La Lega ora punta alla scuola

da ItaliaOggi

La Lega ora punta alla scuola

Via la chiamata diretta, in pista i concorsi regionali

Alessandra Ricciardi

Il terremoto elettorale potrebbe arrivare anche a viale Trastevere. Forte del risultato di primo partito del centrodestra, il leader della Lega Matteo Salvini ora ragiona da socio di maggioranza dello schieramento che ha chiesto al presidente della repubblica, Sergio Mattarella, l’incarico per la formazione del governo. «Tocca a noi, siamo i primi», ha detto Salvini, «e si ragiona nel perimetro della nostra alleanza», ha sottolineato a ribadire che, almeno per ora, accordi con il Movimento 5 Stelle, primo partito in assoluto, non se ne fanno. Che sia finita con l’epoca dei comprimari Salvini è deciso a farlo pesare soprattutto con Forza Italia sui dossier più importanti, dall’immigrazione alle imprese alla scuola su cui, dicono rumors parlamentari, Salvini sarebbe intenzionato a giocare un ruolo da protagonista.

Il programma di centrodestra, controfirmato da Silvio Berlusconi, Salvini, Giorgia Meloni e Raffaele Fitto, rispettivamente per Fi, Lega, Fdi e Noi con l’Italia, su scuola e università è abbastanza generico per consentire di manovrare gli interventi senza troppi vincoli iniziali. Anche perché, come ha avuto modo di sottolineare in campagna elettorale il segretario dimissionario del Pd, Matteo Renzi, «insistere sulla scuola non conviene».

Il programma di centrodestra parla della necessità di ridare centralità al rapporto studente-insegnante, valorizzare il merito, azzerare progressivamente il precariato, rilanciare l’edilizia scolastica di qualità. E per tutti vale il motto di modificare la Buona scuola, nessuna indicazione, però, su come un eventuale governo intenda perseguire questo obiettivo. Per la Lega («La Buona scuola è una delle prime leggi che cambieremo», ha detto Salvini) significherebbe innanzitutto cancellare il sistema della chiamata diretta, giudicato un insuccesso che complica la vita a scuole e docenti, a favore di un nuovo meccanismo di valutazione e di reclutamento basato sui concorsi regionali, tema su cui i punti di contatto con Fi sono molteplici.

Del resto già le pre-intese firmate dal governo centrale nei giorni scorsi con i governatori di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna attribuiscono maggiori poteri alle regioni nella gestione anche del settore scuola. Poteri che possono riguardare l’organizzazione e non l’indirizzo generale che resta prerogativa statale.

Abbandonati gli intenti secessionisti della prima Lega, i nuovi concorsi consentirebbero di regionalizzare la domanda e l’offerta di posti di lavoro, puntando ad evitare trasferimenti forzosi in altre regioni dei neo assunti: nel 2016 circa 250 mila insegnanti si sono spostati, 2 milioni e mezzo gli studenti coinvolti dal cambio di titolare di cattedra. Il perno del progetto, delineato dal responsabile scuola del partito, Mario Pittoni, è il domicilio professionale, «che si può eleggere nella regione preferita in assoluta libertà e rappresenta una scelta di vita e un primo fattore di equilibrio», ragiona Pittoni, «una volta chiarito che in ambito regionale il confronto è a pari condizioni, il candidato orienterà la scelta della regione dove concorrere, sulla base del proprio grado di preparazione in rapporto alla qualità media degli altri iscritti e dei posti disponibili, innescando un meccanismo virtuoso». Il progetto iniziale prevedeva la residenza sul territorio per la partecipazione al concorso regionale, un requisito gravato da dubbi di legittimità costituzionale tali da farlo cancellare a favore del domicilio professionale di ispirazione europea

Il ragionamento della Lega è che tra l’altro gli stipendi attuali degli insegnanti non consentono più di gestire trasferte di centinaia di chilometri lontano da dove si hanno affetti e interessi. E che le conseguenze della mobilità esasperata sulla qualità didattica sono deleterie. «Attiveremo nei limiti del possibile tutti gli strumenti a disposizione per riavvicinare i docenti al loro territorio», è la promessa di Pittoni, che punta a tenere insieme «continuità didattica e continuità affettiva». Il trattamento stipendiale dei docenti resterebbe uguale in tutte le regioni, fino a quando non si realizzerà un vero federalismo fiscale. Ma questa è un’altra storia.