Sulle “Indicazioni nazionali”

Sulle “Indicazioni nazionali”

di Stefano Stefanel

La bozza del 30 maggio delle Indicazioni nazionali, formalmente conclusiva del processo di armonizzazione delle Indicazioni precedenti legate alla “Riforma” del Ministro Moratti (Gruppo di lavoro diretto da Giuseppe Bertagna, d.lgs 59/2004) e al “cacciavite” del ministro Fioroni (Gruppo di lavoro diretto da Luigi Ceruti, D.M. 31 luglio 2007) e fortemente influenzate dalla successiva “Riforma” Gelmini e dalle norme sul dimensionamento, mette un punto fermo ad una certa confusione progettuale, visto che le due Indicazioni non sono affatto armonizzabili. Lo sforzo del Miur è comunque degno di interesse e di partecipazione e il fatto che il tutto avvenga a giugno con le scuole impegnate in esami non vuole dire nulla, perché quando c’è la volontà e l’interesse tutti i periodo dell’anno vanno bene, quando non ci sono tutti periodi dell’anno sono sbagliati. E sembra di poter dire che “la seconda che ho detto” è quella giusta.

Alcuni autorevoli commentatori paiono più interessati ad esporre le loro perplessità, che ad ascoltare sia la proposta ministeriale, sia pareri altrui. Non è chiaro però se sulle Indicazioni e in generale sulla scuola hanno titolo di essere ascoltati tutti quelli che ritengono di avere qualcosa da dire o solo chi esprime posizioni di sindacati, gruppi, associazioni, enti di ricerca, ecc. Poiché difficilmente commentatori di grande autorevolezza come Maurizio Tiriticco (Indicazioni a passo di gambero, www.edscuola.it  dell’11 giugno 2012) e Giancarlo Cerini (Indicazioni/2012: restyling o maquillage, www.edscuola.it del 4 giugno 2012) dialogano, in quanto preferiscono l’esposizione diretta di una tesi giudicata inattaccabile, diventa difficile anche capire chi deve dialogare con chi. Se il Miur “dialoga” attraverso una piattaforma a domande chiuse e i siti scolastici “dialogano” lanciando in rete opinioni che non si connettono tra loro diventa complicato anche solo avere il polso della situazione.

 

CAMBIO DI PROSPETTIVA

Le Indicazioni mostrano una prospettiva diversa da quella praticata dalle scuole e la frase contenuta nel paragrafo denominato “Profilo delle competenze al termine del primo ciclo di istruzione” è molto preciso in merito: la formazione dello studente frequentante il primo ciclo dell’istruzione avviene “attraverso gli apprendimenti sviluppati a scuola, lo studio personale, le esperienze educative vissute in famiglia e nella comunità”. Poiché quella da me citata è una formulazione corretta di come si sviluppano le competenze direi che le Indicazioni non sono affatto elusive sull’indirizzo didattico e progettuale che dovrebbe prendere il ciclo dell’obbligo. Poco sotto infatti si enuclea un percorso di competenze tutte piuttosto logiche e condivisibili (“padronanza della lingua italiana”, “registro linguistico appropriato”, “è in grado di esprimersi a livello elementare in due lingue europee”, “analizzare dati e fatti della realtà”, “utilizza in modo sicuro le tecnologie della comunicazione”, e via di seguito) attraverso un discorso sintetico nel complesso molto coerente (si veda il riquadro sotto riportato).

Dalla bozza delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione  

Profilo delle competenze al termine del primo ciclo di istruzione

Lo studente al termine del primo ciclo, attraverso gli apprendimenti sviluppati a scuola, lo studio personale, le esperienze educative vissute in famiglia e nella comunità, è in grado di iniziare ad affrontare in autonomia e con responsabilità le situazioni di vita tipiche della propria età, riflettendo ed esprimendo la propria personalità.

Dimostra una padronanza della lingua italiana tale da consentirgli di comprendere enunciati e testi di una certa complessità, di esprimere le proprie idee, di adottare un registro linguistico appropriato alle diverse situazioni.

