La “pedagogia in situazione” oggi: Gaetano Santomauro

La “pedagogia in situazione” oggi: Gaetano Santomauro vivant [1]

di Carlo De Nitti [2]

1. PREMESSA

In occasione del centenario della nascita, è sicuramente utile ripensare, all’itinerario teoretico attraverso il quale si è sviluppata la riflessione pedagogica di Gaetano Santomauro (Minervino Murge, BA, 1923 – Bari, 1976) non ha la sua ragione di essere soltanto nella volontà storiografica di scrivere su di uno dei più illustri pedagogisti meridionali del ‘900, ma soprattutto nella rilettura criticamente sostenuta delle tematiche da lui affrontate ancora particolarmente attuali nella temperie culturale che, come persone di scuola, viviamo oggi, nel terzo decennio del XXI secolo[3].

E’ questo l’interesse squisitamente teoretico che muove chi scrive nell’avvicinarsi ad una possibile rilettura di alcune argomentazioni del grande pedagogista[4] pugliese.

2. LA “PEDAGOGIA IN SITUAZIONE”

Rimeditare sul pensiero di Gaetano Santomauro, mediante la costruzione di un itinerario di ricerca all’interno di alcune tra le sue opere[5], significa accostarsi al pensiero di un Maestro della pedagogia italiana di ispirazione meridionalista e personalista: di un personalismo peculiare che “non è dogmatico ma neanche tendenzialmente scettico o relativista. E’ un personalismo realistico, che ha nella persona la misura delle cose e che nella persona ritrova il giusto equilibrio tra l’ansia del trascendente ed il qui ed ora [6].

Chi scrive pensa che esista un modello ‘protagoreo’ della pedagogia, al pari di quello della filosofia[7], come magistralmente teorizzato da Giuseppe Semerari. Tale modello è, di certo, invenibile in quel personalismo realistico che trova nella persona il giusto equilibrio tra l’ ‘hic et nunc’ e l’ansia del trascendente: esso legittima e sostiene la ‘pedagogia in situazione’ che è ermeneutica allorché sollecita a trovare i principi categoriali con i quali ‘comprendere’ le situazioni.

Il qui ed ora, per Santomauro, erano fondamentalmente la scuola e la società meridionali della seconda metà del XX secolo ed il ruolo che la prima aveva il dovere di svolgere per il riscatto culturale, sociale, civile e, conseguentemente, economico della seconda. Il suo impegno sociale in favore del Mezzogiorno fu costante ed accompagnò la sua riflessione teoretica e la sua azione pedagogica a tutto tondo: non a caso, fu vicino ad un altro grande pedagogista pugliese, Giovanni Modugno (Bitonto, 1880 – Bari, 1957)[8], ed intrattenne rapporti, anche epistolari con uno dei più grandi Statisti, meridionale e meridionalista anch’egli, che l’Italia nei suoi centocinquanta anni di vita unitaria abbia mai avuto, Aldo Moro[9].

Il lascito migliore della riflessione pedagogica di Gaetano Santomauro, la cui prematura scomparsa ne ha tragicamente impedito ulteriori e fecondi sviluppi – un’eredità che lo fa essere nostro contemporaneo di persone di scuola del Terzo Millennio – è, “la sua fiducia inconcussa nell’educazione e nel suo ruolo positivo e propulsivo nella società, la sua speranza nell’educazione non in maniera fideistica né in forma ingenuamente ottimistica, ma in forma consapevole, responsabile, lucidamente ancorata al tempo storico e alla condizione umana”[10] .

Particolarmente interessante ed euristica è, a distanza di cinquantacinque anni dalla sua prima pubblicazione, in quest’ottica, la rilettura dell’opera principale della pur vasta produzione scientifica di Santomauro, Per una pedagogia in situazione[11], purché la si affronti utilizzandola come chiave di lettura critica e propositiva delle problematiche pedagogiche del XXI secolo.

La pedagogia in situazione non è una pedagogia relativistica (se non addirittura nichilistica) che si smarrisce nella realtà o la ratifica sic et simpliciter, ma è una pedagogia ermeneutica, in quanto – spiega ancora Pagano – assume il carattere, da un lato, ‘noetico’ perché sollecita la ricerca pedagogica a trovare i principi categoriali con i quali ‘leggere’, ‘spiegare’, ‘comprendere’ le cose, i fatti, le situazioni, e, dall’altro lato, storico-dialettico, perché spinge il pedagogista ad uscire dalle assolutizzazioni e a cercare mediazioni, a cogliere le reali possibilità di un processo educativo. E‟ una pedagogia forte nei suoi principi, ma pronta a mettersi in discussione quando avverte i limiti ed i rischi di una deriva integralista e fondamentalista. E‟ una pedagogia che vuole operare nel mondo e con esso continuamente rinnovarsi”[12].

La ‘pedagogia in situazione’ è, a parere di chi scrive, la scommessa pedagogica che vive ogni giorno chi voglia operare con consapevolezza ed efficacia nella scuola del XXI secolo per formare persone, uomini e donne, competenti nell’umano, educando alla responsabilità, alla cittadinanza attiva, alla solidarietà, alla differenza, ma soprattutto al rispetto di tutt* e di ciascun*.

E’ la scommessa pedagogica che si trova a vivere ogni giorno chi voglia operare nella scuola del XXI secolo: formare persone, uomini e donne, competenti nell’umano significa educare “alla responsabilità, alla partecipazione, alla solidarietà, alla tolleranza, al rispetto della tradizione, all’inclusione contro l’esclusione, al dialogo, alla prossimità, al realismo, alla comprensione del sé storico”[13], in una parola, ai valori.

A parere di chi scrive, l’effettiva competenza nell’umano è, e deve essere, sostanziata di un’originaria responsabilità / libertà per … che contraddistingue la persona: “noi non siamo responsabili perché siamo socialmente impegnati, ma ci impegniamo socialmente perché siamo originariamente responsabili[14]

Negli anni ‘60/’70 del secolo scorso, per Santomauro, praticare una pedagogia in situazione significava difendere le peculiarità valoriali della civiltà contadina, segnatamente pugliese e meridionale, dall’industrializzazione e dall’urbanizzazione spersonalizzante ed alienante. Non è difficile invenire nell’impegno mai disgiunto di ricerca teoretica e attività sociale da parte di Gaetano Santomauro, – consegnato a volumi come Civiltà ed educazione nel mondo contadino meridionale[15], Il senso di una pedagogia impegnata[16] e Problemi educativi e programmazione nel Mezzogiorno[17] ed alle azioni per la scuola pugliese e meridionale nei decenni di transizione dalla società contadina a quella agro-industriale ed industriale come Consulente tecnico dell’Ente Riforma e come membro della delegazione italiana presso l’UNESCO[18] – i fondamenti teoretici e sociali per un impegno odierno di donne ed uomini di scuola contro la spersonalizzazione di una società postindustriale, globalizzata, che tende ad omologare idee, comportamenti, usi, costumi, linguaggi, impoverendo o, addirittura, svellendo le tradizioni e modificando gli stili di vita degli uomini, delle donne e dei bambini nella prospettiva sempre ‘allettante’ dell’incremento dei consumi finalizzato alla produzione ed ad un profitto spesso fuori controllo.

