La Scuola che dobbiamo permetterci
di Maria Grazia Carnazzola
1- Inizio
C’è un’istituzione a cui storicamente la società affida la responsabilità dell’istruzione, per garantire la ripetizione e lo sviluppo del sistema di conoscenze che fonda il patrimonio culturale- bene comune per eccellenza-: la scuola. Conoscere la propria storia e la propria cultura è la chiave per poter dialogare con quella degli altri, è la base per il lavoro- ma che non si esaurisce in esso-, è l’opportunità per tutti di diventare liberi. L’autonomia e la libertà della mente dipendono dalla cultura, dalla coscienza dei pericoli, dal rischio dell’errore e dell’illusione coltivando il dubbio, dalla capacità di assumere decisioni non arbitrarie, recuperando la riflessione troppo spesso sacrificata alla rapidità delle decisioni, dettata dall’efficienza calcolata su parametri forniti dai cosiddetti “esperti”. La scuola è uno degli strumenti principali per esercitare il diritto alla cultura perché contiene il patto/promessa che gli adulti propongono fin dalla nascita- e poi a tre anni, a sei, a undici, a quattordici- alle nuove generazioni per l’accompagnamento nell’acquisizione delle chiavi di accesso al sapere che l’umanità ha costruito, per essere in grado, poi, di dare alla società, quando sarà, il proprio contributo.
“Non sto cercando di dirti che soltanto gli uomini colti e preparati sono in grado di dare al mondo un contributo prezioso. Non è vero. Ma sostengo che gli uomini colti e preparati, se sono intelligenti e creativi, tanto per cominciare, e questo purtroppo succede di rado, tendono a lasciare, nel proprio passaggio, segni di gran lunga più preziosi che non gli uomini esclusivamente intelligenti e creativi. Tendono ad esprimersi con più chiarezza, e di solito hanno la passione di seguire i propri pensieri fino in fondo. E, cosa importantissima, nove volte su dieci, sono più modesti dei pensatori non preparati” (Salinger).
Compito della scuola è quello di favorire l’acquisizione del sapere e delle chiavi per accedervi, attraverso il processo attivo di insegnamento/apprendimento che concretizza la ricostruzione sociale delle conoscenze attraverso le discipline, pensate sia come sistemi di vincoli e campi di significato condiviso e intersoggettivo, sia come costruzione di strutture mentali (che H. Gardner chiamava frame) che danno senso all’apprendere e all’agire di ciascuno, educando attraverso l’istruzione. È un’istituzione che ha caratteri specifici che la distinguono da altre esperienze famiglia, oratorio, Academy…) pur interagendo e collaborando con queste nei percorsi di formazione. È bene tenerlo presente, soprattutto ora che pare tutto debba essere delegato alla scuola. È a partire dagli anni Novanta, infatti, che senza una visione di un quadro generale sistemico, a tappe progressive sono entrate l’educazione alla salute, all’ambiente, alla legalità, alla democrazia e ai diritti umani, alla cittadinanza europea, alla pace, l’educazione stradale, l’educazione sessuale, all’affettività, alla solidarietà, quella interculturale, alle diversità, le campagne contro il bullismo fisico-affettivo e tecnologico per citare alcuni elementi di una “innovazione” evanescente i cui esiti conosciamo tutti. Intendiamoci sono tutti aspetti importanti che toccano la vita di ciascuno, ma la scuola li deve affrontare attraverso il suo specifico, che è educare attraverso l’istruzione, attraverso le discipline (che sono modi di guardare, di percepire il mondo), adottando la realtà come oggetto di studio e come spazio di applicazione e di verifica di quanto già appreso, perché collaborare significa lavorare insieme, non fare tutti la stessa cosa. Che poi, in realtà, quando succede solitamente significa incidere poco o niente sulla concretezza dei fatti. Il ruolo della scuola non è politicamente neutro: l’articolo 3 della Costituzione ne racchiude il senso e pone alla scuola una domanda che ne costituisce il compito: cosa servirà a chi oggi è bambino o adolescente quando diventerà donna o uomo, per poter essere una persona umana, un cittadino, un lavoratore libero, consapevole, critico, uguale? J. Bruner (1997) riteneva che i sistemi propri di una cultura, i valori o i disvalori che costituiscono anche il clima educativo di una scuola, sono determinanti per fornire modi di pensare, di parlare, di sentire, di agire e di gestire i rapporti interpersonali. Senza sottacere che le scuole stesse, avendo una determinata collocazione geografica, possono riprodurre le sottoculture esistenti