No dei sindacati all’autonomia differenziata: indebolisce unità del Paese

da Il Sole 24 Ore

Avviata una raccolta di firme per una Proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare di modifica dell’articolo 116, comma 3, della Costituzione
di Redazione Scuola

Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, insieme alle organizzazioni sindacali della scuola Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola Rua, Snals Confsal e Gilda Unams, avvia una raccolta di firme per una Proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare di modifica dell’articolo 116 comma 3 della Costituzione che riconosce alle Regioni forme e condizioni particolari di autonomia. «Siamo contrari al disegno di “autonomia differenziata”, questo progetto, invece di consolidare il carattere unitario e nazionale, ad esempio del sistema pubblico di istruzione, ripropone un’ulteriore frammentazione indebolendo l’unità del Paese».

La posizione comune

«Siamo contrari al disegno di “autonomia differenziata”, inizialmente avanzato dalle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna e rilanciato dalla attuale maggioranza di governo. Quel progetto, invece di consolidare il carattere unitario e nazionale, ad esempio del sistema pubblico di istruzione, rafforzando la capacità di risposta dello Stato di cui si è avvertita l’estrema necessità durante la recente pandemia, ripropone un’ulteriore frammentazione degli interventi indebolendo l’unità del Paese, col rischio di aumentare le disuguaglianze senza garantire la tutela dei diritti per tutti i cittadini e ampliando i divari territoriali», scrivono il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, insieme alle organizzazioni sindacali della scuola Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola Rua, Snals Confsal e Gilda Unams.

 

La proposta di legge

«La nostra proposta di legge – proseguono – prevede in primo luogo la modifica dell’art. 116 della Costituzione ponendo un vincolo alla richiesta di autonomia, che può essere concessa solo se “giustificata dalla specificità del territorio». Inoltre, viene esclusa la possibilità di una generica Legge quadro in ambito nazionale che lasci sostanzialmente campo libero a intese tra Stato e singole Regioni. Per elevare il livello della partecipazione democratica, si prevede inoltre che possa essere richiesto un referendum popolare approvativo della legge attributiva dell’autonomia prima della sua entrata in vigore, ed eventualmente un referendum abrogativo in tempi successivi.
Sulla potestà legislativa viene modificato l’articolo 117 della Costituzione specificando che sanità, istruzione ed infrastrutture devono restare di competenza esclusiva dello Stato. Infine viene introdotta la clausola di supremazia dello Stato per garantire «l’unità giuridica ed economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale», concludono. La raccolta di firme partirà nei prossimi giorni attraverso una piattaforma digitale e anche tramite moduli cartacei.

Docenti neoassunti 2022/23: è già possibile scaricare il Bilancio iniziale delle competenze

da OrizzonteScuola

Di redazione

Attivo da pochi giorni il sito dedicato ai docenti neoassunti in ruolo nell’anno scolastico 2022/23. Nelle prossime settimane sarà attivo l’ambiente online di supporto all’anno di formazione e prova. I docenti interessati, come fa sapere l’Indire, sono circa 60.000. Sono già disponibili alcune FAQ utili per l’accesso alla piattaforma e il Bilancio iniziale delle competenze.

Nella sezione Toolkit del sito è possibile scaricare in formato .doc e .pdf il Bilancio iniziale delle competenze, questo “per agevolare la vostra attività di questa fase fino all’apertura della piattaforma quando potrete compilare la versione online”.

Indire non pone scadenze per la compilazione del Bilancio iniziale, tuttavia, invita i docenti a fare riferimento alla calendarizzazione prevista dalle scuole in cui si svolge servizio.

Bilancio competenze

Il bilancio è redatto:

  • entro il secondo mese dalla presa di servizio, con la collaborazione del docente tutor;
  • in forma di autovalutazione strutturata;
  • al fine di compiere un’analisi critica delle competenze possedute e definire gli aspetti da potenziare;
  • al fine di elaborare un progetto di formazione, che sia coerente con i risultati dell’analisi compiuta.

Il bilancio di competenze iniziale, in definitiva, serve a verificare i “livelli di partenza” del docente in anno di prova, per poter poi definire gli obiettivi da conseguire nel corso dell’anno.

Malattia per figlio fino agli 8 anni di età: ecco come si calcolano i giorni per entrambi i genitori

da OrizzonteScuola

Di redazione

Entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto al congedo per la malattia di ciascun figlio fino agli otto anni di età. Quali sono le modalità?

Malattia fino ai 3 anni di età del bambino

Non ci sono limiti di durata per la fruizione dei congedi per malattia del figlio di età non superiore a tre anni e  il congedo può essere fruito fin da subito e quindi già nel corso del primo anno di vita del bambino.

Pertanto, durante i tre anni di vita del bambino non esiste nessun limite di giorni di congedo per malattia, se opportunamente documentati.

Per la retribuzione, invece, c’è una differenza che riguarda solo i primi 30 giorni per ciascun anno del bambino e fino al compimento del terzo compleanno del medesimo:

  • per ciascun anno di età del bambino e fino al compimento dei tre anni (compreso il giorno del terzo compleanno) del medesimo, sono retribuiti per intero i primi 30 giorni di assenza.

Tale trattamento di miglior favore è previsto però solo terminati i 3 mesi post – parto della madre. Quindi, di norma, i 30 gg. di malattia del bambino saranno retribuiti solo a partire dal terzo mese di vita del bambino.

Il congedo spetta a ciascun genitore alternativamente e i primi 30 giorni retribuiti si intendono complessivamente per entrambi i genitori  (es. 10 gg. il padre e 20 la madre, non 30 il padre e 30 la madre).

Dai 4 agli 8 anni di età del bambino

A ciascun genitore sono riconosciuti, sempre alternativamente, 5 giorni lavorativi l’anno, per le malattie di ogni figlio di età compresa fra i quattro e gli otto anni.

I 5 giorni non sono retribuiti ma dovranno comunque essere considerati “effettivo servizio” per il personale assunto a tempo determinato (sono quindi utili ai fini della valutazione del servizio pre ruolo, dell’aggiornamento delle graduatorie permanenti/istituto/esaurimento, se coperto da nomina) e indeterminato (sono utili per il c.d. “anno di servizio”).

Conclusione

I giorni di congedo per malattia del figlio, siano essi i 30 o i 5 giorni, si intendono per anno di vita del bambino e non per anno scolastico o solare.

Ciò vuol dire che all’interno dello stesso anno scolastico o solare si può fruire sia dei 30 giorni, sia degli eventuali ulteriori 5 dal giorno successivo al compleanno in questo caso dal giorno successivo al terzo compleanno.

