Il cervello che apprende

Il cervello che apprende

Estate, riposo e consolidamento delle memorie

di Bruno Lorenzo Castrovinci

È il tempo sospeso dell’estate, quello in cui la vita sembra dilatarsi, e ogni giorno prende il ritmo lento dei sogni. Giornate soleggiate, bagni di mare, notti chiassose nei locali o silenziose sulla spiaggia, ad ascoltare il respiro profondo delle onde. Oppure lassù, tra i sentieri di montagna, a osservare un cielo così stellato da togliere le parole. Sono i lunghi respiri dell’estate: tempo da vivere, da ricordare e, perché no, da narrare.

 Perché in fondo, la nostra vita è la grande narrazione di noi stessi, del nostro essere, della nostra anima e della nostra fragile, breve esistenza.

Ogni estate, mentre i cancelli delle scuole si chiudono e i programmi didattici vengono archiviati, si diffonde l’illusione che anche l’apprendimento vada in vacanza. Ma il cervello umano non conosce pause né campanelle: non segue il calendario scolastico e non rispetta la rigida idea di “riposo” come sospensione del pensiero.
Anzi, proprio nei momenti di apparente inattività, come le vacanze estive, accadono processi profondi e silenziosi che rafforzano ciò che è stato appreso durante l’anno. In queste settimane di libertà, il cervello continua a lavorare: elabora informazioni, consolida memorie, seleziona ciò che è rilevante e lascia andare ciò che non lo è.  Questo straordinario lavoro interno è reso possibile dalla plasticità cerebrale, ovvero la capacità del nostro cervello di trasformarsi, di rimodellarsi in risposta alle esperienze e all’ambiente.

La neuroscienza ci invita, oggi, a ripensare radicalmente il concetto di riposo, rivelando quanto il sonno, la pausa, il rilassamento siano in realtà potenti alleati della memoria, della creatività e della crescita cognitiva.

 Il tempo estivo, libero dalle pressioni scolastiche e dai ritmi frenetici, offre un’occasione preziosa permettendo al sistema nervoso di ricaricarsi, alle emozioni di decantare, alle esperienze di sedimentarsi in profondità. In questo scenario, ogni attività apparentemente “inutile”, quale giocare, esplorare, viaggiare, leggere per il piacere di farlo, conversare senza meta, assume un valore educativo nascosto ma potente.

Le esperienze relazionali, le riflessioni spontanee, i viaggi e le letture libere attivano circuiti neuronali differenti da quelli tipici dello studio formale, ma altrettanto fondamentali per lo sviluppo globale della persona. In particolare, esse coinvolgono l’intero sistema limbico e favoriscono l’apprendimento affettivo, che rappresenta la base della memoria autobiografica e della costruzione dell’identità.

E così, l’estate smette di essere soltanto svago e si trasforma in un tempo essenziale per consolidare le conoscenze, per l’apprendimento implicito, per la rielaborazione emotiva e la costruzione profonda del sé. È il tempo in cui l’apprendimento si intreccia alla vita, e la vita stessa diventa una forma di educazione. Non più solo nozioni, ma esperienze. Non più verifiche, ma vibrazioni. Perché crescere, in fondo, significa anche imparare a vivere e a ricordare ciò che ci ha fatto sentire davvero vivi.

Il ritmo nascosto dell’apprendimento

Il cervello umano non si spegne mai del tutto. Anche nei momenti in cui sembra essere a riposo, la sua attività prosegue incessantemente, riorganizzando informazioni, rafforzando connessioni, spegnendo ciò che è superfluo e consolidando ciò che conta. Questo incessante lavorìo interno è reso possibile dalla straordinaria plasticità neuronale, ovvero la capacità del cervello di modificare la propria struttura in risposta alle esperienze, attraverso meccanismi di potenziamento e depotenzionamento sinaptico, neurogenesi e ristrutturazione delle reti neurali. L’apprendimento non è soltanto un processo attivo che avviene quando si studia o si presta attenzione, ma anche un’attività silenziosa, sotterranea, che continua ben oltre l’aula scolastica o l’ora di lezione. Durante l’estate, quando le sollecitazioni scolastiche si riducono e le giornate si allungano di ozio e libertà, il cervello può finalmente dedicarsi a una delle sue funzioni più misteriose e decisive: il consolidamento delle memorie. Questa funzione avviene principalmente nella corteccia prefrontale, nell’ippocampo e in altre aree coinvolte nella gestione delle informazioni e delle emozioni. Studi neuroscientifici, come quelli condotti dal Center for Brain Plasticity and Recovery, hanno evidenziato come, in questi periodi di minor pressione cognitiva, il cervello rafforzi le tracce mnestiche, crei nuove sinapsi e perfezioni le connessioni esistenti, migliorando la capacità di richiamo e di applicazione delle conoscenze. È in questa quiete apparente che si genera una forma di apprendimento latente ma fondamentale, capace di influire in modo duraturo e profondo sulla crescita intellettiva, affettiva e creativa dell’individuo, delineando una mente più aperta, adattiva e consapevole.