3. LA “PEDAGOGIA IN SITUAZIONE” OGGI

A parere di chi scrive, praticare oggi una pedagogia in situazione significa riconoscere nelle azioni concrete la dignità di ogni persona umana e determinare la necessità di elaborare e di definire itinerari operativi di “educazione compensativa”, ossia di recupero delle situazioni di emarginazione e di insuccesso negli istituti scolastici di ogni ordine e grado. Tale riconoscimento è la cifra caratterizzante la cultura occidentale dal mondo greco fino al nostro tempo. La dignità dell’uomo definisce il suo essere persona ed il fine dell’educazione di cui è protagonista: in particolare, per la scuola, non è possibile leggere, conoscere ed educare le varie condizioni umane se non nell’ottica dell’accoglienza e della promozione di ogni persona, di tutti e di ciascuno, soprattutto di quelle contrassegnate dall’emarginazione e dell’insuccesso, che non sono soltanto scolastici, ma anche e soprattutto sociali e civili, anche, se non soprattutto, per una serie di ragioni sociali, storiche, economiche e politiche, che non è, in questa sede, dato di indagare ed approfondire, nel Mezzogiorno d’Italia.

In questo senso, operare quotidianamente nella scuola sta a significare porre in essere ogni giorno la pedagogia impegnata in situazione, che non è né può diventare pedagogia della situazione.

La scoperta della dimensione compensativa dell’educazione nella scuola è abbastanza recente: ha riguardato e riguarda tutti i “diversi”: gli svantaggiati, i diversamente abili, gli stranieri ma anche i plusdotati. Ogni persona, in quanto tale, è unica ed irripetibile ed, in questo senso, diversa: la categoria della diversità – e non della semplice differenza – consente alla scuola come comunità educante di valorizzarne ogni esperienza di vita, in un processo di reciproco arricchimento spirituale, foriero dell’estensione dei diritti di cittadinanza, delle opportunità formative e della valorizzazione delle intelligenze multiple, per dirla con l’espressione, ormai divenuta celeberrima, di Howard Gardner.

Ogni diversità arricchisce di esperienze e di valori la classe in cui sono inseriti alunni ‘diversi’ e la comunità scolastica tutta in un rapporto che non può che essere dialogico e di interazione: non è per caso che, in un suo testo di tanti anni fa, Marisa Pavone paragonava il rapporto tra alunni ‘diversi’ e totalità dei discenti a quello, celeberrimo, della colomba con l’aria, di cui parla Immanuel Kant nella Kritik der Reinen Vernunft. L’aria/classe comune, che pure oppone resistenza alle ali che la fendono, è indispensabile: senza di essa, nel vuoto, la colomba/allievo ‘diverso’ non potrebbe volare[19].

La personalizzazione del processo di insegnamento/ apprendimento, attraverso la valorizzazione delle attitudini e delle vocazioni della persona alunno, costituisce la filosofia ispiratrice del processo riformatore in atto: favorire la crescita della persona umana nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno, delle scelte educative delle famiglie nel quadro della cooperazione tra scuole e genitori.

Tutti i documenti programmatici implementano, tanto come orizzonte valoriale quanto come concreta prassi di insegnamento, la filosofia della persona, come elaborata nel corso del ‘900[20].

4. LA PERSONALIZZAZIONE

Personalizzare l’insegnamento significa ‘curvarlo’ sulle necessità, sui bisogni e sulle esigenze di apprendimento di ogni singolo allievo; significa, quindi, non progettare curricoli validi erga omnes ma costruire Piani di studio personalizzati, declinati sulle potenzialità effettive degli alunni in carne ed ossa, affidati alle ‘cure’ della singola équipe docente, in sinergia con le famiglie per rendere possibile il successo formativo di tutti e di ciascuno, per ridurre/rimuovere gli insuccessi e per promuovere le eccellenze. Il ruolo della famiglia e delle sue scelte educative sono fondamentali per indirizzare le strategie delle scuole nella lettura del proprio contesto e nell’organizzazione di servizi per la migliore fruizione degli spazi di insegnamento, pensati nella previsione di tempi eterocroni di apprendimento.

Soltanto attraverso la personalizzazione dell’insegnamento è possibile per i discenti e per le loro famiglie essere protagonisti diretti della vita e del governo dell’istituzione scolastica e non esserne coinvolti soltanto come destinatari di offerte formative pensate in luoghi e da persone altre, secondo la filosofia della sussidiarietà orizzontale e verticale. In quest’ottica, la risposta ai bisogni dei cittadini, i genitori ed i discenti delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, deve essere fornita dalle istituzioni e/o da enti ed associazioni a loro più vicine, al fine di avere tanto una maggiore efficacia quanto una migliore efficienza nell’erogazione e nella fruizione del servizio, evitando sprechi di risorse di ogni sorta: anche in ciò Santomauro aveva antevisto il rischio di un utilizzo del pubblico denaro in modo non sempre congruente con gli obiettivi prefissati.

Al fine di personalizzare gli apprendimenti, nelle scuole del primo ciclo di istruzione è possibile creare le condizioni affinché si sviluppino forme di sperimentazione di nuovi approcci al sapere, fondate sull’imparare facendo (learning by doing)[21], mediante l’attivazione di laboratori di varia tipologia (per gruppi di alunni della stessa classe, di classi diverse, parallele o in verticale). Essi consentono di superare il vecchio schema didattico lezione/verifica/lezione fondato sulla comunicazione logocentrica, per attingere in modo nuovo e ad una pratica della metodologia educativa fondata sul lavoro (l’etimo latino di laboratorium richiama il verbo laborare) e sull’esperienza, che stimolano negli alunni/e la socializzazione e la relazionalità, le caratteristiche tipiche più proprie dell’essere persona che si colloca nel mondo, esperendolo e favorendo la valorizzazione di tutti i talenti.

5. LA “SCUOLA ATTIVA” OGGI: GAETANO SANTOMAURO VIVANT

I laboratori, e la didattica incentrata su di essi, non sono soltanto uno spazio didattico diverso dall’aula tradizionale, ma una modalità di apprendimento fondata su dimensioni altre dell’insegnare, consente di conseguire in modo efficace tanto gli obiettivi formativi quanto gli obiettivi specifici di apprendimento, afferenti il sapere (conoscenze), il saper fare (abilità) il saper essere (comportamenti e competenze) poiché essa promuove linguaggi plurimi e non soltanto quelli “dal collo in su”, quelli dimidiati, per dirla con Papa Francesco, poiché non coniugano la mente con il cuore e con le mani[22].

Questa opzione teoretica per la laboratorialità a trecentosessanta gradi colloca la prospettiva delle scuole, soprattutto del primo ciclo di cui massimamente si è occupato, già nel 1954, Gaetano Santomauro[23] – a parere di chi scrive – sulla medesima linea pedagogica e metodologica che, all’inizio del Novecento, era proposta in modo dirompente, in ben altro contesto culturale, dall’attivismo pedagogico: da John Dewey, alle sorelle Agazzi, da Maria Montessori ad Edouard Claparède, da Céléstin Freinet a Ovide Decroly (a cui Gaetano Santomauro, peraltro, dedicò una specifica monografia[24]) nella direzione dell’ampliamento dell’offerta formativa e delle opportunità di apprendimento per i bambini, i ragazzi, i giovani ma anche gli adulti di tutte le età interessati a crescere, a migliorare se stessi ed a riqualificarsi in un mondo del lavoro in continua trasformazione.

La personalizzazione e la opzione teoretica verso il learning by doing, l’imparare facendo, devono avere il ruolo di stimolare tutta la società a riconoscere le finalità sociali ed i valori che persegue la scuola: è questa una tra le tante lezioni che la “voce” di Gaetano Santomauro può impartire a noi donne e uomini di scuola del XXI secolo. A chi scrive piace concludere queste righe con le sue parole sul ruolo della scuola, valido ora come allora (quasi sessant’anni fa): “Saldamente ancorata ai principi ed al metodo della democrazia sostanziale, che trova il proprio cardine nel pieno riconoscimento del valore, della dignità, della libertà dei diritti dell’uomo, la scuola, da noi auspicata, dovrebbe rappresentare, nel contesto delle istituzioni e della dinamica socioculturale, una ‘forza’ di pressione, tendente ad ottenere un più ampio riconoscimento sociale delle finalità e dei valori che essa persegue ed una loro più attuosa e viva presenza nel tessuto connettivo delle singole istituzioni sociali, affinché queste, progredendo, riflettano sempre più autenticamente la loro essenziale misura umana”[25].

