AA.VV., Il coraggio della passione di una scelta 1990-2024

Pedagogista: una nuova professione per il nostro tempo

di Carlo De Nitti

La rivoluzione della postmodernità (Jean-François Lyotard) con il conseguente avvento di un modello di una società complessa (Edgar Morin) prima e liquida poi (Zygmut Bauman) ha profondamente modificato le relazioni tra le generazioni e la trasmissione / acquisizione di quelle competenze di vita (Lifeskills) da parte delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi e dei giovani. In società in cui da lungo tempo sono venuti meno i ‘grandi racconti’, hanno assunto un’importanza ben maggiore che in passato le professioni pedagogiche, che interagiscono con tutte le età e le mille sfaccettature della vita umana.

La legge n. 55 del 15 aprile 2024 Disposizioni in materia di ordinamento delle professioni pedagogiche ed educative e istituzione dei relativi albi professionali ha finalmente normato giuridicamente le professioni pedagogiche a conclusione e coronamento di un lungo cammino sfidante che è durato oltre trenta anni. La norma definisce lo status professionale del professionista: “Il pedagogista è lo specialista dei processi educativi che, operando con autonomia scientifica e responsabilità deontologica, esercita funzioni di coordinamento, consulenza e supervisione pedagogica per la progettazione, la gestione, la verifica e la valutazione di interventi in campo pedagogico, educativo e formativo rivolti alla persona, alla coppia, alla famiglia, al gruppo, agli organismi sociali e alla comunità in generale. L’attività professionale del pedagogista comprende l’uso di strumenti conoscitivi, metodologici e di intervento per la prevenzione, l’osservazione pedagogica, la valutazione e l’intervento pedagogico sui bisogni educativi manifestati dal bambino e dall’adulto nei processi di apprendimento” (art. 1 c. 1).

Protagonista assoluto del percorso che ha condotto a conseguire questo risultato normativo è stata l’Associazione Nazionale PEdagogisti italiani che, fondata nel 1990, ha avuto un ruolo determinante nel riconoscimento giuridico ed ordinistico delle professioni pedagogiche. L’associazione medesima ha pubblicato recentissimamente il volume ANPE Il coraggio della passione di una scelta 1990-2024, curato da Eufrasia Capodiferro, Gianfranco De Lorenzo, Maria Luisa De Natale, Maria Angela Grassi ed Andrea Scaffidi, edito a Roma per i tipi di Armando editore nella collana Professioni Pedagogiche ed Educative (pp. 92) che è stato presentato, in data 9 aprile 2025, a Palazzo Montecitorio presso la Sala stampa della Camera dei Deputati. In esso, è ricostruita, in modo quasi annalistico, la storia dell’associazione e delle tappe più significative di un percorso che viene assumendo nuove forme.

Il volume è stato introdotto e prefato da Maria Angela Grassi, Presidente Nazionale pro tempore dell’ANPE: “La storia dell’ANPE, inoltre, è un invito a riflettere sull’importanza della collaborazione tra professionisti, istituzioni e comunità. La pedagogia non è solo scienza, ma anche prassi che richiede passione, dedizione e una visione chiara del futuro. Essa si nutre di esperienze condivise e di un dialogo costante tra le diverse realtà educative. Ciò che troverete in queste pagine è una testimonianza di impegno, di resilienza e una continua ricerca di qualità nell’educazione” (pp. 9 – 10).

Il volume è impreziosito dall’articolato e denso intervento di Maria Luisa De Natale – pedagogista di preclara fama, già Ordinario di Pedagogia e Prorettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nonché socia onoraria dell’Associazione, dal 1993 – Professione Pedagogista (pp. 57 – 73) che delinea le peculiari caratteristiche della professione in questo nostro tempo, presente e futuro, con le sfide epistemologiche e professionali che le caratterizzano, indirizzate verso la progettazione educativa il vero core dell’attività dei pedagogisti: “[…] il dibattito pedagogico ci ha reso avvertiti della necessità di considerare accanto alla intenzionalità pedagogica la progettualità educativa, entrambe devono trovare una sintesi operativa nella pluralità delle incidenze e dei contesti nei quali si svolge concretamente il percorso educativo ella vita delle giovani generazioni” (p. 59). Il senso del lavoro del pedagogista e dell’educatore è nella progettazione e nella realizzazione di interventi educativi consapevolmente valoriali, svolti, in rete con tutte le altre professionalità coinvolte, a vantaggio non del singolo ma dell’intera comunità in cui ogni persona vive: “Un progetto educativo che voglia dare sostanza alla professionalità che si esercita anche nel valore solidarietà, esige che tale valore sia testimoniato già nell’impegno e nei tempi necessari ad intessere una trama per ricomporre quelle fratture che spesso minano la solidità di un tessuto sociale” (p. 65). Il policentrismo è la peculiarità indispensabile della dimensione della progettazione e degli interventi educativi nella società che è sempre più complessa: “La fiducia nel potere dell’educazione alimenta la speranza per un migliore futuro dei singoli e dell’intera società e per l’affermazione di un nuovo umanesimo dell’autenticità di ogni persona” (p. 73). Lo sguardo in prospettiva verso il futuro è l’essenza stessa della pedagogia e, quindi, della professione del pedagogista.

