Inclusione dove sei? Uno su tre non ci crede più
Vita del 17/11/2023
L’inclusione scolastica è «utopistica e irrealizzabile» per una persona su tre (32%). E se la disabilità è grave, gli insegnanti che pensano che una vera inclusione non è fattibile arrivano al 47%. Più sono giovani, più sono scettici. I dati shock di una ricerca curata da Dario Ianes.
Se la prendi larga, sono tutti d’accordo: che l’inclusione scolastica sia un valore per ogni alunno, indipendentemente dal suo grado di disabilità, è una frase che raccoglie un consenso unanime, del 96%. Ma se approfondisci e vai nella concretezza, ecco che il valore dell’inclusione scolastica vacilla proprio fra chi vi è più direttamente coinvolto: insegnanti curricolari e di sostegno, tecnici, operatori dei servizi, genitori. Vacilla sia sul piano del valore sia su quello della fattibilità concreta. L’inclusione scolastica è «utopistica e irrealizzabile» per una persona su tre (32%). E dopo 40 anni di inclusione scolastica, per quattro persone su dieci l’Italia non ha affatto sviluppato una maggiore capacità di accogliere le differenze, bocciandone quindi l’impatto sociale e culturale. Nel caso di un alunno con disabilità grave quasi una persona su tre è scettica: il 27% del campione crede che l’inclusione non sia la scelta migliore e benché più di otto su dieci boccino il «modello formativo a tre vie» che prevedrebbe la possibilità di essere inseriti in contesti scolastici diversi a seconda delle caratteristiche del singolo alunno (scuole speciali, classi speciali e inclusione piena in classe), ecco che chi lavora quotidianamente con un alunno con disabilità grave pensa spesso che una vera inclusione non è fattibile: il 47% del campione, quasi uno su due.
Sono alcuni dei dati inediti e sorprendenti raccolti dal team di Ricerca & Sviluppo di Erickson, che Dario Ianes – ordinario di Pedagogia dell’inclusione alla facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano-Bozen e co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento – presenta oggi a Rimini nell’ambito della XIV edizione del convegno La qualità dell’inclusione scolastica e sociale.
La ricerca Inclusione scolastica e sociale: un valore irrinunciabile? Quanto è fattibile, efficace e condivisa nei suoi valori? è frutto di un sondaggio nazionale anonimo realizzato fra settembre e ottobre 2023 fra le persone interessate nei diversi contesti educativi e sociali (scuole, cooperative, servizi, famiglie). Hanno risposto in 3mila. «Il fatto che questo campione sia auto-selezionato, composto cioè da persone che hanno scelto liberamente di dedicare del tempo a rispondere e con buona probabilità, orientate favorevolmente verso l’inclusione, verosimilmente impegnata per realizzarla», osserva Ianes. «Questo significa che la percezione del valore e dell’impatto dell’inclusione nella popolazione generale è ancora più basso, direi almeno al 40-45%».
Partiamo dall’inizio. Perché l’idea di “sondare” lo scetticismo degli italiani verso l’inclusione? Abbiamo sentore che nell’inclusione non ci crediamo più?
Parto da una citazione: «Lungi dall’essere un modello che altri Paesi potrebbero emulare, il sistema educativo inclusivo italiano è un esempio di come la pratica dell’inclusione possa essere inefficace, se non addirittura controproducente, rispetto al suo scopo essenziale». Lo scrivono Philippa Gordon-Gould e Garry Hornby, nel libro Inclusion at the crossroads appena pubblicato da Routledge. Ma 2017 era già uscito Inclusion is dead di Peter Imray e Andrew Colley, che è stato un po’ il capostipite dello scetticismo, tanto che già nel 2019 ne avevamo discusso, con Giuseppe Augello, nel libro Gli inclusioscettici. Le cose in questi anni sono andate avanti: oggi la corrente di pensiero scettica sull’inclusione scolastica sembra prendere sempre più forza a livello internazionale. In agosto per esempio Björn Höcke, leader della destra radicale tedesca dell’Afd in Turingia ha proposto “scuole separate per i disabili” e ha definito “ideologica” l’inclusione. La notizia è stata molto ripresa in Italia: qui da noi nessuno dirà mai “torniamo alle scuole speciali”, però c’è uno scetticismo strisciante… Che in realtà è nascosto e strisciante nelle parole ma non tanto nei fatti, visto che il 23%, cioè quasi un insegnante/operatore su quattro, crede nell’utilità dell’aula di sostegno e pensa che sarebbe molto utile che gli alunni con disabilità grave, per il loro apprendimento e benessere generale, dovrebbero lavorare per la maggior parte del tempo in uno spazio dedicato.
Ma siamo scettici sul valore dell’inclusione o sulla sua attuabilità concreta?
Entrambe le cose. Uno degli elementi centrali è certamente la difficoltà dell’implementazione dell’inclusione ma il fatto che tu nella pratica quotidiana sia frustrato… prima o poi eroderà anche i valori di fondo. Oggi la dimensione del valore appare solida, con il 96% dei rispondenti che considera l’inclusione un valore di giustizia sociale, ma per la teoria della dissonanza cognitiva è evidente che non si può restare a lungo in una situazione di discrepanza così ampia.
A livello di obiezioni, quali sono quelle prevalenti?
Ci sono quattro macro-argomenti:
– che l’inclusione lede i diritti dei compagni di classe senza difficoltà ad apprendere e sviluppare appieno il loro potenziale (“gli alunni con disabilità rallentano il gruppo classe”);
– l’inclusione lede i diritti anche degli alunni con disabilità più grave a ricevere un’offerta educativa e formativa maggiormente adatta ai loro bisogni, perdendo tempo prezioso per altri apprendimenti più utili nella dimensione di autonomia personale e sociale;
– l’inclusione espone gli alunni con disabilità, soprattutto intellettiva, a gravi minacce identitarie e di autostima, a causa degli episodi di stigmatizzazione, esclusione e bullismo a cui sono sottoposti da parte dei compagni;
– l’indisponibilità di altre opzioni, tipo classi o scuole speciali, lede i diritti delle famiglie a scegliere soluzioni differenti.di Sara De Carli