K. Gallmann, Elefanti in giardino

Gallmann e la sua Africa

di Antonio Stanca

Nel 2018 è comparsa presso Mondadori, nella serie “Oscar Bestellers”, la ristampa dell’opera Elefanti in giardino della scrittrice italiana, naturalizzata keniota, Kuki Gallmann. L’aveva pubblicata nel 2001 e nello stesso anno era stata edita per la prima volta in Italia da Mondadori. La versione originale è in lingua inglese come ogni altra opera della Gallmann.

  La scrittrice è nata a Treviso nel 1943 e nel 1972 si eratrasferita col figlio Emanuele e il secondo marito Paolo in Kenya dove, dopo qualche anno, avevano acquistato una vasta tenuta denominata Ol ari Nyiro. Si trova sugli altipiani di Laikipia nella parte meridionale del Kenya. Qui avevano costruito la loro casa e qui vivevano tra le colline, i fiumi, i laghi, le foreste, la savana, gli animali di un posto immenso che in parte era ancora inesplorato. Kuki vi era giunta quando aveva ventinove anni e aveva perso il primo marito dal quale aveva avuto Emanuele. In Africa a causa di ripetute disgrazie perderà Paolo nel 1980 ed Emanuele nel 1983. Rimarrà con la figlia Sveva, avuta da Paolo, e con i ricordi mai smessi di una vita vissuta in luoghi, in tempi diversi: in Italia fino alla giovinezza, in Africa nella maturità. Elefanti in giardinoè il libro dedicato a questi ricordi. 

  Successo ha avuto anche come scrittrice la Gallmann, alcune sue opere, Sognavo l’Africa, sono state trasposte in film e nel 2017 ha vinto il Premio Letterario Gambrinus Giuseppe Mazzotti. 

  Elefanti in giardino si compone di due parti, la primadice della vita trascorsa dalla Gallmann nei luoghi della sua nascita e formazione, della sua famiglia, dei suoi parenti, dei suoi compagni di scuola, delle sue prime esperienze, di tutto quanto aveva fatto parte della sua infanzia e adolescenza avvenute durante i dolorosi anni della Seconda guerra mondiale e della Resistenza in un Veneto esposto a pericoli di ogni genere.

E’ tanto animata la scrittura della Gallmann che vicino fa apparire quanto dice, partecipe rende il lettore delle vicende, delle situazioni rappresentate. Sembra un racconto che la scrittrice compie a viva voce e durante il quale non cessa mai di parlare né permette che le si chieda una spiegazione, che la si interrompa. Sempre parla poiché tanto ha da dire e questa maniera diventa più evidente, più accesa quando nel libro si passa alla seconda parte, quella dedicata all’Africa. Qui c’è molto di più da dire, qui la Gallmann non smette di sorprendere, di meravigliare, d’incantare ché infiniti sono gli spazi, i colori, i suoni, le luci, le immagini, le forme della vita umana, animale, vegetale in una regione come il Kenya, in una terra come l’Africa. Nelle sue pagine l’Africa diventa verità e mistero, realtà e magia,storia e leggenda, luce e tenebra, bene e male, vita e morte, presente e passato, finito e infinito, terra e cielo, umano e divino. L’Africa della Gallmann è tutto quanto fin dalle origini ha fatto parte dell’uomo ed ancora sta con lui a riprova che per vita è da intendere la totalità, la varietà dell’essere, che niente finisce di valere, che tutto diventa eterno. Vasta, immensa, infinita è la sua Africa,sterminate sono le sue conoscenze dei nomi, dei luoghi,dei tempi, degli usi, dei costumi che in Africa ci sono stati e ci sono.

  Tuttavia è costretta a riconoscere come pure in Africala modernità abbia iniziato a guastare alcune parti, alcuni aspetti. Per questo ha pensato, già da tempo, di fare della sua tenuta un luogo dove permettere la conservazione di ogni forma di vita esistente, di ogni specie animale e vegetale, l’ha trasformata, a partire dal 1984, nella Gallmann Memorial Foundation. Con questa ha voluto onorare il marito e il figlio persi e unire alla loro attività di ambientalisti anche la sua, ha voluto avviare un’imponente operazione di salvaguardia dell’ambiente in un’Africa che sta perdendo i suoi connotati. La sua speranza è che anche dopo di lei la Fondazione continui a perseguire tali propositi poiché in essi vede l’unica possibilità di salvezza per un’umanità devastata, avvelenata dalla modernità.