Chiude Andrea Scaffidi la sua Postfazione:” In definitiva, questa pubblicazione non solo celebra il cammino percorso dall’ANPE, ma offre una visione profonda del ruolo che la pedagogia è chiamata a svolgere oggi e domani. È un invito a riflettere non solo sul passato ma su come ogni singolo professionista del settore che sia sempre più inclusiva innovativa e soprattutto orientata al bene comune” (p. 91).

Chi scrive queste righe, persona di scuola da quaranta anni (non pedagogista, ma ‘affine’, avendo vinto, da laureato in filosofia, in anni lontanissimi, due concorsi ordinari per l’insegnamento delle scienze dell’educazione), ritiene, nel suo piccolo, che non sia immaginabile per i professionisti della pedagogia non avere un ruolo – e certo non marginale – nelle istituzioni formative: dai nidi alle scuole dell’infanzia, dalle scuole primarie alle secondarie di primo grado, alle secondarie di secondo grado alle università degli studi agli istituti tecnici superiori. Chiunque viva oggi la scuola non può non constatare quotidianamente la cogente necessità che in essa ci si possa /debba avvalere di specifiche professionalità pedagogiche adeguatamente formate, non solo inizialmente nei Corsi di laurea e/o nei Master, ma anche, se non soprattutto, in itinere mediante l’intervento del costituendo ordine professionale dei pedagogisti.

Comincia l’Esame di Stato

Comincia l’Esame di Stato, la scuola accompagna i suoi ragazzi

Il ruolo degli insegnanti come accompagnatori silenziosi nel percorso finale

 di Bruno Lorenzo Castrovinci

Tempo di Esami di Stato, tempo di studenti che affrontano il secondo grande passaggio valutativo della loro carriera scolastica, dopo quello della scuola secondaria di primo grado. Sono giovani che arrivano a questo appuntamento dopo un cammino lungo cinque anni, durante il quale sono cresciuti, maturati, hanno affinato il proprio senso critico, definito la propria personalità e cominciato a intravedere il ruolo che desiderano assumere nella società. Una società che, sempre più, richiede competenze specifiche e capacità trasversali, inserite in un quadro di partecipazione attiva e consapevole all’interno di un sistema basato sulla suddivisione complessa del lavoro e sull’interdipendenza dei saperi.

L’Esame di Stato rappresenta l’apice del percorso formativo nella scuola secondaria di secondo grado, un momento liminale che assume una valenza tanto valutativa quanto simbolica, segnando il confine tra la dipendenza educativa e l’autonomia adulta. Dal punto di vista didattico-pedagogico, esso si configura come una tappa di consolidamento delle competenze chiave di cittadinanza, secondo le linee guida europee, ma anche come momento di sintesi dell’intero impianto formativo costruito negli anni. È una verifica dell’apprendimento, ma anche un’occasione per rileggere, con maturità e consapevolezza, il proprio percorso di crescita culturale, sociale e personale.

In tale contesto, la figura dell’insegnante non si limita alla funzione trasmissiva del sapere, ma assume un ruolo di regia pedagogica implicita, orchestrando in modo discreto ma strategico le risorse cognitive, emotive e motivazionali dello studente. È il docente che, con sensibilità e intelligenza educativa, aiuta i ragazzi a riconoscere e valorizzare le proprie risorse, a sviluppare autostima e capacità metacognitive, a trasformare l’esame in un’opportunità di autoaffermazione.

Sul piano psicologico, l’esame rappresenta un evento fortemente investito di aspettative e proiezioni, che attiva dinamiche complesse legate all’autoefficacia percepita, al bisogno di riconoscimento sociale e alla gestione dell’ansia da prestazione. È un rito di passaggio moderno, in cui la valutazione oggettiva dei saperi si intreccia con la soggettività dell’esperienza e con l’interiorizzazione di un’identità adulta emergente. In questo scenario, la scuola non è più soltanto un luogo di istruzione, ma uno spazio relazionale affettivamente significativo, in cui la relazione docente-discente si carica di implicazioni formative profonde, favorendo processi di maturazione personale, simbolizzazione e costruzione di senso.

