Umiliazione ed umiltà

Umiliazione ed umiltà

di Rita Manzara

“Umiliazione” ed “umiltà”: due concetti che si inquadrano neidelicati meccanismi di approccio all’ “altro da sé”.

Entrambi chiamano in gioco il valore della persona e comportano conseguenze nella sfera emotiva di un individuo, a prescindere dall’età di quest’ultimo.

In campo educativo, tuttavia, il discorso deve farsi particolarmente attento, poiché il compito principale dell’educazione è quello di «trarre fuori» da una giovane vita gli aspetti migliori, cioè quelle potenzialità da spendere per lo sviluppo di competenze, sia cognitive che relazionali.

Incominciamo col dire che l’umiliazione non raggiunge sicuramente lo scopo di far emergere “il meglio” di un soggetto, tantomeno in età evolutiva. 

In uno studio condotto presso l’Università di Amsterdam i neuroscienziati hanno analizzato il cervello di alcune persone mentre sperimentavano diversi stati emotivi ed hanno rilevato che, sul piano psicologico, l’umiliazione attiva delle aree cerebrali connesse con il dolore e, allo stesso tempo, rappresenta un carico cognitivo la cui elaborazione si protrae per un lungo periodo.

Nella persona umiliata, quindi, si scatenano svariate reazioni che hanno tutte, come comune denominatore, la rabbia espressa in svariate forme più o meno evidenti.

A seconda delle caratteristiche individuali, la reazione esplicita può variare tra una chiusura totale, un’apparente obbedienza con conseguente adozione di comportamenti di “ipocrisia”, oppure un’immediata escalation di aggressività che può condurre addirittura al rischio di creare pericolo.

Quest’ultima situazione – oltre che nel caso di precise patologie – si verifica, abitualmente, soprattutto   in presenza di personalità inclini a reagire in tal modo anche per motivi legati alla propria storia di vita, nel corso della quale si sono presumibilmente già verificati episodi più o meno frequenti di umiliazioni subite o “viste subire”.

Purtroppo qualche docente, a volte anche inconsapevolmente, fa uso dell’umiliazione per definire la verticalità della relazione con il minore: è l’adulto che comanda e che quindi ha il diritto/dovere di farti rispettare – per il tuo bene – il ruolo subalterno.

Per mantenere questo assetto possono essere utilizzati diversi strumenti, sia in relazione al rendimento scolastico, sia per attuare interventi sul piano comportamentale.

Nel primo caso, voti e giudizi, spesso accompagnati da osservazioni poco lusinghiere sullo studente espresse ad alta voce, non svolgono la funzione di strumenti regolativi degli apprendimenti ma, al contrario, provocano stress impedendo la libera evoluzione delle capacità e le manifestazioni delle stesse. È il caso del “blocco” che può verificarsi in situazione d’esame in presenza di un professore che assume un simile atteggiamento.

Nel caso in cui l’umiliazione venga applicata come strategia di contenimento a fronte di manifestazioni comportamentali, anche nei casi più difficili il rimprovero davanti agli altri senza possibilità di discolpa risulta una scelta negativa in quanto annullatotalmente la persona cui viene rivolta.

Appare evidente che in entrambi i casi viene esclusa qualsiasi possibilità di ricavare un insegnamento anche dall’errore e/o di abbandonare consapevolmente comportamenti poco corretti. 

Tutt’altro discorso può riferirsi all’ “umiltà”, che rappresenta un valido obiettivo educativo.

Anche in questo campo, è necessario chiarire i termini della questione.

Essere educati all’umiltà (sia in famiglia che a scuola) non significa che non si possa entrare in una dinamica competitiva, limitandosi a ritagliarsi un posto solo marginale nella quotidianità dei propri ambienti di vita. La competizione, infatti, assume un ruolo importante in campo educativo in quanto consente di misurare le proprie forze nel rapporto con gli altri.

Essere umili non significa essere sottomessi, non difendere mai le proprie ragioni, avere scarsa autostima. Anzi, al contrario: la persona umile sa di non poter essere competente in tutti gli ambiti della vita e di non essere superiore a tutti, tuttavia sa di possedere capacità che, peraltro, non vanno utilizzate per far sentire inadeguati gli altri.

La persona umile è, in conclusione, anche meno esposta all’umiliazione perché conosce realisticamente il proprio valore e questa consapevolezza – oltre a costituire una difesa contro la tendenza a sopravvalutarsi – consente di attenuare l’impatto negativo di un giudizio ingiustamente mortificante.

Come far entrare l’umiltà nelle aule di scuola, considerando che la parola stessa (assieme ad altre come “sacrificio”, “bontà” e simili) sembra appartenere al campo di una retorica non in linea con i tempi attuali?

Il termine linguistico non è sicuramente la chiave di accesso ad un ambiente di apprendimento organizzato a livello di alunno, di studente. Un contesto in cui le relazioni assumono un valore determinante consentendo di costruire un sapere significativo insieme agli altri, compagni e adulti, nell’ottica della valorizzazione delle caratteristiche personali. Un luogo di incontro nel quale le diversità (comprese le difficoltà che possono riguardare tutti e/o ciascuno) non giungano mai a diventare motivo di umiliazione.

Darboe 3.0  – Il Minore Straniero Non Accompagnato

DARBOE 3.0  – Il Minore Straniero Non Accompagnato

di Luciana Puoti

 “Tu che fuggisti dalla terra amata,
 rorida di sangue,
dammi la mano. 
Insieme divideremo il pane
  (26.09.1991)
dalla raccolta “Pensieri”
di Assunta Valentino Puoti (1926-2011)
Mia Madre.

INDICE

  1. Premessa metodologica.
  2. Partendo dal caso di Darboe Ousainou, i profili di tutela del minore, straniero, non accompagnato: impianto normativo internazionale, europeo e nazionale 
  3. Il diritto all’istruzione
  4. L’emergenza ucraina
  5. Conclusioni: ancora sulla esigenza di un allargamento epistemologico della pedagogia speciale.

  1. Premessa metodologica

In linea con quanto già nel saggio “Victor 2.0 – La nuova sfida” Dagli epistemi della pedagogia speciale, i nuovi orizzonti della complessità, pubblicato su rivista specializzata EDSCUOLA, si ribadisce e si conferma l’urgenza del necessario allargamento di confine epistemologico della scienza della Pedagogia Speciale, per rispondere alle sfide determinate dalle nuove emergenze educative e dalla pluralità di Bisogni Educativi Speciali, fondato su attente riflessioni e scelte oculate sulle direzioni di senso.  Dal bambino selvaggio, e sua educabilità, ai nuovi Victor, il focus resta aperto sugli aspetti della Complessità e sulle forme di espressione del disagio che i giovani, sempre più ed in vario modo, non certo e non solo a scuola, manifestano.

