Competenze, legge Fornero, esami di Stato

Competenze, legge Fornero, esami di Stato

 di Maurizio Tiriticco

Antonio Valentino riprende su Scuolaoggi le mie riflessioni sugli esami di Stato conclusivi dell’istruzione secondaria superiore – non più esami di maturità – e aggiunge considerazioni che condivido in toto. Afferma che occorre andare, e rapidamente, verso una definizione certa e inequivocabile delle competenze da accertare e certificare in sede d’esame; che tra queste non vanno dimenticate le otto competenze chiave per l’apprendimento permanente e per l’esercizio della cittadinanza attiva indicate dall’Unione europea [1]; che occorre predisporre un modello di certificazione che sia “leggibile” anche al di là dei nostri confini e ripensare anche la struttura stessa dell’esame. Valentino si chiede anche se abbia ancora senso il tema della prima prova, quando già con la stessa legge di riforma 425/97 si avanzarono proposte diverse, ma non si osò cancellare il tema di sempre, nonostante le posizioni critiche dei nostri migliori linguisti; e si chiede se non occorra ripensare la terza prova, la cui forza innovativa è stata sempre “umiliata e offesa” da una pratica effettuata al ribasso! [2] E riflette anche sulla necessità di un intervento di formazione degli insegnanti che fin dal prossimo settembre (inizio della classi terze del secondo ciclo) dovrebbero progettare i curricoli curvati a un esame centrato su competenze, purché l’amministrazione riesca a codificarle in tempi utili [3]!

A questo proposito, vorrei solo segnalare che siamo molto indietro, se pensiamo a quanto è successo in questi ultimi anni con le prove Invalsi le quali, invece di indicare orizzonti diversi e avanzati di misurazione e di valutazione di competenze linguistiche e matematiche, hanno sempre provocato risentimenti e fiere opposizioni! Mi sono già più volte espresso in merito e non ci ritorno: in sintesi, da un lato le prove lasciano a desiderare, ma da parte sua chi vi si oppone fa di ogni erba un fascio e trae pretesto dall’insufficienza docimologica delle prove per sparare a zero su ogni possibile innovazione proprio in materia di valutazione, che dovrà costituire, invece, il clou determinante in sede di nuovi esami di Stato e/o di certificazione terminale. Su quell’e/o tornerò successivamente.

In uno scenario di questo tipo, così aperto e nel contempo complesso, proprio quando l’innovazione in materia di esami di Stato dovrebbe cominciare a preoccuparci tutti e seriamente, si inserisce la legge Fornero, per l’esattezza la Legge 28 giugno 2012, n. 92, “disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”. Non voglio entrare nel merito della legge; mi interessa solo sottolineare che all’articolo 4, “ulteriori disposizioni in materia del mercato del lavoro”, si afferma al comma 51: “In linea con le indicazioni dell’Unione europea, per apprendimento permanente si intende qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale. Le relative politiche sono determinate a livello nazionale con intesa in sede di Conferenza unificata, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro dello sviluppo economico e sentite le parti sociali, a partire dalla individuazione e riconoscimento del patrimonio culturale e professionale comunque accumulato dai cittadini e dai lavoratori nella loro storia personale e professionale, da documentare attraverso la piena realizzazione di una dorsale informativa unica mediante l’interoperabilità delle banche dati centrali e territoriali esistenti”.

Vanno sottolineate almeno tre circostanze: a) che l’apprendimento per tutta la vita viene avvertito ormai come una necessità inderogabile da cui nessun cittadino/lavoratore può sottrarsi; b) che i tre percorsi, formale, non formale e informale – peraltro specificati nei commi successivi della legge – costituiscono altrettante modalità tra loro costantemente interagenti; c) che conoscenze, capacità e competenze rinviano alla dizione di cui all’articolo 6 della legge 425/97 con cui si è sostituito l’esame di maturità con l’esame centrato sulle competenze [4], le quali, com’è noto, fino ad ora non sono state mai certificate [5].

