Crisi della conoscenza, crisi della memoria!

Crisi della conoscenza, crisi della memoria!

diMaurizio Tiriticco

L’articolo di Giuseppe De Rita su “la Repubblica” di oggi, “Non c’è passato in un Paese sena futuro”, mi induce a qualche riflessione, che in effetti viene da lontano. Nell’agosto del 2008 tra l’altro scrivevo quanto segue, a proposito di un Paese che pare mettercela tutta per cancellare la memoria! Anche se, purtroppo, si tratta di un fenomeno che, a mio vedere, riguarda tutti i Paesi ad alto sviluppo.

Conoscenza e memoria, sia a livello individuale che collettivo, procedono sempre contestualmente. La carenza dell’una provoca la carenza dell’altra. Ed è ovvio che il punto di arrivo di un simile processo comporta la crisi del pensare divergente e una contestuale ed inevitabile omologazione ad un pensiero unico: la morte del pensare!

Ma non dovrebbe essere così! In effetti, lo sviluppo della conoscenza e della memoria, sia nell’individuo singolo che in un determinato gruppo sociale, si realizza con continuità in una reciproca interazione tra più individui e tra questi e la realtà fenomenica.

Per dirla molto succintamente e ricorrere ad una simbologia grafica, possiamo dire che tale sviluppo si realizza nell’affrontare e risolvere situazioni concrete che sono sempre individuate e definite dalle coordinate ortogonali dello spazio e del tempo. Continuando con la rappresentazione grafica, possiamo dire che lo sviluppo/crescita di un individuo, dalla nascita alla maturità, si effettua a spirale, a partire dal punto di congiunzione delle due coordinate, sull’asse orizzontale dello spazio (l’espansione, la costruzione del sé corporeo) e sull’asse verticale del tempo (la comprensione, la costruzione del sé cognitivo). Ovviamente, lo sviluppo/crescita dell’individuo è sollecitato dagli stimoli esterni, fisici, simbolici, culturali, e l’apprendimento, in quanto processo di concettualizzazione e controllo del sé e della realtà circostante, si sviluppa dal meno al più in un processo a spirale. Più gli stimoli sono ricchi e positivi, più l’individuo si afferma e si consolida come persona autonoma (identità) e responsabile (socialità). E’ ovvio che alla carenza di stimoli corrisponde una difficoltà della crescita. Certamente si tratta di un modello e, come tale, non rappresenta la complessa realtà dello sviluppo/crescita di una persona con tutta le altre sue infinite variabili.

Lo sviluppo/crescita di un gruppo sociale non si differenzia di molto, quando veramente si costituisce come gruppo omogeneo, non come un insieme eterogeneo. Così, come una persona conquista progressivamente la sua identità personale, un gruppo – quando di gruppo si tratta – conquista la sua sintalità gruppale.

Pertanto, una persona o un gruppo umano sono sempre collocabili ed individuabili in una situazione in cui si incrociano le coordinate dello spazio e del tempo. Abbiamo assunto per convenzione che l’asse dello spazio sia orizzontale e quella del tempo verticale. Lungo il primo asse si estendono, a destra e a sinistra, l’al di qua e l’al di là, il sotto e il sopra; lungo il secondo asse, al di sotto dell’incrocio, il passato, la memoria la storia, al di sopra, invece, l’attesa, la speranza, il progetto.

Nel primo grafico sono rappresentati i microgruppi sociali di ieri, schiacciati sull’asse del tempo: conservazione della memoria, proiezione su un futuro post mortem; difficoltà a rompere i limiti spaziali. Nel secondo grafico sono rappresentati, invece, i macrogruppi sociali di oggi, schiacciati sull’asse dello spazio: perdita della memoria e difficoltà nel progettare il futuro.

Un piccolo gruppo di un tempo , viveva chiuso, ristretto, lontano da altri gruppi, separato da essi, e si ignoravano vicendevolmente. Oggi, invece, il piccolo gruppo, grazie allo sviluppo della rete della comunicazione, quella fisica (la facilità degli spostamenti) e quella simbolica (l’evoluzione dei media elettronici), si è incontrato con gli altri e ha dato luogo ad un mélange abbastanza indifferenziato. Jeans e cellulari sembrano caratterizzare i tratti comuni di questa sorta di macrogruppo planetario.

