INVALSI e autonomia differenziata

I dati INVALSI confermano che alla scuola italiana serve l’opposto dell’autonomia differenziata

La lettura dei dati INVALSI sulla scuola italiana ci mette di fronte a fatti noti a tutti: fratture cognitive tra studenti e forte disuguaglianza tra Nord e Sud del Paese. L’Istituto per la Valutazione evidenzia inoltre, che l’indicatore ESCS (Economic Social Cultural Status Index), che misura le condizioni sociali, culturali ed economiche dei giovani, dimostra come esista una correlazione tra indice e punteggi ottenuti nei test di tutte le materie. I punteggi, infatti, crescono man mano che cresce l’indice ESCS. I diversi livelli dell’indice registrati tra gli studenti delle quattro tipologie di scuola superiore in cui l’INVALSI disaggrega i risultati, mostrano come a diverse scuole corrispondano diversi livelli di status sociale. Ovvero, se non si interviene sulle disuguaglianze profonde, tra Nord e Sud, tra territori diversi nelle stesse regioni e nelle capacità cognitive intragenerazionali, a partire dalle condizioni sociali complessive, continueremo ad avere sempre gli stessi risultati.

In questo senso allora, riproponiamo una profetica frase di don Milani: “Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. L’interrogativo, ormai perenne, costante che questo tipo di risultati ci pone dinanzi è sempre il medesimo: cosa vogliamo fare degli ultimi? Come vogliamo intervenire sulle disuguaglianze? Con l’autonomia differenziata? Assolutamente no.

Il ministro Bussetti si dice preoccupato per i dati INVALSI e ne ha ragione. Ma da un ministro ci si aspetta altro, qualche soluzione, una nota di chiarezza, una visione complessiva del senso dell’istruzione, che non è l’autonomia differenziata, che potrebbe ancora di più approfondire le disuguaglianze, e neppure “l’ospedale che cura i sani e respinge i malati”.

Il ministro Bussetti potrebbe trasformare la preoccupazione in iniziativa politica, aumentando ad esempio gli investimenti per l’istruzione in tutte quelle zone dell’Italia, a Sud come a Nord, dove più forte è l’incidenza delle disuguaglianze. Potrebbe intervenire concretamente finanziando un piano pluriennale per favorire il tempo scuola, soprattutto nel Mezzogiorno, ma ovunque ve ne sia bisogno. Potrebbe tradurre le preoccupazioni suscitate dai dati INVALSI per migliorare la condizione salariale di chiunque lavori nell’istruzione rinnovando i contratti collettivi di lavoro.

Ogni volta che spuntano dati sulle nostre scuole, ci si strappa le vesti, ma non si fa nulla di veramente strutturale, da parte di chi sta al governo. Ora è giunto il momento di seguire don Lorenzo Milani e la Costituzione, e battersi per una scuola dove è l’uguaglianza delle condizioni di partenza il vero faro che illumina il senso e il percorso delle decisioni politiche. Curiamo gli ultimi e i malati nelle scuole, senza respingerli e senza curare esclusivamente i sani.