Queste le ragioni dell’auspicato allargamento epistemologico della scienza, riclassificando le situazioni di disagio di cui al suo statuto fondante, all’oggetto della Pedagogia speciale e ai suoi principali strumenti/mediatori. Può sin d’ora, infatti, sembrare corretto considerare, nell’oggetto ampliato, tutte quelle difficoltà psichiche, dai ritardi e turbe di ogni sorta dello sviluppo bio-psico-sociale del fanciullo e del giovane, al disadattamento ambientale, che impone la rieducazione del comportamento asociale o antisociale; necessità educative, che, in una parola, potremmo catalogare come conseguenti ad una generale difficoltà nello sforzo di ridurre le asimmetrie  fra l’essere e il dover-poter essere di un individuo in fieri, di cogliere mezzi e opportunità tesi a favorire la formazione globale della personalità dei soggetti in condizioni di evidente disagio, per una migliore espressione di se stessi e una qualità di vita superiore. Nel più contenuto scenario della scuola, tali condizioni sono definite da ICF (nuovo sistema  dell’O.M.S di classificazione della disabilità International Classification of Functioning and Health) come qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento (non diagnosi), permanente o transitoria, in ambito educativo o di apprendimento, dovuta all’interazione fra vari fattori di salute e sociali, che necessita di educazione speciale individualizzata. Si impone poi l’allargamento epistemologico, oltre che dell’oggetto, anche degli strumenti /mediatori nell’azione educativa, attraverso l’arricchimento dello strumento dei curricoli inclusivi, se è vero che nella dichiarazione UNESCO di Salamanca del 1994 si legge che “non sono i bambini ad essere disabili ma i curricoli”. E ancora l’accentuazione della personalizzazione dei percorsi formativi, secondo la pratica dell’Universal Design of Learning (UDL), per progettare e organizzare un unico ambiente di apprendimento universale, in cui tutti gli alunni, ciascuno conscio della propria specificità, possa riuscire a sviluppare competenze individuali e personalizzate. Pedagogia e didattica al servizio di una nuova ecologia delle relazioni, improntata al principio di Univers-quita’, riconoscente da un lato il pluralismo universale e dall’altro la conseguente necessaria compensazione delle differenze per una costruzione equa della personalità di ciascuno, nel senso della “valorizzazione dell’unicità-diversità, attivando processi di distinzione-differenziazione in teatri/sfondi interattivi, capaci di riconoscere e legittimare la pluralità e la diversità di essere unici[1] .

Appare pertanto di palmare evidenza che l’aspetto pedagogico è solo una delle versioni alla luce delle quali esaminare il fenomeno, tant’è che nel presente saggio, assecondando i tre diversi piani di interesse, normativo, criminologico e didattico, si partirà dal primo, poichè si è convinti che occorra partire da un punto fermo a legislazione vigente, per esigenza di scientificità nello sviluppo del ragionamento. Dalla tutela internazionale, europea e nazionale del minore, partendo dalla Costituzione Italiana, alla attenzione antropologica verso i tanti nuovi Victor: MSNA, bulli e bullizzati, hikikomori, soggetti affetti da sindromi da ansia sociale, soggetti a pratiche di affido e di adozioni, non solo internazionali,  insomma, in una parola, che purtroppo non è mia, verso la cd. ‘Generazione di cristallo[2], rispetto alla quale a noi adulti non è consentito comportarci da elefanti! Già la Direttiva Ministeriale 27/12/2012 sui Bisogni Educativi Speciali, rappresenta il più recente paradigma di lettura della complessità con approccio bio-psico-sociale nei percorsi di apprendimento, ma l’angolo visuale si allarga. Nella recente Convenzione sui diritti delle persone con disabilità[3], l’obiettivo di favorire l’inclusione delle persone con disabilità parte non tanto e non solo dalle condizioni anatomo-funzionali del soggetto, quanto piuttosto dalla consapevolezza delle situazioni ambientali esistenti e l’impatto dei fattori ambientali/contestuali, come facilitanti, ostacolanti, disattivanti, disabilitanti favorenti le potenzialità di cittadinanza attiva di tutte le persone arrivando a descriverli in termini facilitatori di barriere. Senza dimenticare la ricaduta dei due fronti giuridico ed antropologico nell’agito quotidiano di bambini profughi, alle prese con la prima socializzazione nel contesto scolastico.

2. Dopo Victor 2.0, partendo dal caso di Darboe Ousainou, i profili di tutela del minore, straniero, non accompagnato: impianto normativo internazionale, europeo e nazionale 

E dunque, dopo il bambino selvaggio di Itard, nuovo Victor è Darboe, Minore Straniero Non Accompagnato, prima e insieme ai tanti minori nel pieno della emergenza Ucraina. Per affrontare il tema del MINORE da un punto di vista normativo, si è preferito un approccio non didascalico, ma che prenda il via dall’esame di caso. In recentissima sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani[4], l’Italia è stata condannata a risarcire i danni non patrimoniali sofferti da un ragazzo gambiano, Darboe Ousainou, minore straniero non accompagnato, giunto sulle coste italiane nel giugno del 2016, all’epoca diciassettenne. Nello specifico, i giudici di Strasburgo hanno contestato alle autorità italiane di aver agito illegittimamente verso Darboe, avendo accertato la sua età in maniera superficiale e a mezzo esami medici approssimativi ed inaffidabili, in contrasto con la normativa vigente, mancando altresì di nominare al ragazzo un tutore che ne avesse la rappresentanza e che potesse presentare per lui la richiesta di protezione internazionale. Dall’erronea determinazione dell’età di Darboe, ne è derivata la collocazione per un tempo lungo, quasi quattro mesi, fra gli adulti nel centro di accoglienza di Cona (VE), già noto per la condizione di sovraffollamento estremo, di violenza diffusa e per le gravi carenze igienico-sanitarie, oggi chiuso. Alla luce di tali comportamenti, la Corte ha ritenuto di dover condannare l’Italia per aver violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare del sig. Darboe (art. 8 della Convenzione) ed il divieto di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti (art. 3 della Convenzione). La Corte ha precisato altresì che l’estrema vulnerabilità dei minori è un elemento decisivo da considerare attentamente, unitamente alla loro condizione di richiedenti asilo, che deve essere garantita con tutti i mezzi appropriati. Certo la sentenza della CEDU[5] è intervenuta dopo circa 5 anni dai fatti e nessuno ha potuto impedire a Darboe di subire grave violazione dei suoi diritti umani fondamentali e non si può fare a meno di interrogarsi sui tanti Darboe, minori stranieri non accompagnati, che hanno come lui subito tante sofferenze e plateali violazioni di diritti. Quali di seguito le norme violate.