Dal punto di vista della fruizione dello spazio/tempo, il piccolo gruppo del passato traeva maggiore alimento culturale dall’asse del tempo che da quello dello spazio. Le informazioni viaggiavano sull’asse temporale, sul quale si trasmettevano conoscenze, tecniche, costumi, valori, attraverso la saggezza degli anziani, le tradizioni orali, i miti, le leggende, e così via. Dall’asse temporale il gruppo traeva forza per la sua identità e la sua sopravvivenza. Il macrogruppo di oggi, invece, fruisce delle informazioni soprattutto sull’asse spaziale, veicolate dai media.

In altri termini, il piccolo gruppo di ieri era schiacciato sull’asse temporale, il macrogruppo di oggi è schiacciato su quello spaziale. Questa diversità tra il gruppo di ieri e quello di oggi comporta serie ricadute e implicazioni sul piano culturale. Indichiamole sommariamente:

– nel piccolo gruppo del passato dominavano l’autorità della tradizione, l’accettazione di una organizzazione oligarchica e gerarchica, l’unicità o, per lo meno, un’ampia omogeneità dei valori; l’utilizzazione delle conoscenze e delle tecniche ai fini della sopravvivenza, la chiusura del gruppo in se stesso, da cui poi la conflittualità tra un gruppo ed un altro, considerato diverso e per questo ostile;

– nel macrogruppo del presente dominano la dissolvenza della tradizione e l’autorità delle mode, una organizzazione egalitaria e apparentemente democratica, la pluralità e la disomogeneità dei valori, l’utilizzazione di conoscenze e di tecniche che potremmo definire “gratuite”, che comportano soprattutto il consumismo e l’alienazione. Tensioni e conflitti si consumano all’interno di un indifferenziato macrogruppo.

Lo schiacciamento sull’asse dello spazio (quello di un’espansione all’infinito) è quindi tipico delle società affluenti, e ciò a danno dell’asse del tempo (quello della riflessine concettuale, della comprensione). L’indiscriminato macrogruppo dell’oggi non ha necessità di memoria e, conseguentemente, è anche incapace di progettare il futuro. Il qui ed ora è anche ben rappresentato da quel life is now di una nota casa produttrice di telefonini: che non è il carpe diem oraziano, un sano richiamo alle cose che contano, ma un perenne invito al consumo fine a se stesso di una comunicazione interpersonale fatta di quegli sms, in cui è il mezzo a sovrapporsi a poco a poco sul messaggio! Si sollecita la comunicazione del nulla!

La condizione adulta e soprattutto giovanile della “società della conoscenza” non è affatto né felice né proiettata verso il futuro. La scelta che questo neocapitalismo ha effettuato di non additare prospettive per il futuro – un’altra faccia aggiornata dello sfruttamento di un tempo – trova un alleato diretto in questa incapacità da esso stesso indotta nelle giovani generazioni di “coltivare” la memoria e di “progettare” il proprio domani. Il precariato non ha carattere temporaneo, è un modo nuovo che il neocapitalismo ha scientemente scelto di governare l’economia e la società. Ed il precariato rende precaria la vita stessa dei giovani, ne spegne le speranze del domani e rende inutile la conservazione della memoria.

Fin qui nel lontano 2008! Ma oggi, ad unici anni di distanza?

Mi piace sempre ricordare quel passaggio magistrale del comma 2 dell’articolo 1 del Regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche:“L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”.