La soglia dell’ultimo viaggio

Nel silenzio teso dei corridoi, tra banchi ordinati e sguardi ansiosi, si apre quindi il tempo dell’Esame di Stato. È l’ultima soglia, quella che separa il prima e il dopo, la scuola e il mondo, l’adolescenza e la giovinezza consapevole. I ragazzi la varcano con il cuore gonfio di domande, desideri, paure. Ogni passo è carico di emozioni contrastanti, di aspettative familiari, di sogni appena abbozzati. Tuttavia, in questa apparente solitudine, non sono davvero soli. Anche se sembrano avanzare da soli, hanno dietro di sé una presenza discreta e costante: quella degli insegnanti.

Sono loro i custodi silenziosi di quel viaggio, non protagonisti, ma testimoni attenti di una trasformazione interiore. Con un ruolo affine a quello del mentore nei modelli narrativi, l’insegnante osserva senza invadere, accompagna senza dirigere. Non conducono più per mano, ma vigilano con sguardo profondo, offrendo fiducia dove il dubbio prende il sopravvento. In quel momento, diventano risorsa simbolica, funzione affettiva e contenitiva, capaci di sostenere con la sola forza dell’essere presenti. La loro presenza non è ingombrante, ma necessaria: è la garanzia di un legame costruito nel tempo, capace di restituire allo studente la percezione di sé come soggetto competente e degno.

Il valore dell’ombra: l’arte dell’accompagnare

Accompagnare non è trattenere, né guidare con forza. È piuttosto un gesto gentile, che rispetta la distanza e lascia spazio all’errore, alla scoperta, all’inciampo, rimanendo presenti senza invadere. L’accompagnamento educativo si configura come una pratica relazionale ad alta densità emotiva, in cui il docente, facendo leva su empatia, ascolto attivo e sintonizzazione affettiva, costruisce una cornice di sicurezza all’interno della quale lo studente può mettersi alla prova.

Con l’Esame di Stato, il compito dell’insegnante si trasforma profondamente, poiché non è più trasmettitore di contenuti, ma facilitatore del processo di autoregolazione e riflessione metacognitiva. La sua presenza non è più esplicitamente didattica, ma simbolica. Pedagogicamente, è il momento in cui il docente assume la funzione di “base sicura”, come suggerisce la teoria dell’attaccamento di Bowlby, che garantisce stabilità affettiva e riconoscimento identitario.

Non più figura autoritaria ma presenza rassicurante, il docente diventa punto di riferimento interno, interiorizzato dallo studente sotto forma di fiducia acquisita, di coraggio interiore, di competenza sentita. È l’arte dell’educare che raggiunge il suo culmine nel lasciare andare, sapendo di essere rimasti, dentro, come voce interiore che orienta e conforta, come orizzonte simbolico di appartenenza e valore.

Psicologia dell’attesa e della fiducia

Per gli studenti, l’Esame di Stato è molto più di una prova scolastica. È una soglia identitaria, un momento di transizione che mette in discussione la rappresentazione di sé e attiva meccanismi profondi di ristrutturazione dell’immagine personale e sociale. Non si tratta soltanto di dimostrare competenze disciplinari, ma di confrontarsi con la propria storia scolastica, con il giudizio dell’altro e con le aspettative interiorizzate nel tempo. Si apre una fase di verifica esistenziale, in cui il valore personale viene messo in gioco attraverso la lente del rendimento.

È un passaggio psicologico cruciale, in cui si intrecciano ansia anticipatoria, paura del fallimento, senso del dovere e bisogno di approvazione. Le neuroscienze affettive hanno evidenziato come, in questi momenti di elevato carico emotivo, si attivino strutture cerebrali legate alla sopravvivenza e alla memoria emotiva, rendendo essenziale la presenza di figure contenitive e rassicuranti. Gli insegnanti, in questa fase, svolgono un ruolo regolativo ed equilibratore. Sono come argini emotivi che contengono, rassicurano, sostengono, offrendo una cornice sicura che protegge dal crollo e favorisce la resilienza.

Con un gesto, uno sguardo, un consiglio sussurrato, mettono in atto ciò che Winnicott chiamava “holding”: la capacità di sorreggere emotivamente l’altro, di contenerne l’angoscia senza annullarne l’autonomia. In questo modo, il docente diventa carezza invisibile, presenza stabile e forza tranquilla che sostiene senza imporsi, offrendo agli studenti la possibilità di affrontare la prova non come minaccia, ma come occasione per affermare il proprio sé in modo maturo e consapevole.