2.1   I principi normativi di tutela, non solo internazionale e sovranazionale dei diritti dei minori e dei minori stranieri, ad onta della tutela dei Diritti umani

Da tempo la comunità nazionale ed internazionale ha avvertito la necessità di inquadrare il soggetto in formazione, il minore, nell’alveo di una tutela vasta, flessa sul riconoscimento della moltitudine di suoi diritti, assolutissimi ed indisponibili. Per questo fine, il diritto internazionale ha individuato norme idonee da fonti così dette di Hard Law, contenenti diritti fondamentali, cioè norme con vincoli solidali che riguardano tutti gli Stati firmatari. In tal senso impera la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo[6], come norma internazionale self-executing, non seguita da legge ad hoc di recepimento. Alla luce di essa, il fanciullo è ogni bambino che non ha compiuto la maggiore età, secondo le leggi dello Stato in cui vive. I principi fondamentali contenuti nella Convenzione ONU, detta anche CRC (Convention on the Rights of the Child), sono: il principio di non discriminazione (art.2); il principio del superiore interesse del minore (art.3) detto anche con altro acronimo BIC (Best Interests of Child); il diritto alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo (art.6); il diritto alla partecipazione e rispetto per l’opinione del minore (art.12). In ambito europeo, oltre alla CEDU, su citata, che è nell’alveo universale dei Diritti Umani di rango sovranazionale, vigono, più specificatamente per la tutela del minore, la Convenzione europea sullo statuto giuridico dei figli nati fuori dal matrimonio, la Convenzione sull’esercizio del diritti dei minori, la Convenzione sull’adozione dei minori, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori scontro lo sfruttamento e l’abuso sessuale (nota con il nome di Convenzione di Lanzarote). Di livello nazionale, Hard Law è la Carta Costituzionale, ineludibilmente con i suoi artt. 2 e 3, a universale presidio, nonché con gli artt. 13,14,16, 29, 30, 31, 32, 34, 37 e 38, 3 co. C., alla luce dei quali il favor minoris si concretizza nella promozione dei diritti del minore,[7] innanzitutto come diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità e indubbiamente sul presupposto della non discriminazione e dunque dell’ovvio riconoscimento della pari dignità a tutte le persone senza distinzioni di età, sesso, razza, lingua, religione, opinione politica, condizioni personali e sociali, con lo Stato impegnato a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale in grado di limitare tale parità (artt.2 e 3 C); nella promozione del diritto alla integrità fisica e psichica, alla domicilio, alla libera circolazione sul territorio dello Stato (artt.13,14,16 C); nella promozione del diritto all’unità familiare, diritto-dovere spettante ai genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, del diritto alla salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, del diritto allo studio, (cd. rapporti etico-sociali artt. 29, 30, 31, 32 e 34 C); nella promozione del diritto alla tutela del lavoro minorile e parità di trattamento (cd. rapporti economici art.37 C.). In una parola la Costituzione disegna un vero e proprio ‘statuto dei diritti del minore d’età’, coesistente con un sistema di doveri da parte di altri soggetti, famiglia e istituzioni, fra cui la Scuola, che diventano interlocutori del minore e co-protagonisti sulla scena della sua vita in evoluzione, tali da dare fondamento alla tutela del minore, tout court estensibile al minore straniero. Su tutti l’art.10 C. che disciplina lo status giuridico dello straniero come regolato dalla legge italiana in conformità alle norme e ai trattati internazionali, quasi “l’architrave” della materia in esame, che al terzo comma, induce la protezione internazionale, secondo cui «lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge», in ogni caso in cui trovino «ripugnante alla loro coscienza civile e morale vivere in uno Stato autoritario»[8]. Come evidente, non si rinvengono nel sistema di tutele norme di diritto internazionale ed europeo in tema di trattamento specifico del minore straniero, del tutto assorbite e influenzate dall’impatto con la più ampia tutela dei diritti umani e dei diritti del minore tout court. Piuttosto, è elemento di certezza che le norme sul minore straniero, anche non accompagnato, inevitabilmente si intrecciano con le norme generali in tema di immigrazione (T.U. 286/98) con le norme in materia di diritto d’asilo, di rifugiati e richiedenti protezione internazionale (D.Lgs. 142/2015). Tale visuale ampia complica il ragionamento, di tal che dovrà essere affrontato e superato il rischio di tracimare dai giusti argini del ragionamento sul MSNA che unicamente qui occupa e per il quale se non esiste norma precipua di hard law, vede importante presidio di soft law nazionale, la cd. Legge Zampa, di cui appresso.

Pervero, già il Consiglio dell’Unione Europea nel 1997 aveva adottato una Risoluzione sui minori stranieri non accompagnati, in cui si stabiliva l’obbligo degli Stati membri di garantire a ogni minore non accompagnato accoglienza temporanea e un’idonea rappresentanza attraverso tutela legale o a mezzo organismo che appositamente si occupasse della cura e del benessere dei minori. E ancor prima la direttiva 2011/95/UE, si era preoccupata di definire il minore straniero non accompagnato, quel “minore che giunga nel territorio dello Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile in base alla normativa e alla prassi dello Stato membro interessato, e fino a quando non sia effettivamente affidato ad un adulto”. Il nostro Paese ha recepito tutto ciò elaborando, applicando e pubblicando lo strumento di  soft law in Italia che è nel testo che specificatamente disciplina i diritti dei minori stranieri non accompagnati e le procedure che li riguardano, con specifiche norme relative ai MSNA, cioè la Legge n. 47/17, nota come Legge Zampa[9], dal nome della sua proponente. Ad essa si aggiunge tutta la normativa di soft law vigente e riguardante i minori, contenuta nel codice civile, nelle norme su adozione e affido familiare (L.n. 184/83), ed in quelle in materia di immigrazione e asilo, già citate[10]. La legge Zampa, nello specifico, ha avuto il merito di delineare nel dettaglio il sistema di accoglienza per i MSNA, di apportare significative novità sotto il profilo giuridico e della tutela dei MSNA, introducendo nell’ordinamento una disciplina organica e completa sul tema, riconosciuta anche a livello europeo e internazionale. Infatti ha fissato, sia nella sfera pubblica che in quella privata, i requisiti necessari affinché l’interesse superiore di un minore sia considerato prioritario, sposando un principio di accoglienza a priori del minore (indipendentemente dal suo status giuridico) e una serie di misure specifiche (diritto di accesso alla sanità, all’istruzione, accompagnamento, introduzione della figura del tutor e previsione dell’istituto dell’affido…) orientate alla effettiva integrazione del minore nella società, anche successivamente al compimento della maggiore età. La norma italiana di soft law definisce Minore straniero non accompagnato (MSNA) “il minorenne non avente cittadinanza italiana o dell’Unione europea che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano” (art. 2, Legge n. 47/17). Nel tentativo poi di uniformare la disciplina sulla materia, fino ad allora disorganica, ha favorito la classificazione, puramente didascalica, fra le diverse categorie di minori stranieri non accompagnati in: 1) minori esuli, richiedenti asilo, provenienti da Stati e regioni in conflitto (DARBOE); 2) minori sfruttati all’interno di reti di criminalità organizzata, nonché vittime di tratta e di prostituzione; 3) minori con un mandato familiare, cioè con un progetto migratorio familiare, per lo più di tipo economico, per trovare un lavoro e avere la relativa rendita economica; 4) minori di strada, che vivono di espedienti, non di rado formando gruppi di minori; 5) minori in fuga, che possono anche appartenere alle categorie su descritte, ma con la peculiarità di avere un’esperienza caratterizzata da fughe ripetute precedentemente alla migrazione, anche fughe dal proprio ambiente familiare.[11] Ritornando al caso in esame, la Legge Zampa è entrata in vigore dopo l’ingresso di Darboe in Italia ed essa espressamente avrebbe previsto nel caso di specie l’immediato ed indiscusso diritto all’accoglienza e alla informativa, con modalità adeguate alla sua età, sui diritti riconosciutigli e sulle modalità di esercizio di tali diritti, compreso quello di chiedere la protezione internazionale e quello di essere regolarizzato anche al di fuori dello status di protezione internazionale, il diritto al rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 10 della legge n. 47/2017, il diritto allo svolgimento prioritario dell’indagine familiare di cui all’articolo 6, legge n.47/2017 al fine di consentire il rintraccio dei genitori o familiari che possano prendersene cura e dai quali possono essere stati improvvisamente separati durante il percorso migratorio, il divieto di respingimento alla frontiera, il divieto di espulsione.

