Il valore dello studio

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Il valore dello studio tra impegni presi e promesse mancate

di Giovanni Fioravanti

Tra Stato e cultura, storicamente, non è mai corsa buon acqua, spesso a scapito della cultura costretta a soccombere di fronte allo Stato. Già allepoca del suo discorso Sullavvenire delle nostre scuole, Nietzsche supponeva che si potesse ribaltare questo destino. Il fatto è che in ogni tempo, tanto più oggi, si contrappongono due azioni: da un lato limpulso verso la massima estensione della cultura e, dallaltro lato, limpulso a sminuirla e indebolirla. Quando però su tutto continua a dominare lignoranza, quella che la cultura dovrebbe contribuire a curare, a vincere è sempre la seconda azione. 

Ora, siccome la cultura è dei soloni, dei professoroni e dei giornaloni, lignoranza s’è rifatta il vestito  e indossa i panni degli uomini e delle donne al governo. 

Tra laltro, questo è un paese dove parlare con competenza di scuola e di studi è da sempre stato difficile anche per i ministri, se poi viene a mancare la familiarità con gli articoli della Costituzione, i primi ad essere scordati sono proprio il 33 e il 34 che, guarda caso, normano la materia nella Repubblica fondata sul lavoro.

A chi  vorrebbe istituire commissioni per supervisionare i contenuti scientifici dei palinsesti televisivi, va ricordato che, in virtù del citato articolo 33: Larte e la scienza sono libere e libero ne è linsegnamento. Pertanto niente MinCulPop, se qualcuno nuovamente ne fosse tentato. 

Il quinto comma dello stesso articolo invece recita, per i folgorati dalla abolizione del valore legale dei titoli di studio: “È prescritto un esame di Stato per lammissione ai vari ordini di scuola o per la conclusione di essi e per labilitazione allesercizio professionale.

In sostanza,  volendo condurre in porto simili aspirazioni, non so quanto estemporanee, e comunque al momento fuori contratto, il governo  dovrebbe passare per una riforma costituzionale, che, dalle esperienze pregresse, pare non porti molto bene.

Tuttavia sorprende come in un paese da decenni in declino economico, con la minore percentuale di laureati tra i paesi dellOcse, si riesca al massimo a concepire simili ricette e, sventolando la bandiera del cambiamento, si faccia il verso a passati dicasteri del tipo Gelmini o al tanto vituperato governo Monti. Ma evidentemente  la destra, anche se giallo-verde, alla fine torna sempre lì, avendo carenza di materia grigia.

Lintelligenza suggerirebbe che di questi tempi, dove la differenza la fa la qualità del capitale umano un po ovunque in tutto il mondo, occorre investire in più istruzione e più conoscenza. Ne scriveva nel non troppo lontano 2009, in un libretto prezioso e ancora attuale, Vincenzo Visco, pubblicato da il Mulino: Investire in Conoscenza, per la crescita economica e le competenze per il ventunesimo secolo. 

Ma questo governo pare prediligere una gestione casalinga, un fai da te dellistruzione, come se di questi tempi la questione della cultura, delle competenze e dei titoli di studio fosse cosa risolvibile tra le mura domestiche, come quota 100 e reddito di cittadinanza. Da solo questo sarebbe sufficiente a svelare lignoranza che incombe minacciosa sul nostro paese e sul destino delle più giovani generazioni, presenti e future. 

È vero che con il ritorno in auge del me ne frego e del tiriamo dritto le quotazioni del dialogo sono decisamente in calo. Ma la cultura da sempre comunica e si confronta con gli altri a livello europeo come mondiale, non è questione che risolvi a casa tua con i comitati scientifici o con labolizione o meno del valore legale dei titoli di studio. Ciò che conta sono le risorse che investi nel sapere e nella ricerca, nella qualità e nel valore, possibilmente riconosciuti unanimemente, delle tue istituzioni scolastiche ed accademiche dal nord al sud del paese. 

Lignoranza non può avere memoria e quindi non può essere frutto di dimenticanza o di rimozione, ma ventanni fa, nel 1999, alla Conferenza di Bologna abbiamo preso degli impegni con lobiettivo di costruire uno Spazio Europeo dellIstruzione Superiore, sarebbe il caso di documentarsi, perché se allisolamento economico corrispondesse anche quello culturale sarebbe davvero un ritorno al medioevo. Altroché felicità del paese e sviluppo.

Di fronte a quegli impegni, fa rabbrividire pensare che il tema possa essere labolizione del valore legale dei titoli di studio. O qualcuno non ha capito, o gli sfugge qualcosa. Noi ci siamo impegnati a garantire un sistema di titoli comprensibili e comparabili a livello europeo, la trasparenza dei corsi di studio attraverso un comune sistema di crediti, basato non solo sulla durata ma anche sul carico di lavoro del singolo corso e sui relativi risultati di apprendimento. Un approccio condiviso allassicurazione della qualità, lattuazione di un quadro dei titoli concordato e finalizzato allo Spazio Europeo dellIstruzione Superiore.

Parlare di abolizione del valore legale del titolo di studio ha solo leffetto di distrarre dal vero obiettivo che sarebbe invece quello di far sapere al paese a che punto è liter previsto dal Processo di Bologna, e che, a consultare il sito del Miur, pare fermo al 2015.

Poi, per chi lavesse mai saputo o scordato, ad attendere lufficializzazione prevista dalla legge vi è ancora tutta lampia materia dellapprendimento permanente, degli apprendimenti informali e non formali, il cui attestato riguarda oltretutto la riforma del mercato del lavoro. Apprendimenti che necessitano del riconoscimento legale da parte dello Stato con crediti e certificazioni spendibili.  È materia disciplinata dalla tanto vituperata legge Fornero del 2012, che ancora manca della banca dati  nazionale delle competenze e che sarebbe indispensabile per i centri dellimpiego, proprio per facilitare il passaggio dal reddito di cittadinanza al lavoro.

Ma le uscite estemporanei di questi giorni fanno comprendere quanto grande sia ancora la distanza dalla strada che sarebbe necessario e urgente percorrere, a partire dalla cultura e dallistruzione.