BIBLIOGRAFIA

  • “Quaderni del Dipartimento di Scienze Pedagogiche e Didattiche” dell’Università degli studi di Bari, VII, gennaio – luglio 2002, 3, numero monotematico “Gaetano Santomauro e l’impegno pedagogico in situazione”;
  • CAPORALE, VITTORIANO, Voce “Gaetano Santomauro” in LAENG MAURO (a cura di), Enciclopedia Pedagogica, vol. VI;
  • CHIOSSO, GIORGIO, Novecento pedagogico, Brescia 1997, La Scuola;
  • DE NITTI CARLO – LAVERMICOCCA CARLO (a cura di), Mente – Cuore – Mani: la proposta educativa di Papa Francesco. Riflessioni teoriche e prassi educative, Bari 2022, Ecumenica editrice;
  • PAGANO, RICCARDO, Il pensiero pedagogico di Gaetano Santomauro, Brescia 2008, La Scuola;
  • SANTOMAURO, GAETANO, Il senso di una pedagogia impegnata, Lecce 1963, Milella;
  • SANTOMAURO, GAETANO, Problemi educativi e programmazione nel Mezzogiorno, Lecce 1964, Milella;
  • SANTOMAURO, GAETANO, Per una pedagogia in situazione, Brescia 1967, La Scuola;
  • SANTOMAURO, GAETANO, (a cura di), Dimensioni fondamentali della ricerca pedagogica, Padova 1981, Gregoriana;
  • GIUSEPPE SEMERARI, Responsabilità e comunità umana, Manduria 1966, II ed., Lacaita;
  • GIUSEPPE SEMERARI, Filosofia. Lezioni preliminari, Milano 1994, Guerini e Associati.

[1] Questo contributo rielabora, arricchendolo, il testo Introduzione. Il pensiero pedagogico di G. Santomauro nella scuola del XXI secolo, in AA.VV., Il pensiero pedagogico di Gaetano Santomauro nella scuola del XXI secolo, a cura di CARLO DE NITTI, “Educazione & Scuola”, XVII, marzo 2012, 1015, pp. 4-8.

[2] CARLO DE NITTI (Bari, 1960), laureato in filosofia, dal 2007 è dirigente scolastico, dal 2015 in servizio presso l’I.I.S.S. “Elena di Savoia – Piero Calamandrei” di Bari.

[3] Fondamentale, per chi scrive. è stata, illo tempore, la meditata lettura di Riccardo Pagano, Il pensiero pedagogico di Gaetano Santomauro, edito nel 2008, a Brescia, dalla Casa Editrice La Scuola, nell’ambito della sua collana <Pedagogia cristiana>.

[4] Per mia antica formazione, il rapporto tra teoresi e storiografia lo penso sempre così: “I testi restano muti e insignificanti se non realizziamo il nostro approccio ad essi con un progetto filosofico con la consapevolezza di che cosa sia la ricerca filosofica. Per questa disposizione teoretica nei confronti dei documenti raccolti, il lavoro storiografico rimane a livello della pura e semplice edizione dei testi” (GIUSEPPE SEMERARI, Filosofia. Lezioni preliminari, Milano 1994, Guerini e Associati).

[5] Scrive Maria Tiziana Santomauro: “[…] risulta alquanto arduo e complesso il compito di tracciarne il pensiero pedagogico in assenza di un’opera che sintetizzi le sue articolate riflessioni pedagogiche. In particolare mi riferisco a: l’idea di scuola (attiva); il personalismo; il ruolo del maestro/educatore; il fine dell’educazione/insegnamento (questioni di didattica)”.  I profondi valori cristiani in cui ha sempre creduto, gli studi, l’impegno scientifico a conoscere il pensiero di studiosi italiani ed europei e non solo, con un metodo d’indagine personale e critico, hanno determinato il delinearsi di un pensiero pedagogico i cui principi, innovativi per quel tempo, possono ritenersi ancora attuali nella scuola del terzo millennio” (MARIA TIZIANA SANTOMAURO, Il pensiero pedagogico di Gaetano Santomauro nella scuola del terzo millennio, in AA.VV., Il pensiero pedagogico di Gaetano Santomauro nella scuola del XXI secolo, a cura di CARLO DE NITTI, “Educazione & Scuola”, XVII, marzo 2012, 1015, p. 9.

[6] RICCARDO PAGANO, Il pensiero pedagogico di Gaetano Santomauro, Brescia 2008, La Scuola, p. 6.

[7] Si veda al riguardo GIUSEPPE SEMERARI, Filosofia. Lezioni preliminari, Milano 1991, Guerini e Associati, pp. 61 – 68.

[8] Sui rapporti tra Santomauro e Modugno, si può vedere GAETANO SANTOMAURO, Giovanni Modugno attraverso gli inediti, “Rassegna Pugliese”, 1969, 45.

Un ottimo spunto di ricerca storiografica è l’approfondimento dei rapporti tra i due pedagogisti: Giovanni Modugno ispirò la nascita del “gruppo di maestri sperimentatori” di Pietralba (BZ), dal nome dalla località dolomitica nella quale si riunì per la prima volta nel 1948, cui partecipò anche il venticinquenne Gaetano Santomauro, che era stato anche suo allievo all’Istituto Magistrale “Giordano Bianchi-Dottula” di Bari.  

[9] La scuola materna statale, istituita ai sensi della L. 444 del 18.03.1968 – che consentì a tanti bambini che abitavano in molti piccoli comuni, ubicati soprattutto nell’Italia meridionale, che non avevano la possibilità economica di finanziare analoghe scuole comunali – nacque grazie all’impegno profuso da parte dell’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Aldo Moro (Governo Moro III, in cui il Ministro della P.I. era il padovano Luigi Gui).

[10] RICCARDO PAGANO, Op. cit., p. 14.

[11] Brescia 1967, La Scuola

[12] RICCARDO PAGANO, Op. cit., p. 134.

[13] RICCARDO PAGANO, Op. cit., p. 140.

[14] GIUSEPPE SEMERASARI Responsabilità e comunità umana, Manduria 1966, II ed., Lacaita, p. 84.

[15] Padova 1959, Liviana.

[16] Lecce 1963, Milella.

[17] Lecce 1964, Milella.

[18] Cfr. RICCARDO PAGANO, Op. cit., pp. 145 – 157.

[19] Si veda, a tal riguardo, GIUSEPPE BERTAGNA, SERGIO GOVI, MARISA PAVONE, POF, Autonomia delle scuole e offerta formativa, Brescia, 2001, La Scuola, p. 239.

[20] GIORGIO CHIOSSO, Novecento pedagogico, Brescia 1997, La Scuola, pp. 215-243 e 309-311

[21] “Omnia agenda agendo discantur” aveva scritto, nel XVII secolo, nella sua Didactica Magna, il grande pedagogista moravo Johan Amos Komenskẏ, meglio noto con il nome latinizzato di Comenius.

[22] Si può vedere, se è lecita la citazione, DE NITTI CARLO – LAVERMICOCCA CARLO (a cura di), Mente – Cuore – Mani: la proposta educativa di Papa Francesco. Riflessioni teoriche e prassi educative, Bari 2022, Ecumenica editrice.