Sonno e memoria: un legame profondo

Tra i protagonisti nascosti del processo di apprendimento vi è il sonno, spesso sottovalutato nella sua funzione pedagogica e neurobiologica. La scienza ha dimostrato che durante le ore notturne il cervello non dorme mai del tutto. Al contrario, compie un’opera silenziosa e potentissima: rielabora ciò che si è appreso durante il giorno, lo riorganizza in mappe cognitive, lo stabilizza nei circuiti neurali attraverso una complessa attività di consolidamento sinaptico, selezione mnemonica e ristrutturazione delle connessioni neuronali. Durante il sonno, infatti, si attivano precise sequenze di onde cerebrali che favoriscono il passaggio delle informazioni dall’ippocampo, sede della memoria a breve termine, alla neocorteccia, dove si consolidano le conoscenze a lungo termine. In particolare, la fase REM è associata all’elaborazione emotiva e creativa delle esperienze, stimolando l’integrazione tra emozione e ragionamento, mentre la fase del sonno profondo, o sonno a onde lente, è essenziale per fissare le conoscenze dichiarative, come fatti ed eventi, e rafforzare le competenze procedurali, come abilità motorie e schemi appresi. Questo ciclo biologico di apprendimento inconscio è tanto efficace quanto fragile. Le esperienze del giorno si trasformano in conoscenza duratura soprattutto quando il sonno è regolare, profondo e non frammentato, poiché ogni interruzione compromette la qualità del consolidamento e altera l’equilibrio dei processi cognitivi. Numerosi studi, tra cui quelli condotti dall’Università di Harvard, dal Max Planck Institute e dalla Stanford University, hanno dimostrato che la deprivazione cronica di sonno nei giovani influisce negativamente su attenzione, memoria, capacità di risoluzione dei problemi e persino sulla regolazione emotiva, aumentando il rischio di disturbi dell’umore e difficoltà scolastiche. Privare un ragazzo di ore di sonno non significa soltanto renderlo stanco, ma anche precludergli una parte fondamentale del suo apprendimento, compromettendo la plasticità cerebrale che consente l’adattamento, la crescita cognitiva e il benessere complessivo.

L’apprendimento implicito e le pause silenziose

Non tutto ciò che si apprende passa dalla volontà cosciente. Esiste una forma di apprendimento, detta implicita, che opera al di sotto della soglia della consapevolezza, e che si attiva in modo spontaneo ogni qualvolta l’individuo entra in contatto ripetuto con stimoli ambientali, sociali o emozionali. Questo tipo di apprendimento è radicato nei meccanismi automatici del cervello, coinvolgendo strutture come il cervelletto e i gangli della base, che registrano regolarità e schemi senza l’intervento della coscienza. C’è un apprendimento implicito che avviene senza che ce ne accorgiamo, guidato da esperienze ripetute, contesti vissuti, emozioni provate. È il tipo di apprendimento che si attiva mentre si suona uno strumento, si impara una lingua ascoltandola nel contesto, si affrontano relazioni nuove o si esplorano ambienti inediti. Questo tipo di apprendimento modella le competenze sociali, la capacità di adattamento, l’intuizione e il senso pratico. Inoltre, è strettamente collegato al sistema limbico, poiché le emozioni giocano un ruolo fondamentale nel rafforzare e rendere durevoli le informazioni acquisite in modo implicito. È un apprendimento che avviene senza studio, ma non per questo è meno profondo. Anzi, spesso si rivela più resistente nel tempo e maggiormente connesso alle emozioni vissute. Le pause estive, libere da orari e da verifiche, offrono il terreno ideale per l’apprendimento implicito, poiché stimolano l’osservazione, la curiosità e la riflessione personale. Lontani dalle pressioni della prestazione, i bambini e i ragazzi imparano con leggerezza, interiorizzano schemi di comportamento, osservano il mondo con occhi nuovi, scoprono e crescono. L’ozio creativo, le attività informali, le esperienze vissute nella natura o nel gioco diventano occasioni straordinarie di crescita cognitiva, affettiva e relazionale. Numerosi studi di psicologia dell’educazione e neuroscienze confermano che l’apprendimento implicito rappresenta una risorsa potentissima nella costruzione dell’identità, nella maturazione dell’empatia, nello sviluppo delle competenze trasversali e nel rafforzamento dell’autoefficacia. È proprio durante le pause estive che trova il suo spazio più fertile, quando il cervello è libero di apprendere con autenticità, senza pressioni esterne, seguendo i ritmi interiori della curiosità e del piacere di scoprire.