nel territorio, perpetuandole. La normativa può evolvere, ma se non diventa cultura condivisa si stratificano le disuguaglianze sociali; i curricoli scolastici e i “climi” delle diverse scuole riflettono valori culturali inespressi parallelamente ai progetti espliciti. La conoscenza non è separabile dall’esperienza e tutti gli apprendimenti affettivi, sociali, cognitivi, metacognitivi costituiscono per ciascuno di noi un patrimonio unitario funzionale per vivere nel mondo e per orientare le nostre scelte nell’esperienza privata e sociale, per una autentica comprensione intellettuale e umana. La prima riguarda la comprensione del significato dei discorsi dell’altro, del linguaggio, delle idee, della sua visione del mondo, riconoscendo che “Mi sento offeso” non equivale a “Ho ragione”. Comprensione resa problematica dal “rumore” che crea malintesi e non coglie i sottintesi, dalla polisemia e dalla superficialità dei messaggi e delle nozioni, dai legami di contesto, dagli ermetismi intenzionali e dalle semplificazioni che vogliono ridurre realtà complesse. Si rileva spesso la presenza di tranelli semantici che modificano la rappresentazione dei fatti: quando si usa incursione al posto di invasione, quando si afferma “questo è meglio” senza dire meglio di che cosa, oppure quando il processo viene confuso con il contenuto, o la qualità con la quantità o -ancora- il predicato con la relazione. Gli enunciati gli spinaci sono verdi (verdi è un predicato), gli spinaci sono buoni (buoni è una relazione tra gli spinaci e chi li assaggia) non possono essere confusi e sovrapposti. Non è un fatto banale, se si vuole davvero comprendere ciò che l’interlocutore, compreso quello politico, vuole dire, vale anche quando si parla di riforme scolastiche, ad esempio. La comprensione umana, che è sempre intersoggettiva, richiede empatia e simpatia, riconoscimento dell’altro come simile nell’umanità e diverso nella singolarità, comincia nell’agire quotidiano, dalla cortesia e dalla buona educazione che viene prima dell’“educazione” tanto argomentata. L’incomprensione la vediamo ovunque, ne vediamo gli effetti tossici: idee preconcette, razionalizzazioni e generalizzazioni costruite su premesse arbitrarie, incapacità di autocritica, arroganza, prevaricazione, il disprezzo… come se si avesse paura di comprendere questa forma di isteria collettiva. Allora si invoca la giustizia confondendola con la legalità, sovrapponendo il piano dei sentimenti a quello delle norme che fondano il vivere umano sul senso del limite e del possibile.
2- Attraversare la contemporaneità con razionalità e correttezza scientifica.
Apprendere a scuola è diverso da come si apprende negli altri luoghi e negli altri tempi della vita, le esperienze che si vivono sono intenzionali e progettate e se non tarate sul gruppo di apprendimento, il rischio di decontestualizzazione è alto. Lasciano perciò perplessi alcune iniziative e comunicazioni-spot ministeriali rispetto a interventi che di volta in volta riguardano l’educazione alimentare, il comportamento degli alunni, o, in questo momento, il contenimento delle violenze di gruppo di cui la scuola dovrebbe farsi carico, continuando a ricacciarvi i problemi della società civile, con determinazione proporzionale all’incapacità della società di farvi fronte, trovando soluzioni accettabili e praticabili. In una scuola a base sociale ampia ed eterogenea come la nostra, i messaggi “educativi” che possono lasciare traccia non sono quelli strumentalmente collegati a questioni contingenti su cui si concentra l’attenzione del momento, proponendo interventi e discorsi moralistici spesso contraddetti dagli adulti che li propongono, senza rilevarne la ricaduta e l’efficacia. Può essere uno spreco del tempo e dell’intelligenza delle generazioni in formazione. In una società complessa solo la cultura, e l’intelligenza che ad essa si collega, può consentire di scegliere, di valutare, di accogliere le scelte e i comportamenti altrui, di rispondere delle proprie decisioni, di comprendere i diritti e i doveri, i limiti e le possibilità delle azioni individuali e di quelle collettive. Attraversare la contemporaneità a scuola si può e si deve, si può parlare di tutto ciò che succede con sguardi e linguaggi disciplinari, per poi ricondurre le narrazioni alla comprensione dei fatti e delle relazioni in un quadro che rappresenta la verità di quel momento. Altrimenti ci si limita a parlare (spesso a stra-parlare) e a questo provvedono egregiamente, in genere, i media e i social.