Nell’incontro con persone di diverse nazionalità è in grado di esprimersi a livello elementare in due lingue europee. Allo stesso modo riesce ad utilizzare una lingua europea nell’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione: posta elettronica, navigazione web, social network, blog, ecc…

Le sue conoscenze matematiche e scientifico-tecnologiche gli consentono di analizzare dati e fatti della realtà e di verificare l’attendibilità delle analisi quantitative e statistiche proposte da altri. Il possesso di un pensiero razionale sviluppato gli consente di affrontare problemi e situazioni sulla base di elementi certi e di avere consapevolezza dei limiti delle affermazioni che riguardano questioni complesse che non si prestano a spiegazioni univoche.

Utilizza in modo sicuro le tecnologie della comunicazione con le quali riesce a ricercare e analizzare dati ed informazioni e ad interagire con soggetti diversi.

Possiede un patrimonio di conoscenze e nozioni di base ed è allo stesso tempo capace di ricercare e di procurarsi velocemente nuove informazioni e impegnarsi in nuovi apprendimenti anche in modo autonomo.

Ha assimilato il senso e la necessità del rispetto delle regole nella convivenza civile. Ha attenzione per il bene comune e per le funzioni pubbliche alle quali partecipa nelle diverse forme in cui questa può avvenire: volontariato, azioni di solidarietà, servizio civile, ecc.

Dimostra originalità e spirito di iniziativa. Si assume le proprie responsabilità e chiede aiuto quando si trova in difficoltà. In relazione alle proprie potenzialità e al proprio talento si impegna in campi espressivi ed artistici che gli sono congeniali.

Molti si aspettavano di più, moltissimi alzeranno le spalle, qualcuno – preso da cose più importanti – non saprà neanche dell’esistenza di questa bozza. Una commissione non può certo rivedere strutture didattiche atrofizzate da decenni di ripetizioni, con una scuola valutata a livello internazionale come negativa e che invece si considera positiva. In quanto tali le Indicazioni tracciano una strada in forma corretta, forse a tratti anche troppo esaustiva, ma non possono sostituirsi alla didattica quotidiana dei docenti, spesso appiattita su libri di testo cartecei non più al passo con i tempi o su contenuti che sono coerenti con le classi di concorso, ma non con il mondo che cambia.

C’è un punto su cui, invece, le Indicazioni non intervengono e su cui c’è molta paura da intervenire. La didattica per competenze non può essere “nazionale”, ma deve unire curricolarità nazionale e sistemica con curricolarità locale o di indirizzo, perché le competenze sono comunque del soggetto, non del sistema. Per questo ritengo poco utile un modello nazionale certificativo, mentre troverei molto utile uno schema nazionale certificativo cui poi adattare le varie certificazioni delle scuole. Questo è un discorso ampio, che non può essere appiattivo in un breve commento alle Indicazioni. Se però deve esistere una didattica per competenze questa deve passare da curricoli (e non da programmi), da ricerca-azione (e non da ripetizione), da innovazione (e non da conservazione), da scelte (e non da imposizioni), da flessibilità (e non da rigidità). Sono sempre più convinto che sia necessario slegare il curricolo dalla rigidità del tempo scuola e credo che 600 ore all’anno obbligatorie come livello essenziale di prestazione nazionale per declinare le discipline anche in forma tradizionale siano più che sufficienti. Le altre 400 dovrebbero contenere gite, visite di istruzione, laboratori, approfondimenti, curricoli d’eccellenza, recuperi, ecc, cioè tutte le cose che si fanno normalmente, ma che sono strutturate e organizzate nonostante l’orario curricolare settimanale e non come sua trasformazione da orario per disseminare conoscenze e allenare abilità in orario per attivare e potenziare le competenze. Credo che queste Indicazioni potrebbero essere il momento per guardare in faccia la realtà della scuola e usare parole di verità: non fare finta che si facciano realmente 198 ore di italiano in un anno, quando tutta una progettazione terza si accavalla con quelle ore. 600 ore per conoscenze e abilità e 400 per competenze: allora le Indicazioni serviranno a modulare i curricoli. Altrimenti diventeranno l’ennesimo modo per descrivere quello che si fa in 1.000 e non lo si fa mai.