IL MEDIOEVO TRA VERITA’ STORICA E MISINFORMATION MEDIATICA
di Carlo De Nitti
L’idea, di matrice umanistica prima ed illuministica poi, che il Medioevo – il periodo storico che, orientativamente, si suole fare incominciare, per convenzione, con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.) e concludere con la scoperta dell’America (1492) (ma ci sono anche altre periodizzazioni non meno storicamente fondate) – sia stato un tempo buio, caratterizzato da “oscurità” (con semantica idealistica, da ‘antitesi’ hegeliana) e da oscurantismo, da ignoranza e da superstizione, é certamente molto dura a morire, ancora nel XXI secolo. Non è inusuale imbattersi nella pubblicistica cosiddetta divulgativa e nella comune percezione in locuzioni che richiamano la cosiddetta ‘età di mezzo’ come di un unicum da rigettare o da utilizzare a fini non sempre scientificamente corretti.
I medievisti più avveduti hanno da tempo attivato un’opera iconoclastica verso certe immagini del Medioevo nel mondo di oggi: per chi scrive, da barese, non è possibile non ricordare le carismatiche figure di Giosuè Musca (1928 – 2005) e Raffaele Licinio (1945 – 2018) – alla cui memoria il volume è dedicato – in quest’opera di giusta valutazione del mondo medievale. Ancora nel 2025, riflettere su quello che sui media si dice o si scrive sul Medioevo non è pleonastico: per scoprirlo è indispensabile un documentato “virgilio”, come il giornalista e scrittore Marco Brando, che ha recentissimamente pubblicato, per i tipi della Salerno Editrice, il volume Medi@evo. L’età di mezzo nei media italiani, arricchito dalla Prefazione di Marina Gazzini, medievista e docente dell’Università degli studi statale di Milano, che ben precisa compiti e ruolo dello storico di professione: si legga, a tal proposito, p. 15.
Marco Brando, da tempo, si occupa del tema: l’uso, l’abuso ed il riuso del termine Medioevo nel nostro tempo da parte dei media. L’obiettivo dichiarato del volume è “il tentativo di svolgere una prima analisi della narrazione utilizzata dai numerosissimi giornalisti e comunicatori che accedono al passato, quindi anche al Medioevo, in modo routinario; cioè durante il lavoro quotidiano, anche quando affrontano temi che non c’entrano affatto con quel lontano passato” (p.19).
Attraverso i nove capitoli e la conclusione che compongono il suo documentatissimo (peraltro corredato da una ricca biblio-/siti-grafia), ma anche molto fruibile, volume, Marco Brando chiarisce che, accanto al medioevo storico, esiste un Medioevo comunicato ai profani che è possibile chiamare medievalismo ovvero “lo studio del processo continuo di creazione del Medioevo nella società post medievale; la sua data di nascita risale alla fine degli anni Settanta del Novecento, quando – soprattutto negli Stati Uniti – era diventato, come è stato già scritto, un campo di studi coerente” (p. 25). Il neologismo medi@evo, che compare nel titolo del volume qui recensito, è, probabilmente, il termine più corretto per parlare del medioevo, come riferito dai media del nostro tempo (cfr. p. 22).
Nell’ottica di una corretta lettura e percezione del Medioevo, a Bari, nel 1976, nacque la rivista <Quaderni medievali>, diretta da Giosuè Musca – erede della cattedra di Storia medievale della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Bari, che era stata di Gabriele Pepe (1899 – 1971) – presso la casa editrice Dedalo, sulla quale esisteva una rubrica intitolata L’Altro Medioevo, curata da un giovane Raffaele Licinio, sul Medioevo come visto e deformato dagli ‘altri’, i non specialisti, spesso soltanto per mera ignoranza di quanto citato.
Oltremodo ricco è il campionario delle inesattezze e delle vere e proprie falsificazioni sul Medioevo che corrono veloci e mai smentite nei media, nel web ed anche nelle istituzioni politiche, non escludendo neppure il Parlamento della Repubblica: molto fruibile e bipartisan – l’ignoranza, com’è ben noto, non è prerogativa esclusiva di questo o quel deputato/senatore o partito politico, insomma, non ha colore né odore – a tal riguardo, risulta il capitolo VI “La politica italiana tra Medioevo e media” (pp. 92 -110). I cosiddetti “quarto” e “quinto” potere, negli Stati democratici, dovrebbero esercitare una funzione di controllo del potere politico in tutti i sensi, anche in quello della manipolazione del passato: “il mondo del giornalismo dovrebbe essere consapevole del fatto che la manipolazione del passato è costante con gravi conseguenze a livello sociale e culturale […] Anche in questo contesto, servirebbe che gli organi di informazione svolgessero il ruolo di ‘controllori’; peccato che sia scarsa la competenza in campo storiografico da parte dei giornalisti” (pp. 109 – 110).
Che fare allora per evitare ogni forma di misinformation, attenendosi alla verità storica? A chi scrive queste righe paiono ottime le parole di Marina Gazzini a conclusione della sua Prefazione: ”Per risultare credibile, lo storico dovrà inoltre ricordare sempre di dare ragione delle proprie posizioni, delle proprie tesi, affinchè chi lo legge sappia con chi ha a che fare. Allo storico, infatti, non si deve chiedere di essere imparziale, ma di essere garanzia di obiettività” (p. 15).
Che fare, allora, da parte dei giornalisti e delle loro competenze per scrivere di storia o fare citazioni storiche, facendo nascere o consolidando stereotipi? Scrive Marco Brando: “i professionisti dei media […] potrebbero e dovrebbero dare un contributo (una volta presa coscienza del loro ruolo nella formazione della memoria collettiva) in favore della consapevolezza della ‘mentalità storica’ (a cominciare da un aggiornamento delle loro competenze). Magari potrebbero farlo anche cominciando a evitare di abboccare, spesso senza alcuna verifica preliminare, a ogni esca pseudo-storica o fanta-storica” (p.154).
Post Scriptum – Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 del XX secolo, al tempo della prima creazione dei Dipartimenti universitari (1980) – prima le Facoltà si componevano di Istituti – c’era un ragazzo intorno ai vent’anni, studente di filosofia, che ha avuto il privilegio di ascoltare, le lezioni di medievistica e di metodologia storiografica di alcuni dei Maestri citati in questo interessante volume di Marco Brando ed ha cercato di farne tesoro nei decenni seguenti nelle sue successive attività di docente e, forse può apparire strano, di dirigente scolastico. Queste righe sono un modo per dire loro grazie.
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