E. Fiorentino, Sull’arco dell’aurora

SULL’ARCO DELL’AURORA: APRIRSI PER UNIRE/UNIRSI NELLA NARRATIVA DI ENZO FIORENTINO

di CARLO DE NITTI

A due anni di distanza dalla sua prima fatica letteraria, Una breve stagione d’amore, Enzo Fiorentino ci conduce per mano, attraverso questo suo nuovo romanzo, Sull’arco dell’aurora, pubblicato sempre per i tipi della casa editrice romana Albatros: un romanzo avvincente, da leggere tutto d’un fiato, com’è occorso a chi sta scrivendo queste righe. Ancora una volta, per fortuna di noi lettori – verosimilmente in tanti – Enzo Fiorentino dismette, ma non del tutto, le vesti del saggista, del sociologo, del francesista, del sindacalista e del dirigente scolastico, per vestire quelle del narratore, dimensione in cui si trasfigurano tutte le altre della sua poliedrica personalità teste evocate.

Il romanzo si snoda attraverso sei capitoli: “L’amarezza”, “Il trasferimento”, “Amore e ricordi”, “Ripensamento e riesame”, “La felicità minacciata”, “L’alba s’indora”. Molto evocativo appare a chi scrive il titolo scelto, Sull’arco dell’aurora: un arco non può che indicare un’apertura, un ‘ponte’ per unire due persone, due luoghi, due mondi, due epoche, creando condivisione, come caratteristico di una città di frontiera come, da sempre, quella in cui il romanzo è ambientato, Trieste.

È in quella città che viene inviato, in qualità di direttore regionale di un imprecisato ministero, per una sorta di mobbing, Fulvio, ottimo dirigente ministeriale, di origine meridionale, le cui idee non sono sempre in linea con il ministro pro tempore: “Cerco un buon direttore in grado di svecchiare l’ufficio regionale del Friuli, volte a favorire ed assecondare il processo di trasformazione già in atto […] Mi piacerebbe conoscere le motivazioni vere che l’hanno spinto ad adottare una tale risoluzione. Mi sento perseguitato. Ritengo il provvedimento non già una promozione o, tanto meno, un gesto di fiducia, come lei sostiene, nei miei confronti” (p. 18). È, quindi, il capoluogo di regione, Trieste, il luogo in cui Fulvio incontra Edda, rectius, la signora Edda Martin, una competente e solerte funzionaria dell’ufficio, segretaria del direttore precedente, donna di elevata questa condizione sociale, con ascendenze caratteriali mitteleuropee, risalenti al tempo, nemmeno tanto lontano spiritualmente, degli Asburgo.

            La storia d’amore che si sviluppa tra Edda e Fulvio non è né semplice né banale tanto per i caratteri entrambi quanto per i loro vissuti pregressi. Edda è sicuramente la donna che ha bisogno di un uomo molto empatico che le consenta di aprire il suo cuore al fine di rielaborare il suo passato (i rapporti familiari: simbiotico con il padre, algido con la madre, mutualistico con il fratello Renzo): Fulvio è certamente, fin dal primo momento, l’uomo per lei, la sua anima gemella, l’altra metà della mela, l’androgino che si ricongiunge, pur avendo scontato passato la presenza di una madre eccessivamente possessiva (cfr. pp. 193 – 194).

È proprio nell’ultimo capitolo del volume che emerge a tutto tondo il rapporto di Edda con il fratello Renzo, figlio dello stesso padre ma non della medesima madre, allontanato da questa dalla casa avita e divenuto un affermato neurochirurgo: egli è sempre affettivamente presente fisicamente vicino alla sorella Edda colpita da problemi di tipo oncologico e al suo compagno Fulvio:
“si trattennero fino a notte inoltrata. Parlarono di quanto era accaduto dopo la partenza di Renzo. Fulvio si intrometteva di tanto in tanto per conoscere meglio situazioni da lui non risapute […] Ascoltandolo, nell’inesplorato scopriva aspetti di una personalità che appariva i suoi occhi al di fuori dall’ordinario […] Tanto, a dispetto della fanciullezza, allorchè aveva conosciuto l’affetto necessario e, invano, cercato, per crescere e vivere in tutta serenità le relazioni familiari” (pp. 218 – 219 passim).