Un’eredità non visibile ma duratura

L’insegnante, quando accompagna all’Esame, consegna molto più che una preparazione disciplinare. Affida ai suoi studenti una visione integrale del sapere, come ricerca di senso e strumento per interpretare la realtà, e trasmette implicitamente una filosofia dell’impegno, del rigore intellettuale, della responsabilità verso se stessi e verso il mondo. È un’eredità educativa che non si misura in voti o certificazioni, ma nella qualità delle domande che lo studente saprà porsi e nella sua capacità di stare nel mondo con pensiero critico e apertura etica.

Non si limita a correggere un elaborato o a spiegare un concetto difficile ma ha seminato fiducia, perseveranza, umanità, senso di appartenenza e desiderio di contribuire. È attraverso le relazioni costruite negli anni, la coerenza tra parole e gesti, l’attenzione silenziosa ai bisogni inespressi, che l’insegnante lascia un’impronta profonda e duratura. Quello che resta, alla fine, non è solo il contenuto appreso, ma il modo in cui quel contenuto è stato abitato, amato, condiviso, trasformato in esperienza viva e in visione del mondo.

Il docente è il custode di una memoria educativa che si imprime nei gesti degli studenti, nel modo in cui guarderanno il mondo e affronteranno le prove della vita. È figura liminale, ponte tra ciò che è stato e ciò che sarà, guida discreta che continua ad abitare la coscienza dei suoi alunni anche quando il percorso comune si è concluso. In questa presenza che resta, nella coscienza e nel cuore, si manifesta il senso più profondo dell’essere educatori.

Lasciare andare per far volare

Il momento del distacco è sempre una forma di amore. Non si lascia andare chi non si è amato profondamente, chi non ha abitato quotidianamente il nostro sguardo e i nostri pensieri. L’Esame di Stato è anche, per l’insegnante, una prova emotiva intensa e silenziosa, carica di responsabilità morale e di consapevolezza affettiva. È il momento in cui il docente è chiamato a rinunciare al controllo per abbracciare la fiducia. Fiducia nel futuro, nella solidità del legame costruito, nella resilienza dei propri alunni, e soprattutto nel lavoro educativo compiuto, visibile e invisibile.

Il docente sa che non può più agire direttamente, che il tempo dell’intervento è finito, ma sa anche che può affidare. Può credere che ciò che ha trasmesso, anche nel non detto, anche attraverso le fragilità e i silenzi, continuerà a vivere nel modo in cui lo studente affronterà la realtà. In quell’istante sospeso in cui lo studente varca la soglia dell’aula d’esame, l’insegnante resta lì. Non per controllare, ma per esserci. Per testimoniare con la propria presenza discreta un patto silenzioso: io ci sono stato, tu puoi andare.

Con discrezione, con affetto, con orgoglio, egli incarna il significato più alto del termine educare, che etimologicamente significa proprio “condurre fuori”. E nel restare indietro, l’insegnante permette allo studente di avanzare. Come chi ha saputo restare nell’ombra per accendere una luce, e ora ne contempla la direzione, fiducioso che quella luce saprà illuminare anche altri cammini.

Conclusioni

L’Esame di Stato è l’epilogo di un lungo processo di crescita individuale, cognitiva e relazionale, che si compie sotto lo sguardo attento e discreto della comunità educante. Gli insegnanti, nella loro funzione silenziosa ma cruciale, assumono il ruolo di mediatori di senso, facilitatori di autonomia, catalizzatori di consapevolezza e custodi del divenire degli studenti. Essi incarnano una pedagogia della presenza, fatta di ascolto, coerenza e responsabilità, che genera fiducia epistemica e sostiene la costruzione dell’identità personale e collettiva.

Attraverso un accompagnamento rispettoso, empatico e pedagogicamente consapevole, dimostrano che l’educazione non si esaurisce nella trasmissione di contenuti, ma si sostanzia nella costruzione di relazioni significative, nella promozione di contesti generativi, nella cura del potenziale umano. La loro opera, spesso invisibile all’occhio esterno, si sedimenta nelle strutture profonde della memoria affettiva ed etica degli studenti, divenendo parte integrante del loro modo di pensare, agire, scegliere.

Il valore di questo accompagnamento non risiede nella visibilità del gesto, ma nella sua incidenza trasformativa sul futuro umano e culturale delle nuove generazioni. È un’azione che si proietta oltre il tempo scolastico, capace di attivare processi di cambiamento durevoli, di stimolare la responsabilità sociale, la cittadinanza attiva, l’etica della cura. È lì, in quell’ultimo miglio del percorso, che l’insegnante si fa davvero educatore: colui che, restando, permette agli altri di partire.