Spunti educativi

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Spunti educativi dall’articolo 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia

di Margherita Marzario

Uno degli articoli più ricchi di spunti di riflessione pedagogica (e non solo) in tutta la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989 (il cui acronimo è CRC) è l’articolo 5: “Gli Stati parti rispettano le responsabilità, i diritti ed i doveri dei genitori o, all’occorrenza, dei membri della famiglia allargata o della comunità secondo quanto previsto dalle usanze locali, dei tutori o delle altre persone legalmente responsabili del fanciullo, di impartire a quest’ultimo, in modo consono alle sue capacità evolutive, l’orientamento ed i consigli necessari all’esercizio dei diritti che gli riconosce la presente Convenzione”.

Significativo che l’articolo cominci col richiamo delle responsabilità e che nell’elencazione soggettiva, poi, si riferisca pure alla famiglia allargata e alla comunità.

Un esempio di “famiglia allargata” o “comunità” ai sensi dell’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia è il popolo Himba, basato su una cultura semplice e meravigliosa che avrebbe molto da insegnare ai cosiddetti “civilizzati”: il legame con gli antenati; il rispetto; la tutela dei piccoli; la vera democrazia tanto che non hanno il capo, ma il custode del villaggio.

La scrittrice Melania Gaia Mazzucco precisa: “Gli africani hanno tra loro legami profondi. La famiglia allargata non è solo quella di sangue: un africano chiama papà o fratello molte persone. Difficilmente è solo. Ha la certezza che chi gli è vicino morirebbe per lui. È lo specchio rovesciato della nostra solitudine: spesso fuori dalla famiglia mononucleare in Occidente c’è una generica società”. La famiglia allargata di cui ha bisogno il bambino è una rete affettiva e relazionale in cui ci si mette veramente l’uno al servizio dell’altro, una base di solidità e solidarietà e non un insieme di relazioni fragili e frammentate le quali cambiano in base agli alterni sentimenti degli adulti.

Si dice che ai giovani non bisogna dare punti di riferimento ma persone di riferimento. I giovani hanno sempre più bisogno di adultità, autorità, autenticità. Non hanno bisogno di sermoni e spiegazioni, ma di “orientamento e consigli”.

“Abbiamo ritenuto che i metodi educativi di una volta fossero senz’altro troppo autoritari e coercitivi, d’accordo. Ma se li abbiamo sostituiti con il nostro semplice «assenteismo», non ci abbiamo guadagnato un granché. Non esistono ragazzi cattivi: fanno il loro mestiere, talvolta esagerando. Ma gli adulti, fanno il loro?” (fra Fabio Scarsato, esperto di problematiche minorili). È responsabilità comune occuparsi dei bambini e dei ragazzi e educarli alla cultura dei diritti, affinché non sviluppino un atteggiamento di abuso o sopruso, distruttivo per loro e per tutti.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni sostiene: “L’autorità degli adulti diviene il contenitore in cui l’adolescente può sperimentare e godere di un certo grado di aggressività senza pericolo: la carenza di tale autorità è fonte di angoscia, perché lascia i ragazzi soli di fronte alla paura di non sapere maneggiare la propria aggressività; un eccesso di controllo impedisce all’adolescente di assumere su di sé la gestione della propria aggressività in modo maturo”. Nella genitorialità è insita l’autorità, quell’autorità che ha la stessa origine etimologica di “autore”, “far crescere, aumentare”, perché i genitori sono “autori di vita”. L’autorità si manifesta anche nell’orientamento e consigli: orientare e orientarsi, volgere lo sguardo verso oriente, avere e fissare i punti cardinali della vita.

Fantoni aggiunge: “[…] è necessario che un ragazzo sviluppi un suo pensiero, anche se magari in modo incerto e infastidito. Non consentendogli di dare risposte scontate e generiche. Ultimo: anche facendo tutto questo, restiamo aperti al fatto che il risultato conclusivo non è scontato, e non sempre va nella direzione che vorremmo”. Genitori e educatori, più che rimproverare, devono correggere (etimologicamente “reggere, guidare diritto con”), che non è dare direzioni ma indicazioni. È anche questo il senso della locuzione “impartire orientamento e consigli”. “Consigliare”, che può significare letteralmente “fare insieme silenzio” o “sedersi insieme”, evoca “consolare”, “stare con chi è solo”: ciò che devono fare i genitori nell’accompagnare i figli verso la loro vita (e non lasciarli soli sul divano o davanti ad un tablet).

