Memoria e democrazia: la conoscenza fa bene
di Mario Maviglia
Da qualche tempo, sempre più spesso, sulle cancellate delle scuole superiori di alcune città italiane (Firenze, Milano, Brescia) appaiono striscioni di movimenti studenteschi di estrema destra che offendono la memoria della Resistenza e prendono di mira l’antifascismo e i suoi valori. È lecito supporre che questo attivismo sia stimolato dal clima politico generale che c’è nel Paese e dal fatto che quasi mai vi è una netta condanna di questi episodi da parte dei governanti di destra. Anzi, emblematica è stata, a tal proposito, la reazione del Ministro Valditara alla lettera della dirigente scolastica di un liceo di Firenze, che solidarizzavacon gli studenti di un altro liceo pestati da esponenti di estrema destra. La dirigente ricordava ai suoi studenti che “il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti. ‘Odio gli indifferenti’ – diceva un grande italiano, Antonio Gramsci, che i fascisti chiusero in un carcere fino alla morte, impauriti come conigli dalla forza delle sue idee. Inoltre, siate consapevoli che è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni.” Il Ministro aveva definito “del tutto impropria” la lettera in quanto, a suo dire, “non compete ad una preside lanciare messaggi di questo tipo visto che il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà. In Italia non c’è alcuna deriva violenta e autoritaria, non c’è alcun pericolo fascista.” Al Ministro evidentemente piacciono i dirigenti che si girano dall’altra parte, gli indifferenti, appunto; oppure i “menefrego” di mussoliniana memoria; l’“I care” di Don Milani è considerato troppo edulcorato, evidentemente.
Agli autori dei fatti segnalati sopra sarebbe fin troppo facile spiegare che se oggi possono scrivere le loro sciocchezze lo devono proprio a quegli uomini e a quelle donne che con la Resistenza al regime fascista hanno sacrificato la loro vita per affermare i principi di libertà, democrazia, giustizia e solidarietà. Se questi giovani avessero la pazienza di studiare cosa ha significato il fascismo in Italia scoprirebbero che il Ventennio è stato uno dei periodi più tragici della storia italiana, caratterizzato da violenze, soprusi, soppressione delle libertà individuali, razzismo, terrore. Il fascismo ha rappresentato un’ideologia di morte; facendo una breve navigazione in rete si possono facilmente scoprire i risultati di tale ideologia: 42 fucilati nel Ventennio a seguito di condanna del Tribunale Speciale, 350.000 militari caduti nella Seconda Guerra mondiale, 110.000 caduti nella Lotta di Liberazione, 45.000 deportati politici e razziali nei campi di sterminio (15.000 di loro non fecero più ritorno), 640.000 internati militari nei lager tedeschi (40.000 vi morirono), oltre 600.000 prigionieri di guerra italiani rinchiusi in vari campi del mondo. E ancora: 80.000 libici condannati a morire di stenti nelle zone desertiche della Cirenaica dal generale Graziani, 700.000 abissini trucidati durante la campagna d’Etiopia. Proprio contro questa ideologia di morte tanti italiani hanno combattuto e si sono immolati per affermare invece il valore della vita.
Gli striscioni degli studenti di estrema destra sollecitano però altre riflessioni: da una parte l’esigenza di tenere viva la memoria del nostro passato perché, come diceva Primo Levi, “non c’è futuro senza memoria” e se non si coltiva la memoria è più facile ripetere gli orrori e gli errori del passato; dall’altra la necessità di far conoscere la storia contemporanea alle giovani generazioni in modo che possano avere cognizione che “questo è stato” e – attraverso lo studio, la riflessione, la ricerca – possano comprendere la faticosa ma imprescindibile prospettiva della democrazia, contro ogni forma di totalitarismo e sopraffazione.Conoscere la storia vuol dire liberarsi dalla schiavitù dell’ignoranza e dai venditori di falsità storiche. La scuola fa paura a questi venditori perché sanno che dentro la scuola viene curata la conoscenza e sviluppato lo spirito critico, il confrontodemocratico, l’utilizzo dei dati, la ricerca, e questo non può essere tollerato da chi persegue obiettivi di sopraffazione e violenza. La democrazia è una palestra faticosa perché richiede raziocinio, confronto, conoscenza, tolleranza, condivisione. Ma le scorciatoie alla democrazia conducono tutte, inevitabilmente, al totalitarismo, all’uomo solo al comando (o ad una oligarchia), alla soppressione dei diritti individuali. È un film che abbiamo già visto e il finale non è incoraggiante.
Agli striscioni starnazzanti di questi nostalgici del fascismo la scuola può rispondere con la cultura e la cura della memoria.