A nulla quindi rileva se si è già fruiti dei 30 giorni retribuiti o se sia lo stesso anno scolastico.

Si ricorda che il diritto è alternativo per i genitori e in particolare, per ciò che riguarda i 5 giorni, il genitore non può usufruire, oltre ai giorni annui che gli spettano anche di quelli dell’altro genitore, in presenza di rinuncia.

IL CONGEDO PER MALATTIA DEL FIGLIO (fino agli 8 anni di età) Personale docente e ATA GUIDA COMPLETA

Il decreto anti-rave non ferma le occupazioni a scuola, diversi licei in rivolta a Roma: interviene la polizia, il 18 novembre studenti in piazza

da La Tecnica della Scuola

Di Alessandro Giuliani

Con il mese di novembre tornano le occupazioni delle scuole. Dopo i primi “moti” di ribellione nel liceo classico Manzoni di Milano, a seguito della vittoria delle elezioni politiche da parte dei partiti di Centro-Destra, gli istituti dove si registrano maggiori casi di interruzione delle lezioni sono stati quelli della capitale. Ad inizio ottobre avevano deciso di occupare il loro istituto superiore, nel quartiere Don Bosco, a due passi da Cinecittà, gli studenti del liceo Argan di Roma. Proteste sono state poi registrate al liceo scientifico Cavour e all’Azzarita, dove però quasi subito forze dell’ordine hanno provveduto allo sgombero dei giovani occupanti. L’intervento degli agenti ha anche sopito sul nascere i malumori che stavano crescendo al liceo classico Virgilio.

A fine mese, stesso copione al liceo Pilo Albertelli, dove, ha fatto sapere la dirigente scolastica, Antonietta Corea, “sono state impedite tutte le attività di pubblico servizio. Del fatto sono state informate tempestivamente tutte le autorità competenti”. In un messaggio pubblicato on line, la preside ha anche declinato “ogni responsabilità relativamente alla sicurezza e all’incolumità personale di chiunque si trovi all’interno dell’Istituto”.

Un altro liceo occupato a Roma

Il 7 novembre è stata la volta del liceo artistico Enzo Rossi, in via del Frantoio, sempre a Roma. dove centinaia di studenti, dopo un’assemblea straordinaria, hanno occupato i locali della scuola superiore.

La protesta, ha spiegato il movimento studentesco Osa che ha collaborato all’occupazione si è realizzata “per opporsi ad un modello scolastico repressivo e alle indecenti condizioni che vivono all’interno della propria scuola”.

I giovani hanno anche denunciato la presenza della “celere schierata davanti all’entrata dell’istituto, per intimidire gli studenti in lotta”.

Nel comunicato il collettivo aggiunge che “diversi poliziotti in borghese sono entrati nella scuola durante l’assemblea di istituto degli studenti per occupare, minacciando di identificare e denunciare chi sta protestando”.

Secondo gli occupanti, “dopo i fatti de la Sapienza è gravissimo che ancora si introducano forze dell’ordine in università, scuole, luoghi di formazione. La protesta all’Enzo Rossi continua. Le intimidazioni non ci fermeranno“.

Il DL anti-rave

Malgrado le rassicurazioni di diversi politici del Centro Destra, a rendere il quadro più teso del passato è stata anche l’ipotesi di applicazione alle occupazioni delle scuole del cosiddetto  decreto anti-raveapprovato il 31 ottobre dal Governo e subito approdato in Gazzetta Ufficialeche introduce una nuova fattispecie di reato.

Si tratta dell’”invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi”, riguardanti oltre 50 persone, “per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, con pene fino a 6 anni per gli organizzatori.

Si avvicina la protesta nazionale del 18 novembre

Le proteste degli studenti sono definite di “avvicinamento” alla mobilitazione di piazza fissata da temo per venerdì 18 novembre, quando sfileranno in diverse piazze italiane.

“A partire dagli Stati Generali della scuola svolti lo scorso mese di febbraio – ha detto Bianca Chiesa, coordinatrice dell’Unione degli Studenti – abbiamo portato avanti la costruzione di una proposta condivisa con le realtà del sociale sul nuovo modello di scuola necessario al cambiamento della società tutta. La piattaforma verso la piazza del 18 novembre vede le nostre rivendicazioni organizzate su 5 pilastri: rivendichiamo una legge nazionale sul diritto allo studio, l‘abolizione dei Pcto a favore dell’istruzione integrata, maggiore rappresentanza e partecipazione, scuole sicure e che tutelino la nostra salute fisica e mentale e un nuovo statuto dei diritti di studentesse e studenti”.

All’evento di metà novembre saranno presenti anche giovani appartenenti a diverse realtà studentesche e del sociale, come Link coordinamento Universitario, Rete della Conoscenza, Action Aid, Brigata Basaglia, Fiom, Flc, Legambiente, Libera contro le mafie, NoCpr, Non Una Di Meno.

La protesta del 18 novembre sarà sostenuta anche da alcuni sindacati, a partire dalla Flc-Cgil e dalla Fiom.

In una nota, la Fiom-Cgil nazionale ha definito “tragiche e inaccettabili morti di Lorenzo ParelliGiuseppe Lenoci e Giuliano De Seta, tre giovani studenti in alternanza scuola lavoro, sono emblematiche dei problemi che attraversano la scuola e gli stessi luoghi di lavoro: per nessun motivo studentesse e studenti durante il proprio percorso scolastico possono essere messi a rischio negli ambienti produttivi, mai l’alternanza scuola lavoro può trasformarsi in lavoro, per giunta non retribuito”.

Hanno dato la loro adesione alla protesta del 18 novembre anche “Libera associazione contro le mafie”, “Rete Mai Più Lager – No ai Cpr”, “Sbilanciamoci che fa sapere”, “Brigata Basaglia”.

Autonomia differenziata, la Lega mina l’unitarietà della scuola? Al via la raccolta firme per fermarla. De Luca contro Calderoli: affonda il Sud

da La Tecnica della Scuola

Di Alessandro Giuliani

L’autonomia differenziata torna prepotentemente di attualità. Subito dopo il varo del nuovo Governo, infatti, i ministri leghisti non hanno perso tempo per sondare il “campo”. Il più repentino è stato il nuovo titolare dell’Istruzione (e del Merito) Giuseppe Valditara, che una decina di giorni fa (prima ancora di interagire con parti sociali e i sindacati) ha incontrato gli assessori regionali all’istruzione e alla formazione assicurandoli di avere ben chiaro il ruolo decisivo delle autonomie locali. È tutto dire che l’argomento ha avuto la precedenza anche rispetto all’incontro con le (che vedranno il responsabile del dicastero bianco solo giovedì 3 novembre).

