Infanzia, il calo demografico brucerà in dieci anni 12.600 posti

da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

«Da qui al 2050 le stime parlano di un possibile calo demografico del 17%». Il ministro dell’istruzione Marco Bussetti, intervenendo al Congresso mondiale delle famiglia a Verona, ha ricordato le «percussioni fortissime anche sulla scuola» della denatalità in Italia. Meno figli, meno studenti e, dunque, a norme vigenti, meno classi e meno insegnanti. In tutta Italia. Uno scenario già adesso allarmante. Soprattutto nella scuola dell’infanzia. Senza aspettare 31 anni, infatti, le elaborazioni al 2028 per la scuola italiana della Fondazione Agnelli, a partire dai dati Istat sull’evoluzione demografica, segnano un calo del 13%-11% della studenti tra i 3 e i 18 anni, che dagli attuali circa 9 milioni scenderanno a 8 milioni 8 (tra 7.796.000 e 8.360.000 al 1° gennaio 2028).

Un trend così declinate che non c’è in nessun altro Paese europeo. Investirà in modo progressivo e differenziato tutte le aree e le regioni d’Italia. A partire, appunto, dalla scuola dell’infanzia e dalla primaria. I bambini tra i 3 e i 5 anni, infatti, diminuiranno ovunque già da oggi, portando nel 2028 a una riduzione di 6.343 sezioni delle materne a livello nazionale, a regole vigenti. A seconda delle ipotesi adottate per fecondità e migrazioni, le proiezioni Istat disegnano diverse traiettorie.

Tra 9 anni al Nord i bambini alle materne saranno il 14% in meno, passando da 755.000 a 597.000-700.000. Anche al Centro si avrà -14% di piccoli alunni da 325.000 a 257.000-301.000. Mentre il calo sarà addirittura del 17% al Sud, dove gli alunni della materna scenderanno da 562.000 a 403.000-502.000. La diminuzione maggiore sarà in Sardegna con addirittura un -20%. Seguita, a distanza, da Campania a -15%, Umbria a -13%, Calabria, Basilicata, Marche ed Emilia Romagna a -12%, Puglia, Molise, Veneto, Piemonte a -11%, Toscana ed Abruzzo a -10%. Inferiore alle altre regioni del Sud il calo in Sicilia: -9%. La stessa percentuale del Friuli Venezia Giulia. Mentre -8% lo registreranno Lombardia, Lazio, Liguria e Valle d’Aosta.

Unico segno positivo in Trentino Alto Adige, dove gli studenti della materna aumenteranno dell’1%, pari a 18 classi in più. Nel resto del Paese diminuiranno le classi, arrivando in Campania addirittura -945, in Lombardia a ben -860. Seguite da -548 sezioni in Emilia Romagna, -536 in Veneto, -484 nel Lazio, -461 in Puglia e -448 in Puglia.

Di fatto, il 34,1% delle totale classi che si perderanno si troveranno al Sud, pari a 2.165. Il 41,5% al Nord, con 2.643 sezioni in meno. E il 18,7% al Centro, pari -a 1.188 classi. La variazione del numero delle classi si traduce in variazione del numero di posti nelle materne. Le previsioni, a regole vigenti, per il 2028 sono di 12.600 posti in meno.

Una contrazione degli organici docenti che, a differenza del passato, investirà progressivamente tutte le regioni, comprese quelle del Nord. Di conseguenza si avrà un raffreddamento della mobilità territoriale degli insegnati, poiché diminuiranno le opportunità di trasferii dal Sud al Centro-Nord per entrare in ruolo. «Si assisterà anche a un rallentamento del turnover», spiega la Fondazione Agnelli presieduta. «A soffrirne sarà il rinnovamento del corpo docente e probabilmente anche l’innovazione didattica».

Uno scenario che comporterebbe anche un risparmio di 402 milioni di euro annui per la sola scuola dell’infanzia. «Ma ci sono alternative». Quella «che appare preferibile a chi dà priorità al miglioramento della qualità dell’istruzione in Italia», osserva il direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto, «è un rafforzamento generalizzato della “scuola del pomeriggio”»».

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