L’ottimismo della volontà

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L’ottimismo della volontà

di Maurizio Tiriticco

Caro Valentino! Ti ringrazio di avere apprezzato l’analisi impietosa dell’attuale situazione politica che ho condotta nel mio ultimo pezzo. Però, non vorrei che tu e chi mi legge pensasse ad una consegna delle armi! Non è affatto così, almeno da parte mia! Sono assolutamente certo che la situazione è più che difficile e che ci vorranno anni per uscirne! Ma questo non comporta affatto un giramento di pollici per ingannare l’attesa del cataclisma finale… che non ci sarà e non ci dovrà essere! Troppi sono gli uomini “di buona volontà”, come si suol dire, ed io e te siamo senz’altro tra questi. Di altrettanto volenterosi non ne vedo in giro molti – ti confesso – e temo che ancora per qualche tempo il clima preelettorale non aiuti il delinearsi di una svolta! Già vedo rincorrersi Bersani con Renzi, Casini con Fini, Grillo con Favia – ci sono anche le new entry – Di Pietro con non so chi, e non c’è nulla di peggio che l’autocompiacimento per il bell’ombelico che ciascuno è sicuro di avere! Ti confesso che Monti, con tutti i limiti della sua azione di governo, almeno ha il merito di non compiacersi degli ombelichi dei suoi ministri. Stanno lavorando tra mille difficoltà e facendo emergere mille problemi che senza di loro – a mio giudizio – sarebbero esplosi in maniera davvero tragica! Come sai, non ho gli strumenti per condurre analisi socioeconomiche, ma… voglio solo sperare che con le prossime elezioni non si torni da capo a dodici, come si suol dire, altrimenti sarebbe un vero dramma! E il lavoro difficile e impopolare condotto da Monti sarebbe relegato in soffitta! Voglio anche sperare che validi professionisti – chiamiamoli pure tecnici – figurino nelle prossime liste e che non facciano gli schizzinosi, come ormai fanno da decenni, considerando che la politica sia un mondo “altro”, da cui è meglio stare lontani! Io non ne sto lontano affatto e mi considero un tecnico/politico a tutto tondo. Mi piace ricordare – come ho già scritto nel pezzo citato – che erano quasi tutti tecnici/politici quei Padri costituenti che in un anno soltanto ci hanno dato una carta costituzionale che è la… più migliore che c’è! Per dirla in perfetto italiano!

Per quanto riguarda il nostro “Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione”, so benissimo che le risorse e una politica avveduta sono indispensabili, cose che, purtroppo, sono carenti! E questo riguarda il pessimismo della ragione. Ma c’è sempre l’ottimismo della volontà. Non occorrono fior di quattrini perché un insegnante passi dalla lezione cattedratica a una didattica laboratoriale la quale, come sai, nulla o poco ha a che vedere con un laboratorio tout court. Non ci vuole chissà quale finanziamento perché un insegnante scenda dalla cattedra e “giri” tra i banchi”, magari messi a ferro di cavallo! Purché, ovviamente la classe non sia di trenta alunni e passa!

Ricordo che negli anni in cui sollecitavamo la necessità di curvare i Programmi ministeriali (non c’erano ancora le Indicazioni nazionali che sono tutt’altra cosa! Ma quanti insegnanti lo sanno?!) alla Programmazione curricolare, pubblicai un libro – era l’86 – intitolato “Programmazione come Animazione”. Sollecitavo l’insegnante alla necessità di non limitarsi a costruire percorsi cartacei, anche inappuntabili sotto il profilo delle teorie del curricolo, ma di considerare anche e soprattutto le mille variabili della concreta comunicazione interpersonale docente/alunno, o meglio docenti/alunni (in forza dell’Insegnante interattivo, o “collettivo”, come mi piace chiamarlo). Mauro Laeng nella sua introduzione scriveva: “C’è un aspetto della professionalità docente che non è tenuto nella considerazione dovuta: quello del concreto operare con gli alunni, con i colleghi, quello che noi chiamiamo – forse con un vocabolo un po’ informatico – il terminale della professionalità docente, ciò che dà vita e forma al processo educativo. E questo terminale è fatto di rapporti, di relazioni, di interazioni, insomma di campi di comunicazione verbale e non verbale. E questo è il terreno della comunicazione interpersonale, della comprensione delle dinamiche che sostanziano e attivano i gruppi, della conduzione del gruppo allievi, di tutto quell’insieme di conoscenze e abilità professionali che costituiscono l’animazione. Animazione allora significa gestione della programmazione. Si può ipotizzare una programmazione ottima; ma, se non la si gestisce, se non la si anima, rimane una dichiarazione di buone intenzioni”.