La scorsa settimana è stata la volta di Roberto Calderoliministro leghista per gli Affari regionali e le Autonomie, che ha incontrato i presidenti delle Regioni (quasi tutte del Nord) più interessate a diventare autonome spiegando poi che intende “completare tutto il percorso dell’autonomia differenziata entro la legislatura”, approvando “la legge di Attuazione in meno di un anno” per poi “dedicare i successivi anni al conferimento delle varie materie”.

Le proteste

Tempo qualche giorno e sono scattate le proteste. Lunedì 7 novembre è uscito allo scoperto il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, che insieme alle organizzazioni sindacali della scuola Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola Rua, Snals Confsal e Gilda Unams, ha avviato una raccolta di firme per una Proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare di modifica dell’articolo 116 comma 3 della Costituzione che riconosce alle Regioni forme e condizioni particolari di autonomia.

“Siamo contrari al disegno di “autonomia differenziata”, si legge nella proposta, perché “invece di consolidare il carattere unitario e nazionale, ad esempio del sistema pubblico di istruzione, ripropone un’ulteriore frammentazione indebolendo l’unità del Paese“.

Il rischio di aumentare le disuguaglianze

L’ultimo tentativo di regionalizzazione è del 2019, per volontà di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Oggi, sostengono i promotori della protesta, quel modello da realizzare viene “rilanciato dalla attuale maggioranza di governo”: solo che invece di investire nella “capacità di risposta dello Stato di cui si è avvertita l’estrema necessità durante la recente pandemia”, ci si espone al “rischio di aumentare le disuguaglianze senza garantire la tutela dei diritti per tutti i cittadini e ampliando i divari territoriali”, si legge ancora nel documento congiunto prodotto dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale e i sindacati della scuola.

Presto la raccolta delle firme

La raccolta di firme partirà nei prossimi giorni attraverso una piattaforma digitale e anche tramite moduli cartacei.

“La nostra proposta di legge – proseguono – prevede in primo luogo la modifica dell’art. 116 della Costituzione ponendo un vincolo alla richiesta di autonomia, che può essere concessa solo se “giustificata dalla specificità del territorio”.

Inoltre, la contro-proposta prevede di escludere la possibilità di una generica Legge quadro in ambito nazionale che lasci sostanzialmente campo libero a intese tra Stato e singole Regioni.

Si vorrebbe poi realizzare un referendum popolare approvativo della legge attributiva dell’autonomia prima della sua entrata in vigore, ed eventualmente un referendum abrogativo in tempi successivi.

Si vorrebbe, continuano i promotori dell’iniziativa, che la modifica dell’articolo 117 della Costituzione non riguardi sanità, istruzione ed infrastrutture, che dovrebbero rimanere sotto l’egida dello Stato restare di competenza esclusiva dello Stato.

Come si vorrebbe, infine, l’introduzione di una clausola di supremazia dello Stato per garantire “l’unità giuridica ed economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.

De Luca: così si penalizza il Meridione

Ad opporsi all’autonomia differenziata delle Regioni è anche l’opposizione. Nei giorni scorsi, il Partito democratico ha fortemente criticato l’iniziativa del Governo.

Sempre il 7 novembre è stato il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ad esternare tutto il suo dissenso: intervenuto a Napoli, all’Università Suor Orsola Benincasa, commentando il dossier 2021 della povertà della Caritas, il presidente della Campania ha detto che “nel percorso per l’autonomia differenziata di questo Governo ci prepariamo a un’altra grande battaglia”.

Riferendosi a Roberto Calderoli, De Luca ha detto che il Governo Meloni “ha nominato ministro per le riforme un leghista, molto simpatico e gradevole: hanno in testa misure sulla scuola per la formazione autonoma nelle Regioni, sulla sanità per fare contratti integrativi regionali, sulle entrate fiscali statali di cui, su proposta di Lombardia e Veneto, una parte venga riservata alle Regioni del Nord”.

“Su quest’ultima idea sappiamo che se il 10% delle entrate verso lo Stato deve essere riservato alle Regioni in cui maturano abbiamo distrutto il Sud, non ci sarà nient’altro da fare. In quel caso da qui a 50 anni la popolazione meridionale scenderebbe del 50%”, ha concluso il governatore della Campania.

L’ipotesi di regionalizzazione della scuola

Come abbiamo già a avuto modo di scrivere, il progetto leghista potrebbe produrre anche un sistema scolastico differenziato, sia sul versante dell’offerta formativa, comprese le esperienze di Pcto, sia delle risorse che potranno gestire scuole (anche paritarie) e uffici scolastici, sia per quanto riguarda il reclutamento, quindi i concorsi, la formazione iniziale e in itinere, gli stipendi e la mobilità di docenti, Ata e presidi. Tutti ambiti, tra l’altro, che si intrecciano con i tanti miliardi in arrivo attraverso il Pnrr.

In linea teorica, anche le valutazioni di studenti e personale potrebbe portare a soluzioni diverse. Tanto che i sindacati hanno sempre poco accettato una proposta di questo genere, poiché, sostengono, verrebbe meno il principio dell’unitarietà dell’istruzione pubblica.

Come si andrebbe verso stipendi differenziati, con docenti e Ata in servizio nelle Regioni più ricche e propense ad investire sulla scuola che garantirebbero buste paga più alte.

Per i detrattori dell’autonomia differenziata, il rischio è che gli alunni appartenenti ai ceti meno abbienti avrebbero sempre meno chance di affrancarsi dal loro ambiente di provenienza: potrebbe quindi allargarsi la forbice del gap di competenze che già oggi caratterizza la preparazione dei nostri studenti, mettendo forse addirittura in crisi la tenuta unitaria del sistema nazionale d’Istruzione.

Di contro, c’è chi sostiene che si tratta dei soliti “visionari” apocalittici, sempre pronti a mantenere gli assetti tradizionali.

E, comunque, non si può nemmeno continuare a costringere le Regioni più virtuose a non spingersi verso il progresso, tenendo loro tarpate le ali solo perché altri territori nazionali non vogliono o non possono elevarsi.

Stipendi docenti, qual è la situazione in Europa? I dati Eurydice – TABELLA

da La Tecnica della Scuola

Di Andrea Maggi

La situazione del corpo docente, a livello professionale e di inserimento, è da sempre associata ad un limitato compenso, discretamente proporzionato ad elementi di merito, arruolamento ed abilitazione, processi che possono durare decenni. Lo scarso aggiornamento a Potere d’Acquisto pro-capite, inflazione ed iperinflazione ed al costo della vita rende la professione docente decisamente poco attrattiva per le nuove generazioni, poco intenzionate a condurre battaglie contro istituzioni nazionali ed europee spesso impermeabili al cambiamento ed al dialogo. Quali le misure remunerative intraprese in Europa? Quale il ruolo del merito nei singoli sistemi scolastici dei paesi membri? Eurydice offre un report utile a rispondere, in maniera esaustiva, ai quesiti suddetti.

