Non litigate sul latino

da la Repubblica

Maurizio Bettini

Circa due mesi fa il ministero dell’Istruzione ha fatto conoscere la riforma della seconda prova per l’esame finale dei licei classici: quella relativa al greco e al latino. Sulle colonne di questo giornale essa è stata oggetto di una violenta stroncatura da parte di Federico Condello, il quale è giunto a definirla “ istigazione all’idiozia”. Ehilà! Immagino il brivido di terrore, il fremito di indignazione, che l’articolo di Condello avrà fatto serpeggiare fra le migliaia di genitori, studenti, docenti e persone amanti della cultura. Ma come, invece di valutare il grado di conoscenza delle lingue classiche da parte dei maturandi, le autorità scolastiche li spingono a essere idioti? A questo punto uno ha ragione di domandarsi che cosa mai abbia combinato il Miur. Semplicemente questo.

In primo luogo la prova di traduzione non solo resta al centro dell’esame, ma viene addirittura potenziata: infatti, si dovrà tradurre in italiano non un testo latino o un testo greco a seconda degli anni, come avveniva in passato, ma due testi, uno latino e uno greco. Peraltro sul modello di quanto avviene da tempo all’esame finale del Liceo classico europeo. Ciascun brano proposto verrà poi introdotto da un paragrafo contenente informazioni sull’opera e l’autore da cui è tratto (mentre prima lo studente poteva essere chiamato a tradurre un testo di cui ignorava la provenienza).

Soprattutto però ciascun brano sarà accompagnato dalla traduzione italiana delle parti che lo precedono e lo seguono nell’opera da cui è tratto, in modo che lo studente, conoscendone il contesto, possa finalmente orientarsi nella sua comprensione. Innovazione fondamentale, perché prima d’ora all’esame ci si trovava a tradurre un testo greco o latino “secco”, privo di qualsiasi contestualizzazione: laddove se c’è qualcosa che la linguistica ha chiarito una volta per sempre è che, per comprendere il significato di qualsiasi enunciato, conoscerne il contesto è semplicemente indispensabile. Perché mai dei brani in greco e latino dovessero fare eccezione a questa regola, risultando pienamente comprensibili nella loro luminosa nudità, nessuno l’ha mai spiegato. Infine, ciascun brano verrà accompagnato da tre quesiti relativi alla sua interpretazione, alla sua analisi linguistica o stilistica, al suo approfondimento personale. Quest’ultima parte della prova ha lo scopo di valutare la piena comprensione del testo da parte del candidato (leggi: la traduzione l’avrà fatta davvero lui o l’avrà scaricata da Internet?) e saggiare la sua capacità di collegarlo con la cultura e la letteratura di cui è espressione. Faccio notare che allo studio delle civiltà classiche lo studente ha dedicato, o dovrebbe aver dedicato, ben cinque anni della propria vita. È dunque così strano chiedergli di dimostrarlo a un esame?

Si tratta evidentemente di una prova un po’ più impegnativa rispetto alla formulazione precedente, tant’è vero che per svolgerla gli studenti avranno a disposizione sei ore invece delle tradizionali quattro. Essa però eviterà loro di esser messi di fronte a difficoltà gratuite, come quelle causate dalla pervicace assenza di contestualizzazione del brano da tradurre. Quanto ai quesiti cui rispondere, si noti che, nella griglia di valutazione stabilita dal ministero, la “pertinenza delle risposte” vale solo quattro punti su venti.

Ciò detto si potranno discutere molti aspetti della nuova prova: se era opportuno farla partire già dal prossimo anno; se la doppia versione, dal latino e dal greco, non crei più problemi di quanti ne risolve; quali saranno le ricadute sulla didattica delle lingue classiche e come dovranno essere governate; e così via. Condello lamenta che su questa riforma, peraltro già accolta con sostanziale favore da moltissimi docenti, non vi sia stata e non vi sia discussione. Forse ignora che su di essa si è svolto e ancora si sta svolgendo un ampio dibattito, e che i suoi risultati sono già stati inviati da molte parti al ministero. Resta comunque che le stroncature — con relativo spargimento di sale al fine di impedire la ricrescita dell’erba — non servono a nulla. Non c’è giorno, anzi non c’è momento della giornata, in cui l’atmosfera politica e culturale ( chiamiamola così) in cui siamo immersi non vibri di attacchi e contrattacchi la cui virulenza era impensabile fino a qualche tempo fa. Non si potrebbero lasciare tranquilli almeno il latino e il greco?

Maurizio Bettini è direttore del centro Antropologia e mondo antico dell’Università di Siena. Tra i suoi ultimi libri: “Il presepio.