Certo, anche prima della Legge Zampa, evidenti e plateali le violazioni di norme e di diritti nel caso Darboe sottoposto al giudizio della Corte Europea DU.

2.2 Violazione del diritto all’accertamento dell’identità e dell’età, secondo soft law nazionale

Darboe purtroppo non ha goduto dei benefici di cd. presa in carico, secondo cui chiunque, siano i Servizi Sociali, le Forze dell’Ordine, la Protezione civile, le Associazioni, etc., venga a conoscenza della presenza, sul territorio italiano, di un minore straniero non accompagnato, avrebbe il dovere di avvisare l’Autorità di Pubblica Sicurezza, per redigere verbale di “consegna-presa in carico” al Servizio Sociale/Struttura di prima accoglienza e di segnalarne la presenza alla Procura locale c/o il Tribunale per i Minorenni, al fine di chiedere tempestivi provvedimenti di competenza, quali la ratifica/convalida delle misure di accoglienza predisposte,  quelle anche in via d’urgenza, compresa la nomina del tutore. Conseguentemente, se fosse stato riconosciuto MSNA, la tempestiva segnalazione avrebbe consentito a Darboe il corretto avvio della procedura di censimento attraverso l’attuale Sistema Informativo Minori (SIM) e “Qualora siano individuati familiari idonei a prendersi cura del minore straniero non accompagnato, tale soluzione deve essere preferita al collocamento in comunità (affido temporaneo del minore da parte del Tribunale per i minorenni territorialmente competente)”[12].  Nulla di tutto ciò! Darboe avrebbe dovuto preliminarmente essere identificato e vedersi imputata un’età alla luce dei documenti eventualmente in possesso, ovvero attraverso le procedure come previste dall’art. 4 d.lgs. n. 24/14 e dal relativo DPCM 234/16, e ss.mm. e ii.  In particolare, secondo il “Protocollo per la identificazione e per l’accertamento olistico dell’età dei minori non accompagnati[13] all’epoca vigente:

  • Laddove e solo allorchè fossero stati ritenuti sussistenti fondati dubbi sull’età e questa non fosse accertabile attraverso documenti identificativi (passaporto o altro documento di riconoscimento munito di fotografia), le Forze di Polizia avrebbero dovuto richiedere al giudice competente per la tutela l’autorizzazione all’avvio della procedura multidisciplinare per l’accertamento dell’età;
  • Essa avrebbe comportato, nel rispetto del superiore interesse del minore, il vaglio da parte di équipe multidisciplinare presso struttura sanitaria pubblica, individuata dal giudice, per un colloquio sociale, una visita pediatrica auxologica e una valutazione psicologica o neuropsichiatrica, alla presenza di un mediatore culturale, tenuto conto delle specificità relative all’origine etnica e culturale dell’interessato;
  • il minore avrebbe dovuto essere adeguatamente informato, con l’ausilio di un mediatore culturale, sul tipo di esami a cui sarebbe stato sottoposto, sulle loro finalità e sul diritto di opporvisi;
  • la relazione conclusiva avrebbe dovuto riportare l’indicazione di attribuzione dell’età stimata specificando il margine di errore insito nella variabilità biologica e nelle metodiche utilizzate ed i conseguenti valori minimo e massimo dell’età attribuibile;
  • in via residuale, se la maggiore o minore età fosse rimasta in dubbio, la minore età sarebbe addirittura stata presunta;
  • il provvedimento di attribuzione dell’età, adottato dal giudice competente per la tutela, notificato, con allegata traduzione, all’interessato e al tutore, avrebbe potuto essere oggetto di reclamo;
  • ed ancora, ove tutto quanto già non bastasse, in attesa della determinazione dell’età, l’interessato avrebbe avuto comunque diritto ad essere considerato minorenne al fine dell’accesso immediato all’assistenza e alla protezione.

A onor del vero, e giammai per giustificare l’approssimazione con cui è stata attribuita l’età maggiore a Darboe nel 2016,  purtroppo non esiste ancora oggi un metodo scientifico che consenta una determinazione certa dell’età, e l’affidabilità dei metodi disponibili è molto discussa in ambito scientifico[14] In genere l’accertamento dell’età viene effettuato attraverso la valutazione della maturazione ossea del polso e della mano, che comporta un margine di errore di ± 2 anni (c.d. variabilità biologica del metodo di Greulich-Pyle), del tutto empirico e oltretutto tarato in origine su uno studio condotto su bambini e adolescenti nati negli Stati Uniti nel periodo tra le due guerre, una popolazione ben differente rispetto a quelle di appartenenza dei soggetti attualmente valutati. Di tal che già nel Protocollo su citato in nota 9, ai fini della valutazione della maturazione ossea del distretto polso-mano, il Consiglio Superiore della Sanità aveva espressamente raccomandato l’utilizzo di altro metodo cd. Tanner-Whitehouse 3 (TW3), ritenuto dalla letteratura scientifica esponente minore variabilità e dunque più affidabile. A tale variabilità si aggiunga la possibilità di errore di refertazione da parte di operatori non esperti, che eseguono solo occasionalmente tale prestazione.

Non sembra superfluo ricordare a questo punto che l’accertamento dell’età oltre che essere un presidio a tutela della giusta collocazione del minore nell’ambito del sistema di tutele, va considerato come un diritto umano alla identità, al nome, alla esistenza nel mondo dei diritti. 