La situazione degli stipendi dei docenti europei per exempla

Paese Stipendio medio in Euro / anno in rapporto al PPS*
Lussemburgo 69.076
Svezia 37.510
Germania 54.129
Francia 26.839
Islanda 30.992
Italia 24.297
Romania 8.027
Bulgaria 7.731
Cechia 13.807
Finlandia 30.002
Croazia 14.158
Spagna 30.992
Portogallo 22.374
Fonte dati: Rapporto Eurydice 2020 – 2021, Annual gross starting salaries of teachers in Purchasing Power Standard (PPS) – 2020/21.

*: indicatore fornito da Eurostat come unità monetaria artificiale il cui utilizzo è atto a garantire l’acquisto di beni materiali e di consumo e la fruizione di servizi per ciascun paese in base agli indicatori attinenti al costo della vita. 

La situazione remunerativa di base a primo livello d’inserimento vanta un quadro assai variegato, proporzionato al Potere d’Acquisto, al costo della vita ed alle procedure concorsuali ed assuntive. Risulta evidente il vantaggio economico delle realtà finnscandinave, le quali si confermano più virtuose rispetto a quelle balcaniche e del Mediterraneo (Belpaese incluso), ove gli stipendi risultano minori (e con essi il welfare complessivo).

Considerazioni sui dati pubblicati da Eurydice: una questione di divergenze

Il report europeo di pubblicazione annuale, oltre a vertere sui compensi dei docenti, si occupa delle rispettive variazioni nel tempo in rapporto agli indicatori macroeconomici, al numero medio di alunni per docente, alla spesa pubblica per l’educazione in rapporto al PIL dei singoli stati membri ed affiliati (Turchia, Macedonia del Nord, Albania, Serbia). A parte il Lussemburgo, lo stipendio iniziale annuo risulta superiore a 50.000 euro in soli due paesi, ovvero Svizzera (66.972 euro) e Germania (54.129 euro). Lo stipendio annuo in Francia e in Italia era meno della metà di quanto percepirebbe un omologo a Berlino. La Bulgaria ha lo stipendio annuale più basso per insegnanti iniziali tra i paesi dell’UE, a € 7.731. La cifra è inferiore a 10.000 euro anche in molti altri paesi dell’UE come Lettonia, Slovacchia, Ungheria, Romania e Polonia. Lo standard del potere d’acquisto (PPS) è “un’unità monetaria artificiale” definita da Eurostat, in cui un’unità PPS può teoricamente acquistare la stessa quantità di beni e servizi in ciascun paese. L’analisi degli stipendi in PPS appiana alcune delle differenze di costo della vita tra i paesi, ma figurano ancora ampie disparità evidenti.

Assemblea dei dirigenti, i sindacati: “Troppi adempimenti rischiano di rendere i presidi burocrati più che leader educativi”

da La Tecnica della Scuola

Di Redazione

Si è svolta nella mattinata di venerdì 4 novembre, all’Itis Galilei di Roma l’assemblea unitaria dei dirigenti scolastici. Un’occasione di confronto sui tanti temi e le altrettante criticità che coinvolgono i dirigenti scolastici. All’incontro sono intervenute anche e soprattutto le principali sigle sindacali, che hanno racchiuso in un comunicato stampa unitario ciò che è emerso nel corso dell’evento.

Le lamentele dei sindacati

“Il 4 novembre è stata una bella giornata di partecipazione per i dirigenti scolastici. L’assemblea nazionale unitaria indetta da FLC CGIL, CISL SCUOLA, UIL SCUOLA RUA e SNALS CONFSAL, tenutasi a Roma nel salone delle conferenze dell’ITIS Galilei, ha registrato un’altissima adesione in presenza e oltre 2000 visualizzazioni da parte dei colleghi che hanno seguito la diretta streaming e di quelli che stanno accedendo numerosi alla registrazione dell’evento, segno di una partecipazione davvero molto ampia e sentita”, si legge all’inizio del comunicato.

Ecco le preoccupazioni dei sindacati: “Gli interventi dei segretari e dei responsabili nazionali e il ricco dibattito hanno fatto emergere con grande evidenza il forte disagio professionale della nostra categoria per il dilagare di adempimenti e responsabilità che rischiano di identificare nel dirigente scolastico un burocrate piuttosto che un leader educativo, mortificando e negando la specificità dei compiti di chi dirige le istituzioni scolastiche”.

Su cosa intervenire?

“L’Assemblea ha sottolineato l’urgenza di intervenire sulla situazione retributiva sin dalla prossima legge di bilancio, per evitare una diminuzione stipendiale e addirittura la restituzione di quanto già percepito, nonostante il progressivo e pesantissimo aumento di responsabilità. È stata chiesta inoltre la veloce conclusione dell’iter relativo al decreto per le modifiche sulla redazione nelle istituzioni scolastiche del DVR per la sicurezza nei luoghi di lavoro”, continuano, esponendo ciò su cui, nel concreto, bisogna intervenire in futuro.

“Rappresenteremo con forza al nostro Ministro le richieste della categoria, avendo come immediati obiettivi la stabilizzazione delle risorse del Fun nella prossima legge di bilancio e la rapida apertura del tavolo contrattuale”, così concludono Flc Cgil, Cisl Scuola, UIL Scuola Rua e Snals Confsal, rappresentati rispettivamente da Roberta Fanfarillo, Paola Serafin, Rosa Cirillo e Giovanni De Rosa.

Valditara: “Serve nuovo Patto educativo”. Ma di cosa si tratta? Alcuni genitori neanche lo sanno

da La Tecnica della Scuola

Di Carla Virzì

“Occorre ripensare a un nuovo patto educativo. Mi impegnerò a costruire una scuola serena, ispirata al senso di responsabilità, che torni a considerare l’autorevolezza dei docenti che devono essere consapevoli dell’alta dignità della loro professione”. Lo ha detto il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara a Radio Rai1. “Credo che occorra che il docente sia sempre più accanto alla famiglia e questa sia sempre più coinvolta nel processo educativo dei figli e responsabilizzata – ha continuato – il ministro Valditara – I genitori, oggi, vanno dai docenti soprattutto per lamentarsi: ai miei tempi i genitori davano sempre ragione ai docenti. Smettiamola con la società rivendicativa, livorosa, serve un clima positivo che faccia emergere i talenti”.

