo luogo presuppone l’eguaglianza delle vocazioni e delle attitudini di tutti i giovani licenziati, tutti ottimi potenziali candidati ai medesimi studi universitari.

Sono proprio queste due premesse irreali che a loro volta costringono la scuola e chi vi insegna — anche contro ogni loro volontà — a imboccare una delle due strade seguenti, entrambe negative. O cominciare ad esercitare già nelle sue aule un vaglio delle competenze effettive degli alunni, delle loro vocazioni e attitudini, con il solo strumento a disposizione che è quello della bocciatura: in tal modo esponendosi però all’accusa di far assumere alla scuola un connotato che può facilmente essere interpretato come un connotato classista; ovvero la strada consistente nell’adottare il criterio della più larga longanimità e cioè di fatto promuovere sempre tutti salvo casi rarissimi. La quale strada — inutile dirlo — è proprio quella presa da tempo pressoché dovunque: prova ne sia che all’esame di licenza sia media che liceale la percentuale dei promossi sfiora ormai sempre il cento per cento. Un dato apparentemente ultrapositivo che però contrasta davvero singolarmente con il fatto che poi di questi promossi oltre il 20% abbandona l’università dopo il primo anno dall’iscrizione e che alla laurea non arriva neppure la metà delle matricole.

La scuola italiana va dunque riorganizzata profondamente pensando a due tipi diversi di sbocchi, cioè a due tipi diversi di studi superiori. E cioè, sull’esempio tedesco, a due tipi diversi di università, ognuno punto di arrivo di due tipi diversi di percorsi scolastici. Un’università che prepara e abilita essenzialmente solo alla ricerca e all’insegnamento e quindi con un taglio disciplinare dal forte carattere teorico, e che quindi è l’unica a rilasciare un diploma di dottorato; ed un’università di scienze applicate che invece prepara in maniera specifica all’immediato esercizio professionale nel campo dell’ingegneria e architettura, della medicina di base, della tecnologia, del design, della formazione, delle scienze sociali e della comunicazione ecc., servendosi di docenti inseriti da tempo nelle relative professioni e stabilendo forti legami con le attività produttive e professionali connesse ai vari settori.

È evidente che un tipo siffatto di università duale presuppone da un lato una diversificazione del ciclo scolastico già dopo 7 -8 anni dal suo inizio e quindi intorno ai 13 anni di età degli alunni, e successivamente, accanto a un ciclo più o meno simile all’attuale liceo classico-scientifico, un ciclo scolastico tutto da reinventare e magari differenziato al proprio interno, orientato allo sbocco universitario di cui sopra ma che al suo termine preveda già un diploma effettivamente professionalizzante.

In Italia c’è un bisogno assoluto di ridare dignità culturale e sociale e quindi economica al mondo del lavoro, di tutto il lavoro, e il modo di farlo parte dalla scuola. Se il dibattito elettorale si fosse compiaciuto di parlare anche di un tema del genere scommetto che avrebbe suscitato un interesse almeno pari a quello delle «bollette».


Non è una scuola per geni, gli alunni plusdotati gettano la spugna: “Si annoiano troppo”

da la Repubblica

di Giulia Torlone

Sofia ha quattro anni quando, curiosissima, chiede alla mamma come nascono i buchi neri. Matteo, che di anni ne ha cinque e mezzo, vorrebbe sapere in che modo si formano i tornado e perché esistono i terremoti. Emanuele frequenta la terza elementare, i suoi voti non sono un granché, ma quando torna a casa legge voracemente storie della mitologia greca. Tutti e tre sono bambini cosiddetti plusdotati, o gifted: hanno un quoziente intellettivo superiore alla norma. Fanno parte, cioè, di quel 5% della popolazione italiana con capacità cognitive molto alte e che il sistema scolastico non è ancora in grado di valorizzare.

Le difficoltà a socializzare

Essere un plusdotato può voler dire tante cose: eccellere in una disciplina particolare o in tutte le materie scolastiche, ma può significare anche avere difficoltà a socializzare in gruppo e annoiarsi facilmente in classe, ottenendo scarsi risultati nel rendimento. «Mio figlio maggiore, ora diciannovenne, viveva la scuola con disagio», racconta Antonio Silvagni, docente di liceo e padre di due figli plusdotati. «Era un bambino molto sveglio, ma con problemi di socializzazione all’interno della classe. Viviamo in una piccola realtà in provincia di Vicenza e all’inizio non potevamo sapere che il disagio significativo che manifestava mio figlio potesse essere una conseguenza della plusdotazione». Come spesso accade, è il passaparola che permette a un genitore di capire quale sia il problema. «Sono stato fortunato: un mio collega mi ha parlato di un progetto pilota della Regione Veneto che trattava i ragazzi ad alto potenziale e così sono entrato in contatto con questo mondo».

