Maestri, 4 mesi di lavoro ancora

da ItaliaOggi

Maestri, 4 mesi di lavoro ancora

Dl Dignità concede 120 gg per attuare le sentenze di licenziamento dei diplomati magistrali. Il governo cercherà nel frattempo una soluzione definitiva

Marco Nobilio e Alessandra Ricciardi

I diplomati magistrali ante 2002 che lavorano per effetto di provvedimenti del Tar o del Consiglio di stato nell’infanzia o primaria non saranno licenziati subito. L’amministrazione si prende120 giorni di tempo per dare attuazione alle sentenze di merito a mano a mano a mano che ne verrà a conoscenza. Lo prevede il decreto legge intitolato «Misure urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese» varato dal governo nella riunione del consiglio dei ministri n. 8 del 2 luglio scorso. In particolare, il decreto prevede si veda ItaliaOggi del 6 luglio scorso) che i docenti muniti del diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, che risulteranno titolari di contratti di lavoro a tempo indeterminato e determinato per effetto di provvedimenti dei giudici amministrativi, saranno licenziati entro 120 giorni dalla comunicazione delle sentenze di rigetto dei ricorsi che saranno emesse all’esito della fase di merito. L’amministrazione avrà 120 giorni di tempo per dare esecuzione alle sentenze, per non pregiudicare l’ordinato avvio dell’anno scolastico. Circa 40 mila i potenziali interessati.

I 120 giorni di ritardo nell’attuazione delle pronunce saranno applicati anche ai depennamenti di coloro che sono stati inclusi nelle Gae, sempre per effetto di sentenze cautelari o di merito, a mano a mano che interverranno le sentenze di rigetto dei ricorsi. Contestualmente al depennamento saranno applicati anche i licenziamenti dei docenti che, nel frattempo, saranno stati assunti a tempo determinato, tramite lo scorrimento delle graduatorie a esaurimento o delle graduatorie di istituto di I fascia dalle quali siano stati depennati. Tutti i maestri licenziati saranno inseriti nella II fascia delle graduatorie di istituto.

Il licenziamento riguarderà tutti gli insegnanti che perderanno la causa, a prescindere dal fatto che nel loro contratto di lavoro sia stata apposta la cosiddetta risolutiva espressa. Vale a dire: una condizione secondo la quale il docente sarebbe stato licenziato se, all’esito della fase di merito del giudizio in corso, il giudice avesse rigettato il ricorso.

Per contro, il licenziamento non sarà applicato nei confronti dei diplomati magistrali che hanno ottenuto l’immissione in ruolo per effetto di sentenze definitive, ormai passate in giudicato, che continueranno a prestare servizio come docenti di ruolo. E non sarà applicato nemmeno nei confronti dei diplomati magistrali che risulteranno in servizio con contratti a tempo determinato, per effetto dell’inclusione nelle graduatorie a esaurimento o di istituto di I fascia disposte dai giudici, sempre per effetto di sentenze passate in giudicato. Questi soggetti conserveranno anche il diritto a permanere nelle graduatorie a esaurimento e nelle graduatorie di istituto di I fascia che da esse derivano.

Il governo ha motivato il provvedimento con la necessità di assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2018/2019 e di salvaguardare la continuità didattica degli alunni. Ed ha fatto riferimento all’articolo 14, comma 1, del decreto legge 669/96, che consente all’amministrazione di dare esecuzione alle sentenze entro 120 giorni decorrenti dalla data di comunicazione del provvedimento giurisdizionale al ministero dell’istruzione. Il differimento si è reso necessario perché la procedura per dare esecuzione alle sentenze è molto complessa e l’udienza di merito della maggior parte dei ricorsi pendenti si terrà l’11 luglio prossimo. Pertanto, con ogni probabilità, i giudizi andranno a sentenza a ridosso dell’inizio delle lezioni o ad anno scolastico inoltrato.

In verità, i 120 giorni di tempo serviranno anche al governo, lo ha ammesso il ministro Marco Bussetti, per trovare una soluzione definitiva che eviti i licenziamenti in questione allo scadere dei 120 giorni. Una soluzione che dovrà tenere insieme le ragioni dei ricorrenti e quelle dei controinteressati. E su cui uno spiraglio dovrebbe aprirsi già in sede di conversione in legge del decreto. Si tratta di inserire una norma ponte per disciplinare tutte le fasi transitorie del nuovo reclutamento. Nel frattempo restano molto critici i sindacati: il dl non serve affatto a risolvere il problema, l’accusa.