I. Némirovsky, I falò dell’autunno

L’ultima Némirovsky

di Antonio Stanca

A Marzo del 2012 dalla casa editrice Adelphi di Milano, nella serie “Biblioteca Adelphi”, è stato pubblicato, come altri in precedenza, il romanzo I falò dell’autunno (pp. 233, € 18,00) di Irène Némirovsky. L’edizione originale in lingua francese risale al 1957, era avvenuta dopo la morte della scrittrice nel 1942 ed era stata ricavata da un manoscritto ritrovato dalla figlia tra le sue carte. Il romanzo appartiene alle opere scritte tra il 1940 e il 1942 quando in Francia, dove la Némirovsky viveva, erano state emanate le leggi antisemitiche e a lei, perché d’origine ebrea, era stato impedito di pubblicare. Fuggita da Parigi, arrestata nel 1942 e deportata ad Auschwitz, morirà appena giunta per gli stenti e per la malattia e di quelle opere non si saprà niente né  della scrittrice si parlerà più per molto tempo nonostante avesse avuto successo con narrazioni precedenti durante gli anni Venti e Trenta. Sarà la figlia a mettere ordine tra i manoscritti della madre ed a scoprire romanzi quali Suite francese, che diventerà famoso, Il calore del sangue e I falò dell’autunno. Così la scrittrice, dopo la morte, tornerà alla ribalta e verrà considerata una delle maggiori dell’Europa del primo Novecento, un classico della moderna letteratura francese.

Era nata a Kiev, in Russia, nel 1903 da un ricco banchiere ebreo. Aveva avuto una governante francese e la lingua di questa sarebbe stata anche della bambina e poi della scrittrice. Nel 1917 i Némirovsky erano fuggiti dalla Russia dove avveniva la Rivoluzione d’Ottobre. Erano stati prima in Svezia e Finlandia e poi si erano stabiliti in Francia a Parigi. Qui Irène avrebbe studiato e si sarebbe laureata in Lettere alla Sorbona. Giovanissima, a diciotto anni, aveva cominciato a scrivere novelle e a ventisei, nel 1929, aveva prodotto il romanzo David Golder che l’avrebbe resa nota e fatta diventare una delle figure più ammirate nei raffinati ambienti letterari della Parigi di quegli anni. Si sposerà, avrà due figlie, continuerà a scrivere, la novella, il racconto, il romanzo saranno i generi preferiti ma a causa delle leggi razziali emanate dai tedeschi, che intanto avevano occupato Parigi durante la seconda guerra mondiale, le sue ultime opere non potranno essere pubblicate. Fuggirà con la famiglia in campagna  ma nel 1942 verrà arrestata e deportata ad Auschwitz dove morirà a trentanove anni subito dopo l’arrivo.

Tra le opere pubblicate postume grazie al lavoro svolto dalla figlia I falò dell’autunno risulterà l’ultima e questa edizione dell’Adelphi è stata resa possibile dalle ricerche svolte da Teresa M. Lussone. La traduzione dal francese è di Laura Frausin Guarino. Si compone di tre parti, comprende il periodo di tempo che va dal 1912 al 1941, dalla prima guerra mondiale all’inizio della seconda, ed è ambientata a Parigi, nella vita, nella società della capitale francese. Il suo procedimento era sempre stato della Némirovsky, cioè l’esame dell’animo umano di là da quanto appare, succede all’esterno. Sono modi che s’inseriscono nello spirito della letteratura decadente allora diffusa in Francia, di quella letteratura impegnata a svelare quanto avviene nell’interiorità dell’uomo, a superare l’evidenza. Col suo linguaggio chiaro, scorrevole la Némirovsky tende a scoprire i problemi, i drammi dell’animo umano e fin dalle prime opere si mostra abilissima in tal senso. L’esterno a lei serve solo da cornice, da sfondo sul quale proiettare le vicende interiori dei suoi personaggi, le loro inquietudini, i loro turbamenti. Un confronto spesso emerge, nella sua scrittura, tra gli interessi concreti, immediati, i calcoli che nell’Europa del primo Novecento diventano propri della classe borghese, dei nuovi ricchi che volevano solo accumulare, aumentare la propria ricchezza, e quanto di semplice, spontaneo c’era ancora nella società e che la scrittrice mostra interpretato dagli esponenti delle classi popolari, di quelle che, rimaste povere, si affidavano alla speranza, continuavano a vivere dell’idea.

Anche ne I falò dell’autunno avviene questo confronto, anche qui lo spirito dovrà combattere con la materia, l’idea con la realtà, anche qui la Némirovsky indagherà con sorprendente capacità nei più nascosti pensieri, nei più intimi segreti dei suoi protagonisti. Le vicende più importanti sono collocate nella Parigi del primo dopoguerra, molte sono le persone coinvolte, diversi i luoghi nei quali si muovono, ampia, articolata è la costruzione dell’opera ma tra tanto movimento, tra tante situazioni la principale risulta quella vissuta dal giovane Bernard con la moglie Thérèse. Tornato dalla Grande Guerra Bernard ha messo da parte gli ardori, gli entusiasmi che lo avevano animato prima di partire e, assistendo alla sfrenata ricerca di ricchezza, di lusso, di piaceri che si era diffusa allora a Parigi e che coinvolgeva banchieri, imprenditori, trafficanti di ogni genere, aveva voluto aderire, accedere a quegli ambienti borghesi divenuti i più affermati ed usufruire dei loro vantaggi. Ci era riuscito e continuava a farlo anche quando era diventato il marito di Thérèse e il padre dei loro tre bambini. Ma siccome con la bella Renée aveva ottenuto sia un’amante sia l’accesso nel mondo dei ricchi era giunto a separarsi dalla moglie poiché troppo diversi erano i loro modi di sentire, di vivere, troppo limitata gli sembrava Thérèse, ridotta alle poche cose richieste dalla casa, dalla famiglia mentre altre, diverse cose avvenivano fuori e a quelle voleva ormai partecipare Bernard, per quelle si sentiva disposto. Scoppiata la seconda guerra mondiale era stato richiamato alle armi e le drammatiche esperienze che vivrà a causa della sconfitta subita dalla Francia durante i primi anni del conflitto con la Germania, gli faranno riscoprire quei valori semplici, naturali che erano propri della moglie, gli faranno sentire il bisogno di lei e da lei sarebbe tornato una volta finito il periodo di prigionia in un campo tedesco. Thérèse lo avrebbe accolto anche perché non aveva mai smesso di credere che il bene sia superiore al male, non aveva mai cessato di sperare.

Un racconto a lieto fine, una favola moderna sembra questo romanzo della Némirovsky. Il bisogno di amore proprio della scrittrice, la fede cristiana alla quale si era convertita distinguono l’opera dal momento che non rimane come altre sospesa tra gli opposti del bene e del male ma li mostra possibili di conciliazione. Era la Nèmirovsky perseguitata dalle leggi razziali, quella che tra poco sarebbe stata arrestata e deportata a scrivere questo libro, più che la scrittrice era la donna che come Thérèse vedeva dilagare il male ma non cessava di credere ancora possibile il bene, come lei lo desiderava, come lei era spaventata e sperava in quel miracolo finale che una preghiera rivolta a Dio farà ottenere a Thérèse.

Era l’ultima Némirovsky!