2.3 Violazione del diritto alla protezione internazionale

Darboe, se bene identificato e se affiancato dal tutor, avrebbe avuto il diritto di richiedere la protezione internazionale e il diritto di asilo, tenuto conto i) della storia personale del giovane richiedente (ad es.bassissima scolarizzazione, assenza di riferimenti familiari); b) della condizione di instabilità socio – politica nel paese di provenienza, come tuttora esistente in Gambia, c) dell’assenza (passata ed attuale) di legami familiari nel paese di origine, etc. Il Diritto di asilo e di protezione internazionale trova la sua previsione più autorevole nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che lo prevede all’art. 14 come diritto di cercare e di godere in altri paesi di asilo dalle persecuzioni. Anche la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[15], nonchè il Regolamento Dublino II[16], anch’esse norme di hard law, garantiscono a ogni richiedente lo status di rifugiato e che la relativa domanda sia esaminata da uno Stato membro dell’Unione europea, in modo da evitare che egli sia successivamente mandato da uno Stato membro all’altro senza che nessuno accetti di esaminare la sua richiesta d’asilo (il problema dei cosiddetti “rifugiati in orbita”). Il Regolamento mira, al contempo, a evitare che i richiedenti asilo godano di una libertà troppo ampia nella individuazione del Paese europeo al quale rivolgere la propria domanda di asilo (cosiddetto “asylum shopping”), da cui il principio secondo cui lo Stato membro responsabile dell’esame dell’istanza, indipendentemente da dove la stessa sia stata presentata, è quello in cui è avvenuto l’ingresso, regolare o meno, del richiedente asilo. Se il richiedente asilo è un minore non accompagnato, l’esame della sua domanda di asilo compete allo Stato membro nel quale si trova legalmente un suo familiare, purché ciò sia nel migliore interesse del minore e, in mancanza di un familiare, è competente lo Stato membro in cui il minore ha presentato la domanda d’asilo. In Italia il diritto di asilo è garantito dall’art. 10, comma 3 della Costituzione, già citato e dallo strumento di soft law D.Lgs. n. 251/2007, e ss.mm. e ii.

2.4 Estrema vulnerabilità del minore e principio del BIC:

Come già anticipato, il principio del BIC è dichiarato espressamente nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia (CRC) del 1990, che all’articolo 3, par. 1, afferma “in tutte le decisioni riguardanti i minori deve essere tenuto in conto come considerazione preminente il superiore interesse del minore, e che i diritti da essa sanciti devono essere garantiti a tutti i minori senza discriminazioni, a prescindere anche dalla nazionalità e dallo status relativo al soggiorno”. Il Comitato, istituito nel quadro della Convenzione sui diritti del fanciullo, ritiene che il procedimento per valutare il BIC sia complesso e basato su un approccio multidisciplinare ed olistico, con una analisi dello specifico caso. Tra gli elementi da prendere in considerazione, vi sono: le opinioni del minore, l’identità del minore, l’autodeterminazione, la conservazione dell’ambiente familiare ed il mantenimento dei rapporti familiari, l’assistenza, la protezione e la sicurezza del bambino, le condizioni di vulnerabilità, il diritto alla salute ed il diritto all’istruzione. Il concetto BIC della CRC è ripreso dalla Carta dei diritti fondamentali UE nell’articolo 24, par. 2, sui diritti del minore, ove si legge che “In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente.” Tra i minorenni stranieri arrivati in Italia, i non accompagnati rappresentano una categoria cui dedicare speciale attenzione, sia per la loro elevata numerosità, sia a causa delle difficoltà e dei rischi derivanti dal fatto di vivere in un Paese straniero senza poter fare affidamento sulla famiglia, con lo scopo di rafforzare le tutele nei confronti di questa particolare categoria di persone, soggetti troppo spesso a traffici da parte di organizzazioni criminali.

2.5 Circuito di accoglienza SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione) e l’attuale situazione di sovraffollamento dei centri di accoglienza:

Oggi si chiama SAI il tentativo di razionalizzazione delle misure da mettere in campo nel momento più difficile sia per il migrante sia per lo Stato che accoglie. Esso nasce nel 2001, quando il Ministero dell’Interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) siglano un protocollo d’intesa per la realizzazione del PNA – Programma Nazionale Asilo-  il primo sistema pubblico per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, diffuso su tutto il territorio italiano, con il coinvolgimento delle istituzioni centrali e locali, secondo una condivisione di responsabilità tra Ministero dell’Interno ed Enti Locali. La legge n.189/2002 ha successivamente istituzionalizzato queste misure di accoglienza organizzata, prevedendo la costituzione dello SPRAR – Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Il D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito in Legge 1 dicembre 2018, n. 132, rinomina il Sistema di protezione per richiedenti asilo, rifugiati e minori stranieri non accompagnati – SPRAR  in  SIPROIMI – Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati. Il D.L. 21 ottobre 2020, n.130, convertito in Legge 18 dicembre 2020, n.173, rinomina il Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati SIPROIMI in SAI – Sistema di accoglienza e integrazione. Tale nuova norma prevede l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale oltre che dei titolari di protezione, dei minori stranieri non accompagnati, nonché degli stranieri in prosieguo amministrativo affidati ai servizi sociali, al compimento della maggiore età. Il Sistema di accoglienza e integrazione SAI, costituito dalla rete degli enti locali che per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, si concreta in una serie di misure di accoglienza integrata, volte, oltre che a fornire vitto e alloggio, alla realizzazione di attività di accompagnamento sociale, finalizzate alla conoscenza del territorio e all’effettivo accesso ai servizi locali, fra i quali l’assistenza socio-sanitaria, attività per facilitare l’apprendimento dell’italiano e l’istruzione degli adulti, l’iscrizione a scuola dei minori in età dell’obbligo scolastico, nonché ulteriori interventi di informazione legale sulla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale e sui diritti e doveri dei beneficiari in relazione al loro status.

Da questo breve excursus normativo traspare l’attenzione del legislatore nazionale ed internazionale verso la categoria dei minori in generale e le sue specificità più problematiche, facendola assurgere a contenuto di attenzione e cura nella consapevolezza della vulnerabilità del suo oggetto.

Ma in realtà, i CAS Centri di accoglienza straordinaria per i minori stranieri, vero triage per entrare nel circuito dell’accoglienza, già oggi sono delle polveriere, in Sicilia vi sarebbero ospitati, provenienti da ogni nazionalità, oltre tre milioni di minori[17] in Lombardia 1.246, in Calabria1.224. E allora forse la cura e l’attenzione evaporano nella promiscuità e nel suo micidiale effetto di “criminogenesi”. Oltretutto non sfugge ai più che il SAI non riguarderebbe i migranti cd.economici, quelli cioè non richiedenti asilo e protezione internazionale per i quali restano solo gli hotspot e i centri di prima accoglienza per la identificazione e l’eventuale rimpatrio

3. Diritto all’Istruzione

Il “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero[18] garantisce il diritto allo studio ai minori stranieri tutti presenti sul territorio italiano e prevede per costoro l’applicazione delle disposizioni nazionali in materia. La medesima tutela è garantita ai minori richiedenti protezione internazionale e ai minori figli di richiedenti protezione internazionale (art. 21 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142), nonché ai Minori Stranieri Non Accompagnati per i quali è prevista la predisposizione di progetti specifici che si avvalgano del ricorso o del coordinamento di mediatori culturali (art. 14 della legge 7 aprile 2017, n. 47). [19] Secondo il T.U Immigrazione, i minori stranieri devono essere iscritti alla classe corrispondente all’età anagrafica, a meno che il Collegio Docenti della scuola autonoma deliberi l’iscrizione ad una classe diversa. Per questa valutazione si deve tenere conto dell’ordinamento degli studi nel Paese di provenienza, che può determinare l’inserimento sia in classi inferiori che superiori, del corso di studi seguito nel Paese di origine, dell’eventuale possesso di titolo di studio. Spetterà quindi al Collegio dei Docenti formulare proposte per la ripartizione degli alunni nelle varie classi, senza però creare aule in cui sia predominante la presenza di stranieri[20] Per l’iscrizione non può essere richiesta l’esibizione del permesso di soggiorno né al minore né al genitore per le scuole di ogni ciclo di studi, dall’asilo nido e scuola d’infanzia, scuola primaria, secondaria di primo e di secondo grado, fino al conseguimento di un titolo di studio. Ogni diversa interpretazione della normativa vigente, che di fatto limiti il diritto in questione e violi il principio di non discriminazione e il principio del superiore interesse del minore, si porrebbe in contrasto col dettato Costituzionale.[21] Il diritto all’istruzione non è previsto solo dal TUI ma anche dalla Legge 47/2017, che all’art. 14 prevede: “A decorrere dal momento dell’inserimento del minore nelle strutture di accoglienza, le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e le istituzioni formative (…) attivano le misure per favorire l’assolvimento dell’obbligo scolastico (…) e formativo da parte dei minori stranieri non accompagnati, anche attraverso la predisposizione di progetti specifici che prevedano, ove possibile, l’utilizzo o il coordinamento dei mediatori culturali (...)”