[23] “ […] G. Santomauro rivolge alla scuola primaria un’attenzione particolare, in quanto essa promuove e sviluppa i valori spirituali umani sottesi al processo educativo; sa realizzare un preciso “disegno educativo” ed un preciso itinerario didattico; promuove la collaborazione attiva degli scolari, tramutandosi in un “elemento funzionale” del processo educativo stesso. Nella sua idea di “scuola attiva”, si superano gli equivoci dell’attivismo pedagogico di allora fine a se stesso, che avevano portato ad un’idea di scuola dello “spontaneismo, dell’espressionismo pedagogico, di una scuola attraente e leggera che evitasse turbamenti e sforzi allo scolaro e si può già intravedere un’anticipazione della scuola-laboratorio” (MARIA TIZIANA SANTOMAURO, Ibidem).

[24] GAETANO SANTOMAURO, Ovide Decroly, Brescia 1964, La Scuola.

[25] GAETANO SANTOMAURO, Problemi educativi e programmazione nel Mezzogiorno, Lecce 1964, Micella, pp. 166 – 167.

E. Fiorentino, Una breve stagione d’amore

Enzo Fiorentino, Una breve stagione d’amore 

di Carlo De Nitti

Per deformazione intellettuale e professionale, radicatasi nel corso degli anni (magari! dei lustri, dei decenni…) di rado chi scrive si approccia alla lettura di romanzi: quado lo fa, lo spingono, di solito, motivazioni più che valide: lo scenario storico-politico della vicenda narrata e/o la conoscenza diretta dell’Autore del libro.  

Nel caso del ponderoso volume di Enzo Fiorentino, Una breve stagione d’amore che ha visto recentissimamente la luce a Roma per i tipi della Albatros, le motivazioni a cui si accennava sono mirabilmente compresenti e fuse in uno. 

L’Autore è persona di grande spessore umano e culturale, prima ancora che scolastico e professionale, in un mondo, come quello della Scuola, che lo vede da sempre protagonista indiscusso e “magister” di tanti operatori del settore a tutti i livelli. Una bella persona a tutto tondo. 

Con Una breve stagione d’amore, Enzo Fiorentino, che ha al suo attivo molte altre importanti pubblicazioni su argomenti di carattere sociologico, didattico e pedagogico, esperisce, con la sua scrittura ariosa ed efficace, un genere letterario per lui finora inusitato: il romanzo storico. 

Il volume – costituito da quattro capitoli (la ripartenza, il sogno negato, la svolta, la scelta per l’impegno) ed un epilogo – si snoda attraverso quegli anni importanti per la storia, italiana e non solo, del XX secolo – dalla seconda guerra mondiale agli anni della ricostruzione postbellica – mediante le vicende del protagonista, Zeno, giovane e brillante neolaureato in Finanze ed economia, che ama, riamato, Adelaide, una sua ex compagna di scuola liceale, figlia di un importante industriale metalmeccanico del paese, don Raffaele, non alieno da collusioni con il regime, da cui la sua azienda riceve commesse e prebende.

Non è esplicitata nel romanzo la collocazione geografica della storia, probabilmente a dirne l’universalità: il paese in cui è ambientata la storia non è identificato, neppure con un nome di fantasia: è sicuramente sul mare, ha un nucleo antico, é legato alle attività agricole, ma anche sede, negli anni in cui è ambientato il romanzo, di un forte insediamento industriale: a chi scrive pare invenire in esso un centro rivierasco della nostra Puglia. Ma, si sa, la vaghezza amplifica la poeticità del racconto.

Colpisce il titolo Una breve stagione d’amore: breve ma intensissima, quella tra Zeno ed Adelaide, il breve tempo che “il futuro era disposto a concedere loro” (p. 197). Una felice intuizione editoriale … non già un infausto pronostico di vita. La stagione d’amore tra Zeno ed Adelaide – ragazza meravigliosa, ma di cagionevole salute, che esita tragicamente dopo il ritorno dell’amatissimo Zeno – è vissuta con assoluta consapevolezza degli “anni difficili” che incombono su di loro con lo scoppio imminente della guerra. Una storia che tante persone di quella generazione hanno vissuto con fidanzate/mogli lasciate a causa della guerra.

I nomi dei personaggi appaiono eponimi: Zeno, di cui non sfugge essere l’anagramma di Enzo, ma come non pensare pure a Zeno Cosini? Dice Zeno a Nanà: “mia madre accanita lettrice di uno scrittore di queste parti se ne è invaghita imponendolo anche a mio padre che avrebbe optato per un altro nome proprio della nostra tradizione. A me piace e lo porto con fierezza” (p. 341). La differenza caratteriale tra l’“inetto” sveviano ed il protagonista di questo romanzo è palmare; anche l’etimo del nome Adelaide probabilmente veicola al lettore qualcosa sulle peculiarità del personaggio; Mimmo, diminutivo di Domenico, ovvero del Signore, fedele sottoposto e compagno d’infanzia e d’armi del tenente Zeno; Giuliano non a caso viene dalla Venezia Giulia, dove Zeno vivrà la sua Resistenza da militante antitotalitario. Altresì non pare casuale neppure il nome di Tommaso, il leader sindacale dei lavoratori dell’acciaieria.

Lo stile di Enzo Fiorentino è certamente ricco di parole mai scontate o banali, utilizzate con una grande maestria, tale da coinvolgere tutti i lettori – da augurare numerosissimi – con riferimenti culturali importanti. Piace citare – un esempio per tutti – Johan Huizinga (1872 – 1945), il celebre storico olandese autore, tra gli altri suoi importanti volumi, La crisi della civiltà, non a caso deceduto, com’è noto, in un campo di prigionia nazista: mai nominato ma sovente evocato sia da Zeno che dal professore antifascista, relatore della sua tesi di laurea. Molte anche le citazioni del pensiero economico e sociologico classico, nonostante, in quegli anni, in Italia, la sociologia non godesse di buona stampa, anche a causa dell’ostilità della filosofia neoidealistica (gentiliana e crociana) dominante.

Interessante anche come Enzo Fiorentino affronta il rapporto tra italiani e sloveni durante la resistenza e l’argomento, talvolta considerato ancora tabù, delle foibe. Non è un caso che il rapporto di Zeno con i capi della Resistenza siano conflittuali perché egli non rinuncia mai a far valere le sue inoppugnabili ragioni di oppositore democratico nei confronti di tutti gli autoritarismi di qualunque colore politico, nonostante gli inviti a tacere di Nanà, staffetta delle Resistenza: “per aver contrastato opponendomi al capo dei partigiani per un’azione punitiva per nulla condivisa, sfociata come avevo previsto nella morte di altri partigiani di contrarie e differenti idee, ho dovuto subire la sua reazione indignata nei miei confronti. Ma non ho ceduto, non ho rinnegato i mei ideali e le mie convinzioni politiche e ho deciso piuttosto di lasciare, anzitempo, la resistenza” (p. 51).

La peculiarità del bel volume di Enzo Fiorentino è quella di trattare i passaggi storici del romanzo da sincero democratico, attento al valore della persona, come Zeno, ostile al fascismo ed al comunismo in via di instaurazione alle frontiere orientali dell’Italia. Parimenti democratiche e profondamente innovative sono anche – illo tempore – le idee di Zeno sulla leadership per la conduzione dell’azienda del suocero, che eredita quasi sull’orlo del fallimento e che rilancia. Paiono echeggiare in Zeno suggestioni olivettiane – non l’uomo per la fabbrica ma la fabbrica per l’uomo – a cui il sociologo Enzo Fiorentino non è, di, certo insensibile. Lo scrittore ed il sociologo si stringono la mano: Zeno è il prototipo dell’uomo nuovo sortito dalle macerie della guerra, nucleo fondamentale di una società diversa, democratica, umana sempre più umana.