Ma cosa si intende per patto educativo?

Ce lo spiega Filomena Labriola, pedagogista e presidente Anpe (Associazione Nazionale Pedagogisti) per Puglia e Basilicata, intervenuta in una recente diretta di Tecnica della Scuola LIVE.

“Io su quel patto ci ho lavorato tantissimo perché al tempo ero una ricercatrice e il ministero di chiese di dirigere un modello, come Anpe – esordisce l’esperta -. Il Patto di corresponsabilità educativa, che ha un Dpr dedicato, ha fatto una brutta fine, perché come tanti documenti è diventato una carta che ci viene chiesto di sottoscrivere come genitori. Gli sperimentatori di quel patto sono stati traditi perché per costruire un’alleanza, avevamo reso un modello pratico di intervento. Il patto di corresponsabilità doveva essere un momento iniziale di scambio, metodologicamente organizzato, tra famiglia e scuola, dove ci si accordava insieme sui presupposti, sulle metodologie, sugli impegni che reciprocamente ci si prendeva e anche sul modello per recuperare il danno”.

Recuperare il danno

“Siamo stati i precursori della giustizia riparativa – continua la pedagogista -. La logica della proibizione non vale a nulla. Quando c’è un danno da parte di un alunno, di un docente o di un genitore, come lo recuperiamo? Era scritto sul patto, ma molti genitori oggi non sanno nemmeno cosa sia questo patto. Nelle scuole, per agire praticamente, forse il Pnrr con i suoi fondi potrà darci una mano, c’è bisogno di unità di intervento, di pedagogia e di psicologia, perché l’insegnante acquisti fiducia, perché lavori sulle dinamiche relazionali ma anche autobiografiche. Ma la scuola non deve diventare un ospedale,” ha concluso.

I nuovi modelli educativi

“Quali sono i modelli educativi che stanno cambiando? Quello della famiglia, certo, ma anche quello della scuola, perché anche la scuola ha il suo modello educativo. Sta cambiando la famiglia prima di tutto? Ricordiamoci che la fatidica organizzazione vita-lavoro è una chimera, non siamo in una società family friendly, ci viene chiesto di essere sempre competitivi e ci viene dato poco tempo da dedicare ai figli”.

“Quello che sta cambiando è la questione della delega – continua – i genitori delegano molto l’istituzione scolastica di diversi compiti, ma allo stesso tempo i genitori sono animati da un desiderio narcisista di difendere sempre i propri figli. Ci sono regolamenti che danno grande spazio ai genitori nella scuola, al punto che lo stakeholder della scuola sono diventati i genitori, non più i ragazzi. Ci si preoccupa più dei genitori che degli interessi degli studenti sul profilo pedagogico”.

“La cosa che mi preme sottolineare è che ci troviamo di fronte a un’emergenza e come adulti abbiamo sbagliato perché i cambiamenti vanno trasformati in sfida, non in emergenza. Quello che io ribadisco è che dagli anni ’90 ad oggi è prevalso un modello bambino-centrico, ma gli interventi educativi devono essere adulto-centrici, dobbiamo pensare a un sistema educativo adulto. Non significa che l’adulto debba prevalere, ma che, ad esempio, nella giornata dell’infanzia, io pedagogista devo spiegare ai genitori quali sono i diritti dei bambini, non lo devo spiegare ai bambini”.

Le relazioni sindacali all’interno delle Istituzioni scolastiche

Le relazioni sindacali all’interno delle Istituzioni scolastiche

di Cettina Calì

Attraverso il corretto uso delle relazioni sindacali si favorisce la costruzione di rapporti stabili tra amministrazioni pubbliche e soggetti sindacali. Le relazioni sindacali debbono essere improntate alla partecipazione attiva e consapevole, alla correttezza e alla trasparenza dei comportamenti, al dialogo costruttivo, alla reciproca considerazione dei rispettivi diritti ed obblighi, nonché alla prevenzione e risoluzione dei possibili conflitti che possono insorgere sui luoghi di lavoro.

Per comprendere meglio il  tema delle relazioni sindacali occorre rammentare alcuni principi portanti del sistema.

L’art.39 della Carta Costituzionale dopo aver sancito la tutela della libertà sindacale, rappresenta che i sindacati più rappresentativi stipulano i contratti collettivi per regolamentare giuridicamente gli interessi di ogni categoria di lavoratori, anche di quelli non iscritti.
L’art.40 sancisce il diritto di sciopero, stabilendo che esso non incide sul rapporto di lavoro e non costituisce un inadempimento contrattuale. 

La Legge n. 775/1970 riconosce l’esistenza dei sindacati nel Pubblico Impiego.

Lo Statuto dei lavoratori – legge n.300/1970 – recante “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” – rappresenta una delle principali norme della tutela del diritto del lavoro.

La Legge n. 241/1990 introduce il concetto di “Informata partecipazione” e il D. Lgs. n. 29/1993 avvia le nuove norme in materia di contrattazione collettiva.

L’Accordo Collettivo Quadro del 7 agosto 1998 definisce le modalità che permettono la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie per il personale dei comparti delle pubbliche amministrazioni ed il relativo regolamento elettorale. 

Il D. Lgs. N. 165/2001 – “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche – individua, all’art. 2, le fonti del rapporto di lavoro pubblico articolandole su due livelli: livello legislativo e livello della contrattazione collettiva.

Qualsiasi tipo di “relazione bilaterale”, per  regolamentare i rapporti e gli interessi delle parti coinvolte – pubblica e sindacale – , deve necessariamente  applicare regole e procedure ben precise. 

I “modelli relazionali”, ossia le forme e le modalità con cui si attuano le relazioni sindacali sono regolati dai contratti collettivi di comparto. 

La contrattazione d’istituto, infatti, ha un ruolo primario nel sistema delle relazioni sindacali: è all’interno dei contratti che vengono delineati modalità e livelli delle relazioni sindacali, con ambiti e materie ben distinti.

Le contrattazioni d’istituto, tuttavia, sono soggette ad alcuni vincoli:

– non si può  sottoscrivere un contratto integrativo in contrasto con norme contrattuali di rango superiore o con disposizioni di legge non derogabili o che comporti oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale (PTOF e bilancio);

– le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate;

– tutti i compensi stabiliti dalla contrattazione integrativa d’istituto rientrano nei trattamenti economici accessori e non possono essere erogati se non corrispondono a prestazioni effettivamente prestate.  

