La scuola che resiste quell’Italia dove c’è ancora un’idea di comunità

da la Repubblica

La scuola che resiste quell’Italia dove c’è ancora un’idea di comunità

Problemi annosi, scarse risorse. Ma anche tante scommesse vinte in silenzio

Paolo di Paolo

Sembra che chiuda per tre mesi, ma in realtà è l’unico cantiere sempre aperto. Il traguardo non è segnato da pagelle o diplomi, come spesso si crede, né si può misurare il suo effetto, stando ai dettami della burocrazia ministeriale, in distribuzione di “competenze”.

La scuola non ricomincia oggi o domani; la scuola ricomincia di continuo. Nei fatti, ricomincia ogni giorno, da ogni singolo banco, anche quando traballa o resta vuoto. Piccola comunità nella più ampia comunità sociale, riflette e sconta tutte le tensioni, le scelte politiche sbagliate, le spinte disgreganti. Niente è mai facile, tutt’altro. Ma se la comunità più vasta — quella di adulti fra adulti — può permettersi di rimuovere i problemi, di fingere di risolverli, di nasconderli dietro parole false, di dimettersi dalle responsabilità, la comunità piccola non può.

Mattina dopo mattina, è costretta a trovare soluzioni, a metterle in atto senza averle testate, a ricomporre, a integrare, a sanare.

Non sempre funziona, accade che fallisca, anche gravemente, eppure non può astenersi, non può rinunciare. È tenuta, per costituzione, a resistere, a tenere in vita — magari con un respiratore artificiale scassato — un’alleanza fra sconosciuti; a difendere uno spazio che chiamerei di fiducia, tanto più mentre il vento della sfiducia soffia, da fuori, contro ogni finestra.

Le storie che abbiamo raccolto in questa pagina sono un campione minimo delle scommesse — sempre poco pubblicizzate — che sa compiere una “comunità resistente”. Tentativi di non cedere al cinismo generalizzato, alla scorciatoia suicida di una guerra di tutti contro tutti, quella proposta dagli slogan di governo; alla cronica mancanza di risorse, alle bordate egoiste di chi dovrebbe collaborare e invece assale, alla confusione di ruoli, alle iniziative politiche più improvvisate.

D’altra parte, la scuola è sempre “realtà aumentata”, perché è il contrario del generico. Le statistiche sono numeri; la scuola non può che essere concreta. I programmi sono carte nautiche; le lezioni quotidiane, una navigazione a vista. A scuola non puoi fare finta di niente. Il difetto, lo scarto, la sproporzione, l’attrito, tutto chiede una presa in carico immediata. Più o meno il contrario di quanto accade fuori dalle aule. Se provassimo a essere qualcosa di diverso — né solo ex studenti, parecchio ex e parecchio distratti, né solo genitori in perenne (e personalissimo) allarme; se provassimo a pensare che fra i banchi si vincono o si perdono tutte le sfide, anche quelle che non abbiamo ancora immaginato; se provassimo a non considerare l’istruzione da una parte e la società dall’altra, come due entità scollate e non comunicanti, allora torneremmo a capire che se riusciamo a salvarci — mai come in questa disperante stagione — ci salviamo a scuola.