La scuola efficace non seleziona ma orienta

La scuola efficace non seleziona ma orienta

di Rita Manzara

 

Un frequente pensiero che accompagna la scelta della scuola secondaria di II grado riguarda la garanzia di selettività, da parte dell’Istituzione, come presupposto alla costruzione di un’immagine professionale e culturale.

In parole più semplici, è opinione diffusa che coloro i quali frequentano una scuola “selettiva” avranno, al temine del percorso scolastico, qualcosa “in più” da spendere nel futuro.

Ci sono, poi, alcune convinzioni generalmente diffuse che condizionano la scelta in questione: ad esempio, si identifica un generico “ successo nello studio” come garanzia di riuscita di qualsivoglia   progetto di vita personale, ovvero  si considerano (ancora) alcuni indirizzi (come l’istruzione e la formazione professionale) come indicati a studenti che hanno manifestato difficoltà nel precedente percorso scolastico.

Le contraddizioni presenti nei suddetti ragionamenti si evidenziano, in molti casi, quando ci si rende conto, sin dal primo anno di frequenza, di aver sbagliato la scelta in questione.

Tali fallimenti andrebbero attentamente monitorati da parte di ogni Istituzione scolastica effettuando una seria analisi della dispersione, dei successi e degli insuccessi scolastici nei passaggi da un ordine di scuola al successivo.

Si può, in ogni caso, affermare che in linea generale le ragioni di tale fenomeno trovano le loro radici in alcune criticità presenti nel sistema scolastico, nel quale non si è mai riuscito, nei fatti, a mettere in pratica quanto esplicitato nella Direttiva 6 agosto 1997, n. 487 in tema di orientamento.

L’orientamento, infatti, non consiste unicamente nell’azione di indirizzo verso studi superiori, basata su un sistema di informazioni  utili  agli studenti in alcuni momenti cruciali di decisione.

La Direttiva citata, all’art. 1, affermava testualmente: “L’orientamento – quale attività istituzionale delle scuole di ogni ordine e grado – costituisce parte integrante dei curricoli di studio e, più in generale, del processo educativo e formativo sin dalla scuola dell’infanzia.
Esso si esplica in un insieme di attività che mirano a formare e a potenziare le capacità delle studentesse e degli studenti di conoscere se stessi, l’ambiente in cui vivono, i mutamenti culturali e socio-economici, le offerte formative, affinché possano essere protagonisti di un personale progetto di vita, e partecipare allo studio e alla vita familiare e sociale in modo attivo, paritario e responsabile.”

La Legge n. 53/2003 (come ben ricorda Dario NICOLI  in  “Ripensare l’orientamento – Contributi per una nuova cultura dell’orientare”) , “ribadisce la necessità di  promuovere l’apprendimento in tutto l’arco della vita e assicurare a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea.”

In altre parole, le attività di accompagnamento e di consulenza orientativa realizzate al momento del passaggio al secondo grado d’istruzione dovrebbero essere conseguenti ad un precedente  insegnamento/apprendimento basato su pratiche di orientamento formativo.

La nota Ministeriale n. 4232 del 19.2.2014 fornisce indicazioni atte a  realizzare concretamente i percorsi di orientamento formativo, a partire dalla formazione iniziale dei docenti e dall’individuazione di specifiche figure di sistema sin dalla scuola primaria.

Nella medesima nota si ribadisce l’importanza di documentare, a partire dalla scuola dell’infanzia, le fasi essenziali del percorso scolastico e di orientamento.

L’orientamento dovrebbe quindi essere visto come un percorso da intraprendere sin dai primi anni di scuola con l’intento di far scoprire ad ogni individuo le proprie attitudini e competenze e valorizzarne le capacità.

E’ appena il caso di sottolineare lo stretto legame tra orientamento e didattica per competenze, attraverso la quale vengono create per ogni discente  le condizioni di apprendimento che  facciano emergere le potenzialità di ciascuno, consentendo di valorizzare le eccellenze e, contemporaneamente, di indicare un possibile percorso a coloro che manifestano debolezze o specifici disturbi dell’ apprendimento.

Una scuola di qualità dovrebbe, quindi, coinvolgere docenti, alunni e genitori nella gestione di una didattica orientativa, che dovrebbe prevedere percorsi didattici utili alla definizione dell’identità di ogni soggetto nella prospettiva della consapevolezza delle scelte che il soggetto stesso andrà ad operare.

Purtroppo, anche tra gli “addetti ai lavori” prevale la concezione “disciplinare” dell’orientamento, in luogo di quella basata sulle competenze di base e trasversali.

Pur riconoscendo la difficoltà, da parte del corpo docente, di modificare il punto di vista didattico  rivoluzionando le proprie modalità operative, sarebbe auspicabile che gli stessi insegnanti partissero dal presupposto che in una didattica per competenze non viene meno la considerazione del valore orientativo delle singole discipline, ma che le stesse confluiscono nelle competenze descritte in un  curricolo formativo verticale.

E’ evidente, inoltre, che l’adozione di tale stile d’insegnamento presuppone una collaudata collegialità, condizione che non sempre si riscontra nel team docente.

Quanto alle famiglie degli alunni, la scuola – secondo la nota Ministeriale 4232/2014 – dovrebbe riservare particolare attenzione“ad azioni di sensibilizzazione e formazione dei genitori da prevedere all’interno del Patto di corresponsabilità educativa fra scuola, famiglia e studenti.”

Per esperienza personale, debbo con rammarico rilevare che risulta realmente difficile il coinvolgimento delle famiglie nei percorsi orientativi realizzati (almeno in parte) sin dall’inizio del percorso scolastico. I genitori degli alunni della scuola di base, infatti, sono portati spesso a non considerare positivamente la selezione delle capacità derivante da un’azione di orientamento.

Per alcuni, si tratta di una fase in cui sembra che il proprio figlio debba e possa “far bene tutto”, per altri appare prematura l’identificazione delle capacità emergenti.

Anche le iniziative a livello informativo poste in atto dalla scuola vengono spesso disertate dalla maggioranza delle famiglie, che sono invece successivamente presenti agli incontri di passaggio alla scuola secondaria di II grado.

Si può infine rilevare che anche i consigli orientativi formulati dai Consigli di classe in concomitanza con l’esame di licenza media non sempre vengono presi in  considerazione in quanto le motivazioni di scelta del successivo percorso scolastico sono diversamente fondate: es., ripercorrere lo stesso iter di studi già seguito dal padre, oppure seguire un gruppo di compagni, o ancora – come s’è detto in premessa – frequentare una scuola “seria” in quanto “selettiva”.

A quanti riconoscono come valore quest’ultima caratteristica in funzione delle ricadute positive per il futuro dei propri figli andrebbe tuttavia chiarito che una corretta considerazione dell’orientamento vede l’imprenditorialità come parte integrante dell’orientamento stesso.

Il senso di quest’ultima affermazione può essere ricavato dal seguente pensiero, espresso da Maria Luisa Pombeni  in un Intervento al Convegno “Tavolo per l’orientamento” ( Tione (Trento), 2007):

“Il ruolo strategico dell’orientamento viene collegato al fenomeno dell’insuccesso e della dispersione mettendone in risalto le due facce del problema: da un lato, le ricadute patologiche sul funzionamento del sistema scolastico stesso e le conseguenze sul sistema economico-produttivo e, dall’altro, gli effetti problematici sull’evoluzione delle storie individuali (formative, lavorative, sociali)”.