Valutazione ontologica e valutazione formativa
di Mario Maviglia
Antefatto: in un liceo, di cui omettiamo il nome, l’insegnante di latino consegna agli studenti l’esito della prova di verifica svolta qualche giorno prima. Su 24 studenti, 14 riportano una valutazione negativa. Alla domanda su come mai più della metà della classe abbia registrato un esito non positivo, l’insegnante risponde: “Questi studenti sono disattenti, non studiano, non si applicano; sono poco interessati allo studio del latino.”
Espressioni come queste sono abbastanza comuni, al di là della disciplina cui si riferiscono. Il limite di questo approccio alla valutazione (che potremmo definire ontologico) è che, in modo quasi onnipotentistico, l’insegnante di fatto valuta gli studenti per come sono fatti, nella loro essenza, potremmo dire. (“Questi studenti sono disattenti…”). Sarebbe facile argomentare che come sia fatta una persona nella sua essenza probabilmente è cosa ignota alla persona stessa. Nella migliore delle ipotesi il docente può valutare quello che fa lo studente a scuola, perché quello è il contesto entro cui si svolge l’azione didattica.
L’approccio ontologico alla valutazione in fondo è consolatorio per l’insegnante: se gli studenti sono fatti in quel modo, il docente non può farci niente e dunque gli eventuali esiti scolastici negativi sono da addebitare completamente allo studente, al suo modo di essere. Questo approccio dimentica che il processo di apprendimento si sviluppa all’interno di una relazione e, di conseguenza, gli esiti dell’apprendimento dipendono anche da tale relazione. Questo vuol dire che i risultati scolastici sono correlati agli interventi didattici messi in campo dai docenti; infatti, il modo in cui viene sviluppata l’attività didattica (la lezione), le forme comunicative messe in atto dall’insegnante nel corso dell’attività, gli strumenti di mediazione didattica utilizzati per presentare ed esporre i contenuti e gli stessi strumenti di verifica impiegati per rilevare gli apprendimenti condizionano fortemente i risultati degli allievi.
Nel caso citato in apertura sono varie le ipotesi che possono spiegare la cattiva performance di buona parte degli studenti della classe: forse la prova di verifica era troppo ambiziosa rispetto al livello medio della classe; oppure il tempo per sviluppare i contenuti previsti dalla prova non è stato sufficiente; o ancora, il modo in cui i contenuti sono stati presentati non si è dimostratoefficace e non ha “raggiunto” tutti gli studenti ecc. Come si vede, nessuna di queste ragioni è imputabile agli allievi, eppure nella valutazione scolastica questi aspetti non sono presi in considerazione, mentre vengono privilegiate le reazioni degli studenti considerate in modo avulso dal contesto relazionale e metodologico-didattico in cui vengono espresse ed esibite. Certo, si può eccepire che vi sono fattori riferibili specificatamente all’allievo: la perseveranza nello studio; la disponibilità a impiegare un tempo adeguato per apprendere i contenuti previsti; l’interesse verso le attività scolastiche ecc. Ma, a ben vedere, anche questi aspetti sono strettamente correlati all’offerta educativa e didattica messa in atto dai docenti e alla trama dei rapporti che si creano in classe . Infatti, le “prestazioni” degli studenti sono l’esito di un intreccio di fattori metodologici, didattici, relazionali e personali e per poterle comprendere e decodificare (e quindi valutarle) va considerato tale intreccio, altrimenti si rischia di impostare il discorso della valutazione su un piano di astrattezza, assolutizzando le prestazioni degli allievi e non correlandole all’offerta formativa e didattica fornita dai docenti.
Ecco perché, nel caso della prova di latino citata in apertura, una valutazione pertinente avrebbe considerato non solo le prestazioni degli studenti ma anche le proposte didattiche allestite dall’insegnante e le modalità messe in atto per far conseguire agli allievi le competenze previste; nell’approccio che abbiamo definito ontologico, invece, l’azione didattica viene considerata quasi neutra, non meritevole di attenzione; l’attenzione viene posta esclusivamente sulle risposte dello studente. In tale dimensione, la valutazione viene considerata “oggettiva” in quanto rileva la realtà dell’allievo, ciò che egli è; non è messo in discussione l’intervento didattico dell’insegnante, né lo strumento (prova di verifica) utilizzato per rilevare gli apprendimenti.
Nell’approccio formativo la valutazione è fortemente interessata a considerare gli elementi di contesto in cui si svolge l’azione educativa e didattica e, soprattutto, serve all’insegnante per ricavare una serie di elementi che gli servono per verificare la bontà e l’efficacia del suo intervento attraverso l’analisi degli esiti degli studenti. In questo senso, la valutazione perde quella valenza “produttivistica” che si solito ha (ossia la misura di quanto ha reso l’alunno al termine di un determinato percorso didattico); ma, se proprio si vuole dare questa caratterizzazione, allora va “pesato” anche il ruolo giocato dal docente nel conseguimento di tali esiti.
Come si vede i due aspetti sono fortemente intrecciati tra loro, come due facce della stessa medaglia. E ai tanti docenti che dimostrano ancora scetticismo su questa correlazione, parafrasando De Andrè, si può dire loro “Per quanto voi vi crediate assolti / siete per sempre coinvolti”.