Significherebbe banalizzare scegliendo l’estensione e non la profondità dell’approccio, perché il fine dell’istruzione- e dell’educazione- è quello di permettere a ciascuno di costruire/sviluppare abiti mentali che permettano di ragionare su ciò che accade- e sulle narrazioni- in modo scientifico, storico ed estetico per conoscere e comprendere il senso di ciò che la società, questa società, pensa sia vero, bello e bene, per rifletterci ed agire secondo le proprie convinzioni (Gardner). Ricevere un’istruzione dovrebbe permettere di capire il mondo- fisico, biologico, sociale, il proprio mondo personale e quello più vasto culturale e sociale- in modo diverso da come lo si capirebbe se non la si ricevesse. Le discipline ci permettono di trovare le prime ragionevoli risposte a tutte le domande essenziali che ci facciamo fin dalla più tenera età, le stesse domande che si pongono il mito, la religione, la filosofia, la scienza; risposte che nel corso dei secoli sono state date da altri e da altri ancora riviste e corrette. Senza le discipline non c’è interdisciplinarità. Senza domande non ci sono ipotesi, senza ipotesi non c’è scienza, non c’è ricerca, non ci sono dati da leggere alla luce della teoria che ha guidato la domanda-ricordando che organizzare i dati in un modo o nell’altro crea “verità differenti” (Watzlawick) -, non ci sono “verità” ma false conoscenze che confondono ciò che è noto con ciò che è vero (Legrenzi-Umiltà). Il ruolo che ha avuto e ha la propaganda la dice lunga. J. Gobbels, l’inventore della propaganda nazista, pare fosse solito affermare “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventa una verità”. È un aspetto della contemporaneità che può diventare oggetto di conoscenza e di analisi critica da parte degli studenti, di domanda e di confronto, di valutazione e di scelta, se non si limita a diventare una serie di cartelloni. Parlare della bomba atomica e del film su Oppenheimer, oltre gli ovvi aspetti e contenuti proposti dalla fisica, può permettere di riflettere sulle azioni che si scelgono senza prefigurarsi le conseguenze. È un esempio tra i tanti. Gli eventi della contemporaneità sono formativi quando vengono letti attraverso le regole dell’arte, della scienza, della storia, della geografia, dell’economia… e, parallelamente, le scienze, la storia, l’arte l’economia sono formative se offrono categorie concettuali e interpretative per leggere anche fenomeni come la violenza individuale e di gruppo, la costruzione delle identità, le discriminazioni, l’evasione fiscale, le mafie, le pandemie, i vaccini. Si può, ad esempio, ragionare sulla teoria dell’evoluzione in modi diversi: facendo classificazioni tassonomiche delle specie, costruendo diagrammi, attraverso l’analisi di testi…non c’è una rappresentazione privilegiata di uno sguardo così come non c’è un linguaggio migliore di un altro. La comprensione di un argomento è tanto più solida se la si sa rappresentare-rappresentarsi in diversi modi passando da uno all’altro, ragionando sui fatti in modo diverso. Il punto di accesso rimane sempre la domanda e a questo proposito è importante distinguere- come fa Huberman- i perché (la ricerca delle cause) dai per che (la comprensione degli scopi) di una azione o di una narrazione. La domanda rispecchia l’esperienza e il desiderio di chi la pone (come la psicofisica ha cercato di dimostrare) e ha una soglia di attivazione che dipende dal contesto, dalle relazioni tra gli elementi del contesto, dal grado di incertezza e quindi dalle possibilità di scelta e di azione. Questo ci hanno detto filosofi come C. Sini e E. Morin, o scienziati come Weber e Fechner (Bruno). Questo dovremmo cercare di far comprendere.
