Autonomia, stipendi in bilico

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

L’attuazione dell’autonomia differenziata potrebbe comportare un abbassamento delle retribuzioni del personale statale ceduto alle regioni. Nel 2005, infatti, è stata introdotta una modifica al testo unico dei dipendenti pubblici, che cancella il diritto all’assegno ad personam. E assegna ai dipendenti che passano da un’amministrazione ad un’altra il trattamento retributivo previsto per la qualifica in cui vengono inquadrati nell’amministrazione di arrivo. È quanto si evince dalla sentenza 14499 della sezione lavoro della Corte di cassazione, depositata il 28 maggio scorso.

Il caso riguardava una docente che era passata dai ruoli del ministero dell’istruzione a quelli del ministero degli affari esteri. E che, all’atto del passaggio, si era vista decurtare la retribuzione dell’importo corrispondente alla retribuzione professionale docenti: circa 200 euro. La docente aveva esperito l’azione giudiziale, ma il ricorso era stato rigettato dal giudice di I grado. Che aveva applicato le disposizioni contenute nel comma 2-quinquies dell’articolo 30 del dlgs 165/2001. Il quale dispone che: «Salvo diversa previsione, a seguito dell’iscrizione nel ruolo dell’amministrazione di destinazione» recita il dispositivo «al dipendente trasferito per mobilità si applica esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della stessa amministrazione».

La docente, aveva proseguito l’azione impugnando la sentenza di I grado in appello. E in quella sede il collegio aveva ribaltato la decisione. L’amministrazione, quindi aveva impugnato la sentenza per cassazione. Ma gli ermellini hanno ritenuto di confermare la decisione dei giudici di secondo grado. I giudici di piazza Cavour, infatti, hanno argomentato la decisione facendo presente che le nuove norme, che comportano l’allineamento della retribuzione a quella spettante nell’amministrazione di arrivo (anche se ciò comporti una decurtazione della retribuzione in godimento) si applicano solo ai passaggi di amministrazione intervenuti dopo l’entrata in vigore della modifica al testo unico. Che è avvenuta solo a partire dal 2005.

Ciò vuol dire che per le cessioni di contratto che avverranno per effetto dell’entrata in vigore dell’autonomia differenziata, l’importo retributivo spettante dovrà essere calcolato senza applicare il cosiddetto assegno ad personam. Vale a dire: senza corrispondere al dipendente ceduto dal Miur alla regione la differenza tra la retribuzione in godimento nell’amministrazione di partenza (Miur) e quella spettante nell’amministrazione di arrivo (regione). Che è necessariamente inferiore a parità di qualifica. Perché la cessione del contratto (è così che si chiama il passaggio di amministrazione) comporta l’azzeramento dell’anzianità di servizio.

Pertanto, il docente che dovesse essere inquadrato nei ruoli regionali delle regioni ad autonomia differenziata, riceverebbe lo stesso stipendio del docente neoassunto. Per esempio, un docente di scuola secondaria di I grado con 30 anni di servizio nella scuola statale, a fronte di una retribuzione mensile di circa 1950 euro netti, qualora dovesse essere inquadrato nei ruoli regionali, andrebbe a percepire 1.350 euro netti. Senza alcun diritto al cosiddetto assegno ad personam. Sempre che, nel frattempo, non dovesse intervenire un provvedimento legislativo, che andasse a modificare nuovamente le disposizioni contenute nel testo unico dei dipendenti pubblici.

Resta il fatto, però, che anche se il legislatore dovesse rimuovere l’ostacolo al riconoscimento dell’assegno ad personam, a legislazione costante, il docente che passasse dai ruoli statali a quelli regionali, pur vedendosi riconoscere l’assegno ad personam, perderebbe comunque l’anzianità di servizio maturata. Ciò comporterebbe una cristallizzazione della retribuzione in godimento. Che potrebbe essere incrementata per anzianità solo in presenza di due condizioni.

La prima è che nel trattamento contrattuale regionale venisse prevista la progressione di anzianità. E la seconda è che l’anzianità di servizio del docente interessato non sia troppo avanzata. Perché, per esempio, un docente in inquadrato nella classe stipendiale 8, a fronte dell’azzeramento della propria anzianità di servizio, comunque dopo 15 anni maturerebbe comunque il gradone successivo. Ripartendo da 0, infatti, dopo 8 anni rimaturerebbe la classe stipendiale 8. E dopo comincerebbe a maturare l’anzianità necessaria per il successivo gradone. E cioè la classe 15. Che si matura, appunto, al compimento del 15esmio anno di servizio riconosciuto.

Non così, invece, il docente più anziano che, per esempio, passasse dallo stato alla regione con una retribuzione in classe 28. Questo docente, infatti, per rimettersi in pari con la progressione di anzianità avrebbe bisogno di prestare altri 28 anni di servizio. E poi gliene servirebbero altri 7 per maturare il gradone successivo (classe 35). Dunque, ben oltre la scadenza del termine ultimo ai fini della cessazione dal servizio.