Come ribadito sopra, la corretta informazione è il presuppostobasilare per il corretto esercizio delle relazioni sindacali e dei relativi strumenti. Le modalità con le quali, al di là delle prescrizioni ordinamentali, viene gestita la comunicazione e garantita la circolarità delle informazioni, caratterizzano e denotano lo “stile organizzativo” che ciascun Dirigente – pro tempore –  imprime alla governance dell’istituzione scolastica affidatagli.   

“Fermi restando gli obblighi in materia di trasparenza previsti dalle disposizioni di legge vigenti e dal contratto, l’informazione consiste nella trasmissione di dati ed elementi conoscitivi, da parte dell’amministrazione, ai soggetti sindacali al fine di consentire loro di prendere conoscenza delle questioni inerenti alle materie di confronto e di contrattazione integrativa. L’informazione, pertanto, deve essere fornita in tempo utile al fine di consentire ai soggetti sindacali di procedere a una valutazione approfondita del potenziale impatto delle misure da adottare ed esprimere osservazioni e proposte.

Dopo la fase dell’informazione segue quella del confronto che “è la modalità attraverso la quale si instaura un dialogo approfondito sulle materie rimesse a tale livello di relazione, al fine di consentire ai soggetti sindacali di esprimere valutazioni esaustive e di partecipare costruttivamente alla definizione delle misure che l’amministrazione intende adottare. Il confronto si avvia mediante l’invio ai soggetti sindacali degli elementi conoscitivi sulle misure da adottare, con le modalità previste per la informazione”. 

Sono inoltre materie di  confronto a livello di singola istituzione scolastica scuola:

– la sicurezza;

– i criteri per la determinazione dei compensi per la valorizzazione del personale, compreso il bonus docenti; 

– I diritti sindacali;

– i criteri di ripartizione risorse formazione;

– i criteri per utilizzo strumentazione tecnologica fuori orario lavoro (disconnessione); 

– i riflessi sulla qualità del lavoro delle innovazioni tecnologiche; 

– l’ articolazione dell’orario di lavoro del personale docente, educativo ed ATA, nonché i criteri per l’individuazione del medesimo personale da utilizzare nelle attività retribuite con il Fondo d’Istituto;

– i criteri riguardanti le assegnazioni alle sedi di servizio all’interno dell’istruzione scolastica del personale docente, educativo ed ATA; 

– la promozione della legalità, della qualità del lavoro e del benessere organizzativo e individuazione delle misure di prevenzione dello stress lavoro-correlato e di fenomeni di burn-out;

– la proposta di formazione delle classi e degli organici;

– i criteri di attuazione dei progetti nazionali ed europei.

Al termine del confronto, è buona prassi redigere una sintesi dei lavori e delle posizioni emerse. 

Se non vi sono elementi ostativi si può procedere alla sottoscrizione provvisoria della contrattazione integrativa d’istituto, nella quale si obbligano reciprocamente le parti. “Le clausole dei contratti sottoscritti possono essere oggetto di successive interpretazioni autentiche, anche a richiesta di una delle parti”. La procedura di interpretazione autentica si avvia entro sette giorni dalla richiesta e si concluso entro trenta giorni dall’inizio delle trattative. L’eventuale accordo sostituisce la clausola controversa del contratto integrativo. Mentre il contratto collettivo integrativo ha durata triennale e si riferisce a tutte le materie indicate nelle specifiche sezioni, i criteri di ripartizione delle risorse e le diverse modalità di utilizzo, al contrario, possono essere negoziati con cadenza annuale. Bisogna precisare che decorsi trenta giorni dall’inizio delle trattative, eventualmente prorogabili fino ad un massimo di ulteriori trenta giorni, se non si è raggiunto l’accordo, al fine di non arrecare un pregiudizio alla funzionalità dell’azione amministrativa, l’amministrazione interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva sottoscrizione e prosegue le trattative al fine di pervenire in tempi celeri alla conclusione dell’accordo stesso. Il termine minimo di durata delle sessioni negoziali è fissato in 45 giorni, eventualmente prorogabili di ulteriori 45. Il controllo sulla compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di bilancio e la relativa certificazione degli oneri sono effettuati dall’organo di controllo competente –  Revisori dei conti – che valuterà l’Ipotesi di contratto integrativo definita dalle parti, corredata dalla relazione illustrativa e da quella tecnica. In caso di rilievi da parte del predetto organo competente, la trattativa deve essere ripresa entro cinque giorni. Trascorsi quindici giorni senza rilievi si procede alla sottoscrizione del contratto in via definitiva. 

Utili strumenti di informazione, che possono servire per ricomporre la volontà dei singoli, al di fuori di una logica puramente conflittuale con la controparte datoriale, sono le assemblee sui luoghi di lavoro. Non si può negare che nell’ambito delle assemblee le rappresentanze sindacali esercitano il diritto di informazione e di consultazione nei confronti dei lavoratori ed assumono il compito di avanzare proposte al datore di lavoro. 

“Il personale della scuola ha diritto a partecipare ad assemblee sindacali, durante l’orario di lavoro, per un massimo di 10 ore pro capite in ciascun anno scolastico, in idonei locali concordati con il Dirigente Scolastico, o con modalità telematiche qualora se ne ravvisi la necessità e/o opportunità.
Le assemblee che si svolgono a livello di singola scuola, nell’ambito dello stesso comune, possono avere una durata massima di 2 ore. La durata massima delle assemblee territoriali è definita in sede di contrattazione integrativa regionale, in modo da tener conto dei tempi necessari per il raggiungimento della sede di assemblea e per il ritorno alla sede di servizio.
In ciascuna istituzione scolastica e per ciascuna categoria di personale (docenti ed ATA) non possono essere tenute più di 2 assemblee al mese. (Orientamento Applicativo Aran CIRS2 del 24/02/2021). Non possono essere svolte assemblee in ore coincidenti con gli esami e scrutini finali.
La convocazione dell’assemblea, la durata, la sede, lo specifico ordine del giorno e l’eventuale partecipazione di sindacalisti esterni sono comunicati al dirigente scolastico con almeno 6 giorni di preavviso (CCNL 2016/18).
La comunicazione dell’assemblea deve essere affissa, lo stesso giorno in cui è pervenuta, all’albo della scuola; altre organizzazioni sindacali possono presentare, entro 48 ore, richiesta di assemblea per la stessa data e ora, concordando un’assemblea congiunta o separata.
La comunicazione definitiva dell’assemblea o delle assemblee va affissa all’albo dell’istituto, in ognuna delle sue sedi, entro lo stesso termine.
Contestualmente all’affissione all’albo, la comunicazione dell’assemblea deve essere diffusa al personale mediante circolare interna, al fine di raccogliere la dichiarazione scritta di partecipazione del personale interessato in servizio nell’orario dell’assemblea; tale dichiarazione, che è irrevocabile, fa fede ai fini del calcolo del monte ore individuale.
Per le assemblee indette al di fuori dell’orario di servizio del personale, devono essere concordati con il dirigente scolastico l’uso dei locali e la tempestiva affissione all’albo della convocazione. (cit. Salvo Inglima in Dirigenti News – n. 34 del 3 novembre 2022)

