La comunità salesiana ed il suo quartiere: la storia del “Redentore” attraverso il suo archivio
di Carlo De Nitti
Gli archivi, pubblici e privati, sono quei luoghi “fisici in cui si depositano le storie delle istituzioni, degli enti, delle comunità, delle singole persone nel corso degli anni, dei decenni, dei secoli. Essi non sono – né devono essere – fini a se stessi, autoreferenziali, anzi, i documenti hanno un ruolo fondamentale nella ricerca storica e nella pratica didattica nelle scuole di ogni ordine e grado: non a caso, giova rammemorarlo, il sostantivo documento deriva dal verbo latino, doceo, io insegno. Come sarebbe più interessante la didattica della storia se si partisse dai documenti e non già dalla narrazione manualistica!
Negli archivi pubblici e privati sono nascosti dei “tesori” che meritano di essere portati alla luce e messi a disposizione delle comunità più ampie di cittadini, rendendole in tal modo fruitrici progressivamente consapevoli della ricchezza che in essa stessa si è sedimentata nel corso del tempo: è certamente tale azione meritoria per chiunque la ponga in essere in senso nobilmente politico, ovvero in quanto attiene alla polis, alla communitas.
Altresì, una siffatta opera non può non avere un indispensabile substrato tecnico-professionale nell’appassionato e diuturno lavoro di esperti archivisti.
È proprio in questa ottica propositiva di servizio nei confronti della comunità del quartiere cittadino in cui opera da oltre un secolo che si è mossa la Comunità salesiana di Bari nella promozione dell’opera di riordino e di valorizzazione del proprio archivio storico, partecipando ad un bando del Comune di Bari, vincendo il quale, è stato possibile conseguire l’obiettivo della fruibilità dell’archivio stesso (si vedano la Prefazione alle pp. 7-9).
Tale impresa culturale ha messo capo anche al recente volume di ANNABELLA DE ROBERTIS e CLEMENTINA FUSARO, Il “Redentore” Storia e archivi di una comunità, pubblicato per i tipi della casa editrice Dal Sud di Bari, che è arricchito dalla Prefazione di don Francesco Preite, Presidente di “Salesiani per il sociale aps”, già Direttore dell’istituto salesiano Redentore di Bari e da un saggio introduttivo di Vito Antonio Leuzzi, Presidente dell’Istituto Pugliese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea “Tommaso Fiore” di Bari.
La città di Bari tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo era sicuramente una realtà urbana in grande fermento economico e culturale, sospinta da una borghesia imprenditoriale che in quegli stessi anni di un nuovo meraviglioso Politeama e la rendeva nuova casa editrice – la Giuseppe Laterza e figli – avrebbe fatto la storia della cultura italiana europea.
E’ in questo milieu storico – politico che il Canonico Beniamino Bux (1835 – 1917), primo vicario curato capitolare nella neoedificata chiesa di San Ferdinando, propose, nel 1898, al Comune con il consenso dell’allora arcivescovo di Bari, Mons. Giulio Vaccaro (1898 – 1924), la costruzione di un orfanotrofio. Scrive nel suo saggio introduttivo lo storico Vito Antonio Leuzzi:《 L’avvio della costruzione dell’Orfanotrofio dei Salesiani all’inizio del Novecento rappresentò il risultato di una forte esigenza di radicamento della presenza religiosa dai centri popolari della città, un contesto caratterizzato da ampi processi di modernizzazione delle strutture sociali e produttive 》(p. 12).
Annabella De Robertis e Clementina Fusaro – esperte archiviste a cui si deve la preziosa opera di riordino, conservazione e tutela, finalizzati alla valorizzazione dell’archivio del “Redentore”, ricostruiscono, attraverso “le carte”, la storia di quella che è stata, ed è, una città nella città – nel corso degli ultimi centoventi anni circa a partire dal 1905: 《[ ] il lavoro di recupero e di valorizzazione del patrimonio documentale dell’Istituto Salesiano di Bari ha mirato non solo a preservare la sua storia ultracentenaria ma anche a far emergere la sua stretta connessione con il tessuto socio-culturale dell’intera città. L’inventario che è stato prodotto costituisce quindi uno strumento fondamentale non solo per un’agevole consultazione ma anche per una valorizzazione del patrimonio documentale mediante iniziative culturali ad ampio spettro>> (p. 66).