Estate e apprendimento: non un vuoto, ma un tempo di maturazione

L’estate è spesso considerata una sospensione, una parentesi tra due fasi dell’anno scolastico. In realtà, dal punto di vista neurocognitivo, l’interruzione estiva non rappresenta affatto una perdita, bensì un tempo di maturazione, un laboratorio silenzioso in cui il cervello ordina, rielabora e trasforma le conoscenze in competenze. Durante questo periodo, le strutture neurali coinvolte nell’apprendimento, come l’ippocampo e la corteccia prefrontale, continuano a lavorare in modo discreto ma costante, riorganizzando le informazioni acquisite e favorendone il consolidamento a lungo termine. Le conoscenze apprese durante l’anno scolastico hanno bisogno di sedimentare e di essere integrate nell’esperienza personale per diventare patrimonio stabile della mente. Questo processo non avviene per semplice accumulo, ma richiede tempo, libertà mentale e condizioni favorevoli alla riflessione profonda. In questo senso, la distanza dai banchi di scuola può diventare un alleato prezioso, perché libera risorse cognitive, riduce lo stress da prestazione, stimola la neuroplasticità e favorisce l’autonomia riflessiva. Quando la mente si rilassa e smette di essere sottoposta a continue richieste, ha lo spazio per rielaborare in profondità, stabilire nuove connessioni, ridefinire il significato di ciò che è stato appreso e applicarlo a contesti nuovi. È come se le informazioni raccolte durante l’anno trovassero finalmente la loro collocazione all’interno di una mappa cognitiva più ampia e coerente, connessa alle emozioni e alla consapevolezza personale. In psicologia dell’educazione si parla di effetto della “cura post-apprendimento”, un momento in cui l’apprendimento diventa duraturo solo se ha lo spazio per essere rielaborato senza ulteriori pressioni. Questa fase è tanto più efficace quanto più è accompagnata da esperienze ricche di senso, capaci di stimolare la motivazione intrinseca, la riflessione personale e il piacere della scoperta, trasformando la pausa estiva in un terreno fertile per la crescita cognitiva ed esistenziale.

Il valore delle pause nella pedagogia del futuro

Alla luce delle neuroscienze, ripensare il ruolo delle pause diventa un’urgenza educativa e culturale, ma anche antropologica, poiché tocca la natura profonda del nostro modo di apprendere, ricordare e crescere. Il nostro sistema scolastico, spesso fondato sull’accumulo continuo di informazioni, sull’iperstimolazione e sulla verifica costante, rischia di trascurare la verità semplice e profonda secondo cui la mente ha bisogno di respirare per comprendere, creare e maturare. Le pause, come il sonno, come l’estate, non sono tempi morti ma tempi generativi, capaci di innescare processi trasformativi invisibili ma essenziali. È proprio nell’intervallo, nell’interruzione, nella sospensione che il pensiero si riorganizza, si amplia, si rende più flessibile e creativo. Non è un caso che molte delle intuizioni più brillanti della scienza, della filosofia o della letteratura siano nate in momenti di inattività apparente, quando la mente era libera di vagare, di associar liberamente, di connettere idee senza una finalità immediata. Il pensiero divergente, alla base dell’innovazione e della risoluzione di problemi complessi, nasce spesso da questa libertà mentale. Educarci e educare al valore del riposo, dell’attesa, del tempo lento, significa restituire centralità al ritmo naturale dell’apprendere, che non può essere forzato né reso uniforme. Significa riconoscere che l’apprendimento autentico nasce dall’incontro tra esperienza e riflessione, tra ascolto e interiorizzazione, tra conoscenza e senso. Un apprendimento sostenibile non si misura soltanto in quantità di nozioni trasmesse, ma nella qualità del tempo che si dà alla mente per farle proprie, per trasformarle in sapere vivo, interiorizzato, capace di orientare le scelte, arricchire l’identità personale e dare senso alla realtà.