              La loro relazione sentimentale si sviluppa contestualmente alle loro vicende professionali, in particolare, quelle di Fulvio, le cui idee in tema di leadership, forti ed innovative, sono dapprima osteggiate dal ministro, ma apprezzate al successivo cambiamento di Gabinetto: “Pensava alla formazione della squadra coinvolgendola e stimolandola verso il superamento  di antiquate strutture risalenti a tempi trascorsi, contraddistinte dalla netta separazione tra i diversi settori dell’organizzazione, cui non premeva il successo, perché sorda al cambiamento. Propendeva per una struttura agile il cui capo non fosse avulso dall’assetto strutturale, immaginandolo come il protagonista che deve stare in prima linea, disseminando progetti e motivando i componenti della squadra, i quali avrebbero dovuto partecipare non da passivi esecutori, ma come attori votati al successo e al conseguimento degli obiettivi inizialmente condivisi. Era, a suo parere, la via obbligata affinchè al capo fosse riconosciuto il carisma di leader indiscusso” (pp. 68 – 69).

Nella produzione narrativa di Enzo Fiorentino, torna la specifica ambientazione in Friuli – Venezia Giulia, regione al confine orientale della nostra penisola, in cui ha vissuto le sue prime esperienze da preside di istituti di istruzione secondaria negli anni Ottanta del secolo scorso, ma senza dimenticare il paese di origine di Fulvio, che appare a chi scrive non molto dissimile da quello di Zeno, ben più presente nel romanzo precedente. Della storia novecentesca di Trieste e del Friuli – Venezia Giulia, in questo romanzo, si avverte l’eco attraverso i vissuti pregressi dei personaggi: un esempio calzante è quello del dott. Enrico Montignan, il vicario di Fulvio, “un galantuomo di tempi passati per sempre che, ahimè, non torneranno mai più” (p. 77). Egli è figlio della drammatica storia del ‘900: “Mi sento straniero in questa striscia di terra e, al tempo stesso, estraneo alla mia patria […] A questa mia prima condizione di straniero, si è aggiunta negli anni la situazione di profugo, figlio di infoibato, che insieme hanno contribuito a scaraventarmi nel pessimismo più cupo, portandomi a credere che tutta la vita è assurda” (pp. 144 – 145).

Il Fulvio di Sull’arco dell’aurora, ma anche lo Zeno di Una breve stagione d’amore, vivono esperienze indimenticabili e formative della loro personalità in luoghi diversi della regione Friuli Venezia Giulia. Sono due personaggi che hanno sicuramente molte affinità tra loro accanto alle innegabili differenze: la solida preparazione culturale, le idee assolutamente innovative sulla leadership tanto in un’azienda privata (Zeno) piuttosto che in un ufficio pubblico (Fulvio), la schiena diritta da ‘hombre vertical’. Non è difficile invenire in loro tratti caratteriali e professionali peculiari del loro creatore, indimenticabile ed indimenticato dirigente scolastico: essi, a chi scrive queste righe, appaiono i suoi eteronimi.