Il che significa che il Sistema nazionale di istruzione – quello che una volta era genericamente la scuola – si è assunto un nuovo compito: oltre ad istruire in determinate materie, il compito della scuola si è ampliato, assumendo anche l’onere di educare e di formare: educare in quanto cittadini, formare in quanto persone. Ciò conduce noi tutti, “uomini di scuola” ad assumere responsabilità assolutamente nuove, rispetto ad un passato, peraltro neanche lontano. In altri termini, la scuola come edificio ben identificato sul territorio, deputato ad avviare bambini e adolescenti ad acquisire gli strumenti essenziali per accedere al mondo adulto, non è più tale. L’edificio va al di là delle sue mura, si apre al territorio e diventa – o dovrebbe diventare – scuola a tempo pieno e a spazio aperto. E non riguarda più solo bambini e adolescenti, ma i cittadini tutti, nella chiave di quell’apprendimento per tutta la vita cui ci richiamano tutti i documenti internazionali.

Così dovrebbe essere! Dalla scuola si passa – o si dovrebbe passare – ad un vero e proprio Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione. E, perché il Sistema funzioni, com’è noto, il novellato Titolo V della Costituzione attribuisce allo Stato, alle Regioni, agli Enti locali, alle Istituzioni scolastiche compiti ben precisi. Il che è più che corretto: a fronte di esigenze educative, istruttive, formative assolutamente nuove occorre apprestare strumenti assolutamente idonei e soprattutto rinnovati.

Da quanto esposto fin qui in ordine alle problematiche di fronte alle quali si trovano le nuove generazioni, viene da chiedersi se la politica scolastica – si chiama ancora così – dell’attuale gruppo dirigente sia in grado di dare risposte adeguate.

Le nuove generazioni, schiacciate sul qui ed ora di un eterno presente, sul tutto e subito delle suggestioni consumistiche, sollecitate giorno dopo giorno a non coltivare né la memoria del passato né la progettazione del futuro, fanno sempre più fatica ad accedere a repertori conoscitivi che, per altro, anche in forza di una ricerca specialistica sempre più avanzata, si fanno sempre più complessi. L’eterno presente viene per di più incentivato, notte dopo notte, dagli sballi di droghe sempre più a buon mercato. Il frastuono dei decibel e il lampeggiare delle psichedeliche danno il loro valido contributo! Il tutto contribuisce anche a quel progressivo deteriorarsi della coscienza civica, dalla guida in stato di ubriachezza, al bullismo, all’insulto costante all’arredo urbano e via dicendo.

Non è affatto un discorso moralistico! Mi limito soltanto ad indicare segnali emergenti che denunciano disagi profondi. E non occorre neanche tirare in ballo quel nichilismo che corrode i nostri giovani e che Nietzsche chiama “il più inquietante fra tutti gli ospiti”. In altri termini, i nostri giovani hanno grandi difficoltà di trasformare le sensazioni in emozioni, perché siano compiutamente maturate e comprese. Come se fossero condannati a non crescere e a vivere parcheggiati un una sorta di terra di nessuno: il limbo di un inquieto mondo giovanile alla ricerca del… nulla!!!

A fronte di questo stato di cose, lo strumento dell’autonomia scolastica potrebbe fare cose egregie, ma è uno strumento che va incoraggiato, rafforzato, sostenuto con ogni tipo di risorsa, in primo luogo economica. Ma quello che più mi preoccupa in questa difficilissima congiuntura è il silenzio colpevole dei pedagogisti e dei docimologi. Dopo avere imperversato per tutti gli anni Settanta e successivi, sembra che i problemi della scuola – come si suol dire – non siano più cosa loro! Sembrano una razza aliena per il nostro Sistema di istruzione.

E da parte del nostro Miur esiste una linea progettuale di sostegno reale alle nostre istituzioni scolastiche? Si procede nel sostenere ciò che le scuole stanno facendo tra tante difficoltà? Tra un paio di mesi avrà termine l’anno scolastico: si procederà ad un’analisi che – con il linguaggio oggi tanto di moda – dei costi e benefici? E non sarebbe male assicurare chi opera sul campo che sarà sostenuto come si conviene. Non si deve risparmiare sulla scuola! Se tutti concordiamo che l’istruzione è la prima voce in capitolo di un bilancio nazionale! Ma occorrerebbe una volontà politica precisa e, soprattutto, un Progetto! Sì, con la P maiuscola! Perché la buona volontà di un governo si dimostra quando sa ascoltare e sa muoversi… con tempestività!R