Invalsi, le domande che frenano la voglia di sognare

da La Stampa

Invalsi, le domande che frenano la voglia di sognare

Federico Taddia

Fissare negli occhi un alunno di quinta elementare e cercare in lui l’adulto di domani. Non vedendo e ignorando quello che – qui e ora – si ha di fronte: il bambino di oggi. «Pensando al tuo futuro, quanto pensi che siano vere queste frasi?». Ecco una delle domande inserite nel «Questionario degli studenti» allegato alla prova Invalsi di italiano della scuola primaria. Quesiti posti per raccogliere informazioni sugli studenti e il loro ambiente sociale. Mentre la prove Invalsi infatti misurano, o cercano di farlo, la qualità dell’apprendimento delle competenze, il questionario pone il focus sulle variabili di contesto, come l’habitat di riferimento, lo status famigliare e la percezione di stessi rispetto alla formazione. «Pensando al tuo futuro, quanto pensi che siano vere queste frasi?».

Chissà con quale slancio emotivo i piccoli esaminati si sono immaginati tra 10, 20 anni… Chissà la gioia nel poter, finalmente, svelare i propri sogni, confessare le passioni, svelare ai grandi le trame contorte e spesso irrealizzabili che – per fortuna – la fantasia ti aiuta a tessere… E invece loro, i grandi, nella scelta delle opzioni hanno dato un bel calcio alla giostra dell’immaginazione, prospettando un avvenire figlio del proprio presente: avido, sterile e rassegnato. «Raggiungerò il titolo di studio che voglio». «Avrò sempre abbastanza soldi per vivere». «Nella vita riuscirò a fare ciò che desidero». «Riuscirò a comprare le cose che voglio». «Troverò un buon lavoro». Da «Per niente» a «Totalmente» ai bambini è stato chiesto – imposto – di esprimere quanto sentissero vere queste frasi. Quanto quegli auspici fossero i loro auspici. Il buon lavoro, il comprare quello che si vuole, avere abbastanza soldi: se lo canta «Sfera Ebbasta», e con lui i nostri figli, non lo capiamo ma lo possiamo accettare. Fa parte dello spettacolo, della moda, del momento. Ma che sia la scuola elementare a farti misurare la felicità in euro è un qualcosa di incomprensibile. E di tristemente pericoloso.  Lì, dove di educhi alla vita, alle relazioni, al gusto della scoperta, deve una zona neutra, una riserva di vitalità e speranza, un presidio di chi può pensare al proprio futuro vedendosi astronauta o showgirl, calciatore o scienziata, cuoco o pilota d’aerei, senza dover mettere i soldi come primo obiettivo. «Sono domande standard, uguali in tutta Europa, non meccanicamente tradotte ma adattate al singolo Paese». Così hanno spiegato dall’Invalsi, e da «Per niente» a «Totalmente» ognuno può giudicare quanto sia vera l’esigenza di una scuola che oltre a saper valutare sappia rilanciare. E sappia trasmettere il valore della possibilità. La possibilità di essere quello che si è. Essere bambini, pensare da bambini, immaginare da bambini. Per poi crescere, con i propri tempi e i propri spazi. Tra adulti in grado di dare tempi e dare spazi. E non capaci solo di tingere di grigio un mondo che non riescono più a vedere in nessun altro colore.