Anche le donne che i protagonisti incontrano in Friuli – Venezia Giulia, Nanà in Una breve stagione d’amore ed Edda in Sull’arco dell’aurora manifestano peculiarità caratteriali tipiche della loro terra ed esercitano entrambe un grande charme, sia pure i modi e forme molto diversi tra di loro. I problematici vissuti esistenziali pregressi di Edda e di Fulvio non solo non fanno velo all’immediata simpatia con Fulvio prima, evoluta rapidamente in passione ed amore poi ed infine nella condivisione di un progetto di vita, ma consentono lore di vivere il presente ed il futuro che insieme stanno costruendo: “Anche se di diverse estrazione familiare di opposta formazione culturale, frasi vittime Innocenti di comportamenti, che ci hanno costretti, il nostro malgrado, a vivere traversie tanto simili, che hanno finito per sconvolgere la nostra esistenza. Opprimenti le madri per differenti motivazioni fino all’asfissia, ci hanno obbligato a sottostare alla loro intransigente e volontà. Un comportamento, quello delle madri, che mal si conciliava con la colla dolcezza e la condiscendenza dei nostri padri […] Ci hanno negato l’imprescindibile serenità nella delicata stagione della pubertà quando maturavano i tratti distintivi delle età adulta“ (p.113).

Il romanzo di Enzo Fiorentino è impreziosito dalla  splendida Prefazione del giornalista Duilio Paiano (pp. 7 – 11)  che ben lumeggia il mondo, letterario e non, dell’autore e dei suoi personaggi, protagonisti e deuteragonisti (eccellente il cane Corso): “Sull’arco dell’aurora è, soprattutto ma non solo, un viaggio che scorre fluido, accattivante, dispensatore di conoscenze e approfondimenti che si imprimono nella mente del lettore in forma di piacevole e utile bagaglio […] al di là delle pagine del romanzo il sogno può continuare, alimentato dall’intreccio ampio respiro e di sicuro impatto emotivo” (pp. 7 – 11).

L’epilogo del romanzo, unico e sicuramente non immaginabile dal lettore prima di leggerla, è aperto e rende ragione delle personalità di Edda e Fulvio, i due protagonisti, che si legano, senza rinunciare, nessuno dei due, alle sue peculiarità, che li rendono così reciprocamente affascinanti. Creano, insieme, un unicum familiare in cui Edda e Fulvio accolgono anche Ahmed, un piccolo orfano conosciuto da Edda nel centro raccolta migranti: ”Un esito che l’avrebbe, finalmente, sottratta alla solitudine, delle cui deleterie spire era stata prigioniera. La serenità, che sarebbe scaturita dalla sua nuova condizione esistenziale, le avrebbe giovato, anche nella lotta da lei ingaggiata contro il male del secolo, che lui era solito bollare con il marchio di drago infame e malefico […] L’alba si stava indorando“ (pp. 247 – 249).

L’arco dell’aurora è quello spazio immateriale che consente ai due protagonisti, provenienti da realtà assolutamente irrelate, di aprirsi reciprocamente all’altro da sé per unirsi in una nuova dimensione – di coppia, familiare e professionale – sino ad allora inesperita, che supera le loro vite pregresse con adulta consapevolezza e con un carico di speranza verso il comune domani.

L’orientamento inizia da piccoli

L’orientamento inizia da piccoli

Oltre i pregiudizi: l’orientamento precoce per una scelta consapevole

 di Bruno Lorenzo Castrovinci

Immaginiamo un futuro diverso, un mondo in cui la tecnologia ha superato limiti inimmaginabili, dove ingegneria e medicina si fondono in nuovi scenari e dove il concetto stesso di lavoro, come lo conosciamo oggi, non esiste più. I bambini, come noi un tempo, sognano, immaginano e creano mondi straordinari, proprio come i primi cartoni animati giapponesi e la saga di Guerre Stellari ci hanno mostrato universi in cui i confini della Terra si estendevano oltre il nostro pianeta per abbracciare l’infinito.