Il lettore si chiederà che cosa c’entra la legge Fornero con il nostro esame di Stato. La risposta la ritroviamo in un documento della Rete universitaria italiana per l’apprendimento permanente (Ruiap), presentato a un convegno sul tema al Cnr in Roma lo scorso 3 luglio: “In una prospettiva di apprendimento permanente quale strumento privilegiato per la creazione di una cittadinanza attiva e per la capitalizzazione delle proprie attitudini e delle risorse individuali in termini di saperi e competenze, appare sempre più necessario promuovere l’ampliamento e la diversificazione dell’offerta di istruzione e formazione all’interno di un sistema integrato, che possa fornire proposte educative e formative adeguate ai bisogni degli individui e al raggiungimento di competenze riconosciute a livello nazionale e, laddove possibile, anche a livello internazionale. Occorre altresì favorire l’orientamento delle persone nella scelta dei percorsi di istruzione o di formazione e rendere il sistema scolastico e formativo maggiormente attraente, agendo sulle infrastrutture, ma anche sulle tecnologie didattiche e sui servizi aggiuntivi”. In effetti, se una società è educante, non si può fare a meno di procedere all’integrazione, o al raccordo, dei diversi percorsi che dalla culla al pensionamento interessano e coinvolgono tutti i soggetti. Ne consegue che i percorsi di istruzione (infanzia, primo e secondo ciclo), quelli dell’istruzione tecnica superiore, quelli della formazione (istruzione e formazione professionale regionale, apprendistato), i percorsi universitari e quelli dell’istruzione degli adulti, in un’ottica di generalizzato e sempre più diffuso apprendimento permanente, pur mantenendo ciascuno la sua specificità, saranno pur sempre caratterizzati dal fatto che ciascuno di essi è finalizzato a far conseguire ai singoli soggetti in apprendimento determinate competenze.

Com’è noto, a conclusione di un percorso di studi e di formazione, un conto è valutare le conoscenze acquisite, altro conto è accertare e certificare competenze, anche se esiste uno stretto continuum tra conoscenze, abilità e competenze. Il che comporta che lo stesso regime tradizionale dell’esame di Stato dovrà coniugarsi con il regime assolutamente nuovo della certificazione delle competenze. Quell’ “e/o”, di cui a un mio passaggio precedente (esame o certificazione) dovrà essere risolto con una procedura di svolgimento delle prove che consenta, appunto, l’emergenza delle competenze acquisite dal soggetto: che saranno necessariamente competenze culturali pluridisciplinari e preprofessionalizzanti [6].

Da questa serie di considerazioni emerge che il cammino non sarà affatto facile. Da un lato la prospettiva dell’apprendimento permanente è esaltante, dall’altra ricondurre ad unitarietà percorsi di educazione, istruzione e formazione che hanno alle loro spalle storie diverse e a volte contrapposte (ad esempio la tradizionale separatezza tra istruzione generalista e formazione professionale) non sarà cosa facile!

E proprio per queste ragioni occorre pensarci in tempo. Non vorrei che ci si gingillasse troppo, ieri con i Vales e, oggi, con le Città intelligenti, quando le urgenze sono ben altre! E un ministro, anche se tecnico, potrebbe anche dare dei segnali in tal senso!

 


[1] Sono le competenze di cui alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006. Tale competenze avrebbero dovuto essere certificate al termine dell’obbligo di istruzione (dm 139/07), ma nel modello di certificazione (dm 9/10) non sono state prese in considerazione. E’ necessario, quindi, che vengano certificate almeno al termine dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado.

[2] Delle sei tipologie proposte dal dm 249/2000 per la terza prova, le commissioni scelgono sempre le prime due, le più semplici. Occorre, tuttavia, considerare che le più complesse, il caso e il progetto, sono prove che difficilmente possono essere elaborate dalle commissioni, a causa dei tempi ristretti in cui sono tenute ad operare (si veda l’articolo 12, comma 7 dell’OM 41/12, reiterato in ogni tornata d’esame).

[3] Per quanto riguarda i sei percorsi liceali, le competenze terminali vanno costruite ex novo, considerando i Piani di studio allegati alle Indicazioni nazionali. Per quanto riguarda i percorsi tecnici e professionali, le competenze terminali da accertare e certificare vanno estrapolate da quelle descritte, disciplina per disciplina, nei Piani di studio allegati alle Linee guida di cui alle Direttive 4 e 5 del 16 gennaio 2012.

[4] All’articolo 6 di detta legge leggiamo: “Il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni al fine di dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità acquisite, secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”

[5] Le ragioni sono note: il Miur in più di dieci anni dalla riforma non ha mai né ricercato né indicato quali fossero le competenze culturali da certificare al termine del rinnovato esame di Stato che, di fatto, non è più un esame di maturità, ma non è neanche un esame in grado di certificare competenze. Ma nella tornata del 2015 le competenze dovrebbero essere accertate certificate! C’è da sperare!?

[6] Vanno anche considerate le terminalità professionalizzanti di alcuni percorsi dell’istruzione professionale, soprattutto quelli avviati in regime di sussidiarietà, integrativa o complementare, con l’istruzione e formazione professionale regionale.