L’Ocse boccia l’Italia: «L’ascensore sociale della scuola è bloccato»

da Corriere della sera

L’Ocse boccia l’Italia: «L’ascensore sociale della scuola è bloccato»

Il Rapporto «Equità nell’istruzione»:. «Solo il 12% degli studenti più svantaggiati va bene a scuola. Per loro, meno competenze e più disagio»

Antonella De Gregorio

La scuola è uno degli strumenti più potenti per favorire la mobilità sociale, per fare sì che chi nasce in una situazione svantaggiata riesca ad avere accesso a un’istruzione di qualità, e da lì a un lavoro che consenta di esprimere al meglio il proprio talento. Ma questo in Italia non succede. Nel nostro Paese, l’ascensore sociale si è bloccato, le possibilità di progredire tramite l’istruzione sono inesistenti. Già dall’età di 10 anni gli studenti italiani pagano il prezzo della loro condizione sociale di partenza: solo uno su otto, tra gli svantaggiati, entra nel novero dei «più bravi». Di solito questo uno su otto viene dai licei, dove trova migliori condizioni di emancipazione. Gli altri sono quella metà degli studenti meno abbienti che frequenta il 25 per cento delle scuole più svantaggiate del Paese.

Il Rapporto

Sono i dati contenuti nell’ultimo Rapporto Ocse-Pisa: «Equità nell’istruzione: abbattere le barriere alla mobilità sociale». Che ha messo a confronto, in 70 nazioni, le possibilità di progredire grazie all’istruzione. Possibilità molto variabili da un Paese all’altro. La conclusione è che in Italia le origini sociali incidono molto sul percorso scolastico, sulla scelta delle scuole, sulla competenze acquisite; e da quasi 20 anni il divario tra studenti svantaggiati e coetanei più fortunati resta invariato. Disparità di origine sociale che si riflettono sul benessere generale, sul senso di appartenenza, sull’inclusione: un «gap» che proprio la scuola dovrebbe colmare.

Il peso delle differenze

Sulla scala dei test Pisa, si legge nei dati del Rapporto, ci sono 76 punti di differenza nelle competenze di scienze tra un 15enne italiano che gode di una posizione socio-economica avvantaggiata e un coetaneo con un background svantaggiato; e poiché 30 punti di differenza sono pari a circa un anno di studio, ne deriva che tra i due studenti ci sono più o meno due anni scolastici e mezzo di differenza nell’apprendimento. Se poi si mettono a confronto i super-bravi del Paese, quelli che sono al «top» delle competenze – spesso anche a livello internazionale – con gli studenti delle fasce socio-economicamente più svantaggiate, la differenza arriva a 150 punti. Tale è la distanza tra il punteggio medio del 25% più «bravo» (sulla scala dei risultati) dal punteggio medio raggiunto dal 25% più svantaggiato (sulla scala socio-economica). Solo il 12% degli studenti più svantaggiati, poi, risulta tra i più «bravi» in Italia (la media tra tutti gli studenti è il 25%). Un divario «incommensurabile», nota Francesco Avvisati, economista Ocse tra gli autori dello studio.

Le scelte

La fetta di «bravi» frequenta di solito un liceo. Ma anche il 10% dei ragazzi svantaggiati che frequentano gli istituti tecnici o professionali rientrano nella categoria dei più bravi, dato che secondo l’organizzazione sottolinea come le scelte dopo la scuola media in Italia siano spesso più legate alla provenienza sociale che alle attitudini scolastiche. Le differenze si ripercuotono poi nel successivo percorso scolastico.

L’istruzione dei genitori

Ancora: nel nostro Paese, la differenza tra la probabilità di prendere una laurea tra chi ha genitori con un’istruzione elevata e chi ha invece genitori poco istruiti nel tempo è aumentato da 52 a 60 punti percentuali, con un trend che accomuna la Penisola al Cile e alla Repubblica Ceca. I ragazzi con un background problematico, inoltre, spesso si trovano in scuole difficili: la metà degli studenti svantaggiati frequenta il 25% delle scuole più svantaggiate del Paese, mentre solo il 6% frequenta le scuole meglio attrezzate: un livello di «segregazione» per altro simile a quello medio osservato nei paesi Ocse. Solo i paesi nordici hanno livelli più bassi.

Più attenzione

Infine, slo nei Paesi in cui l’attenzione ai bisogni degli studenti più svantaggiati è maggiore, una quota significativa di questi ottiene buoni risultati. «Germania e Stati Uniti – afferma Francesco Avvisati, analista presso la direzione dell’istruzione all’Ocse – negli ultimi anni hanno intrapreso politiche mirate per aiutare le scuole più svantaggiate e ciò ha prodotto risultati apprezzabili».

Insoddisfatti

La proporzione di studenti che si dice poco o per nulla soddisfatto della propria vita, si legge ancora nel rapporto, raggiunge il 18% tra gli studenti svantaggiati, rispetto al 13% tra gli studenti restanti. Inoltre, la percentuale di studenti svantaggiati che dichiara di «sentirsi nel suo ambiente» a scuola è diminuita dal 2003 al 2015, passando dall’85% al 64%: un calo più significativo di quello registrato nel resto della popolazione. In termini numerici corrisponde a circa 60mila studenti che si sentono più disagiati. E non sentirsi bene a scuola si traduce piu’ facilmente, con un circolo vizioso, in un minore impegno, in assenze ingiustificate e magari in una bocciatura. Da sottolineare che nei 12 anni considerati, è fortemente cresciuto il numero degli studenti nati fuori dall’Italia che spesso sommano allo svantaggio sociale quello culturale, dovendo adattarsi alle regole di un paese diverso da quello d’origine.