Picchiare l’insegnante…

Picchiare l’insegnante…

di Maurizio Tiriticco

…sembra che ormai sia diventato uno sport nazionale! Due, a mio avviso, sono le concause: a) il fatto che la scuola non sia più percepita come l’ascensore sociale di sempre, cioè quel percorso lungo e faticoso, certamente, ma che dovrebbe garantire un lavoro qualificato e uno status sociale riconosciuto; b) di conseguenza, il fatto che l’insegnante, che la rappresenta, non sia più percepito come “colui che sa” e che garantisce ai suoi alunni l’acquisizione del “sapere”. Che poi dovrebbe trattarsi di quel “sapere che serve”, che permette l’acquisizione di quelle conoscenze e di quelle competenze, oggi tanto di moda, che dovrebbero garantire il successo professionale nel lavoro e nella vita.

Due concause che, messe insieme, ci aiutano a capire le ragioni di tanta insofferenza di alunni sedicenni, poco più, poco meno Ed è una insofferenza che non si registra nella scuola primaria, tanto meno nella scuola dell’infanzia. Forse perché le maestre riescono a motivare alla scuola più dei professori? O meglio, delle professoresse, perché il processo della femminilizzazione del corpo insegnante sembra pressoché irreversibile?! Il fatto è che il “bambino che cresce” è naturalmente curioso di apprendere. L’apprendere gli permette di impadronirsi di quelle chiavi interpretative di “se stesso” e del “sociale” – potremmo dire – e, di conseguenza, di poterle usare per imparare a convivere e a partecipare.

In effetti, la “voglia di crescere” nel bambino è sempre alta. Il cosa “farò da grande” costituisce sempre l’interrogativo di fondo che è la molla stessa del crescere e dell’apprendere. E l’apprendimento scolastico non è quello totalizzante, com’è noto – una volta si diceva che insegna più la strada che la scuola – perché il misurarsi con l’altro, con il coetaneo e con il “più grande” è sempre quello dominante, sia negli atteggiamenti che nei comportamenti dell’adolescente.

Oggi le “cose” sono profondamente cambiate! Tante cose si apprendono prima e fuori della scuola. Il sociale è profondamente cambiato per quanto riguarda la produzione, la diffusione e l’acquisizione delle informazioni. Cambiamenti profondi, dei quali però la scuola non ha saputo prendere atto. La scuola, in effetti, è quella di sempre. Le riforme che l’hanno interessata ha riguardato sempre gli ordinamenti, mai la sua natura e le sue finalità. Sono ritardi gravi e che ci permettono di comprendere le ragioni dell’insofferenza di un sedicenne costretto a un banco in cui ascoltare ascoltare di fronte ad una cattedra da cui discendono discendono informazioni. La struttura stessa dell’aula (banchi e cattedra, come nelle scholae medievali) e la rigorosa assegnazione di compiti, per i quali UNO apprende e UNO insegna, non sono più funzionali rispetto ad un mondo in cui le in/formazioni – che in effetti producono, o dovrebbero produrre altrettante formazioni – sono, possiamo dire, di casa!

Lo so! Ci sono insegnanti che “insegnano” in modo diverso! Ci sono sperimentazioni interessanti! Dove la scuola è di fatto un campus! Purtroppo però il corpo molle della scuola – alludo soprattutto alla nostra scuola secondaria di secondo grado – è quello di sempre. Indicazioni nazionali e Linee guida hanno sostituito i programmi – ed è stata un’operazione utilissima – ma non hanno minimamente inciso su quella struttura e su quelle regole ferree che da anni individuo nelle tre C: classe d’età, cattedra, campanella. Le tre C immutabili che non permettono alla nostra scuola secondaria di secondo grado – quella in cui soprattutto “si picchiano” gli insegnanti – di diventare adulta, e di trattare da “adulti” studenti che oggi sono “abbastanza cresciuti” e che, come si suol dire, sono in grado di farne più di Carlo in Francia!

E in effetti ne fanno di più, ma in negativo! Ma la responsabilità non è solo loro! Chissà se il nuovo ministro… ma ci credo poco, perché il Miur tocca sempre a un illustre sconosciuto, un nuovo arrivato, o una nuova arrivata, cha dà inizio al suo cursus honorum!!!