Eppure, questi sogni, oggi in parte realizzati, sono ancora minacciati da archetipi e stereotipi che li limitano, riportandoci a modelli sociali ormai obsoleti. L’orientamento alla costruzione di un progetto di vita non inizia con l’adolescenza, ma affonda le sue radici fin dalla scuola dell’infanzia. Già nei primi anni di vita, i bambini assorbono modelli sociali, culturali e familiari che influenzano le loro aspirazioni e aspettative future. Secondo studi di psicologia dello sviluppo, come quelli di Erik Erikson (1950), la costruzione dell’identità inizia precocemente e si nutre delle esperienze offerte dal contesto educativo. La scuola primaria assume un ruolo cruciale in questo processo, fungendo da spazio di scoperta e crescita, dove si possono sia consolidare sia decostruire gli stereotipi di genere e di classe sociale legati alle opportunità di carriera.

Le esperienze vissute nei primi anni scolastici sono fondamentali per la costruzione dell’autoefficacia percepita, concetto sviluppato da Albert Bandura (1997), che indica la fiducia di un individuo nelle proprie capacità di affrontare e superare sfide. Attività didattiche mirate, come laboratori di storytelling basati su figure professionali diversificate o simulazioni di scenari lavorativi, possono aiutare i bambini a sviluppare un atteggiamento di apertura e curiosità nei confronti del proprio futuro. Ad esempio, progetti interdisciplinari che coinvolgono la matematica, la scienza e l’arte in un contesto pratico possono ampliare la percezione delle possibilità professionali, favorendo una visione più ampia e inclusiva delle scelte di carriera.

Il ruolo della scuola primaria nella costruzione dell’identità e delle aspirazioni professionali

La pedagogia dello sviluppo ha ampiamente dimostrato che l’infanzia è un periodo critico per la formazione delle convinzioni e dei valori individuali. Teorie come quelle di Jean Piaget (1952) sulla costruzione della conoscenza e di Lev Vygotskij (1978) sull’apprendimento socio-culturale evidenziano come il contesto educativo e l’interazione con figure adulte siano determinanti nel plasmare l’immagine di sé e del futuro professionale. Inoltre, la teoria dell’autodeterminazione di Deci e Ryan (1985) sottolinea l’importanza di fornire ai bambini un ambiente di apprendimento che stimoli la loro autonomia, competenza e relazione sociale, elementi fondamentali per sviluppare una percezione positiva delle proprie capacità e possibilità future.

Un esempio pratico di questo approccio è l’introduzione di laboratori interdisciplinari nella scuola primaria, come progetti di coding e robotica che incoraggiano l’esplorazione della tecnologia in un contesto ludico e stimolante. Allo stesso modo, attività basate su esperienze reali, come la creazione di un orto scolastico, o la cura di biotopi come terrari e acquari, possono sviluppare sia competenze scientifiche sia un senso di responsabilità e collaborazione.

In tal senso, la scuola primaria può favorire un’educazione all’orientamento che aiuti i bambini a esplorare una pluralità di opzioni, sviluppando una mentalità aperta e flessibile, attraverso esperienze di apprendimento autentiche, contestualizzate e supportate da modelli di ruolo diversificati. Ad esempio, invitare professionisti di settori vari a tenere incontri con gli studenti può ampliare le loro prospettive, aiutandoli a immaginare percorsi di carriera al di là degli stereotipi tradizionali.

L’influenza degli adulti: insegnanti, genitori e contesto socio-economico

Gli adulti giocano un ruolo chiave nella costruzione delle aspettative dei bambini. Secondo Albert Bandura (1986), l’apprendimento avviene attraverso l’osservazione e l’imitazione di modelli significativi. Se insegnanti e genitori mostrano pregiudizi impliciti su determinate professioni o trasmettono l’idea che alcune carriere siano più prestigiose di altre, i bambini interiorizzeranno tali credenze. Ad esempio, se in una famiglia si enfatizza il valore delle professioni giuridiche o mediche rispetto a quelle artistiche o tecniche, un bambino potrebbe sviluppare l’idea che alcune strade siano più meritevoli di altre, indipendentemente dalle proprie inclinazioni.