Non si tratta esclusivamente di assicurare l’obbligo scolastico, obiettivo ovviamente essenziale, ma anche di creare – attraverso la scuola, le istituzione educative, la comunità educante – un percorso di accoglienza e integrazione a tutto tondo, il cui presupposto necessario sia il superamento delle barriere culturali e sociali che ostacolano l’inclusione dei minori stranieri non accompagnati.

Nelle «Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri»[22] sono classificati gli alunni di origine straniera, che sono gli alunni con cittadinanza non italiana, figli di genitori non italiani, gli alunni con ambiente familiare non italofono, in cui cioè i genitori pur usando l’italiano hanno competenze limitate, i  minori non accompagnati, gli alunni figli di coppie miste di cui un genitore italiano che gli trasmette la cittadinanza, mentre l’altro usa la propria lingua, che va comunque valorizzata, gli alunni in Italia per adozione internazionale, gli alunni rom, sinti e camminanti (fra i quali il tasso di evasione di frequenza irregolare e di dispersione scolastica è molto alto). 

Ivi è altresì previsto che il numero degli alunni stranieri in ciascuna classe non possa superare il 30% del totale degli iscritti, in modo tale da realizzare un’equilibrata distribuzione tra istituti nello stesso territorio; questo limite può essere sia innalzato che ridotto: nel primo caso, se vi siano alunni stranieri in possesso di adeguate competenze linguistiche, nel secondo caso se il Direttore generale dell’ufficio Scolastico Regionale, con provvedimento motivato, adduca la presenza di alunni stranieri con un’inadeguata padronanza della lingua italiana o in altri casi di particolare complessità. In base alle linee di indirizzo del Ministero dell’istruzione, viene in rilievo l’esigenza di istituire un rapporto d’ascolto con le famiglie per promuovere la crescita e l’integrazione di ogni singolo alunno.

Qualche numero[23]! Complessivamente, nel primo anno di pandemia 2020, sono state 82,4 milioni le persone in fuga da guerre, persecuzioni e disastri naturali, tra cui circa 34 milioni di minori. Discorso a parte seguirà sulla emergenza Ucraina. Al 30 aprile 2022, già 14.025 i minori stranieri non accompagnati nel nostro paese. La maggiore regione di accoglienza di MSNA attualmente è la Lombardia, con 2.749 minori non accompagnati sul proprio territorio (pari al 19,6% del totale). Al secondo posto la Sicilia, con circa 2.500 bambini e ragazzi presenti (18%). Seguono, con poco meno di un decimo dei MSNA accolti in Italia, Emilia Romagna (8,8%) e Calabria (8,4%). Giova precisare sin d’ora che il 27,9% dei minori stranieri non accompagnati attualmente presenti in Italia sono di nazionalità ucraina.

Sul fronte specifico della inclusione scolastica, sono disponibili dati MIUR, relativi all’anno scolastico 2019-20, secondo cui, in Italia, gli alunni con cittadinanza non italiana sono 877mila (il 10,3% del totale) e sono cresciuti del 23,4% tra il 2010 e il 2020. Appartengono spesso a fasce socio-economiche basse: secondo l’Istat (dati 2020) il 29,3% delle famiglie straniere è infatti in povertà assoluta contro il 7,5% di quelle italiane. Concentrati soprattutto nel Nord, gli alunni di origine straniera rappresentano un insieme eterogeneo: basti pensare che sui banchi delle scuole italiane sono rappresentate circa 200 nazionalità, con Romania, Albania, Marocco e Cina come primi quattro Paesi. A prevalere sono le seconde generazioni: i nati in Italia sono il 65,4% mentre i neoarrivati (Nai) sono solo il 2,6%.

In teoria sul fronte dell’integrazione l’Italia appare un Paese all’avanguardia: i minori nell’età dell’obbligo si devono infatti iscrivere in qualsiasi momento dell’anno, indipendentemente dalla condizione giuridica, ed entrano subito in classe (non esistono, come in altri Paesi, gruppi separati). Per gli alunni neoarrivati si segue un protocollo di accoglienza dove l’alfabetizzazione è prioritaria e vengono offerti piani didattici personalizzati. L’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale del MIUR, a marzo 2022, ha prodotto gli Orientamenti interculturali, l’ultimo documento su accoglienza e integrazione degli alunni con background migratorio, dove si parla di peer education, contenuti interculturali nei programmi delle varie materie, valorizzazione del plurilinguismo e delle culture di origine. Nonostante le molte esperienze educative di intercultura, però, il tarlo del modello italiano è la mancanza di sistematicità. Le scuole partecipano a bandi annuali (come quelli per le aree a forte processo migratorio o per il contrasto alla povertà educativa) per finanziare i corsi di italiano per stranieri (L2), in orario scolastico o pomeridiano, e i progetti interculturali (iniziative destinate ovviamente non solo ad alunni Nai). Ma la gestione varia molto secondo i casi, con personale spesso carente e ore insufficienti.[24]

4. L’emergenza Ucraina

A differenza dei rifugiati che provengono da paesi devastati da guerre decennali, che hanno messo in ginocchio l’economia, minato il tessuto sociale, la maggior parte dei bambini ucraini viene da una pace duratura, dalle case, linde con i piccoli giardini, da scuole e parchi giochi frequentati, anche se innevati, fino al 23 febbraio 2022. Altri vengono dalle zone di confine con la Russia (Dombass) o dalla Crimea, dalle case forse meno linde e magari senza giardini, altri ancora appartengono a quei 100.000 che, secondo i dati ufficiali,[25] vivevano nelle strutture ucraine fra orfanotrofi e case-famiglia. Parliamo di orfani, ma anche di bambini allontanati dai genitori incapaci di garantire loro la vita che ogni bambino merita. Si stima altresì che circa il 40% di questi bambini sia affetto da disabilità lievi e non. Dall’inizio del conflitto è stato necessario evacuare tali strutture e dei bambini si sono perse le tracce.