Insieme a Nanà, la bella “mula” partigiana conosciuta durante la resistenza, Zeno vivrà quella maturità dell’esistenza, che è nell’explicit del romanzo: “Prendeva coscienza che con le sue sofferte esperienze forse gli era riuscito, nuovo Prometeo della nuova condizione umana, di circoscrivere solo in minima parte l’oscurantismo della civiltà scaduta nella leggerezza del quotidiano consumata rappresentazione di traguardi sempre vaneggiati e sospirati, ma mai raggiunti e conquistati dall’umanità, sempre pronta a ghermire la felicità con l’alba della nuova e radiosa primavera” (p. 550).


Intervista ad Enzo Fiorentino 

E’ un vero piacere incontrare e dialogare – come a me è capitato in sorte che accadesse – con Enzo Fiorentino, autore di un recentissimo ed interessante romanzo, Una breve stagione d’amore, pubblicato a Roma per i tipi della Albatros.

Enzo Fiorentino, studioso di letteratura francese, sociologo, docente, preside, docente universitario, autore di numerosi studi su argomenti di tipo sociologico e pedagogico – in unum uomo di cultura a tutto tondo – approda con questo testo alla narrativa, mostrando una inattesa vena letteraria, accanto alla nota capacità di affabulazione.

CARLO DE NITTI: Sei ben conosciuto come autore di testi di argomento sociologico e pedagogico i tuoi lettori scoprono questo approdo alla narrativa. Da dove origina questa passione – che è evidente nelle pagine del libro – per questo tipo di scrittura? 

ENZO FIORENTINO: È una passione coltivata da tempo che non ho potuto tradurre in realtà perché la presidenza e gli impegni con i contratti universitari mi hanno sostanzialmente distolto da questa passione. Era un’idea che coltivavo da tempo e sempre con la speranza di poterla tradurre in un romanzo, quale quello che è stato appena pubblicata da Albatros e, non ti nascondo, mi sento veramente appagato: da giovanissimo, diversi professori mi dicevano: perché non scrivi? Perché ho avuto sempre questa tendenza a scrivere molto disinvoltamente. Quando è venuto il COVID, che ci ha costretto, come tu ben sai, a restare in casa, è stata l’occasione per incominciare a pensare di portare il romanzo a termine. Durante la fase preparatoria, non ti nascondo che prendevo appunti ovunque: mia moglie spesso mi diceva ma che fai? Prendi appunti? Era ciò che poi ho raccolto e che ho ben conservato in una borsa, perché sono i ricordi di qualcosa che potrei anche riscoprire.

CARLO: Il ponderoso romanzo – che definirei storico perché non è ambientato nel nostro presente – nasce soltanto da riflessioni storico-politiche o anche da suggestioni autobiografiche? 

 ENZO: Caro Carlo, in realtà, elementi autobiografici sono presenti nel romanzo. Mio padre ha combattuto in Russia, sul Don, con l’ARMIR: quando ero piccolo, vicino al braciere, mi piaceva ascoltarlo quando ci raccontava delle sue vicende. La ferita di cui parla Zeno che riceve soprattutto nella ritirata è una ferita riportata realmente da mio padre. Questi elementi autobiografici sono presenti: anche il paese che il romanzo descrive senza mai nominarlo, in realtà, è il paese nel quale ho avuto il piacere di vivere e di passare la mia giovinezza, gli anni più belli, insomma. Una confessione che mi sento di fare è che, in realtà, il romanzo, pur partendo da un periodo storico preciso, vuole affrontare temi che sono anche attuali. Per esempio, l’avvento del fascismo ed il pericolo sempre incombente nel popolo italiano: quello che Eco chiamava il “fascismo eterno”. Zeno vede per il futuro uno Stato che non deve finanziare il capitale passivo ma il capitale attivo, con il quale ci si impegna a far crescere i propri beni a vantaggio di molti, perché può essere un modo per far sì che il popolo partecipi ad un progetto realmente innovativo.  

CARLO: Approcciandosi al protagonista, al nome Zeno, sovviene subito alla mente di ogni lettore, un suo omonimo, Zeno Cosini, il protagonista del più importante romanzo di Italo Svevo pubblicato nel 1923 ed intitolato com’è noto, La coscienza di Zeno. Che ci sia memoria di lui lo dice il protagonista stesso: “mia madre accanita lettrice di uno scrittore di queste parti se ne è invaghita imponendolo anche a mio padre che avrebbe optato per un altro nome proprio della nostra tradizione. A me piace e lo porto con fierezza” (p. 341). La differenza caratteriale tra Zeno Cosini ed il personaggio protagonista di questo romanzo è palmare: il tuo Zeno non può esser definito certamente “inetto”. Zeno, il protagonista, è l’eteronimo, oltre che l’anagramma, di Enzo? 

ENZO: Zeno è anche l’anagramma di Enzo il diminutivo perché tu sai che, venendo dagli studi di lingue, Vincenzo non esiste: in tedesco, il nome corrispondente è Heinz, e questo mi ha sempre affascinato. Sono Enzo per tutti e, per questa ragione, ho desiderato che sul romanzo fosse riportato il mio nome come Enzo. L’ho chiesto espressamente all’editore, che mi ha subito accontentato. Per quanto riguarda la questione della madre lettrice è un pochino me stesso, perché tu sai che ho avuto modo di studiare in lingua tutta la letteratura francese, autori che mi hanno sempre incantato: dal preromanticismo fino diciamo ai giorni nostri. Autori che mi stanno a cuore: per esempio, scrittori come André Maurois,  François Mauriac; filosofi come Jacques Maritain ed Emmanuel Mounier, che ho letto in lingua di cui conservo gelosamente i libri, pubblicati per la maggior parte da Gallimard e che diventano una tentazione prossima a riprenderli per mettere su eventualmente un altro romanzo.

CARLO: Breve ma intensissima la stagione d’amore, che il titolo anticipa, tra Zeno ed Adelaide – ragazza meravigliosa, ma di cagionevole salute – che la vivono con assoluta consapevolezza degli “anni difficili” che incombono con lo scoppio della guerra. Una grande storia molto verosimile che tante persone di quella generazione hanno vissuto con fidanzate/mogli lasciate per la guerra: mi sovvengono i Racconti della prigionia, pubblicati nel 1987 da Matteo Fantasia (che tu ricordi sicuramente), sposatosi nel 1943 poco prima di partire per il fronte greco, che ha conosciuto la sua prima figlia, nata nel febbraio 1944, solo a settembre 1945, dopo il ritorno dalla Germania dove era stato come IMI. Sola fantasia la tua o ispirazione tratta da una realtà conosciuta e sapientemente romanzata da par tuo? 

ENZO: Non ti nascondo che la ragazza di cui si parla in realtà non è mai esistita però è esistito questo grande imprenditore che riesce ad emergere proprio per la sua perspicacia, pur provenendo da umili condizioni, ed a collocarsi nell’alta borghesia.  La Resistenza nelle zone di confine non e’ una mia invenzione, ma nasce dalla mia prima esperienza di preside in Friuli-Venezia Giulia, dove i miei professori mi raccontavano delle contraddizioni all’interno della Resistenza tra i partigiani “bianchi” ed i partigiani “rossi”, che sognavano la grande Slovenia voluta da Tito e dai titini, staccandola dall’Italia. Ho vissuto quelle vicende nei sentimenti dei miei docenti.