Conclusione: un’estate per imparare senza accorgersene

Quando si lascia che la mente segua il suo ritmo, quando si offre al cervello lo spazio per consolidare, dimenticare, scegliere e connettere, allora si apprende davvero. In quei momenti di apparente inattività, la mente lavora in profondità, riorganizzando le informazioni, rafforzando le intuizioni, generando nuove idee. L’estate, con il suo invito alla lentezza, con le sue giornate libere e le sue notti lunghe, è uno dei tempi più fertili per la mente, proprio perché libera dalle costrizioni e dai ritmi imposti dall’istruzione formale. Non perché si studi di più, ma perché si impara meglio, in modo naturale, spontaneo, personale. Il cervello che apprende è anche il cervello che riposa, che sogna, che gioca, che si emoziona, e attraverso questi stati apparentemente passivi costruisce consapevolezze durature e connessioni profonde. Rispettarlo nei suoi ritmi profondi significa riconoscere la dignità dei tempi lenti, la potenza della riflessione silenziosa, il valore della libertà interiore. È forse il modo più umano e autentico per accompagnare ogni apprendimento, lasciando spazio non solo alla conoscenza, ma anche alla trasformazione interiore.

P. Roversi, L’ombra della solitudine

Roversi tra il giallo e la favola

di Antonio Stanca

   A Marzo è stato riedito da Feltrinelli, su licenza Marsilio, L’ombra della solitudine, romanzo di Paolo Roversi che fa parte della “Serie di Radeschi”. È il decimo ed è completamente ambientato a Milano e dintorni, interamente impegnato a dire della criminalità presente e operante in questa città nei tempi a noi più vicini, di quanta vita, di quanta storia essa rappresenta in un centro così importante.

   Roversi è nato nel 1975 in Svizzera dove i genitori erano emigrati da Mantova. Vive a Milano, è laureato in Storia Contemporanea, ha scritto un libro-guida su Mantova ed uno su Milano, collabora con giornali e riviste, produce soggetti per la televisione ma noto è soprattutto perché uno degli autori del genere letterario detto “noir metropolitano”, del giallo, cioè, ambientato nelle città. Molti sono i romanzi di questo genere che Roversi ha scritto. Tra essi rientrano quelli della “Serie di Radeschi”, che lo hanno reso famoso. Molti riconoscimenti sono stati attribuiti, molti premi assegnati a Roversi scrittore. Molto tradotte sono le sue opere specie in Francia, Spagna, Germania, Stati Uniti e paesi arabi.