In molte realtà scolastiche, l’idea che solo un’istruzione liceale possa garantire un futuro di successo è ancora dominante, spesso a discapito della formazione tecnica e professionale. Questo si traduce in un minore investimento nella valorizzazione di percorsi pratici e laboratoriali già dalla scuola primaria. Tuttavia, studi di orientamento scolastico, come quelli condotti da Gottfredson (1981) sulla teoria della circoscrizione e del compromesso, dimostrano che già in giovane età i bambini restringono le loro scelte in base a stereotipi sociali e di genere, autoescludendosi da alcune professioni. Ad esempio, alcune bambine potrebbero abbandonare l’idea di diventare ingegneri perché non vedono modelli femminili di riferimento in quel settore.

Per contrastare questi meccanismi, è essenziale introdurre esperienze didattiche mirate, come incontri con professionisti di diversi settori, attività pratiche che simulino situazioni lavorative reali e laboratori tematici che valorizzino la multidisciplinarità. Un esempio concreto è rappresentato dalle scuole che organizzano settimane di orientamento con la partecipazione di artigiani, tecnici, scienziati e artisti, offrendo ai bambini l’opportunità di esplorare percorsi professionali diversificati senza preconcetti.

Archetipi e stereotipi nel processo educativo

Gli archetipi, intesi come schemi profondamente radicati nell’inconscio collettivo (Jung, 1934), e gli stereotipi, definiti come credenze semplificate e rigide su gruppi sociali o professioni, influenzano fortemente le scelte educative e lavorative. Se la società associa l’immagine dell’ingegnere a un uomo e dell’insegnante a una donna, è probabile che i bambini si orientino inconsciamente verso tali modelli. Questa dinamica si riflette nei giochi, nelle attività scolastiche e persino nelle interazioni quotidiane, dove le aspettative sociali contribuiscono a formare un’immagine distorta delle proprie possibilità.

Per questo, è essenziale che la scuola primaria introduca un’educazione orientativa che metta in discussione questi schemi e presenti una gamma ampia di possibilità, come dimostrato dal progetto pilota della Careers and Enterprise Company. Attività esperienziali, incontri con professionisti di diversi settori e la valorizzazione di figure di riferimento fuori dagli stereotipi sono strumenti efficaci per ampliare le aspirazioni degli studenti. Ad esempio, programmi scolastici innovativi che includono laboratori di scienze e tecnologia possono stimolare un maggiore interesse per le discipline STEM tra le bambine, mentre attività artistiche e creative possono aiutare i bambini a superare la rigida categorizzazione delle professioni. Inoltre, l’uso di storie e narrazioni con protagonisti fuori dagli schemi tradizionali può avere un impatto positivo nella costruzione di una mentalità più aperta e inclusiva.

Il ruolo dei media e dei videogiochi nella costruzione delle aspirazioni

I media e i videogiochi contribuiscono in modo significativo alla formazione dell’immaginario professionale dei bambini. Se nelle narrazioni mediatiche le figure femminili sono prevalentemente rappresentate in ruoli di cura e assistenza, mentre gli uomini compaiono come leader e scienziati, i bambini tenderanno a interiorizzare queste associazioni. Henry Jenkins (2006) ha studiato come la cultura partecipativa e i media digitali influenzino l’apprendimento e la costruzione dell’identità, sottolineando il potere delle rappresentazioni nella modellazione degli interessi e delle competenze future.

I videogiochi, in particolare, hanno il potenziale di stimolare lo sviluppo di competenze cognitive e tecniche, grazie alla loro capacità di creare ambienti immersivi e interattivi. Ad esempio, giochi come Minecraft Education Edition e Scratch introducono concetti di programmazione e problem-solving in un contesto ludico, aiutando i bambini a sviluppare capacità di logica e progettazione. Tuttavia, molti giochi commerciali perpetuano ancora stereotipi di genere e di classe, limitando la percezione delle possibilità professionali. Titoli in cui le protagoniste femminili hanno ruoli marginali o sono ipersessualizzate rinforzano preconcetti negativi sulle capacità delle donne in settori tecnici e scientifici.