Per le assemblee in cui è coinvolto il personale docente, il Dirigente Scolastico sospende le attività didattiche delle sole classi, o sezioni di scuola dell’infanzia, nelle quali i docenti hanno dichiarato di partecipare all’assemblea, avvertendo le famiglie interessate e disponendo gli eventuali adattamenti di orario del personale che presta regolare servizio. Al contrario, per le assemblee in cui è coinvolto anche il personale ATA, se la partecipazione è totale, si stabilirà, all’interno della contrattazione d’istituto, la quota e i nominativi del personale tenuto ad assicurare i servizi essenziali relativi alla vigilanza agli ingressi alla scuola, e ad altre attività indifferibili coincidenti con l’assemblea sindacale.

Pur essendo le assemblee un diritto dei lavoratori, le stesse non possono essere svolte in ore coincidenti con lo svolgimento degli esami e degli scrutini finali, o con   operazioni che ne costituiscono il prerequisito per il corretto svolgimento deglistessi. 

“Si precisa che ai sensi del CCNQ 4.12.2017 (Contratto collettivo nazionale quadro sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi, nonché delle altre prerogative sindacali), le sole organizzazioni rappresentative hanno, oltre al diritto di indire assemblee durante l’orario di lavoro, la facoltà di:

– nominare propri terminali associativi (art. 3)

– affiggere testi e comunicati, utilizzando ove possibile anche ausili informatici (art. 5)

– utilizzare locali per attività e riunioni (art. 6)

– fruire di distacchi e permessi sindacali (artt. 7 – 10)” (cit. Salvo Inglima in Dirigenti News – n. 34 del 3 novembre 2022)

In conclusione, si rileva che la “gestione” delle relazioni sindacali è senza dubbio un compito che scaturisce direttamente da specifiche norma del nostro Ordinamento e che sancisce in maniera inequivocabile che il Dirigente Scolastico è “titolare” delle relazioni sindacali e deve salvaguardare  e valorizzare le prerogative negoziali come fattore essenziale per un “buon governo” delle istituzioni scolastiche che guida. 

Concorsi subito per stabilizzare il sistema

da Tuttoscuola

Sul tavolo del ministro Valditara si affastellano i dossier più disparati, molti urgenti, alcuni addirittura urgentissimi se non si vogliono rischiare conseguenze a catena in grado di pregiudicare alcuni obiettivi fondamentali.

Un capitolo specifico, indispensabile per far funzionare la mastodontica macchina in cui lavorano oltre un milione di persone, è quello dei concorsi.

La fine dell’anno si avvicina velocemente e – a causa del ritardo precedentemente accumulato – i tempi per indire alcuni concorsi annunciati e promessi da tempo stanno inesorabilmente per scadere.

La partita dei concorsi è molto più di un normale adempimento amministrativo. Rappresenta, infatti, un nodo cruciale per la scuola che da anni soffre di carenza di alcune figure chiave, dai dirigenti scolastici a quelli tecnici fino ai Dsga, e di mancata stabilizzazione del personale. La crescente precarietà e l’instabilità minano anche la continuità didattica, causano inefficienze e fanno alzare il livello di tensione nel sistema. Proprio l’opposto di ciò che occorre.

Per avviare il nuovo percorso riformatore tracciato dalla coalizione di Governo, il nuovo ministro ha assolutamente bisogno di avere il campo sgombro dai lacci e lacciuoli concorsuali per poter disporre di una situazione possibilmente normalizzata per il prossimo anno scolastico, in modo da rassicurare le famiglie e il mondo sindacale sempre più insofferenti per il quadro dei docenti in cattedra e delle altre figure che di anno in anno si fa più incerto e provvisorio.

I recenti dati forniti dal ministero secondo cui delle 94mila assunzioni di docenti autorizzate dal MEF per il 2022-23 poco meno della metà è stato coperto con nuove nomine di docenti in ruolo – com’era successo sostanzialmente anche nei due-tre anni precedenti – suonano come campanelli d’allarme per segnalare quasi l’impotenza ministeriale per assicurare la normalizzazione del sistema.

Addirittura, come Tuttoscuola aveva per prima anticipato a fine agosto, dei 14.400 posti del concorso straordinario-bis per la secondaria ne sono stati assegnati ai vincitori dal 1° settembre scorso soltanto 3.200.

Spiace constatare che, contro ogni evidenza, l’ex ministro Bianchi aveva ripetutamente affermato la pressoché totale conclusione di tutti i concorsi (con relativa nomina immediata dei vincitori), nonché la presenza in cattedra di tutti gli insegnanti (di ruolo e non) fin dal primo giorno di lezione, mentre il carosello dei docenti c’è stato in diverse province anche quest’anno.

L’azione del nuovo ministro non può non partire, insomma, dall’affrontare la situazione dei concorsi.

Prima di tutto vanno fronteggiate con chiarezza e responsabilità le principali cause di questo insuccesso e possibilmente rimosse, a cominciare dalla questione delle commissioni esaminatrici ai cui membri va garantito il distacco dal servizio per velocizzare i tempi di svolgimento delle prove. Pensare di far viaggiare speditamente la complessa macchina concorsuale incastrando gli impegni di commissari già presi a tempo pieno su altri fronti è illusorio. Inoltre la semplificazione dei quesiti e il controllo rigoroso della loro correttezza eviterebbero la pioggia di ricorsi verificatisi, che oltre a inceppare le procedure offuscano la credibilità e l’immagine del ministero.

Se Valditara non vuole trovarsi al prossimo settembre con la stessa situazione in cui si sono trovati i suoi predecessori, dovrà accelerare e assicurare le condizioni di successo delle nuove procedure concorsuali ferme ai blocchi di partenza e, se lo riterrà opportuno, potrà avviare contestualmente la riforma, molto cara alla Lega e condivisa dalla coalizione, di drastica riduzione del precariato.