   Uno dei suoi romanzi più significativi può essere considerato L’ombra della solitudine perché della “Serie di Radeschi” ed un esempio del “noir metropolitano”, tanto caro allo scrittore. Enrico Radeschi è uno dei personaggi principali del romanzo, è lui che scrive sul portale MilanoNera, è stato tra i suoi fondatori ed ora è tra i più noti collaboratori. Vi scrive dei casi di cronaca nera che si verificano nella metropoli lombarda, casi che spesso lo vedono impegnato anche ad indagare, a cercare i colpevoli insieme agli agenti di polizia o da solo, a voler scoprire prima degli altri la verità su quanto accaduto per poi scriverne ed essere ulteriormente apprezzato. Un cronista, un giornalista e pure un detective è Radeschi, lo conoscono tutti negli ambienti giudiziari, conoscono la Vespa gialla con la quale si sposta tra le strade, le piazze, le case di quella Milano che tanto ama da sopportare qualunque sacrificio pur di rimanere, di vivere in essa. È diventata la sua una figura simbolica, quella dell’eroe positivo animato da un tale bisogno di verità, di giustizia da non curarsi di quanto esso richiede in tempi come i moderni diventati così difficili per certi principi. Un modo, un mezzo è Radeschi perché Roversi esprima la sua volontà di bene, di ordine in un momento che li ha visti superati, annullati da altri, ben diversi modi di pensare, di fare. In L’ombra della solitudine i casi dove lo scrittore mostra il suo eroe che cerca la loro soluzione sono cambiati. Un suo vecchio amico, il Danese, ha saputo che la figlia, che credeva morta dopo essere stata rapita, è ancora viva e si mette a cercarla disperatamente. La giovane Amanda, con la quale Enrico sta da tempo, della quale è innamorato, è stata trovata morta, uccisa, nella sua casa e di lei si è scoperto un passato poco edificante. Una rapina di milioni di euro è stata compiuta sull’autostrada da banditi russi che hanno bloccato e svuotato del denaro il furgone portavalori della posta. Tra quei banditi c’era anche il Danese!    Diventeranno tutti casi difficili da risolvere, lunghe, interminabili saranno le indagini della polizia, sembreranno destinate a rimanere senza risultato, a dimostrarsi vane. Molto sarà lo spazio ad esse dedicato da parte dello scrittore e molto sarà anche quello dove dirà delle indagini di Radeschi, condotte da solo o insieme a qualche aiutante. A volte si combineranno con quelle della polizia ma più spesso rimarranno isolate, seguiranno un proprio corso fino a giungere per prime anche a soluzioni che sembravano impossibili. Per ottenere tanto molti erano i contatti, i posti che Radeschi doveva cercare, tante le situazioni nelle quali doveva trovarsi. In un romanzo dove succedono, si susseguono tanti eventi, lui apparirà come l’elemento che unisce, collega, ordina le parti di una storia così complicata, così articolata, così capace di cambiare. Diventeranno molte quelle parti, sono già tanti i loro casi, i loro aspetti, i loro elementi da rendere interminabile la loro storia. A quel termine, a quella fine che sembrava impossibile, che persa pareva tra le strade, le case dell’immensa Milano, tra gli uffici, i locali pubblici, quelli privati, gli agenti di polizia, le loro indagini, arriverà Radeschi. Come sempre ce la farà prima degli altri a risolvere i problemi, ne scriverà sul suo sito, sarà ammirato, come sempre vincerà la sua battaglia. In una favola dove i buoni, i giusti vincono sui cattivi, gli ingiusti punirà in quello che sembrava destinato a rimanere un dramma infinito. A procurare questo effetto al romanzo servirà pure il linguaggio del suo autore, così chiaro, così semplice da riuscire sempre facile, vicino nonostante siano tanti e così gravi i problemi dei quali dice. Quella di una forma, di uno stile capace di procedere sciolto, di scorrere pur tra i torbidi dell’animo umano è una qualità propria del Roversi narratore, ne ha fatto uno degli autori più conosciuti.

Avvio dell’anno scolastico 2025/2026

Con l’avvio dell’anno scolastico 2025/2026, il Ministero dell’Istruzione e del Merito registra un significativo avanzamento sul fronte delle assunzioni del personale docente, concluse con tre settimane di anticipo rispetto allo scorso anno scolastico, e la riduzione delle reggenze nelle istituzioni scolastiche.

Entro settembre di quest’anno, 41.901 nuovi docenti entreranno in ruolo, pari al 76,8% dei posti disponibili a livello nazionale, il 30% in più rispetto allo scorso anno (erano il 47,6%). Dopo le immissioni in ruolo su posto comune la copertura dell’organico è pari al 97,3%, rispetto al 94% dell’a.s. 2024/2025.

Un’attenzione particolare è riservata al sostegno: i docenti assunti sono 7.820, per un totale di circa 121.879 insegnanti di ruolo e una copertura di organico al 95,2% (erano l’89% prima di queste nuove assunzioni).

Inoltre, per la prima volta, per garantire la continuità didattica agli studenti con disabilità, potranno essere confermati i supplenti annuali o con nomina fino al 30 giugno per i quali le famiglie hanno fatto richiesta di continuità. Si tratta di quasi 58.000 insegnanti su un totale di circa 120.000 posti.

Sul fronte della dirigenza scolastica, le 326 immissioni in ruolo hanno permesso di ridurre il numero di scuole in reggenza, che passano così da 468 a 403, con una diminuzione di quasi il 14%. Le supplenze sui posti in deroga di sostegno saranno circa 120.000.

Infine, dall’1 settembre saranno operativi nelle scuole primarie e secondarie 1.000 docenti specializzati nell’insegnamento dell’italiano agli stranieri, come misura per potenziare l’insegnamento della nostra lingua e contrastare la dispersione scolastica degli studenti stranieri con scarsa conoscenza della lingua italiana.

“L’anticipo delle procedure di nomina, l’incremento delle assunzioni realizzate, la continuità didattica per gli studenti con disabilità e la riduzione delle reggenze sono la prova del nostro impegno per dare risposte concrete al mondo della scuola. Un ulteriore passo avanti verso un sistema che garantisca maggiore stabilità ai docenti e sia più efficiente per mettere realmente al centro la persona dello studente”, ha dichiarato il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.

Gazzetta ufficiale – Serie Generale n. 201

201 del 30-08-2025