Nella frazione di uno sparo

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Nella frazione di uno sparo

di Vincenzo Andraous

Ogni giorno donne prese a calci, spintonate, percosse, umiliate, ammazzate.

Tutti i giorni il bollettino di morte si gonfia a dismisura, rende incomprensibile il fare di conto, perfino la matematica che non è un’opinione, diventa  un’esagerazione sostenibile.  Un giorno si e l’altro pure si usa l’acido, il coltello, la pistola diventata oramai un dato esponenziale.

Si muore per una storia finita, per una convivenza forzata, perché l’amore diventa una prigione, per il delirio di possesso che non è mai amore, ma malattia che consuma la ragione e l’ultimo battito di cuore.

Le donne rimangono a terra, scomposte, con gli occhi reclinati, sempre e solo le donne a cadere nell’angolo buio dove non è più dato vedere, sentire, sopravvivere, figuriamoci vivere. Le donne soccombono ripetutamente, gli uomini afferrano le loro vite e ne fanno un nodo scorsoio, dove anch’essi a conclusione della tragedia intendono scomparire.

Donne catturate, abbattute, con le spalle al muro, denudate, colpite con i pugni, con i calci, donne violentate, azzerate, private della propria dignità, donne come prede studiate a tavolino, seguite e rincorse, chiuse nello spazio della follia dis-umana.  Donne violentate dal branco, dall’insieme di incapaci a essere uomini, a essere maschi, a essere umani.

Quante donne inchiodate all’infelicità imposta dalla prepotenza, accettazione della resa al più forte, nel terrore a perdere ruolo di madre, professione lavorativa, i propri figli.

La vita divenuta commedia della rassegnazione alle offese, alle botte, alle violenze moltiplicate all’infinito, percepite come meno terribili di ciò che potrebbe attendere dietro l’angolo della porta lasciata aperta.

Donne in balia del sopruso, della prevaricazione, dove l’uomo è strumento di sofferenza, di lacerazioni profonde, annuncio di morte, gli uomini non sanno reagire né colmare il disagio del proprio fallimento, dei propri errori rivendicati a ragione con gli schiaffi, le minacce, i colpi scagliati senza provare alcuna vergogna.

Non tutti gli uomini sono così fragili e deboli da travestirsi da belligeranti di genere, non tutti e meno male, ma ce ne sono tanti, troppi,  intrufolati nelle relazioni che dapprima emozionano e coinvolgono, ma che poi franano e impattano con la loro viltà d’animo, con la propria storia falsificata dalle menzogne, con i simboli della durezza maschile che non consentono confronto alla tenerezza.

Chi maltratta, umilia, fa del male a una donna, non è soltanto un uomo o quel che ne rimane, affetto da una sorta di disturbo della personalità, è di più, e di più spregevole, perché tra le quattro mura domestiche, nel garage eretto a spazio del dolore altrui, quegli uomini assumono la posizione di chi nella violenza ritrova parti derelitte di se stessi, mentre all’esterno mettono in mostra gentilezza ed educazione, disegnando una recita ingannevole e maleodorante, dove la collettività rifiutando di farci i conti, consente il perpetrarsi di violenze scritte in partenza, già conosciute, disperatamente annunciate più volte.