La storia di Antonio, che è quella di qualunque genitore di un ragazzo gifted, è fatta di incontri con psicologi, valutazioni, test e certificazioni da ottenere. Ma una volta avuta l’attestazione, ci si scontra con il sistema scolastico, che è ancora impreparato nella gestione di questi ragazzi geniali. «Era novembre 2018 quando il Miur ha organizzato un tavolo tecnico, di cui ho fatto parte, per definire le linee guida nazionali sulla plusdotazione» racconta Maria Assunta Zanetti, presidente di Lab Talento, un laboratorio per ragazzi e bambini gifted dell’Università di Pavia. «Abbiamo consegnato queste linee nel luglio 2019 e avrebbero dovuto diventare operative dall’anno scolastico successivo, ma tutto è stato messo in stand-by».

Nelle scuole si naviga a vista

Solo nel 2020, con la ministra Azzolina, la questione viene inserita in un atto di indirizzo in cui si afferma la necessità di inserire i soggetti con alto potenziale nel paragrafo dell’inclusione, attestando cioè che gli insegnanti debbano avere una formazione adeguata, con metodologie di apprendimento specifiche. «Tra emergenza covid e un’altra crisi di governo, ci si è occupati di tutt’altro. Ho provato spesso ad avere un’interlocuzione con il ministero ma, seppur interessati, avevano altre urgenze. E nel frattempo ragazzi di estrema intelligenza spesso abbandonano la scuola, il fenomeno dei cosiddetti drop-out capaci. Cambi continui di istituto o ritiro precoce sono un fenomeno di cui non si hanno cifre, ma che esiste. L’incapacità della scuola di valorizzare questi studenti, anche dal punto di vista dell’intelligenza emotiva, li fa sentire fuori posto, portandoli all’abbandono», conclude Zanetti.

Così, ad oggi, nelle scuole si naviga a vista. La plusdotazione è stata inserita all’interno dei Bes, i bisogni educativi speciali, ma le direttive su come valorizzare le grandi curiosità e capacità degli studenti gifted non ci sono. Solo 95 istituti in tutta Italia hanno la certificazione nel trattamento della plusdotazione, nessun obbligo legislativo, ma la facoltà della scuola o del singolo insegnante nel seguire corsi di formazione sul tema.

Ritardi sulle linee guida per i plusdotati: solo 95 istituti hanno docenti formati

Valentina Durante, professoressa di matematica e fisica del liceo Morgagni di Roma, è una di queste. «Ho seguito un corso quando nella mia classe è arrivato uno studente con un certificato di plusdotazione. Ho imparato ad avere consapevolezza che questo ragazzo, su alcune materie, ne sappia molto più di noi insegnanti. Non per tutti è facile accettare che una persona di 14 anni sia più preparata, nonostante i pochi studi». In questo istituto, trattare la plusdotazione sembra più semplice. Hanno sezioni sperimentali in cui il numero degli studenti è contenuto, i voti non esistono e i compiti in classe si fanno in gruppo, suddivisi per livello.

«Questo permette al ragazzo plusdotato di confrontarsi con i compagni simili a lui, di sentirsi stimolato. Quando si permette a un giovane gifted di esprimersi, la relazione funziona. Bisogna tenere presente che spesso si annoiano, che possono avere comportamenti stravaganti e che c’è necessità di lavorare molto sul piano dell’interazione, perché spesso questi ragazzi sono carenti dal punto di vista della socialità» conclude Durante. In una scuola che già fatica a gestire le disabilità, il rischio di esclusione anche di questi studenti con un’intelligenza da valorizzare è ancora altissimo.

Docenti di sostegno: oggi in 6 casi su 10 sono non specializzati. Dieci anni fa era il contrario, 6 su 10 specializzati

da La Tecnica della Scuola

Di Carla Virzì

Per rispondere alla forte domanda di inclusione scolastica, sono aumentati gli insegnanti di sostegno. In dieci anni il loro peso sul totale del corpo insegnante è passato dal 13% al 21,5%: oggi sono dunque più di un quinto del totale. Lo chiarisce il dossier della Fondazione Agnelli appena reso pubblico.