A vent’anni dalla tragedia di San Giuliano il 46% delle scuole sono prive di collaudo statico

da Tuttoscuola

Vent’anni fa una scossa di terremoto provocava il collasso della scuola primaria di San Giuliano di Puglia in Molise, determinandone il crollo completo con la morte di 27 alunni e di una maestra. Rimasero intrappolati anche 8 insegnanti, 2 bidelli e 58 alunni. Molti sopravvissuti riportarono gravi ferite. Soltanto quell’edificio era crollato, mentre tutto intorno le case avevano resistito alla scossa tellurica, segno evidente che non erano stati messi in atto controlli e interventi necessari per assicurare sicurezza alla struttura e alle persone. Per quel crollo sono stati condannati i responsabili che avrebbero dovuto verificare e assicurare la tenuta della struttura con opportuno collaudo statico.

Nel giorno della commemorazione, il 31 ottobre 2022, Fabrizio Curcio, capo della Protezione civile, ha dichiarato “Dopo vent’anni è stato fatto qualche passo avanti in tema di sicurezza delle scuole, ma c’è ancora molto, moltissimo da fare. Io credo che, se vogliamo rendere giustizia a questi eventi, a queste tragedie, dobbiamo impegnarci ognuno ad ogni livello: dal cittadino alla politica alla parte tecnica perché ancora la sicurezza delle scuole deve fare un passo importante“.

Dobbiamo ancora investire tanto – ha proseguito Curcio – Siamo in un momento di finanziaria e bilancio, io credo sia un segnale importante aumentare i fondi all’edilizia scolastica, alla messa in sicurezza, all’adeguamento e miglioramento sismico e non solo“.

Dalle norme in materia si evince che il collaudo statico si esegue obbligatoriamente per tutte le opere di nuova costruzione, a prescindere dal tipo di manufatto o dai materiali utilizzati. Per quanto riguarda le opere già esistentiinvece, è necessario eseguirlo quando si compiono interventi di adeguamento e miglioramento sismico. Non è obbligatorio invece per piccoli interventi o riparazioni.  

La scuola di San Giuliano rientrava con tutta probabilità nella fattispecie dell’obbligo del collaudo statico esteso alle opere già esistenti, in quanto nei mesi precedenti il crollo era stata interessata a diversi adattamenti strutturali.

Ma qual è la situazione degli oltre 40mila edifici scolastici in ordine alla certificazione del collaudo statico? Ce lo dice il Portale dati del Ministero dell’Istruzione per l’edilizia scolastica relativi all’anno scolastico 2021-22.

Sono 21.524, pari al 53,7% dei 40.079 edifici scolastici quelli che possiedono la certificazione del collaudo statico. Il 46,3% (cioè 18.555 edifici scolastici) non dichiara il possesso della certificazione.

Sono un po’ più virtuosi i Comuni, perché il 55% degli edifici di scuole dell’infanzia e del primo ciclo (affidati per legge alla loro gestione) ne sono provvisti, mentre soltanto il 47,8% degli edifici scolastici che ospitano istituti superiori (affidati alla gestione delle Province) possiedono tale certificazione.

È pur vero che l’obbligo del collaudo statico vale solo per le nuove costruzioni e per quelle che hanno provveduto agli adeguamenti strutturali, ma, pensando alla scuola di San Giuliano, quei 18.555 edifici senza collaudo statico – per i quali si spera non vi siano state modifiche strutturali – sono davvero sicuri? In quali territori la certificazione del collaudo statico è presente o manca?

Lettera Ministro 8 novembre 2022, AOOGABMI 94096

Care ragazze e cari ragazzi,

la sera del 9 novembre del 1989 decine di migliaia di abitanti di Berlino Est attraversano i valichi del Muro e si riversano nella parte occidentale della città: è l’evento simbolo del collasso del blocco sovietico, della fine della Guerra Fredda e della riunificazione della Germania e dell’Europa. La caduta del Muro, se pure non segna la fine del comunismo – al quale continua a richiamarsi ancora oggi, fra gli altri paesi, la Repubblica Popolare Cinese –, ne dimostra tuttavia l’esito drammaticamente fallimentare e ne determina l’espulsione dal Vecchio Continente. 

Il comunismo è stato uno dei grandi protagonisti del ventesimo secolo, nei diversi tempi e luoghi ha assunto forme anche profondamente differenti, e minimizzarne o banalizzarne l’immenso impatto storico sarebbe un grave errore intellettuale. Nasce come una grande utopia: il sogno di una rivoluzione radicale che sradichi l’umanità dai suoi limiti storici e la proietti verso un futuro di uguaglianza, libertà, felicità assolute e perfette. Che la proietti, insomma, verso il paradiso in terra. Ma là dove prevale si converte inevitabilmente in un incubo altrettanto grande: la sua realizzazione concreta comporta ovunque annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte. Perché infatti l’utopia si realizzi occorre che un potere assoluto sia esercitato senza alcuna pietà, e che tutto – umanità, giustizia, libertà, verità – sia subordinato all’obiettivo rivoluzionario. Prendono così forma regimi tirannici spietati, capaci di raggiungere vette di violenza e brutalità fra le più alte che il genere umano sia riuscito a toccare. La via verso il paradiso in terra si lastrica di milioni di cadaveri. E si rivela drammaticamente vera l’intuizione che Blaise Pascal aveva avuto due secoli e mezzo prima della rivoluzione russa: «L’uomo non è né angelo né bestia, e disgrazia vuole che chi vuol fare l’angelo fa la bestia». 

Gli storici hanno molto studiato il comunismo e continueranno a studiarlo, cercando di restituire con sempre maggiore precisione tutta la straordinaria complessità delle sue vicende. Ma da un punto di vista civile e culturale il 9 novembre resterà una ricorrenza di primaria importanza per l’Europa: il momento in cui finisce un tragico equivoco nel cui nome, per decenni, il continente è stato diviso e la sua metà orientale soffocata dal dispotismo. Questa consapevolezza è ancora più attuale oggi, di fronte al risorgere di aggressive nostalgie dell’impero sovietico e alle nuove minacce per la pace in Europa. 

Il crollo del Muro di Berlino segna il fallimento definitivo dell’utopia rivoluzionaria. E non può che essere, allora, una festa della nostra liberaldemocrazia. Un ordine politico e sociale imperfetto, pieno com’è di contraddizioni, bisognoso ogni giorno di essere reinventato e ricostruito. E tuttavia, l’unico ordine politico e sociale che possa dare ragionevoli garanzie che umanità, giustizia, libertà, verità non siano mai subordinate ad alcun altro scopo, sia esso nobile o ignobile. 

Per tutto questo il Parlamento italiano ha istituito il 9 novembre la “Giornata della libertà”. Su tutto questo io vi invito a riflettere e a discutere”. È quanto si legge in una lettera indirizzata alle scuole italiane dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara in occasione del Giorno della Libertà, istituito per celebrare la ricorrenza dell’abbattimento del Muro di Berlino.