Già nell’audizione alla Camera dei Deputati, il 13 aprile scorso, il Ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, aveva dichiarato che i bambini ucraini, minori stranieri non accompagnati, sarebbero stati immediatamente affidati a famiglie del circuito solidaristico. Aveva parimenti anticipato che, per far fronte all’emergenza, sarebbe stato potenziato il finanziamento ai Comuni per la copertura degli oneri finanziari legati alle necessità alloggiative ed assistenziali per i MSNA. Per lo stesso motivo, cioè per la tutela dei MSNA, sarebbe stato previsto che il Capo Dipartimento per l’Immigrazione, Prefetto Francesca Ferrandino, avrebbe assunto l’incarico di commissario delegato per l’emergenza, per la predisposizione di un Piano per il coordinamento delle attività dei vari soggetti coinvolti, per il monitoraggio relativo e per il conseguente inserimento dei minori nel sistema informativo del lavoro. Il piano avrebbe previsto anche un Addendum per esplicare le modalità di interrelazione con UNHCR, UNICEF e SAVE THE CHILDREN che hanno competenza per i rifugiati minori e per stabilire le procedure idonee ad ottimizzare i flussi comunicativi per assicurare l’accoglienza e le tutele occorrenti, nel superiore interesse del minore, in caso di trasferimenti di minori stranieri non accompagnati ucraini nel nostro Paese. Il Piano [26], così redatto, è stato aggiornato ad aprile del corrente anno, con ulteriori riferimenti normativi che compongono il quadro di tutela dei minori, con particolare riguardo alle Convenzioni internazionali sulla cooperazione in materia di responsabilità genitoriale, alle norme nazionali sull’affido familiare e al DPCM sulla protezione temporanea[27]. Sono state specificate con maggiore dettaglio le modalità di implementazione del Sistema informativo minori, al fine di agevolare il censimento realizzato attraverso quel sistema. Al 25 maggio u.s., secondo idati[28] illustrati dal Prefetto Francesca Ferrandino, Capo Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, nella spiegata qualità,degli oltre 40mila minori arrivati dall’Ucraina, 4660 sono minori non accompagnati e sono registrati nella banca dati del Ministero del Lavoro. Di questi ultimi, oltre 3mila sono affidati alle famiglie e oltre 840 sono ospitati in istituti. Dal punto di vista economico, intanto, è anche stato previsto di istituire un fondo per l’accoglienza e l’assistenza dei minori ucraini non accompagnati, con dotazione iniziale di 36,5 milioni di euro per il 2020. In particolare, per i bambini ucraini è stato previsto che i provvedimenti dell’Autorità Giudiziari Minorile dovranno prediligere soluzioni che siano rispettose della sensibilità del minore. I bambini ucraini infatti sono entrati in Italia prevalentemente insieme a persone che, secondo la legge vigente in Italia, sono adulti non legalmente responsabili per i minori né riconosciuti dotati di potere di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano (Art. 2, legge n. 47/2017), per esempio, accompagnato da una zia, da una nonna o dal direttore dell’istituto ove era accolto nel paese d’origine. E questi, secondo l’ordinamento giuridico italiano, non sono né genitori, né possono essere considerati esercenti potestà genitoriale o tutoriale o averne responsabilità legale. Di tal che è stato espressamente previsto che si debba preferire per loro disporne l’affidamento alle stesse persone, o mantenendo la vicinanza con gruppi di altri bambini ucraini, prima che a famiglie del circuito solidaristico o a comunità di accoglienza. Palpabile il sentore dell’emergenza.

Quest’ultima ha rappresentato e rappresenta un banco di prova anche per la tenuta del sistema scolastico italiano, dove la multiculturalità è la norma, ma c’è ancora molto da fare per costruire efficaci politiche di integrazione. Dei 40.000 circa arrivati in Italia, circa 20.000 minori ucraini in fuga dalla guerra hanno già preso posto sui banchi delle scuole italiane: da quelle dell’infanzia alle superiori. Ma non può negarsi che l’emergenza Ucraina va a inserirsi in un contesto, quello del sistema scolastico italiano, che ha già molte fragilità rispetto all’accoglienza di minori stranieri.

Sulla carta il nostro Paese ha tutti gli strumenti per accogliere i bambini e i ragazzi di origine straniera. Ma l’inclusione sui banchi di scuola viene ancora spesso affidata a soggetti esterni, cooperative e volontari, senza programmazione, mediatori culturali e insegnanti L2, pur formati.

Le scuole dovranno prepararsi a gestire flussi continui e non prevedibili, a trovare le risorse e le competenze necessarie per accogliere bambini e ragazzi che, nella stragrande maggioranza dei casi, non parlano italiano e vivono una condizione di potenziale vulnerabilità psicologica. Il ministero dell’Istruzione con la nota del 4 marzo 2022 u.s., nel tracciare le prime indicazioni per l’accoglienza, ha previsto un supporto psicologico di cui le Scuole dovranno dotarsi impiegando i fondi destinati dall’art. 1, 697 co.,L.234/2021 e ha stanziato un fondo extra di un milione di euro per mediatori culturali e corsi di alfabetizzazione. Ogni istituto registra gli arrivi nel Sistema informativo dell’istruzione e riceve 200 euro per alunno. Per gli insegnanti, il ministero ha creato una sezione dedicata del suo sito web con materiali didattici e informazioni sul sistema scolastico ucraino.

Secondo i dati MI, ulteriormente aggiornati, contenuti nella nota Prot.n. 781 del 14.04.2022[29], all’attualità i profughi ucraini sono 91.000 circa di cui 33.796 minori e 17.657 già accolti nelle scuole, 3728 Infanzia, 8196 Primaria, 4.203 secondaria I grado, 1530 secondaria di II grado. Il 45% di loro è in Lombardia (22%), Emilia-Romagna (12%) Campania (11%). Come detto, vanno iscritti in base all’età anagrafica, indipendente della regolarità della posizione di rifugiato, di diritto di soggiorno, etc. E’ stato anche previsto espressamente che, ai fini della validità dell’a.s., la frequenza di almeno ¾ del monte ore personalizzato secondo la legge italiana per la scuola secondaria (D.Lgs. 62/2017) decorra dalla data di iscrizione in Italia, sul presupposto che fino allo scoppio della guerra i bambini e ragazzi fossero a frequentare regolarmente le scuole in Ucraina;

Secondo l’Ordinanza MI 7 giugno 2022 sulla valutazione finale degli apprendimenti degli studenti ucraini accolti nelle classi, valida per tutti gli alunni e studenti ucraini iscritti nelle scuole italiane del primo e del secondo ciclo a partire dal 24 febbraio scorso, a seguito del conflitto in Ucraina, si prevedono criteri diversi per la valutazione nelle classi del primo e del secondo ciclo, tenendo conto dell’eventuale Piano didattico personalizzato (PDP), predisposto ai sensi della Dir.Min. 27/12/2012 e del bisogno educativo speciale in L2, considerando l’impatto psicologico e il livello delle competenze linguistico-comunicative in lingua italiana, nonché la complessità del processo di apprendimento maturato nel contesto della guerra e della conseguente emergenza umanitaria. Fra le numerose deroghe alle LL.GG. del 2014, è previsto per esempio che per le studentesse e gli studenti ucraini che, secondo il consiglio di classe, non siano in grado di sostenere gli Esami conclusivi del primo e del secondo ciclo in considerazione del livello delle abilità linguistiche ricettive e produttive scritte e orali nella lingua italiana, o per il mancato raggiungimento delle competenze disciplinari previste dalle Indicazioni nazionali e dalle Linee guida, può essere deliberato l’esonero dallo svolgimento degli Esami di Stato. A questi alunni e studenti, in sede di scrutinio finale, il consiglio di classe rilascia un attestato di credito formativo che, per gli alunni della terza classe di scuola secondaria di primo grado, diventa titolo per l’iscrizione alla scuola secondaria di secondo grado.