 CARLO: In Zeno mi piace vedere un animo simile a quello del Socrate e del “Fedone” platonico, che obbedisce alle leggi della polis anche se ingiuste: l’atteggiamento di un “eroe borghese” come tanti ce n’erano all’epoca (accanto ai pur numerosissimi “Luca Cupiello”, il noto personaggio eduardiano) degli avvenimenti narrati e tanti ce ne sono ancora oggi. Sbaglio? 

ENZO:  La democrazia come partecipazione alla vita della polis viene vissuta attraverso quelli che sono i bisogni e le esigenze e le richieste della piccola borghesia. Come diceva giustamente Paolo Sylos Labini, la piccola borghesia è una classe servile che sostanzialmente si mostra famelica e non sempre capace di recepire realtà diverse. La piccola borghesia è stata ritenuta da alcuni studiosi intorno agli anni ‘50 come la classe delle vestali cioè che doveva trasmettere la cultura dell’alta borghesia o, meglio, della cultura della classe dominante. Non è da trascurare il fatto che Zeno anteponga la necessità di obbedire ai dettami della propria morale rispetto anche alla felicità. Egli sa che con la sua partenza negherà ad Adelaide quella felicità appena acquisita con il matrimonio. Il titolo del romanzo Una breve stagione d’amore si riferisce proprio alla storia che intercorre tra Zeno e Adelaide: quando Zeno ritorna a casa, Adelaide è minata dal male che poi la conduce a morte. Per lui la morale rimane al di sopra di tutto: anche quando prima di partire il suocero lo spinge ad accettare un incarico importante nella sua azienda, in prospettiva del futuro che lo vedrà sicuramente come quale unico leader di una grossa realtà imprenditoriale. Zeno rinuncia e, quando ritorna, sa che la sua morale impone un altro, ulteriore, dovere, però si rende conto che così ha negato ad Adelaide la felicità cui aspirava con lui. Dietro le pressioni di donna Carla, la suocera, decide di accettare quell’incarico di direttore dell’azienda di famiglia, inserito in un nuovo contesto sociale dove il capitale non è, e non può, essere disgiunto dal lavoro.  

CARLO: La morale che Zeno esprime è, da un lato, di matrice schiettamente kantiana che prescrive l’adempimento dell’imperativo morale di considerare “l’umanità sempre come fine e mai come mezzo”; dall’altro, Zeno incarna un’etica del dovere che non scende a patteggiamenti con nessuno, a cominciare dalla propria coscienza, anche a scapito del proprio vantaggio personale (arruolamento e partenza per la Russia) e che sceglie sempre la ricerca del bene comune (in Russia e nella Resistenza in terra friulana). 

ENZO: Zeno agisce per impulso di obbedienza al dovere morale, pur potendo – tramite il suocero, che era in contatto con gli ambienti romani del partito fascista che contavano – evitare di andare in guerra e rimanere tranquillamente nel suo paesino. Si rifiuta perché si rende conto che è un dovere: è bene lottare contro chi offende la libertà e chi la nega. Nonostante la contrarietà del fratello Paolo, che ritiene che potrebbe non partire e che potrebbe fare resistenza anche nel posto in cui si trova, Zeno è convinto che non sia nemmeno giusto rispetto alle masse popolari ed alle loro condizioni di vita.

CARLO: Questa storia può essere letta come la possibile autobiografia di una generazione, quella dei nostri genitori, carissimo Enzo, che ha vissuto ed attraversato il “secolo breve”: il ventennio fascista, la Seconda Guerra Mondiale, la resistenza in tutte le sue forme, la ricostruzione e il boom economico per rimanere all’ambientazione del volume? 

ENZO: Sicuramente sì, una generazione che si è dovuta adattare a circostanze ed a situazioni storiche e sociali diverse: dall’avvento del fascismo, l’adesione al quale è stata passiva perché si aveva paura. Del resto, quando Zeno parte volta le spalle al gagliardetto e, per questa ragione, è ripreso dal segretario del Fascio del suo paesino. Solo l’intervento autorevole della suocera lo salva da prospettive riservate a chi si mostrava fascista. Voglio dire che mio padre, a cui mi sono tanto rifatto era un uomo di sinistra, che credeva profondamente nell’antifascismo. Di questo ne parlo quando dico che Zeno eredita dal padre questa sua tendenza, perché il padre era controllato dalla polizia fascista.

CARLO: Zeno si manifesta sempre come un vero leader democratico – durante la guerra con l’ARMIR, nella Resistenza, nell’azienda ereditata dal suocero – il cui stile è sempre quello di coinvolgere e convincere gli altri senza mai incutere paura per imporre decisioni. Come non vedere in ciò lo stile precipuo dell’amatissimo e stimatissimo dirigente che è nel DNA dell’Autore di questo bel volume? In quest’ottica vanno letti, credo, i rapporti tra Zeno e Gianni, l’amico di sempre, tra Zeno ed Anna, la segretaria, tra Zeno e Tommaso, il rappresentante sindacale delle maestranze dell’azienda. 

ENZO: La scuola si trova nel punto di convergenza che unisce il Paese: ha avuto da sempre questa responsabilità. Non ho mai pensato a me stesso come colui che era chiamato a “bacchettare”: ho sempre pensato ad un team con i miei collaboratori che, raccordandosi, gestiva la complessità dell’istituzione, coinvolgendo tutti nelle decisioni che dovevano essere collettive. Tutti devono essere convinti: forse tranne qualcuno, ma mi sembra che anche loro conservino un grande ricordo della mia esperienza. Vanno coinvolte le organizzazioni sindacali che devono crescere e che devono avere un ruolo importante nella scuola e nella società. Non è possibile pensare una società dove il lavoro non sia fondamentale: non può esserci una società in cui le persone decidono un giorno di non lavorare, perché, si sa, che esiste il lavoro se esiste il capitale e viceversa. Una reciprocità che può essere come quella che io ho cercato di stabilire tra me ed i miei collaboratori. Essi dovevano vedere in me non colui il quale riempiva il registro di richiami o di note; no, assolutamente, non l’ho mai fatto in tanti anni della mia esperienza. Una cosa molto importante: il responsabile di una istituzione scolastica deve essere un uomo di cultura. Può essere anche che sia chiamato a mettere in atto e ad osservare le leggi però è anche vero che non può essere ridotto solo a questo compito. Il ruolo del preside riguarda il mondo futuro: questo me lo disse, in una chiacchierata tenuta a Bari presso La Scuola editrice, Lanfranco Rosati. Una sera si intrattenne nell’ufficio di Andrea [il direttore della filiale, N.d.C.] che ritenne opportuno, bontà sua, chiamarmi e ricordo sempre che disse questo. La frase mi colpì, mi coinvolse in maniera molto ma molto profonda: se la scuola perdesse questo compito, fallirebbe. E’ questa la ragione per cui ho sempre pensato di essere leader in un luogo in cui tutti quanti erano chiamati a collaborare ed il leader stava sulla stessa lunghezza d’onda dei suoi collaboratori.  

CARLO: Nell’attenzione che ho posto ai nomi dei personaggi (di nessuno c’è un cognome, sia pure di fantasia) non mi pare casuale quello di “Tommaso”, leader sindacale dei lavoratori dell’acciaieria. Sbaglio? 

ENZO: No, non sbagli: Tommaso Sicolo è stato un grande sindacalista che, da operaio, ha sempre rappresentato i lavoratori con intelligenza ed apertura. Nel 1956 ricordo che ci fu una rivolta con gli operai bloccarono i treni in transito: ebbe una capacità di coinvolgimento dei lavoratori e di mediazione.

