Prove Invalsi al Pc, ma il computer non sempre c’è

da Il Sole 24 Ore

Prove Invalsi al Pc, ma il computer non sempre c’è

di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

Che l’Italia occupi i bassifondi delle classifiche europee per servizi digitali è ormai noto. Meno noti sono gli effetti di ritardi del genere nella vita quotidiana. L’ultimo esempio arriva dal mondo della scuole. Dal 4 aprile oltre mezzo milione di studenti di terza media dovrà affrontare le tanto temute prove Invalsi. E, per la prima volta, i test si svolgeranno al computer. Una prassi che nel resto dell’Ue è già realtà da tempo, a partire dal Regno Unito, ma che da noi sta generando più di un problema. A cominciare dalla scarsa dotazione di Pc negli istituti scolastici. A disposizione ce n’è uno ogni 2,5 studenti. Risultato: anziché svolgersi come negli altri anni in un’unica data stavolta la sessione di valutazione sarà spalmata su una ventina di giorni.

Formalmente la scelta di fissare data e ora delle prove Invalsi all’interno del range 4-24 aprile stabilito dall’Istituto nazionale di valutazione è rimessa alle 6.500 scuole interessate. Anche perché il test non fa più parte dell’esame di Stato e rappresenta solo un requisito di ammissione per gli studenti in attesa della licenza media. Sostanzialmente però il gap di infrastrutture tecnologiche ha avuto un ruolo determinante in questa scelta. Lo dicono i numeri: da un lato, i Pc in dotazione agli istituti italiani sono circa 240mila, grazie anche alle “collette” e agli acquisti last minute di dirigenti e docenti, al punto che un’ottantina di plessi ne è ancora sprovvisto; dall’altro lato, gli studenti dell’ultimo anno del primo ciclo che dovranno essere valutati sono 564mila. Con un rapporto alunno/computer di 2,35. Inevitabile quindi la decisione di articolare in più sessioni lo svolgimento delle prove.

Un’altra conferma del legame tra la scarsità infrastrutturale e l’allungamento del calendario arriva dal fatto che in quinta elementare la prova Invalsi si svolgerà in modalità cartacea e in unico giorno per materia: il 3 maggio l’inglese, il 9 dello stesso mese l’italiano e l’11 la matematica. E viste le cifre precedenti sarebbe stato impossibile fare diversamente.

Al netto della volontà di disinnescare gli scioperi che ogni anno vengono proclamati in coincidenza con i test su cui torneremo più avanti, in questa sede va evidenziato un altro ritardo strutturale nel campo dell’istruzione. Nell’Italia che è 25esima su 28 Paesi europei secondo l’indice Desi 2017 sulla digitalizzazione dell’economia e della società la scarsa diffusione della banda larga e ultralarga nelle scuole gioca la sua parte. Specialmente in una verifica “computer based” che prevede la correzione simultanea e online dei quiz al posto della “vecchia” penna degli insegnanti. L’ultimo monitoraggio del Miur su un campione di 3.500 scuole dimostra infatti che il 97% degli edifici scolastici è connesso ad Internet per la didattica, ma solo il 47% è dotato di una connessione adeguata. Stesso discorso per il cablaggio interno: il 48% degli istituti è interamente cablato. Una percentuale che sale al 56% per le aule e al 75 per i laboratori.

Ma le prove Invalsi di quest’anno si caratterizzano anche per un’altra novità assoluta. Vale a dire il debutto di test in lingua inglese: una quarantina di domande in 90 minuti per verificare comprensione della lettura (reading) e dell’ascolto (listening). Gli studenti di terza media (in tutto si coinvolgeranno 27.200 classi – in circa 1.500 aule verranno inviati osservatori esterni) dovranno dimostrare di aver raggiunto almeno un livello A1 o A2 (poco più di “beginner”). Non ci saranno, tuttavia, promossi o bocciati. A giugno ciascun alunno riceverà un attestato di lingua, utile anche per i successivi studi superiori (e in prospettiva, universitari). I risultati che arriveranno da queste prove potrebbero non essere così lusinghieri, specie alle elementari dove si svolgeranno il 3 maggio. Qui i posti dedicati all’insegnamento dell’inglese sono poco più di 5mila. Il grosso dei maestri “d’inglese” sono insegnanti comuni “formati” nella lingua di Shakespeare quando è andato bene con corsi di 500 ore, o quando è andato male, nel gran parte dei casi, con circa 60 ore. Al ministero dell’Istruzione sono consapevoli del problema: nei precedenti concorsi a cattedra era richiesta la conoscenza B2 dell’inglese; adesso si stanno utilizzando anche i bandi Pon per rafforzare le competenze linguistiche dei professori italiani.

Tornando al calendario “flessibile” per le prove 2018 da cui siamo partiti – che va letto in abbinata alla riduzione delle incombenze burocratiche per i docenti – e ripensando ai “boicottaggi” del recente passato, c’è da auspicare in un suo effetto-disincentivo sull’eventuale sciopero che potrebbe essere indetto in concomitanza con i test. Per di più in una fase di instabilità politica in cui non manca la tentazione manifestata da diversi partiti di sopprimere l’Invalsi. Anche perché le prove standardizzate si fanno in tutto il mondo. Più che buttare il bimbo con l’acqua sporca, quindi, andrebbe rafforzato lo strumento, mettendo l’Istituto e le scuole nelle condizioni di svolgere al meglio i test. E prenderli per quello che sono: l’unico “termometro” oggettivo per misurare le conoscenze dei ragazzi e, di conseguenza, la qualità della scuola italiana.