3- In attesa di conoscere…
In attesa di conoscere il preannunciato progetto del MIM, alcuni spunti per una riflessione (non l’ennesima formazione) da parte degli insegnanti affinchè si possa procedere a una revisione complessiva e non ci si limiti all’aggiunta di un altro pezzo al caotico puzzle che è diventata la scuola. Nonostante le dotte e puntute considerazioni che ogni tanto, da anni, appaiono sui quotidiani, l’ultima sul Corriere della sera di qualche tempo fa, la scuola è e rimane parte del sistema educativo del territorio in cui opera, traducendo le Indicazioni e le Linee Guida Nazionali nel curricolo attraverso la progettazione collegiale e la ricerca didattica per rispondere ai bisogni di quel territorio, nei limiti stabiliti dall’Autonomia, configurando la propria azione come strumento per il superamento degli ostacoli e non come ostacolo da superare; affrontando problemi reali così come si presentano nella situazione specifica, progettando interventi mirati che partono dalla ripetizione di ciò che è già stato fatto, apportando graduali cambiamenti in una integrazione continua di insegnamento conservativo e innovativo piuttosto che cercare di replicare le condizioni di percorsi realizzati in altri contesti. Per risolvere problemi nuovi e prendere decisioni corrette non è sufficiente usare strategie consolidate, ma il conosciuto, la prevedibilità delle azioni, riduce l’incertezza e genera fiducia e la fiducia permette di proporre i cambiamenti desiderati. L’analisi di alcuni fenomeni, condotta mettendo in connessione processi macrosociali ed esperienza soggettiva, facendo leva su questa, può permettere a chi ci riflette, alunni o adulti, di rendersi conto di queste connessioni e riconoscere che esperienze e connessioni lo riguardano, andando oltre l’ovvio del senso comune e delle ideologie correnti. Riconoscere come propria un’esperienza apre lo spazio d’azione per appropriarsene e incidere su ciò che accade, cambiando l’esperienza e le relazioni che l’hanno generata. È una modalità diversa di procedere, inattuale perché collide con la modalità, diffusa, di affrontare le questioni offrendo i risultati oggettivi e sistematici di uno sguardo esterno. Qui si parla di esperienza, di azione, di legami, di autorità, di potenza e di potere inteso come legame sociale, cambiando la visione e il vocabolario, aprendo piste più che fornire soluzioni. Riflettere, ad esempio, sul costrutto di autorità (che deriva da autore, che autorizza, fa) aspetto che dà forma alle relazioni sociali nella vita pubblica come in quella privata, permette di mettere in luce l’adesione volontaria di chi la legittima. Nel vincolo di autorità i subordinati obbediscono agli ordini volontariamente, per paura di rompere un vincolo da cui dipende anche la loro identità sociale, o per ragioni più radicate e sottili che guardano all’autorità come principio di contenimento. In ogni caso il principio di autorità organizza socialmente le emozioni. Provare a leggere fatti come l’aggressione ai docenti, gli stupri di gruppo, gli atti di bullismo o i fenomeni di sexsting o la pornografia on line attraverso queste lenti potrebbe generare esiti insperati nella partecipazione dei ragazzi e nella presa di coscienza delle azioni e delle responsabilità personali e collettive. Prendere atto della gestione problematica del proprio corpo – soprattutto per i maschi- o dell’infelicità del proprio aspetto fisico- per le femmine- collegandoli al tema dell’apparire e all’onnipresenza di internet e dei social (l’autorità) richiede nuovi schemi di ragionamento che possono venire solo dai giovani perché sono loro (parecchi, non tutti per fortuna) che vivono il femminile spesso come femmina e meno spesso come madre, il maschile come maschio, raramente come padre.
4- Conclusione interlocutoria.
J. Dewey pensava che “…per cambiare un sistema sociale occorre cambiare anche il modo di proporre il cambiamento”; la scuola può diventare effettivamente il volano per ricomporre e risignificare gli accadimenti sociali del presente. Cambiare non è facile, sul piano personale e su quello istituzionale: da un lato implica una dimensione etica, orientata al raggiungimento di mete rilevanti per la scuola, la cultura, la società; dall’altra comporta ansie, resistenze, paure, conflitti…per tutti. Il cambiamento non deve essere considerato un evento di rottura con il passato né un fatto eccezionale, ma una dimensione costituente del lavoro quotidiano e dell’organizzazione dell’esistenza che si evolve sotto la spinta delle richieste sociali e dei progressi della ricerca. Nella scuola, la scuola che dobbiamo permetterci, il cambiamento dovrebbe rappresentare una dimensione intenzionale e permanente e non ridursi a un riferimento di attualità o di moda: la riforma la fa il Parlamento, vero, ma l’innovazione la pratica la scuola, ciascuna scuola, partendo da ciò che è.