CARLO: Quanto di Enzo Fiorentino c’è in questo libro? Quanto della sua esperienza di vita e di cultura, in unum di scuola?

ENZO: Io credo che l’elemento autobiografico attraversi il romanzo: in esso è emersa la mia esperienza di responsabile di una struttura importante, come deve essere in una società democratica, una scuola, anche se in questo periodo l’elemento burocratico prevale su quello formativo. Le nuove generazioni si formano senza altre strutture che favoriscano l’ingresso nella società.

CARLO: Per concludere, un ponte verso il futuro: ci anticipi la tua prossima fatica editoriale? 

ENZO: Sarà un saggio, che parte dall’esperienza di un settimanale brillante che da giovani compravamo, benché le nostre tasche fossero molto povere, Settegiorni [1], una rivista che era affidata a due “penne” e uomini di cultura molto apprezzati come Ruggero Orfei e Piero Pratesi. Purtroppo dopo Moro, Falcone e Borsellino, con i grandi limiti della politica italiana, che non obbedisce a quei canoni descritti da Robert Michels, Vilfredo Pareto e Giovanni Mosca, si giunge a ciò che si sta verificando oggi con il populismo ed il sovranismo. Ho detto di aver elaborato lo schema di un romanzo di cui ho anche il titolo provvisorio, ma preferirei rimandarne la divulgazione ad una prossima intervista.

CARLO: Complimenti per il bel romanzo e grazie mille per la piacevole conversazione. A la prochaîne!

ENZO: Grazie mille a te!


[1] “Settegiorni” fu luogo di dialogo tra cattolici e socialisti, e mondo progressista in genere. Scopo della rivista fu di arricchire il dibattito all’interno del mondo cattolico. La direzione fu affidata congiuntamente a Ruggero Orfei e Piero Pratesi. “Settegiorni” nacque appena due anni dopo la conclusione del Concilio Vaticano II (1962-1965), nel pieno del fermento che stava attraversando il mondo cattolico. In politica, la rivista segnò una stagione di vivace confronto e di dibattito su tutti i temi che caratterizzarono la vita nazionale, dalla riforma delle istituzioni alla politica economica, dalle questioni del welfare ai problemi internazionali [N.d.C.]

Prove Invalsi, sessione suppletiva medie e superiori tra il 22 maggio e il 5 giugno: chi partecipa

da OrizzonteScuola

Di redazione

La sessione suppletiva delle prove Invalsi 2023 si terrà tra il 22 maggio e il 5 giugno. Lo stesso periodo è stato calendarizzato per le prove nelle scuole con percorsi di secondo livello. Chi accede alla sessione suppletiva?

Alla sessione suppletiva potranno accedere per la scuola secondaria di I grado (medie):

  • tutti gli studenti assenti per gravi e comprovati motivi (accertati dal dirigente scolastico) che non hanno potuto sostenere la/le prova/e nella sessione ordinaria di aprile;
  • tutti i candidati esterni che per motivi connessi alla presentazione delle domande di partecipazione per l’Esame di Stato 2022-2023 non sono riusciti a sostenere la/le prova/e nella sessione ordinaria di aprile.

Per la scuola secondaria di II grado (superiori):

  • tutti gli studenti assenti per gravi e comprovati motivi (accertati dal dirigente scolastico) che non hanno potuto sostenere la/le prova/e nella sessione ordinaria di marzo;
  • tutti i candidati esterni.

Il calendario delle prove Invalsi che, ricordiamo, quest’anno sono requisito di ammissione (basta la partecipazione) all’esame di terza media e maturità:

II primaria (prova cartacea)
Italiano: venerdì 5 maggio 2023
Prova di lettura solo Classi Campione: venerdì 5 maggio 2023
Matematica: martedì 9 maggio 2023

V primaria (prova cartacea)
Inglese: mercoledì 3 maggio 2023
Italiano: venerdì 5 maggio 2023
Matematica: martedì 9 maggio 2023

III secondaria di primo grado (prova al computer – CBT)
Sessione ordinaria Classi Campione: lunedì 3, martedì 4, mercoledì 5, mercoledì 12 aprile 2023
In questa finestra la scuola sceglie tre giorni per svolgere le prove di Italiano, Matematica e Inglese (lettura e ascolto).
Sessione ordinaria Classi NON Campione, prove di Italiano, Matematica e Inglese (lettura e ascolto): da lunedì 3 aprile 2023 a venerdì 28 aprile 2023
Sessione suppletiva: tra il 22 maggio e il 5 giugno.

II secondaria di secondo grado (prova al computer – CBT)
Sessione ordinaria Classi Campione, prove di Italiano e Matematica: giovedì 11, venerdì 12, lunedì 15 maggio 2023
In questa finestra la scuola sceglie due giorni per svolgere le prove di Italiano, Matematica.
Sessione ordinaria Classi NON Campione, prove di Italiano e Matematica: da giovedì 11 maggio 2023 a mercoledì 31 maggio 2023.

V secondaria di secondo grado (prova al computer – CBT)
Sessione ordinaria Classi Campione: mercoledì 1, giovedì 2, venerdì 3, lunedì 6 marzo 2023
In questa finestra la scuola sceglie tre giorni per svolgere le prove di Italiano, Matematica e Inglese (lettura e ascolto).
Sessione ordinaria Classi NON Campione, prove di Italiano, Matematica e Inglese (lettura e ascolto): da mercoledì 1 marzo 2023 a venerdì 31 marzo 2023
Sessione suppletiva: tra il 22 maggio e il 5 giugno.


Studenti-atleti di alto livello, rinnovato per altri 5 anni il progetto sperimentale. Decreto Ministero

da OrizzonteScuola

Di redazione

Il progetto sperimentale Studenti-atleti di alto livello viene rinnovato per altri cinque anni: è quanto dispone il decreto del Ministero dell’istruzione e del merito n. 43 del 3 marzo 2023. L’obiettivo dell’iniziativa è il superamento delle criticità che possono riscontrarsi durante il percorso scolastico degli studenti-atleti di alto livello iscritti agli Istituti di istruzione secondaria di secondo grado statali e paritari del territorio nazionale.

Il decreto disciplina, ai sensi dell’articolo 11 del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, una sperimentazione didattica della durata di cinque anni, dall’anno scolastico 2023/24 all’anno scolastico 2027/28, per una formazione di tipo innovativo, anche supportata dalle tecnologie digitali, sulla base dei requisiti stabiliti in accordo con il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), il Comitato Italiano Paralimpico (CIP) e con Sport e Salute S.p.A.

Il Progetto sperimentale prevede l’individuazione di uno o più docenti referenti per ogni Istituzione scolastica aderente all’iniziativa, i quali hanno il compito di curare il coordinamento con gli Organismi sportivi interessati e di definire, con i Consigli di classe competenti, il Percorso Formativo Personalizzato (PFP) per ogni studente-atleta.

Il Percorso Formativo Personalizzato rappresenta uno strumento per favorire l’adozione di metodologie didattiche personalizzate finalizzate al successo formativo dello studente; nell’ambito di tale percorso formativo, fino al 25% del monte ore personalizzato dello studente-atleta di alto livello può essere fruito online, sia attraverso l’utilizzo di un’apposita piattaforma e-learning predisposta a livello nazionale, sia attraverso videoconferenze, web-conference, o altri strumenti individuati dagli Istituti scolastici, che permettano di usufruire di lezioni o materiale didattico predisposto dal competente Consiglio di classe. Il Percorso può prevedere l’individuazione di modalità di verifica personalizzate ai fini della valutazione degli apprendimenti nelle diverse discipline.

