Roma anni trenta! Bis…

Roma anni trenta! Bis…

di Maurizio Tiriticco

Pare che la mia Roma degli anni trenta sia piaciuta ai miei venticinque lettori, per dirla con Don Lisander! E poi, di fatto, non è la “mia Roma”, ma la Roma che tutti i nonagenari come me hanno vissuta! Una Roma ordinata, poche automobili, pochi semafori, ma tanti vigili, tutti in nero, con casco coloniale nero d’inverno, e poi tutti in bianco, con casco coloniale bianco d’estate! Vigili che tutti noi amavamo! A Natale e a Pasqua quei rari automobilisti a quei rari vigili posti a quei rari semafori donavano sempre un panettone o una colomba, con allegato spumante! Tutti doni che facevano bella mostra ai piedi della pedana (un cilindro di cemento), da cui dirigevano il traffico! E con alta professionalità. Sembravano attori, con quel gesticolare attento, misurato, deciso, di braccia e di mani! E di occhi, anche! Severi sempre! Tanto i nostri pizzardoni erano consapevoli del loro delicato lavoro! Ma perché pizzardone? Copio dal web: “L’etimologia del nome, la cui prima attestazione scritta in italiano nel significato corrente risale al 1871, deriva dal caratteristico cappello a doppia punta, detto in dialetto pizzarda, appunto, che erano soliti portare i membri della polizia municipale romana nell’Ottocento”. E pizzarda è anche la beccaccia, quell’uccello che, quando distende le ali, sembra più grande di quello che è. Insomma, pizzardone, agente municipale sì, ma di tutto rispetto!
I tram correvano sulle rotaie, rantolando faticosamente e cigolando, quando dovevano affrontare qualche curva. E gli autobus e i filobus avevano anch’essi i loro percorsi! Ed erano presenti il conducente e il fattorino! Quest’ultimo era “appostato” subito dopo la portiera posteriore, dalla quale era obbligatorio salire. Aveva nella mano destra la mazzetta dei biglietti che staccava uno ad uno con il pollice su cui era infilato un cappuccetto di gomma, che rendeva più agile e veloce il distacco. E tu pagavi, se volevi andare avanti, perché era assolutamente obbligatorio scendere dalla porta anteriore. Lo si vede in un bel film del 1940, diretto da Mario Bonnard, dove Aldo Fabrizi è, appunto, un bigliettaio dell’ATAG (ai tempi del Duce, Azienda Tramvie ed Autobus Governatoriali, perché Roma non era un semplice Comune, ma un Governatorato!!!). E il bigliettaio insisteva con i passeggeri! Il solito ritornello: “Avanti! Avanti c’è posto!”. E c’è anche la bella canzone, interpretata dall’inossidabile Fabrizi: “Fattorino e conducente, in servizio a tutte l’ore, sempre lieto e sorridente che più meglio nun ce sta! Sull’autobusse e sulla circolare io faccio sempre quello che me pare. E sulla circolare e l’autobusse, con il funiculà, me pare de anna’! Sulla montagne russe”!
C’erano due linee di tram circolari, anzi quattro: due circolari esterne, destra e sinistra, e due circolari interne, destra e sinistra. Quindi, ED ed ES, e CD e CS! Due anelli intorno alla città! Per non dire degli autobus! C’era l’NT, ovvero, Nomentano-Trastevere, il nome dei quartieri che erano serviti. E tanti altri, che collegavano quasi tutti i nostri quartieri! In effetti Roma era una città “piccola”, che ancora non aveva conosciuto quello scempio effettuato dai quei palazzinari che dopo la guerra hanno distrutto le nostre periferie! Sì! Quelle belle periferie romane, a volte raggiunte solo dai tramvetti! C’era il tramvetto dei Castelli! Periferie, prati estesi, a volte “visitati” dai cacciatori della domenica, a volte dalle famigliole che la domenica andavano “for de porta” – ovvero oltre le mura aureliane – con panini e mortadella! E a volte con i maccheroni ancora caldi nella pentola avvolta in un fazzolettone! Di quelli a quadroni grossi così!
E il fiasco di vino! Ovviamente dei Castelli!
E come non ricordare “La società dei magnaccioni”, di origine lontana, ma egregiamente interpretata da Gabriella Ferri! “Fatece largo che passamo noi, ‘sti giovanotti de ‘sta Roma bella, semo regazzi fatti cor pennello, e le regazze famo innamorà. Ma che ce frega, ma che ce importa, se l’oste ar vino ci ha messo l’acqua, e noi je dimo, e noi je famo, ci hai messo l’acqua, e nun te pagamo, ma però, noi semo quelli, che j’arisponnemo n’coro, è mejo er vino de li Castelli che de sta zozza società”!
Allora, quando Trastevere era ancora veramente un quartiere oltre il Tevere! Ed oltre la città! Dove spesso trovavano rifugio persone di malaffare. Molti anni fa ci si arrivava solo per i due ponti dell’Isola Tiberina, ponte Fabricio e Ponte Sestio, o per il Ponte Sisto, attivo fin dal 1479, detto il “ponte del soldino”, perché era il pedaggio che si doveva pagare: un centesimo. Ma c’era un terzo ponte, il Ponte Milvio, però sulla Via Flaminia, lontano dal centro della città. Solo dopo la Breccia di Porta Pia i Savoia, decisi a fare di Roma una città capitale come le altre – Parigi era d’obbligo – pensarono che fosse opportuno costruire dei muraglioni lungo il corso del Tevere, che da sempre nella stagione invernale esondava ed allagava i quartieri che si affacciavano sulle sue sponde. E che occorreva anche costruire nuovi ponti. Un’operazione che sarebbe costata la fine dei tanti mulini ad acqua che sul Tevere da sempre si affacciavano ed operavano. Ma il progresso è il progresso! E occorre ricordare che in quella Roma papalina quattrocentesca c’era anche un porto, il Porto di Ripetta! Ci giungevano le merci trasportate con barconi provenienti da Ostia, la Porta del Tirreno. Ho una bella stampa del Veronesi, intitolata appunto “Porto di Ripetta”. Si vedono barconi a vela con botti e merci varie nonché un saliscendi di facchini sui due scaloni che portano dove oggi corre, appunto, Via di Ripetta. E vi si affacciano il Palazzo del Principe Borghese e il Collegio Clementino. Ma perché Ripetta? Perché c’era anche Ripa Grande, sempre sul Tevere, ma qualche chilometro verso Ovest. E lì c’è ancora un antico edificio cinto da un muro. Copio dal web: “Sotto la Roma dei papi, l’edificio fu l’arsenale per la costruzione e il restauro della flotta pontificia, voluto da papa Clemente XI Albani nel XVIII secolo, sul modello del più celebre arsenale di Civitavecchia, costruito cinquant’anni prima su progetto del Bernini e concluso da Carlo Fontana. Allora, prima che venissero costruiti i muraglioni alla fine dell’800, la via d’acqua del Tevere permetteva intensi traffici commerciali, che avevano il loro centro nel vicino porto di Ripa Grande”.
La Roma di allora! La Roma di oggi!