In altre parole i docenti di sostegno avrebbero contribuito in maniera sostanziale ad alzare la quota degli insegnanti saliti in cattedra nelle scuole italiane, un numero complessivamente costantemente in crescita. Il corpo insegnante è cioè in aumento, ma sensibilmente cambiato nella sua composizione interna. Infatti nonostante le grandi immissioni in ruolo della Buona Scuola che avevano portato a 730mila il numero degli insegnanti assunti a tempo indeterminato, oggi gli insegnanti di ruolo sono poco meno di 700mila, principalmente per via dei pensionamenti; sono invece più che raddoppiati i docenti a tempo determinato, cioè i supplentil’anno scorso 225mila, incluso il sostegno, rispetto ai 100mila subito dopo la Buona Scuola.

Ma lo stesso dossier pone l’accento su una criticità ben nota: la stragrande maggioranza degli insegnanti di sostegno oggi non è in possesso della specializzazione. Per essere più chiari, dieci anni fa per il sostegno venivano impiegati nel 40% dei casi supplenti non specializzati e nel restante 60% dei casi insegnanti di ruolo con specializzazione sul sostegno. Oggi le percentuali sono invertite: in 6 casi su 10 ad affiancare un alunno con disabilità è un insegnante senza preparazione specifica.

Contributi alle scuole per l’editoria, domande dal 14 ottobre 2022 al 13 gennaio 2023

da La Tecnica della Scuola

Di Lara La Gatta

Con nota del 20 settembre 2022, il MI ha comunicato che in data 19 luglio 2022 sono stati emanati i bandi della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per l’informazione e l’editoria, con i quali si prevede l’erogazione di contributi a favore delle istituzioni scolastiche, consistenti in un importo pari al 90% delle spese sostenute nell’anno 2022 per l’acquisto di uno o più abbonamenti a quotidiani, periodici e riviste scientifiche e di settore, anche in formato digitale.

Nel dettaglio, il bando di cui all’articolo 1, comma 389, della legge n. 160 del 2019 è destinato alle scuole di ogni grado d’istruzione, mentre il bando di cui al comma 390 è destinato alle sole scuole secondarie di primo grado.

I bandi sono pubblicati a questo link

La rilevazione verrà aperta il 14 ottobre 2022 e sarà chiusa il 13 gennaio 2023.

La domanda di contributo può essere presentata a fronte di spese sostenute nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2022 e il 31 dicembre 2022 ed espressamente deliberate da parte del Collegio dei docenti; se la domanda è presentata per il bando di cui al comma 390, occorre indicare anche gli estremi della delibera di recepimento di programmi per la promozione della lettura critica e l’educazione ai contenuti informativi, inseriti nel Piano Triennale per l’Offerta Formativa dell’istituto scolastico.

Per accedere sarà necessario entrare nell’area SIDI (https://www.istruzione.it/accesso-sidi/) e seguire il percorso indicato nella nota.

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Isolamento e quarantena Covid-19, riepiloghiamo le regole in vigore

da La Tecnica della Scuola

Di Lara La Gatta

I casi di positività al Covid-19 incominciano nuovamente a preoccupare, tanto che in alcune regioni si parla già di boom di contagi nelle scuole.

Ma come comportarsi se si scopre di avere contratto il virus? Riepoghiamo di seguito le regole attualmente vigenti per quarantena ed isolamento, così come previste dall’ultima circolare del Ministero della Salute.

Isolamento

Le persone risultate positive ad un test diagnostico molecolare o antigenico per SARS-CoV-2 sono sottoposte alla misura dell’isolamento, con le modalità di seguito riportate:

  • Per i casi che sono sempre stati asintomatici oppure sono stati dapprima sintomatici ma risultano asintomatici da almeno 2 giorni, l’isolamento potrà terminare dopo 5 giorni, purché venga effettuato un test, antigenico o molecolare, che risulti negativo, al termine del periodo d’isolamento.
  • In caso di positività persistente, si potrà interrompere l’isolamento al termine del 14° giorno dal primo tampone positivo, a prescindere dall’effettuazione del test.

Quarantena

Per i contatti stretti di caso di infezione da SARS-CoV-2 sono tuttora vigenti le indicazioni contenute nella Circolare n. 19680 del 30/03/2022 “Nuove modalità di gestione dei casi e dei contatti stretti di caso COVID-19”:

  • non è prevista la quarantena, ma è sufficiente l’autosorveglianza
  • non è necessario effettuare un tampone, se non in caso di insorgenza di sintomi
  • è necessario utilizzare la mascherina FFP2 per 10 giorni dall’ultimo contatto.