5. Conclusioni: ancora sulla esigenza di un allargamento epistemologico della pedagogia speciale.

Come detto, è palpabile il sentore dell’emergenza. Il Ministro dell’Istruzione recentemente[30]  ha ritenuto di affrontare i temi della emergenza ucraina in maniera più ragionata, con alcuni spunti di riflessione didattica e pedagogica. “Chi scappa dai bombardamenti non ha tempo e condizioni per portare con sé nulla…” , nessun giocattolo, nessun libro, è piuttosto costretto a lasciare lì qualcosa, il papà, il fratello maggiore, i luoghi delle attività abituali, la casa, la scuola, il mercato…l’afflusso di profughi ucraini è caratterizzato da tre elementi principali “drammaticità della situazione a fondamento della fuga, repentinità, alcuni milioni di profughi in venti giorni, temporaneità dell’esodo, almeno in termini di speranza personale diffusa”…” tre le diverse scansioni temporali: prima fase dell’accoglienza  fino alla conclusione del corrente a.s., seconda fase del consolidamento e rafforzamento anche con la collaborazione degli EE.LL. mediante Patti di comunità nel periodo estivo, terza fase di integrazione scolastica a partire dall’a.s. 2022-2023, con modalità differenziate a seconda dei contesti”. La pedagogia dell’emergenza deve essere in grado di offrire risposte flessibili ma tempestive, deve indicare modi alle scuole perchè siano in grado di garantire ai bambini supporto alla resilienza, all’attraversamento del dolore e della perdita, all’efficace contrasto allo shock culturale e linguistico iniziale e pregiudiziale; le scuole sono chiamate ad applicare la regola della ponderazione nell’assumere decisioni che tengano conto del rapporto causa-effetto, costo-beneficio. Come già anticipato, nella circolare MI in nota sub 27, è previsto il PDP ai sensi della Dir.Min. 27 dicembre 2012, in tema di bisogni educativi speciali per studenti neoarrivati in Italia da paesi di lingua non latina (acquisizione della Lingua italiana come seconda lingua L2) che ulteriormente conferma la necessità improrogabile di un allargamento epistemologico della pedagogia speciale e dell’ingresso a grandi passi della mediazione linguistica e culturale nelle scuole.

In conclusione, fino a che l’emergenza percorre i binari della sussidiarietà verticale, come espressa all’art. 114, 1 co. della Costituzione Italiana, concretizzata con il potenziamento del ruolo dei Comuni, nonché della  sussidiarietà orizzontale, ai sensi dell’art. 118, 4 co. della Costituzione italiana, concretantesi nel  poliedrico ruolo delle Famiglie, delle Parrocchie, della società civile tutta, parti del cd. circuito solidaristico, resta alto lo standard di protezione e ciò non può che fare onore al Paese Italia che accoglie.


[1] Patrizia Gaspari “Una cornice epistemologica per i Bisogni Educativi Speciali” in L’integrazione scolastica e sociale, Vol.12 n.4 novembre 2013, p.345 

[2] Vegetti Finzi-Battistin «L’età incerta. I nuovi adolescenti» ed.Mondadori 2001

[3] AA.VV (a cura di ) “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove prospettive per l’inclusione” Trento, Erikson, 2009

[4] CEDU Sez.I, Application n.5797/17, emessa in data 21 luglio 2022

[5] (Convenzione Europea sui Diritti Umani, ratificata in Italia con L.848/1955)

[6] Convenzione sui diritti del fanciullo, approvata a New York il 20 novembre 1989, con risoluzione 44/25 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ed entrata in vigore il 2 settembre del 1990, ratificata in Italia con legge del 5 settembre 1991

[7] M.Bessone, Artt.30-31, in Commentario della Costituzione, G.Branca (a cura di), Bologna-Roma 1976, p.86ss.

[8] A. Cassese, Art. 10, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma 1976

[9] «Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati», pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 7 aprile 2017, n.47, entrata in vigore il 6 maggio 2017

[10] “Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale”

[11] ALIVERTI A., Breve riflessione antropologica, in ROTONDO A. (a cura di), Minori stranieri non accompagnati, Milano 2016 cit., pag.22-23

[12] DECRETO LEGISLATIVO 18 agosto 2015, n. 142 in Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonche’ della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, art. 19, 7 quater co..

[13] Protocollo per la identificazione e per l’accertamento olistico dell’età dei minori non accompagnati” , approvato dalla Conferenza delle Regioni nel 2016, dal parere del Consiglio Superiore di Sanità del 2009

[14] (Benso, Milani, 2013).

[15] Trattato internazionale redatto dal Consiglio d’Europa, firmata a Roma il 4 novembre 1950 ed è entrata in vigore il 3 settembre 1953

[16] (Regolamento CE n. 343/2003).

[17] Fabio Amendolara, Panorama del 6 aprile 2022, p.49),

[18] (art. 38 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286)

[19] Nota Ministero Istruzione 4 marzo 2022 Prot. n. 381

[20] BIONDI DAL MONTE F., Dai diritti sociali alla cittadinanza. La condizione giuridica dello straniero tra ordinamento italiano e prospettive sovranazionali, Torino 2013, pag190-191.

[21] Sul punto ASGI, I minori stranieri extracomunitari e il diritto di istruzione dopo l’entrata in vigore della legge n.94/2009, (28 settembre 2009), in www.asgi.it.

[22] C.MIUR 19 febbraio 2014 n. 4233.

[23] Fondazione Openpolis, 14 giugno 2022/Povertà educativa

[24] Marzia Minore “La Scuola italiana e l’accoglienza dei bambini ucraini: un sistema fragile messo alla prova” in Riv. “Altreconomia” 21 aprile 2022

[25] Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, Panorama 6 aprile 2022, p.50)

[26] https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2022-04/piano_minori_stranieri_non_accompagnati_13042022_pec.pdf

[27] DPCM pubblicato in G.U. n. 89 del 15 aprile 2022

[28]https://www.interno.gov.it/it/notizie/minori-non-accompagnati-sono-4660-i-bambini-ucraini-giunti-italia#:~:text=Degli%20oltre%2040mila%20minori%20arrivati,840%20sono%20ospitati%20in%20istituti.

[29] Prot.n. 781 del 14.04.2022

[30] nota MI Prot. 576/2022 del 24 marzo 2022