Un’educazione critica all’uso dei media può aiutare i bambini a decodificare tali messaggi e a sviluppare una visione più realistica e inclusiva del mondo del lavoro. Questo può essere fatto attraverso attività scolastiche che insegnino l’analisi dei media e la creazione di contenuti alternativi, dove i bambini possano rielaborare narrazioni più inclusive. Inoltre, la collaborazione con sviluppatori di giochi educativi e la promozione di modelli di ruolo diversificati nei media può contribuire a un cambiamento culturale più ampio.

Le politiche educative italiane: tra innovazione e limiti

Negli ultimi anni, il governo italiano ha introdotto linee guida per promuovere le STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) nella scuola primaria, investendo nella realizzazione di laboratori didattici e nella formazione degli insegnanti per potenziare l’approccio esperienziale all’apprendimento scientifico. Tuttavia, queste iniziative, sebbene necessarie, non sono sufficienti a scardinare il radicato archetipo che lega il successo professionale esclusivamente all’istruzione liceale.

Secondo il rapporto OECD (2020), l’Italia registra un basso tasso di iscrizione agli istituti tecnici e professionali rispetto ad altri paesi europei. Questo fenomeno è dovuto in gran parte alla percezione negativa di tali percorsi, spesso ritenuti meno prestigiosi. Studi come quelli di Bourdieu (1979) sulla riproduzione sociale dimostrano come le scelte educative siano influenzate dalla classe sociale di appartenenza e dai modelli culturali trasmessi in famiglia. Per esempio, molte famiglie tendono a privilegiare i licei perché percepiti come un passaggio obbligato per accedere all’università, mentre gli istituti tecnici e professionali sono spesso considerati opzioni di ripiego.

Un cambio di paradigma richiede un impegno congiunto di scuole, famiglie e istituzioni, volto a valorizzare tutte le opzioni educative e professionali. Le politiche educative dovrebbero incentivare l’orientamento precoce nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, promuovendo esperienze pratiche e progetti di alternanza scuola-lavoro sin dalle prime fasi del percorso formativo. Un esempio virtuoso è rappresentato da paesi come la Germania, dove il sistema duale di formazione professionale consente agli studenti di acquisire competenze direttamente nel mondo del lavoro, aumentando le opportunità di inserimento professionale e riducendo la disoccupazione giovanile. Implementare modelli simili in Italia potrebbe contribuire a riequilibrare il valore percepito tra istruzione liceale e formazione tecnica, favorendo una scelta consapevole basata sulle attitudini e sulle aspirazioni individuali piuttosto che su stereotipi sociali.

Conclusione

L’orientamento precoce è fondamentale per contrastare stereotipi e pregiudizi che limitano le aspirazioni professionali dei bambini. La scuola primaria, insieme a insegnanti, genitori e media, ha il compito di promuovere una visione più inclusiva e flessibile delle carriere, valorizzando le diverse opportunità senza pregiudizi di genere o classe sociale. È essenziale, pertanto, che i programmi educativi includano attività di esplorazione professionale, incontri con esperti di vari settori e percorsi laboratoriali che consentano ai bambini di sviluppare consapevolezza e interesse verso molteplici possibilità di carriera. Ad esempio, esperienze pratiche come visite a istituti tecnici dotati di laboratori avanzati, a centri di ricerca, aziende, studi artistici e laboratori scientifici possono fornire stimoli concreti e contribuire a smantellare convinzioni limitanti. Inoltre, l’integrazione di strumenti didattici digitali e l’utilizzo di piattaforme di apprendimento interattivo possono ampliare ulteriormente l’orizzonte professionale dei bambini, offrendo loro una visione più ampia e realistica del mondo del lavoro. Solo attraverso un’educazione orientativa consapevole e integrata è possibile offrire ai bambini la libertà di immaginare e costruire il proprio futuro senza limitazioni imposte da modelli preconfezionati.