Quell’orfanotrofio è stato il punto di abbrivo della storia di una comunità religiosa, quella salesiana, e quella umana e civica che si è venuta costruendo intorno (e grazie) ad essa nel rione che dalla Chiesa “Redentore” ha preso nome, nell’ambito del quartiere che, quando si insediarono i Salesiani, si chiamava “Terzo quartiere”, poi si sarebbe chiamato “Littorio” in epoca fascista ed infine, “Libertà”. Dall’arrivo dei Salesiani Bari (1905), alla nascita delle scuole elementari e ginnasio; dall’utilizzo degli spazi durante la Grande Guerra quale ospedale militare alla nascita delle scuole professionali; dall’inaugurazione della chiesa (1935) all’elevazione a parrocchia (1941); dal dramma dell’attacco al porto ed alla città il 2 dicembre 1943 alla ricostruzione postbellica ed agli sviluppi degli ultimi decenni: attraverso tutto il ‘900 e nel XXI secolo il Redentore è stato parte integrante della città ed, in un certo senso, uno dei suo cuori pulsanti di essa in tutte le direzioni della vita sociale e culturale, sempre dalla parte dei più “deboli”, lasciati a margini dalla verghiana “fiumana del progresso”, intrecciando sempre l’opera educativa con l’istruzione e la formazione professionale, seguendo il solco tracciato da San Giovanni Bosco (si vedano le pp. 33 – 47).
Anche chi scrive, che, a partire dall’inizio degli anni ’60 del Novecento, ha vissuto in altre zone della città (ora divenuta metropolitana) ha sempre sentito e vissuto l’eco delle attività del Redentore e della comunità salesiana. Ne sovvengono alla mente alcuni.
Come non rammemorare che, presso l’oratorio del “Redentore”, hanno mosso i primi passi nel mondo del calcio due grandi giocatori che da Bari hanno spiccato il volo per le loro importanti carriere da professionisti: Biagio Catalano (1938 – 2015) ed Antonio Lopez (1952), universalmente noto con il diminutivo di “Totò”?
Come non rammemorare un grande progetto contro la dispersione scolastica che vide partner il Dipartimento di Pedagogia dell’Università degli studi di Bari (allora diretto dal prof. Cosimo Laneve), il Centro Nazionale Opera Salesiana – Formazione Addestramento Professionale, l’Ufficio Scolastico Provinciale (all’epoca diretto dal compianto dott. Giovanni Lacoppola) ed alcune scuole del Comune di Bari, tra cui la Scuola Secondaria di primo grado che chi scrive, all’epoca, aveva l’onore di dirigere? Il lavoro che ne risultò vide la luce in forma di volume intitolato Ci sono dei posti vuoti in classe, edito dal Centro Pedagogico Meridionale
Come non rammemorare la preziosa ospitalità offerta dal Redentore per i concerti natalizi degli alunni della Scuola Secondaria di primo grado “Giovanni Pascoli” di Bari negli anni dal 2007 al 2011 nel teatro San Giuseppe?
Come non rammemorare, negli anni seguenti, gli esami dei corsi di formazione professionale in cui chi scrive ha avuto l’onore ed il piacere di svolgere il ruolo di presidente, trovando sempre giovani corsisti (ambosessi) motivati e competenti nel settore in cui si stavano conseguendo la qualifica, vero passaporto per il mondo del lavoro?
Come non rammemorare, infine, la figura di un grande Salesiano come don Gino Corallo (1910 – 2003), siciliano di nascita, ma pugliese di adozione, vissuto nella comunità del “Redentore” fondatore dell’Istituto di Pedagogia dell’Università degli studi di Bari (insieme a Gaetano Santomauro), uno dei primi a far conoscere in Italia il pensiero di John Dewey, nel secondo dopoguerra, dopo aver visitato e studiato le scuole americane?
Anche la presenza ed il ruolo di don Gino, indimenticato pedagogista, erano un modo – alto e profetico – di essere al servizio della Comunità del Quartiere, cittadina e non soltanto.
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