Contratto, scontro sui permessi

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

È scontro aperto tra le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto di lavoro, Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda-Unams, e l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran). Il motivo del contendere è una nota emanata dall’agenzia il 4 aprile scorso (n. 2664/2019) recante un’interpretazione restrittiva dell’articolo 15 del contratto, che regola i permessi per motivi personali. La clausola negoziale dispone che per questi motivi i docenti di ruolo abbiano titolo a fruire di 9 giorni di permesso retribuito l’anno. I primi 3 giorni vengono fruiti senza limitazioni. Gli ulteriori 6 giorni comportano una decurtazione del numero dei giorni di ferie spettanti pari al numero dei giorni di permesso fruiti oltre i 3 giorni.

Secondo l’Aran i 6 giorni oltre i primi 3 non spetterebbero in quanto permessi, ma solo come ferie. Ciò comporterebbe, di fatto, l’impossibilità di utilizzarli. Perché le ferie durante l’anno possono essere concesse ai docenti solo se non vi siano oneri per lo stato. Vale a dire se vi siano docenti con ore a disposizione nei giorni utili, che possano sostituirli senza ricevere retribuzioni aggiuntive. La tesi dell’Aran si fonderebbe sull’articolo l’art. 1, comma 54, della legge 228/2012 (legge di stabilità 2013) il quale dispone che i docenti di tutti i gradi di istruzione possano fruire delle ferie solo nei giorni di sospensione delle lezioni definiti dai calendari scolastici regionali, a esclusione di quelli destinati agli scrutini, agli esami di Stato e alle attività valutative.

E che durante la rimanente parte dell’anno la fruizione delle ferie possa essere consentita per un periodo non superiore a sei giornate lavorative solo se vi sia la possibilità di sostituire il personale che se ne avvale senza che vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.

Secondo l’Agenzia questa norma avrebbe reso inapplicabile l’articolo 15 del contratto, proprio in riferimento ai 6 giorni eccedenti i 3. Ma i sindacati hanno contestato questa interpretazione con una nota congiunta inviata il 19 aprile scorso, adducendo che la disposizione contenuta nella legge di bilancio farebbe riferimento soltanto ai 6 giorni di ferie fruibili durante l’anno. Che sono cosa diversa dai permessi e che sono regolati da un’altra clausola negoziale: l’articolo 13 del contratto.

Le organizzazioni sindacali contestano anche il metodo adottato dall’Aran in riferimento alla nota. Trattandosi di una materia regolata contrattualmente, sempre secondo i sindacati, l’interpretazione avrebbe dovuto essere concordata anche con i sindacati che hanno pari dignità rispetto all’Aran in quanto parti dell’accordo. In pratica i sindacati rivendicano la necessità di adottare, in via analogica, la disciplina legale contenuta nel decreto legislativo 165/2001. Che in questi casi prevede che l’interpretazione autentica delle clausole negoziali debba essere oggetto di un negoziato aggiuntivo, al termine del quale dovrebbe essere sottoscritto un contratto ad hoc sulla clausola oggetto dell’interpretazione.

Sulla questione dei 6 giorni per motivi personali eccedenti i primi 3, peraltro, si era pronunciato anche il direttore generale dell’ufficio scolastico per la Calabria, con una nota emessa il 19 dicembre 2014 (17734). Nel provvedimento si legge che: «Se anche i 6 giorni di ferie a disposizione durante le attività didattiche saranno fruiti come permessi personali o familiari, il docente con contratto a tempo indeterminato avrà in totale 9 giorni (3+6) sottratti alla discrezionalità del dirigente».

In pratica, la stessa interpretazione adottata dai sindacati. Che è stata fatta propria di recente anche dalla giurisprudenza di merito. In particolare, il Tribunale di Ferrara, con la sentenza 54/2019 pubblicata il 2 aprile scorso, ha chiarito che l’articolo 15 del contratto prevede il diritto del dipendente ad utilizzare sino a 6 giorni delle proprie ferie trasformandole in un’altra tipologia di assenza, cioè nel permesso. E tale modalità di assenza è legittima nella misura in cui sussistano ragioni personali o familiari e, superato il terzo giorno, viene goduta mediante un meccanismo a scalare sulle ferie.

Si tratta, dunque «di una scelta del dipendente che, una volta esercita», si legge nella sentenza, «fa sì che non più di ferie si tratti bensì di permesso per il quale non si applicano i limiti fissati dalla legge di stabilità del 2013, che fa espresso riferimento solo all’istituto delle ferie, né tantomeno i limiti di cui all’art. 13 comma 9° del contratto che disciplina in termini analoghi la sola fruizione delle ferie. In conclusione», argomenta il giudice del lavoro, «i 6 giorni di ferie nella misura in cui siano commutati in permesso non soggiacciono al limite prima solo contrattuale (art. 13) ed ora anche legislativo secondo il quale esse sono fruite subordinatamente alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvale senza che vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica».