Viet Thanh Nguyen, l’identità cercata
di Antonio Stanca
È appena uscita, nella serie “Beat Bestseller” della Neri Pozza, una nuova edizione de I rifugiati, raccolta di racconti dello scrittore vietnamita Viet Thanh Nguyen. L’opera risale al 2017, la traduzione è di Luca Briasco. Nel Vietnam degli anni ’70, quelli della guerra tra Nord e Sud, comunisti e democratici, e del dopoguerra, rientrano le persone, le storie di questi racconti che riguardano in particolare l’esodo al quale allora si era assistito dei tanti vietnamiti fuggiti da quei luoghi per cercare salvezza e fortuna altrove, in molti casi in America. Nel Vietnam si era diffuso uno stato di pericolo, di miseria, di malattia, di morte, si era creata una situazione di paura che muoveva gran parte della popolazione a rifugiarsi in altri posti, in altri paesi pur se lontani.
Anche la famiglia dello scrittore nel 1975, quando lui, nato nel 1971, era ancora piccolo, era fuggita da Buôn Ma Thuôt. Era andata negli Stati Uniti, prima in Pennsylvania, poi ad Harrisburg ed infine in California, a San Jose. Qui Nguyen aveva studiato e nel 1992 si era laureato con titoli di merito. Dal 1997 insegna all’University of Southern California di Los Angeles. D’allora, da quando aveva ventisei anni, ha cominciato a scrivere racconti brevi e saggi finché nel 2015 è comparso il primo romanzo, Il simpatizzante, che dice della guerra in Vietnam, che nel 2016 ha ottenuto il Premio Pulitzer per la narrativa e che ha avuto una riduzione televisiva. Nel 2024 sarebbe venuto Io sono l’uomo con due facce, nominato il miglior libro dell’anno da NPR e impegnato a trattare il problema della difficile ricerca di una nuova identità per chi, fuggito dal Vietnam, non sapeva rinunciare alla vecchia.
Molti riconoscimenti ha ottenuto Nguyen per la sua produzione narrativa. Intensa è pure l’attività che svolge tramite giornali, blog, manifestazioni pubbliche, al fine di favorire i rapporti culturali tra il Vietnam e i paesi dove molti vietnamiti si sono rifugiati, di diffondere la conoscenza della storia, della cultura, della lingua, dell’arte vietnamita. Far giungere altrove vuole quanto per secoli era rimasto sconosciuto, nascosto. Anche la sua narrativa, quasi completamente improntata a dire del vecchio e nuovo Vietnam, ubbidisce ai suoi propositi di divulgazione delle vicende di un popolo nato e vissuto ai confini della terra, nel buio dei secoli. Ne I rifugiati si assiste a questo bisogno dell’autore che, però, secondario risulta rispetto ad un altro più urgente, quello dell’acquisizione di una figura nuova, di una nuova identità per chi dal Vietnam è fuggito e non riesce a dimenticare quanto gli è derivato, quanto deve al suo paese. I nuovi posti, la nuova gente, la nuova vita gli ha offerto altre opportunità, lo ha sollevato, lo ha salvato da tanti pericoli, gli ha reso possibile una nuova condizione. Ma può questa trasformarsi in una nuova identità, cancellare quella precedente, può una persona diventare un’altra, annullare ogni segno, ogni traccia del suo passato? Dai casi che lo scrittore adduce tramite i racconti della raccolta non sembra possibile che due vite si riducano ad una sola mentre più naturale sembra che stiano insieme nella stessa persona anche se di molti problemi possono essere la causa. Sono, infatti, esistenze difficili, travagliate quelle che Nguyen fa vedere, sono persone divise tra prima e dopo, sospese tra situazioni, culture, credenze, lingue diverse, sono vite che non si fanno riunire, comporre, combinare. Anche lo scrittore fa parte di questa categoria di persone, è una delle vittime di questo problema e da qui il suo interesse a scriverne, a parlarne, ad impegnarsi in tanti modi perché lo si possa almeno ridurre. È un’operazione la sua che assume valore di esempio, che può essere considerata una via da seguire visto che il fenomeno delle migrazioni di massa tende a complicarsi sempre più. È come se Nguyen dicesse che non basta accogliere gli stranieri ma serve anche conoscerli, capirli, serve scambiare con loro, con quanto pensano, credono, sentono. Disporsi a stare insieme, ad integrare la loro con la nostra vita: è un progetto difficile da realizzare ma è l’unico se si vuole risolvere il problema della loro presenza, se li si vuole far sentire inseriti, capaci di una posizione, di un’identità propria. Una vita allargata, una storia allargata, un’umanità allargata grazie alla riduzione delle distanze, delle differenze: non c’è altro modo per ritrovarsi pur quando si è diventati molti, per sentirsi nuovi, liberi, autonomi pur quando si è lontani dalla prima vita. Non scrive, non parla solo per sé, per il suo popolo Nguyen ma per tutti, per ogni popolo rimasto indietro nel cammino della storia!
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