Il pedagogista Daniele Novara spiega: “I bambini non hanno intenzione di provocare gli adulti, spesso semplicemente vogliono attirare la loro attenzione. A questa età i piccoli non sono in grado di riflettere su una loro azione, è inutile cercare di convincerli con spiegazioni e divieti. L’urlo non fa che spaventarli, provocando una gran confusione. Servono viceversa poche regole chiare e semplici, date in accordo da entrambi i genitori”. Le regole di famiglia e di vita non si inventano né si impongono ma si condividono e si costruiscono prima tra i genitori e poi con i figli.

Anche Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva, scrive: “I ragazzi tendono a dribblare le nostre regole, a eluderle non appena noi abbiamo voltato le spalle, soprattutto se queste regole hanno a che fare con la loro frequentazione delle tecnologie, ambito che li vede impegnati per molto tempo e con molte energie. […] In questa fase della vita si ha una fisiologica tendenza a oltrepassare il limite e a cercare zone di trasgressione e l’adulto deve esercitare un buon presidio del territorio della crescita e ribadire con la propria presenza e i propri interventi educativi che le regole sono eventualmente negoziabili, ma non trasgredibili. In particolare le regole che hanno a che fare con l’uso delle tecnologie, che, se abusate al di fuori di un chiaro modello di autoregolazione, rischiano, soprattutto in preadolescenza, di generare un impatto veramente forte sullo sviluppo cerebrale dei ragazzi. […] Anche per questi motivi, ha senso oggi essere genitori “rompiscatole”. In preadolescenza più che in altre fasi della vita. Naturalmente senza essere ossessivamente controllanti”. Etimologicamente “ragazzo” significa “garzone, corriere”, pertanto colui che esegue degli ordini; i ragazzi hanno bisogno di regole. “Regola”: dal verbo latino “regere”, “reggere, dirigere, guidare, amministrare, fissare, stabilire”. Nell’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si parla contestualmente sia di “comunità” sia di “impartire orientamento e consigli”. I genitori, proprio perché tali, devono fare comunità per i figli (tra i vari esempi, il cosiddetto patto educativo di corresponsabilità scuola-famiglia) e orientarli e consigliarli (usando i verbi nella forma attiva, giacché la genitorialità è un’attività e un’interazione e non isolati interventi), poiché anche la vita si basa su leggi, come le “leggi di Mendel”.

Quanto avviene nella pratica della cosiddetta “Riunione di famiglia”. “Sperimentata per la prima volta in Nuova Zelanda alla fine degli anni Ottanta, da diversi anni la pratica delle Family Group Conference ha preso piede anche nel nostro Paese, fino a coinvolgere un ampio gruppo di operatori sociali e di volontari, che stanno già costituendosi come “comunità di pratica professionale”, con collegamenti anche internazionali. La pratica ha perfino trovato un proprio nome in italiano (Riunione di Famiglia), fatto che già di per sé descrive la capacità di questa metodologia di adattarsi al nostro contesto nazionale. In effetti la carica innovativa di questa pratica risiede in una interazione tra operatori sociali e famiglie che non lascia passiva la famiglia, ma la rende protagonista, e quindi responsabile del proprio rilancio. Gli operatori, con diverse modalità (facilitatori, portavoce, referenti dei vari servizi) devono infatti lavorare per far sì che una famiglia in difficoltà (in genere per sostenere un minore) possa trovarsi attorno ad un tavolo, per una riunione di due – tre ore in cui scrivere un progetto condiviso, in cui tutti i membri della famiglia possono indicare (e sottoscrivere) cosa si può fare per cominciare ad uscire dalla difficoltà. Emerge peraltro con nettezza la natura sussidiaria e promozionale di questo intervento, che deve “parlare con voce di famiglia”; e non con quella degli operatori. In primo luogo quando si deve scrivere il progetto il facilitatore della Riunione (che fino a quel momento è stato “regista attivo” della scena) esce della stanza, confidando nelle capacità autonome della famiglia: sono i membri della famiglia a dover dare parola agli accordi. Inoltre, uno degli elementi “cruciali” della Riunione è in genere la presenza di uno “spuntino”: perché anche il cibo condiviso costruisce il linguaggio familiare, necessario per aiutare la famiglia a confidare in se stessa, per poter ripartire” (il sociologo Francesco Belletti). Con la prassi delle “Riunioni di famiglia” la famiglia si riappropria altresì della sua natura all’insegna dei principi costituzionali espressi negli articoli 2 e 29-31 della Costituzione.

Nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si parla di “esercizio dei diritti” (articoli 5, 13, 14, 15), perché è bene che il bambino sia educato all’esercizio dei diritti per comprenderne i limiti e i corrispondenti doveri. “Nulla educa alla democrazia più dell’esercizio della democrazia”, affermava il filosofo Norberto Bobbio. I bambini non si devono abituare pian piano (come dicono alcuni genitori, più per giustificare il loro operato che i figli stessi), ma devono essere educati pian piano: l’educazione non è un processo passivo e adattivo, ma attivo e interattivo.