P. Rumiz, Il Ciclope

Rumiz e la sua ricerca dell’uomo

di Antonio Stanca

Paolo Rumiz è un giornalista e scrittore italiano. Ha settantuno anni, è nato a Trieste nel 1947.

Ha molto viaggiato e molto scritto dei suoi viaggi a volte per conto di giornali quali “Il Piccolo” di Trieste o “la Repubblica” di Roma, altre volte per ricavare opere di narrativa. Molti romanzi sono legati ai suoi viaggi. Uno dei più recenti, intitolato Il Ciclope, risale al 2015. Era stato pubblicato dalla casa editrice Feltrinelli di Milano che ora lo ha riproposto per la seconda volta nella “Universale Economica”. Nel 2016 l’opera ha ricevuto il Premio Procida- Isola di Arturo- Elsa Morante Sezione Mare.

Il Ciclope non narra di un vero e proprio viaggio ma di una lunga sosta, un mese, vissuta dal Rumiz su un’isola del mare Mediterraneo, della quale non dice il nome e sulla quale è collocato un faro con la sua torre alta, la sua luce potente, tanto da far pensare ad “un ciclope”, ad un gigante con un occhio solo. Il motivo che lo aveva spinto a raggiungere l’isola era stato il desiderio di conoscere quanto avveniva in quella “casa della luce” anche perché solo quella vita c’era sull’isola essendo completamente disabitata. Conoscere, vedere i locali di un faro che ancora funzionava era un’occasione unica per sapere quanto era sempre avvenuto in quelle “torri luminose” che ormai sono quasi completamente scomparse a causa dei moderni sistemi di navigazione dotati di guide e orientamenti del tutto diversi. Nel passato aveva voluto immergersi Rumiz con una permanenza così prolungata sull’“isola del faro”, aveva voluto vedere con quale regolarità, con quanta parsimonia, con quale senso della misura, dell’equilibrio erano vissuti i faristi di ogni tempo essendosi trovati lontani dal mondo, isolati e chiamati a procurarsi il necessario per vivere, a misurarlo, a concepire quei pensieri, quegli interessi che li aiutassero a stare soli. Di tanti casi di faristi, vecchi e nuovi, del Mediterraneo e di altri mari, di tante loro azioni esemplari dice il romanzo che è rivolto a mettere in evidenza, tramite l’esempio dei faristi, quanto il passato sia valso a tenere alti i valori dello spirito, a fare dell’uomo un essere coraggioso, sprezzante del pericolo, a fargli credere che solo il bene andava perseguito perché valeva più di tutto.

I fari erano stati alcuni dei posti dove si potevano trovare esempi di questa umanità che ormai era finita insieme a quelli e ad altri posti.

Il Mediterraneo intero, nota Rumiz, era stato guastato dai tempi moderni che oltre ad averlo inquinato ne avevano fatto un luogo di pericolo, di morte essendo continuamente attraversato da imbarcazioni stracariche di persone delle quali molte spesso non giungevano a riva. Era stato un luogo di scambio, di commerci tra i popoli diversi che su di esso si affacciavano, aveva favorito, promosso la comunicazione tra loro, i suoi fari erano stati dei riferimenti sicuri, erano serviti ai tanti che quel mare avevano attraversato, che su quel mare erano vissuti e la loro fine, constata amaramente Rumiz, rappresentava anche la fine di quel tempo, di quell’epoca, di quell’umanità.

Questo senso di umanità perduta percorre tante altre opere di Rumiz si tratti di servizi, reportage, rubriche per i giornali, documentari per la televisione, film, romanzi. Dai suoi viaggi sono venute le sue opere comprese quelle di narrativa, l’Europa e a volte altri continenti sono state le sue mete, nei modi più diversi, compresi quelli in bicicletta o a piedi, da solo o con qualcun altro, ha viaggiato. In quell’Europa, in quei continenti dove più evidenti erano i segni della fine di un modo di sentire, di pensare, di vivere, di una cultura, di una storia che erano state proprie dell’uomo e non delle macchine che gli sono sopraggiunte, è andato Rumiz.

Un viaggiatore, un giornalista, uno scrittore dei suoi viaggi che non si è mai stancato di cercare le tracce più autentiche dell’azione dell’uomo è stato Rumiz, molti riconoscimenti ha ottenuto per questo suo impegno, per le opere che lo hanno espresso.

Il Ciclope è una di queste e come altre è suggestiva, affascinante poiché continuamente arricchita da richiami, riferimenti che vanno dalla cultura più antica alla più recente, dal mito, dalla favola, dalla leggenda alla storia, alla letteratura, all’arte. Sempre percorso è il romanzo da collegamenti e mai risulta appesantito, sempre capace è di attirare il lettore con le infinite curiosità che gli propone riguardo a luoghi, ambienti, usi, costumi che gli erano rimasti lontani e dei quali Rumiz ha voluto essere il testimone, l’interprete.

E’ stato un suo bisogno quello di viaggiare, di mettersi alla ricerca di quanto dell’uomo andava scomparendo o era già scomparso. Poi lo ha trasformato in un messaggio per gli altri, ne ha fatto il motivo della sua scrittura.