Due sono le urgenze da affrontare: ridefinire le priorità dell’azione della scuola (contenutistiche e di funzione) e la sua qualità di istituzione, agendo sia sugli ordinamenti sia sui curricoli e, prima ancora, a livello politico. Considerando i curricoli dipendenti e influenzati dalle condizioni culturali esterne e considerando l’esperienza stessa della scuola, per certi aspetti, strutturalmente inefficiente rispetto alla totalità delle richieste, occorre confidare sulla natura intrinsecamente collettiva della conoscenza (Sloman) e sul necessario superamento della logica “additiva” del sapere (Legrenzi), curando che dietro le parole ci siano le cose e i fatti e non solo altre parole. Magari ricordando che le lingue “piatte” non sono lingue umane, per dirla con A. Moro (2022).
Dobbiamo permetterci una scuola che costruisca in ottica di cittadinanza
– a) il sistema culturale: saperi formali e contesti di realtà, categorie interpretative, sintesi di significati;
– b) il sistema relazionale/sociale: forme e scopi delle relazioni sociali, di impegno civile, di partecipazione, di solidarietà;
– c) il sistema delle padronanze per l’auto-orientamento: consapevolezza delle motivazioni, autoefficacia, conoscenza e gestione dei comportamenti, scopi delle azioni nel privato e nel sociale;
– d) il sistema etico/morale: principi e regole che governano l’agire consapevole e intenzionale nel privato e nel sociale.
Puntando più sull’insegnamento/apprendimento di categorie e di metodi piuttosto che su contenuti disciplinari che propongono “materie” separate, perché nella separatezza e nella parzialità si moltiplicano le possibilità di errore. Le scienze servono se hanno significato per l’uomo, per dirla con Enzo Paci, se aiutano a vivere perché vivere è il primo compito dell’uomo che, per farlo, deve conoscere e comprendere, collegando fatti e nozioni anche quando sono dissonanti. Se, come sosteneva H Brun, “L’istruzione non è un diritto né un privilegio: è una necessità; l’istruzione consiste nell’imparare a fare domande legittime”, cioè quelle domande di cui non si insegna la risposta perché pongono un problema, non chiedono un contenuto e la risposta non è un predicato ma è una relazione.
RIFERIMENTI
Bruno, N., (2023), La legge del desiderio, Bologna, Il Mulino
Salinger, J. D. (1970), Il giovane Holden, Torino, Einaudi
Bruner, J.S., (1997), La cultura dell’educazione: nuovi orizzonti per la scuola, Milano, Feltrinelli
Brun, H., Technology and tre Composer, in von Foerster,H., a cura di, Interpersonal Relational Networks, Centro Intercultural de Documentacion, Cuernavaca,1971
Gardner, H., (2011), Verità, bellezza, bontà. Educare alle virtù nel ventunesimo secolo, Milano, Feltrinelli
Legrenzi, P., (2022), Quando meno diventa più, Raffaello Cortina Editore
Legrenzi, P., Umiltà, C., (2023), Il sapere come mestiere, Bologna, Il Mulino
Huberman, G-D., (2023), Per che obbedire, Sossella Editore
Morin, E., (2015), Insegnare a vivere- manifesto per cambiare l’educazione, Milano, Raffaello Cortina Editore
Sini, C., (2007), Eracle al bivio, Torino, Bollati Boringhieri
Chomsky, N., Moro, A., (2022), I segreti delle parole, La Nave di Teseo
Dewey, J., (1913), Il mio credo pedagogico, Adelphi
Paci, E., (2022), Funzione delle scienze e significato dell’uomo, RCS-a cura di Carlo Sini
Sloman, S. Fernbach, P., (2018), L’illusione della conoscenza, Raffaello Cortina Editore
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