Tutte le attività rientranti nel Percorso Formativo Personalizzato devono essere certificate dal Consiglio di classe, anche ai fini dell’ammissione all’anno scolastico successivo, ovvero all’esame di Stato conclusivo del corso di studio.

Possono aderire al Progetto sperimentale, tutti gli Istituti di istruzione secondaria di secondo grado frequentati da studenti-atleti di alto livello, individuati in base al possesso di requisiti minimi necessari per l’ammissibilità al Progetto.

Decreto

Adozione libri di testo: delibera entro il 20 maggio, comunicazione dei dati entro il 7 giugno

da La Tecnica della Scuola

Di Lara La Gatta

Le adozioni dei testi scolastici, da effettuarsi nel rispetto dei tetti di spesa stabiliti per le scuole secondarie di primo e secondo grado, o l’eventuale scelta di avvalersi di strumenti alternativi ai libri di testo, sono deliberate dal collegio dei docenti entro la seconda decade di maggio per tutti gli ordini e gradi di scuola.

Le indicazioni relative all’adozione dei libri di testo per l’a.s. 2023/2024 sono impartite con la nota n. 8393 del 13 marzo 2023.

Nuove adozioni

Nella nota il MIM spiega che i collegi dei docenti possono confermare i testi scolastici già in uso, ovvero procedere a nuove adozioni. Queste ultime possono riguardare i primi volumi di un corso (classi prime e quarte della scuola primaria, classi prime della scuola secondaria di primo grado, classi prime e terze e, per le sole specifiche discipline in esse previste, classi quinte della scuola secondaria di secondo grado) ovvero i volumi unici. Le adozioni dei seguiti dei testi in più volumi si intendono confermate.

Al dirigente scolastico spetta la vigilanza sulle modalità di scelta.

Nella nota il MIM ribadiusce il divieto di commercio dei libri di testo ad opera del personale scolastico.

Comunicazione dei dati

La comunicazione dei dati adozionali va effettuata, da parte delle istituzioni scolastiche, on line, tramite l’utilizzo della piattaforma presente sul sito www.adozioniaie.it o in locale, off line, entro il 7 giugno 2023.

Le istituzioni scolastiche che hanno deciso di non adottare libri di testo dovranno accedere alla suddetta piattaforma specificando che si avvalgono di strumenti alternativi ai libri di testo.

LA CIRCOLARE

100 giorni agli esami di stato: ritornano i festeggiamenti

da La Tecnica della Scuola

Di Pasquale Almirante

Oltre agli esami di Stato secondo le vecchie regole prepandemia, tornano pure i festeggiamenti degli studenti al sopraggiungere del 100 giorno prima degli esami che quest’anno cade proprio oggi, 13 marzo ’23 in vista del 21 giugno.

Secondo un sondaggio effettuato da Skuola.net – su un campione di 1.000 studenti di quinto superiore – ben 1 su 2 ha detto di voler onorare al meglio questa giornata. Festeggiando.

Tuttavia sembra pure, sempre secondo il sondaggio di Skuola.net, che chi rinuncia a festeggiare avrà di fronte il 49% di coloro che intendono celebrare  i “100 giorni”.

Ritorna però la preoccupazione per un esame 2023 nel suo vecchio assetto, motivo per cui tanti hanno rinunciato ai “100 giorni”, perché non vogliono sprecare neanche un giorno per prepararsi al meglio alle prove finali: lo dice il 40% di quanti non faranno nulla per onorare l’evento.

La festa di classe rimane la scelta più gettonata: quasi la metà dei ragazzi (47%) si riunirà in casa o in un locale per mangiare e fare bisboccia tutti assieme oppure farà un gita “fuori porta”.

Circa 1 su 4, invece, si limiterà a un’uscita di gruppo nei dintorni della scuola o vicino casa, magari al mare, dove si consuma uno dei più tradizionali riti portafortuna, ovvero la scrittura del voto atteso sul bagnasciuga.

Mentre 1 su 10 si dirigerà in centro città o nei classici luoghi di aggregazione degli studenti del posto, con l’obiettivo di condividere il momento con altri “colleghi” maturandi. Il 5% farà qualcosa a scuola.

Qualcuno di più (8%), infine, visiterà i luoghi d’Italia in cui tradizionalmente si svolgono i riti collettivi propiziatori in vista dell’esame (pellegrinaggi a santuari, benedizioni delle penne, ecc.).

Classi più vuote, ma prof in aumento. La previsione per settembre 2023

da La Tecnica della Scuola

Di Redazione

Meno studenti ma più professori. È questa la previsione che riporta “Il Sole 24 Ore” per settembre 2023, dopo aver visionato le tabelle condivise dal ministero dell’Istruzione con i sindacati. Il calo demografico, si sa, farà perdere 130mila studenti rispetto a quest’anno scolastico ma le cattedre non seguiranno questo trend, anzi i posti in organico saranno 9mila in più nel 2023/24.

Sul tema della denatalità, il quotidiano snocciola alcuni numeri che rendono chiara la situazione. Si passerà infatti da 8,1 milioni di alunni (da 3 a 18 anni) di quest’anno a 6,7 milioni del 2034. Così, secondo il Mef, serviranno oltre 126mila cattedre in meno. Ma i tagli, a meno di scelte diverse del governo Meloni, dovrebbero partire dal 2026 (circa 2mila l’anno) a fronte dei 9mila posti in più per settembre, con i posti su sostegno che passeranno da 117.170 a 126.170, effetto delle decisioni dei precedenti governi.

Cifra identica per i posti comuni. Le bozze di tabelle per il 2023/2024 confermano i 620mila posti a disposizione per settembre, puntualizza “Il Sole24 Ore” con le due novità rappresentate dall’insegnamento dell’educazione motoria che sbarcherà anche in quarta primaria, dopo essere approdata in quinta, ovvero 4.405 posti da docente in più (24.192 classi di quarta e 24.277 di quinta) e la contrazione delle deroghe al numero di alunni per classe.

I sindacati non ci stanno e parlano di tagli per oltre 2.700 posti (da 8.741 a poco più di 6mila) con il rischio di un aumento delle classi pollaio. E senza le deroghe su mobilità e reclutamento rispetto al piano previsto dal Pnrr, è pronto un nuovo boom di supplenti.

Nota 14 marzo 2023, AOOGABMI 36640

Il Ministro dell’istruzione e del merito

Ai Dirigenti e ai Coordinatori didattici delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado del sistema nazionale di istruzione
Ai Direttori generali e ai Dirigenti titolari degli Uffici scolastici regionali
Al Sovrintendente scolastico per la scuola in lingua italiana e agli Intendenti scolastici per la scuola in lingua tedesca e in lingua ladina
della Provincia autonoma di Bolzano
Al Dirigente generale del Dipartimento istruzione e cultura della Provincia autonoma di Trento
Al Sovrintendente scolastico per la Regione Valle d’Aosta

OGGETTO: 17 marzo – “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera”.

Nota 14 marzo 2023, AOODGRUF 7435

Ministero dell’istruzione e del merito
Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali
Direzione generale per le risorse umane e finanziarie –DGRUF Ufficio VII

Alle istituzioni scolastiche ed educative statali LORO-MAIL
Ai revisori dei conti per il tramite della scuola

Oggetto: Proroga per la predisposizione ed approvazione del conto consuntivo 2022

Decreto Direttoriale 14 marzo 2023, AOODGRUF 414

Ministero dell’istruzione e del merito
Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali
Direzione Generale per le risorse umane e finanziarie

Progressioni economiche tra le fasce retributive all’interno delle aree I, II e III. Rettifica Graduatoria definitiva