Nel volume riprendevo e citavo autori importanti, da Argyle a Berne, da Bion alla Ballanti, il trio Bloom, Krathwohl, Masia, e poi Moreno, Elton Mayo, fino a Escarpit, a Goffman, a Jakobson, a Lewin, a Watzlawick e alla scuola di Palo Alto… e a tanti altri. Insomma, mi divertii a scoprire quali fossero gli autori che – senza che io lo sapessi – avessero ispirato il mio modo di insegnare, o meglio di stare in aula: meno cattedra, meno registro, meno voti e più interazioni, lavorare insieme, scoprire insieme, scrivere insieme. Il che non ha mai significato il non-rispetto della norma – ho fatto anche l’ispettore per tanti anni – ma ha sempre significato insegnare in modi diversi da quelli che conoscevo e che indirettamente avevo appreso… in modi che poi sperimentai anche nei miei seminari con Raffaele Laporta!

Insomma, “stare in aula” in altri modi non costa denaro, costa professionalità! Costa investire su se stessi, riconsiderare ogni giorno che cosa si fa in aula, con gli alunni e con i colleghi. Costa riflettere su quel che si fa (il professionista riflessivo di Schön), soprattutto se si ha a che fare con persone: come accade per gli insegnanti, i medici, i giudici! E sarebbe anche il caso che al prossimo concorso non si chiedesse alla prova orale di “fare una lezione”, ma di “condurre un’attività laboratoriale”: è sempre una finzione, d’accordo, comunque è una pratica che viene suggerita in tutte le Indicazioni nazionali! Non devo fare una lezione sull’area del rettangolo e poi fare esercitare gli alunni, ma devo sollecitare gli alunni a scoprire il valore concreto di un’area: che cosa dobbiamo chiedere al piastrellista, se dovessimo rifare il pavimento dell’aula? Il concetto/parola di area e quello di rettangolo, e poi quello di misura vengono dopo! Prima ci sono i palmi delle mani, o i passi (ma Antonio ha un piedone così e Laura un piedino piccolo piccolo: e allora?), poi lo spago e alla fine il metro da falegname! Ci sono le mattonelle e sono quadrate, che vuol dire quadrate? E quante sono? Qual è la via più breve per contarle? L’addizione? O la moltiplicazione? Quante concetti vengono inventati e scoperti… e non basta una mattinata! E gli esseri umani quanti secoli avranno impiegato per scoprire come e perché era necessario misurare un’area: forse per non litigare sugli appezzamenti di terreno! Geometria, aritmetica, storia, geografia, quante discipline si intrecciano insieme… E sono “cose” che vanno fatte scoprire ai nostri alunni, non vanno scodellate!

Non bisogna insegnare (segnare sulla testa: i vasai sì che erano insegnanti, perché facevano segni sulle teste, o meglio sui vasi dei latini!), ma sollecitare apprendimenti. E insegnare in modo diverso e produttivo non costa denaro – sia tranquillo Profumo! – costa solo mettersi in discussione, per animare, se si vuole gestire con successo ciò che si è programmato, come ci ricordava Mauro Laeng! A  proposito, quanti saranno gli insegnanti di latino che adotteranno il metodo Ørberg? Mah! Eppure, lo suggeriscono le Indicazione nazionali!