La maturità nell’era del link

da la Repubblica

Paolo Di Paolo

«Ma quindi fisica come l’hai collegata? ». L’ansia dei nuovi orali alla maturità 2019 diventa subito un messaggio vocale. Nervoso. Lo intercetto sulla metropolitana, un quarto d’ora dopo essere uscito da uno storico liceo di Roma, il Pilo Albertelli. Via Manin, a pochi passi dalla stazione Termini. Una commissione è al lavoro già da un po’, un’altra cambia di piano perché il caldo, al terzo, è insostenibile. La preside passa sul corridoio, abbraccia i ragazzi, li conforta. Il nuovo esame di Stato — piombato in corso d’anno sulla testa di docenti e studenti — arriva alla sua conclusione “thrilling”. Si manifesta in forma di buste chiuse: tre per candidato. Se ne pesca una, qualche minuto per pensare, e poi via: collegare. Che il punto di partenza sia un brano di Tacito o di Euripide, occorre muoversi di lì per costruire, all’impronta, una rete di ragionamento che tocchi tutte le materie.

La commissione — metà prof interni, metà esterni — sollecita, talvolta indirizza appena. E giudica. «I ragazzi sono molto tesi, forse più del dovuto» mi dice una presidente di commissione. «Li ho rassicurati. Ho detto: è una prova da prendere sul serio, ve la ricorderete per tutta la vita, a differenza di molti altri esami. Ma non è mai morto nessuno ».

Benedetta esce dall’aula, ha appena finito. Esausta, un sorriso incerto. È durata quasi un’ora. Nella busta c’era un testo di Tacito, in latino, sì, ma «abbastanza familiare». Si è presa un po’ di tempo per riflettere, si è avventurata in una riflessione sul potere, tenendo insieme Stalin e Freud e anche la fisica, «in qualche modo».

I nati nel 2000 si ritrovano pionieri anche in questo “Rischiatutto”, come qualche professore critico l’ha ribattezzato, che li costringe a essere fino in fondo “jumping minds”. Menti che saltano o saltellano di materia in materia, improvvisando un ipertesto a voce. Aprono link, su due piedi. Connettono Euripide all’eugenetica passando per gli Inni sacri di Manzoni. Soffro un po’ per la ragazza che, aprendo la busta, si trova davanti il prologo delle Baccanti e, con una velocità notevole, decide di avventurarsi nel tema uomo/religione, parlando, con l’insegnante di fisica, di Dna modificato. Perché lo collega alla religione?, chiede la prof. «Perché è una questione che solleva domande morali, e quindi anche religiose». Salta ai campi magnetici — «fenomeni che un tempo erano spiegati solo col miracoloso»; tratteggia linee su un foglio bianco, evoca le equazioni di Maxwell. Non è finita. Deve raccontare anche la sua esperienza con l’alternanza scuola-lavoro e commentare un articolo della Costituzione. La candidata resiste. I genitori — pochi i rappresentanti della categoria — timidi, piuttosto tesi, ascoltano restando sulla porta. Per fortuna, non c’è il pubblico delle lauree. Un’altra ragazza tira in ballo don Sturzo e la citazione in sé fa un certo effetto: che “una 2000” parli disinvolta di Democrazia cristiana, e di archivi di uomini politici, quasi sorprende gli ascoltatori novecenteschi. La docente di italiano le domanda che effetto fa a un nativo dig itale il contatto con vecchi faldoni. «Toccare con mano — risponde — è diverso». Chissà se è convinta. Il caldo non aiuta, chi attende si sventola. I ragazzi hanno preparato una bottiglia di spumante, comunque vada. Mentre per i commissari arrivano i caffè.

Busta uno, busta due, busta tre: al posto della vecchia, e un po’ meccanica, tesina, ora c’è da affidarsi al caso. E poi, per quanto possibile, correggerlo. L’immagine di un fungo atomico, una poesia, un problema, una formula matematica. La tessera di un puzzle da completare sul momento. Che funzioni o no, si verifica sul campo. I maturandi si sentono cavie. I docenti sono un po’ spiazzati: «Credo ci sia in fondo poca convinzione — mi dice una di loro — su quanto, troppo frettolosamente, è stato cambiato. Giocando, forse con spericolatezza, sull’ultimo tassello del lungo e complesso percorso educativo, ma senza riflettere a sufficienza su quanto vada ripensato a monte». Sì, chiedere ai ragazzi del 2000 di connettere, di non pensare al sapere come a una somma di compartimenti stagni, di disegnare reti può essere sensato. Ma se l’allenamento non comincia in tempo, se diventa un esperimento dell’ultima ora dell’ultimo giorno fra i banchi di scuola, somiglia a un gioco. Tardivo, e perfino un po’ avventato.