Talento e sguardo al futuro: così si decide per la scuola giusta

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno

Uno studente su sette fugge dai banchi prima del tempo. E più o meno altrettanti ripetono il primo anno delle superiori. Bastano questi due numeri a riassumere la delicatezza della scelta che 500mila ragazzi e ragazze stanno compiendo in questi giorni. A loro e ai loro genitori Il Sole 24 Ore ha scelto di dedicare questa guida con tutte le informazioni utili per prendere una decisione informata. E soprattutto consapevole. Pensando al presente e magari proiettandosi già al futuro. Senza fretta, perché la procedura online – che è partita lunedì scorso e si concluderà alle ore 20 del 31 gennaio – non è un click day e, dunque, iscriversi prima degli altri non dà alcun vantaggio. Ma anche senza panico perché, come vedremo tra breve, per correre ai ripari c’è tempo.

Degli 1,5 milioni di alunni italiani che sono chiamati a iscriversi in prima classe circa un terzo deve farlo alle superiori. Preparandosi così ad affrontare la lunga salita che in cinque anni – o quattro per chi vuole tenterà la carta del diploma in quattro anni offerta da 189 scuole sparse lungo la penisola – li porterà dinanzi a un bivio ancora più importante. E cioè se proseguire gli studi, all’università o magari in un Its, oppure se cercare immediatamente lavoro. Arrivarci avendo già in testa che cosa “fare da grandi” e attraverso quale percorso potrebbe offrire un vantaggio competitivo. Anche al Paese. Che deve fare ancora i conti con la terza disoccupazione giovanile più alta d’Europa e il penultimo posto per numero di laureati nella fascia d’età 30-34 anni.

Come spieghiamo nelle pagine seguenti le scelte a disposizione non mancano. Che si opti per un liceo classico dalla solida tradizione formativa o per un istituto tecnico già proiettato nel mondo di Industria 4.0 in teoria cambia poco. L’importante è individuare una strada – anche grazie alla miriade di dati che sono reperibili in rete e che possono arricchire di valore aggiunto il tradizionale “passaparola” – e poi seguirla. Aggiungendo, se possibile, tutte quelle soft skill trasversali che possono arricchire il bagaglio di competenze e conoscenze tradizionali: dalle lingue, ad esempio, usufruendo della possibilità di svolgere un anno all’estero, ai percorsi di alternanza scuola-lavoro, che escono ridimensionati ma non sconfitti dalla manovra di fine anno.

Il consiglio che ci sentiamo di dare ai ragazzi coinvolti e alle loro famiglie è prendersi tutto il tempo che serve. Nonostante le scuole fossero tenute a dare entro il 10 dicembre il loro “consiglio informativo” agli studenti di terza media è risaputo che non tutte l’abbiano fatto. Stesso discorso per gli “open day” che chiunque ormai organizza ma difficilmente bastano a fugare i dubbi degli indecisi. Da qui il nostro invito a scandagliare il web e confrontare tutto il confrontabile. Usando ad esempio il portale “Scuola in chiaro” del Miur che è fruibile tramite app e che consente di paragonare fino a sei scuole. Numero di alunni, risultati scolastici, docenti di ruolo, rapporti di autovalutazione, aule, laboratori, tassi occupazionali dei diplomati sono solo alcuni dati disponibili. A cui si possono anche aggiungere quelli riaggregati dal portale Eduscopio della Fondazione Agnelli che si è presa la briga di verificare come sono andati all’università o sul mercato del lavoro 1,26 milioni di diplomati italiani di tre diverse annualità.

Nella piena consapevolezza che ogni scelta potrà essere comunque implementata o modificata in corso d’opera. Prima dell’inizio dell’anno scolastico sarà comunque possibile cambiare scuola o indirizzo. E anche a lezioni iniziate. In realtà, un termine preciso per i “pentimenti” non c’è. La circolare sulle iscrizioni, pubblicata a novembre dal ministero dell’Istruzione, circoscrive genericamente ai «primi mesi dell’anno» il termine massimo entro cui è possibile optare per un altro indirizzo o una scuola diversa. Presentando una richiesta motivata di nullaosta che deve essere tendenzialmente accolta. A meno che il trasferimento non comporti l’attivazione di nuove classi a carico del bilancio dello Stato. In quel caso tra il bene del singolo e quello della “patria” prevarrebbe il secondo.